Il mistero del continente scomparso. Platone aveva ragione...?

 



Il grande filosofo Platone, una delle menti più grandi della storia umana, sul finire della sua carriera venne deriso dai suoi contemporanei a causa di uno scritto che stava componendo. La delusione fu così grande che egli decise di non completare il secondo dei tre racconti sull’argomento, e di non iniziare nemmeno a scrivere il terzo (doveva essere, infatti, una trilogia). Perché i Greci, un popolo abituato ad ascoltare storie di ogni genere, e spesso a crederci, derisero nientemeno che il grande Platone?
Ebbene, nel dialogo “Timeo” e nel dialogo parziale “Crizia” (rimasto incompiuto), Platone racconta che alcuni “misteriosi sacerdoti egiziani” della città di Sais, raccontarono al celebre statista ateniese Solone (638 a.C. – 558 a.C.) una storia. Platone (428 a.C. – 348 a.C.), circa 200 anni dopo, ricevette per vie traverse questa storia, e l’ha usata come una delle fonti da cui ricavare il suo racconto. E fin qui nulla di strano.
In questo racconto Platone dice molte cose. Tra l’altro, racconta l’esistenza di una “Grande Isola” vicino alle “Colonne D’Ercole”. Lui la chiama “Atlantide” o “Terra di Atlante”. I greci del suo tempo sapevano che oltre 40 anni prima di Platone, il celebre storico Erodoto (484 a.C. – 430 a.C.), nelle sue “Storie” chiamò con il nome “Atlante” la catena montuosa dell’odierno Marocco. Tra l’altro, ancora oggi conserva quel nome: Monti dell’Atlante. Per un greco di quel tempo, il nome “Atlantide” o “Terra di Atlante” indicava una terra che si trovava evidentemente ai piedi del monte Atlante. Ma tutti sapevano che non c’era nessuna “grande isola” ai piedi dell’Atlante.
Nel suo racconto, citando i “misteriosi sacerdoti egizi”, Platone affermava che quell’isola esisteva 9.000 anni prima di Solone, quindi 11.500 anni fa. E qui scoppiarono le risate. Per la gente di quel tempo, 9.000 anni prima di Solone il mondo non esisteva nemmeno (per esempio, la tradizione ebraico-cristiana pone la nascita del mondo al 4.000 a.C. circa). Per circa 2.000 anni la gente ha riso di questa affermazione di Platone. Non trovando nessuna “Grande Isola” vicino al monte Atlante, diversi scrittori la hanno “piazzata” un po' ovunque: chi in Sardegna, chi in Irlanda, chi a Cuba, chi in Indonesia. Onesti tentativi di risolvere il “rebus”.
Ma “la Terra di Atlante” è sempre rimasta lì, dove aveva detto Platone. Infatti, pochi anni fa, un piccolo, minuscolo oggetto di metallo, il satellite giapponese PALSAR, ha reso giustizia al celebre filosofo greco. Chiunque siano stati i “misteriosi sacerdoti egiziani” che avevano raccontato a Solone (e tramite lui a Platone) che vicino ai monti di Atlante, nella Terra di Atlante (o Atlantide) esisteva una grandissima isola, avevano ragione. L’articolo della rivista “Nature”, del 10 Novembre 2015, intitolato “African humid periods triggered the reactivation of a large river system in Western Sahara”, a prima firma di C. Skonieczny, parla “di un grande sistema fluviale nel Sahara occidentale, che trae le sue sorgenti dagli altopiani dell'Hoggar e dalle montagne dell'Atlante meridionale in Algeria. Questa cosiddetta valle del fiume Tamanrasett è stata descritta come un possibile vasto e antico sistema idrografico”. L’articolo continua scendendo nei dettagli dal punto di vista geologico. Per farla breve, il PALSAR ha scoperto un mega-fiume gigantesco, oggi inaridito, che partiva proprio dai monti di Atlante e tagliava tutto l’angolo a Nord-Ovest dell’Africa, sfociando nella odierna Mauritania.


La “valle del fiume” del Tamanrasett ha una ampiezza di 90 km circa. La foce di questo mega-fiume, oggi situata sotto il mare, era larga 400 km. Era un “mostro” paragonabile al Rio delle Amazzoni, un fiume così grande che in diversi punti è indistinguibile dal mare. Questo vuol dire che questo fiume poteva raggiungere una ampiezza simile da costa a costa. Immaginate un osservatore a livello del terreno. Come avrebbe fatto a capire che si trattava di un fiume, oppure di un mare, se la costa opposta era a 90 km di distanza? Ad eccezione della salinità delle acque (ma non sappiamo se questo aspetto fosse compreso), nulla avrebbe permesso a quell’osservatore di capire se si trattasse di un fiume o di un mare. Tanto per dire, è una distanza superiore allo stretto di Messina e allo Stretto di Gibilterra messi insieme.
Guardando la regione dall’alto, si comprende che quando scorreva il mega-fiume Tamanrasett, durante “l´Ultimo Periodo Umido Africano”, (tra 14.500 e 7.000 anni fa circa, con strascichi fino a 5.500 anni fa), tranne che per un piccolissimo pezzettino a Nord-Est, la “Terra di Atlante”, o “Atlantide”, o territori a Sud del Monte Atlante, era davvero un´isola. A Nord era circondata dal Mar Mediterraneo. Ad Ovest era circondata dall’Oceano Atlantico. A Sud era circondata dal mega-fiume Tamanrasett. Ad Est era quasi completamente circondata dallo stesso fiume, tranne un pezzetto costituito dalla catena montuosa di Atlante. Si può davvero chiamarla “isola”? Nel senso greco “Sì”.
Tutti conosciamo cosa è il Peloponneso, una delle zone più importanti della Grecia. Ebbene, il Peloponneso ha esattamente la stessa conformazione geografica della “Terra di Atlante”. È una “quasi isola”, attaccata alla terraferma da un piccolo istmo. Cosa vuol dire il termine Peloponneso? Questa parola deriva dal greco Πέλοπος νῆσος (Pelopos Nesos), vale a dire “Isola di Pelope”. Questa è una prova non confutabile che per i greci dei tempi antichi, una “quasi isola” come il Peloponneso poteva essere considerata un νῆσος, o “isola”. Nulla di strano quindi se Solone, e dopo di lui Platone, chiamarono la “quasi isola” del Monte Atlante, o Atlantide, con νῆσος, o “Nesos”, il termine che noi traduciamo con isola nel senso moderno del termine.
Quella era davvero l’Isola di Atlantide? Quella “quasi isola” non può essere considerata “Atlantide” se non supera “l’esame dei cerchi”. Cosa vogliamo dire? Nel suo racconto Platone dice che nelle vicinanze dell’Isola di Atlantide si trovavano 2 strutture uniche nel loro genere. Secondo il racconto, una di queste strutture geologiche naturali era stata creata direttamente da Poseidone, e quindi la chiamiamo “Isola di Poseidone”. Si trattava di una montagnetta centrale, attorno alla quale c’erano 3 anelli di mare e 2 di terra, perfettamente concentrici. Non viene detto nulla riguardo alla sua grandezza. Viene detto che era “sacra”, inaccessibile e disabitata.
La seconda struttura, su cui gli umani edificarono una città, la possiamo chiamare “Isola della Metropoli”. Era una struttura geologica naturale che ricalcava molto da vicino la precedente, ma in questo caso vengono date le sue misure. C’era un’isola centrale pianeggiante ampia circa 900 metri, seguita da 3 cerchi di mare e 2 di terra, perfettamente concentrici. Il totale dell’ampiezza era circa 5 chilometri. Attorno a questa struttura geologica naturale (in cui risiedeva il re e la nobiltà) si estendeva la città vera e propria di Atlantide.
Quante possibilità ci sono di trovare vicino al percorso dell’antico fiume Tamanrasett non una, ma due strutture geologiche naturali formate da cerchi concentrici, una delle quali deve essere ampia 5 chilometri, e avere una specie di isola centrale ampia 900 metri? Direte: “Nessuna!”. Ebbene, come viene detto nel libro “Atlantide 2021 – Il continente ritrovato”, ancora una volta grazie ai satelliti, queste due strutture sono state scoperte proprio lungo il percorso del fiume Tamanrasett.
La prima struttura geologica naturale viene chiamata “Cupola di Semsiyat”. Si trova sull'altopiano di Chinguetti, nel deserto della Mauritania, a 21° 0' Nord di latitudine e 11° 05' Ovest di longitudine. Le sue misure sono esattamente quelle indicate da Platone per l’Isola della Metropoli. La sua ampiezza massima è esattamente di 5 chilometri. Al centro si trova una formazione ampia esattamente 900 – 100 metri, quanto era “l’isola centrale” della Metropoli di Atlantide. Si intravede anche un secondo cerchio interno, esattamente della misura descritta da Platone. La seconda struttura si chiama “Struttura di Richat”, e si trova a circa 20 chilometri di distanza. È ampia circa 40 km, ed è composta da una zona centrale dalla quale partono una serie di “cerchi di roccia”. Ci sono i chiari resti che indicano che una volta quello era un lago da cui affioravano dei “cerchi di terra”. È la rappresentazione perfetta “dell’Isola di Poseidone” descritta da Platone.
Oggi i satelliti hanno mappato tutta la superficie terrestre. Non esistono altre strutture simili sulla Terra che abbiano quelle misure o quelle caratteristiche. Sono “uniche”. Quindi, finché non verrà scoperto nulla di simile in giro per il mondo, in base a tutte le prove fornite dalla più moderna tecnologia, possiamo dire di aver davvero trovato la terra di cui parlava Platone: Atlantide.
Quindi i “misteriosi sacerdoti egiziani” non avevano mentito a Solone, e di conseguenza a Platone, quando gli dissero che ai piedi del monte Atlante, circa 11.500 anni fa, si trovava “una Grande Isola”. Ma questo fa sorgere altre importantissime domande: come lo sapevano? Quale civiltà era a conoscenza di fatti accaduti tra 14.500 e 7.000 anni fa? Questa zona dell’Africa è mai affondata? E che relazione ha “Atlantide” con Nan Madol e il “Continente sommerso” di Sundaland e Sahuland, recentemente scoperto dai ricercatori? Dove sono andati a finire tutti quanti?

Il mistero del “Continente scomparso” di Atlantide è solo uno dei vari “misteri” dei nostri ultimi 75.000 anni di storia, che nonostante le scoperte degli ultimi anni, non riescono a trovare spazio nei libri di storia. Ma per fare il punto sulla situazione attuale è stato preparato un libro che raccoglie le ultime scoperte da parte dei ricercatori su questi argomenti.

(tratto da: Homo Reloaded)

Conclamazione nella società dello spettacolo - (Qui ci vuole un lassativo... o basta un digestivo?)

 


La società dello spettacolo è un concetto. Ultimamente – e giustamente – lo si trova citato con una certa frequenza. Quella formula è dovuta ai situazionisti (1), in particolare a uno dei fondatori di quel movimento culturale, Guy Debord, che ne fece il titolo di un suo libro (2). Ciò che abbiamo visto in questi ultimi, tragici, tempi è una conclamazione (acclamazione da parte di tutti i presenti) di quanto anticipatoci dai situazionisti.

L’equazione hegeliana tra realtà e razionalità è sostituita dall’equazione tra apparenza e valore” (3).


Aperitivo

Diversamente da come viene spesso intesa e impiegata, con società dello spettacolo non si allude ad una realtà pregna di spettacolarizzazione della vita attraverso trasmissioni tv, siano esse di informazione, lungometraggi, sedute di parlate addosso e finzioni; programmi dedicati al pubblico, al privato e all’intimo, al giornalismo piallato agli interessi del padrone e al politicamente corretto. Per non parlare dell’umiliante imposizione della pubblicità – vera pornografia culturale –, nonché degli ammiccanti corpi impunemente sdoganati dall’ipocrita morale che obbliga un cieco ad essere un non vedente e un omosessuale a non essere un frocio, a criminalizzare chi dice negro o puttana, salvo lasciare chiunque, in questo caso Emma Marrone, cantare, giustamente impunita:

E ogni volta è così, ogni volta è normale

Non c'è niente da dire, niente da fare

Ogni volta è così, siamo sante o puttane

E non vuoi restare qui, e neanche scappare

senza timore che nessuna neobigotta bacchettata le colpisca le falangi. Bisogna dire non vedente, diversamente abile e usare il gender giusto, abbinato a opportuni neolemmi e neoaggettivi, appositamente composti da neolettere. Se dici cieco, handicappato e finocchio vai nel regno del proibito, quello degli uomini che vivono nel mondo sbagliato. E allora che i diversamente fighi siano i gobbi.

La vera “offesa alla nostra sensibilità” non sono i corpi sfracellati di una guerra, ma la fornitura di armi e denari, mezzo raccapricciante con il quale lor signori vogliono la pace.

La società dello spettacolo realizza il suo culmine nel rendere attendibile di verità la realtà ad hoc rappresentata. Essa – condivisa, sociale, politica – si mostra in forma di spettacoli e situazioni appositamente messe in scena e viene assunta come la Realtà, al pari di una merce e anche di un suo surrogato. Il dietro le quinte che la genera è dimenticato. Quando capita che venga preso in considerazione da qualcuno, questo lato occulto ai più non riesce a scalfire la realtà che l’ha preceduto e che è stata scambiata per la sola attendibile. In altre parole, ma sempre referenti della magia del linguaggio, i situazionisti possono essere considerati in qualche misura gli antesignani di quanto ci racconta la Programmazione Neuro Linguistica, il Costruttivismo e non solo.

In quanto indispensabile ornamentazione degli oggetti attualmente prodotti, in quanto esposizione generale della razionalità del sistema, e in quanto settore economico avanzato che foggia direttamente una moltitudine crescente di oggetti-immagine, lo spettacolo è la principale produzione della società attuale” (4).

Se la realtà è, dunque, ciò che i media e social diffondono in modo ormai capillare, è facile e spontanea l’equazione che esiste ciò che in essi appare. Null’altro. O quasi. Ciò che essi fanno insistentemente esistere assume un’attendibilità di verità maggiore della realtà assente nello schermo tv, nonché di quella proveniente da fonti meno accreditate. Uno, perché il punto di attenzione è prevalentemente posato sulla realtà rappresentata o spettacolo; due, perché quella rappresentazione è corredata di orpelli e ghirlande, ovvero di esperti e specialisti. Di qualcosa che, ce lo hanno inculcato, in quanto latori di dati o erudizione superiore, è senza dubbio alcuno attendibile a noi. Genuflessione. Le vicende della protopandemia, del suo attuale seguito e, successivamente, della guerra in Ucraina ne sono un cristallino campione. Il megafono istituzionale a mezzo media d’informazione narra una verità interessata e colma di menzogne che, mediamente, risulta convincente per tutti.

Cena

Gli intellettuali untori del potere al mercato e del pensiero unico hanno evidentemente modificato il dna. La loro originaria ontologia appuntita ha ora la forma piatta dello scendiletto, la loro felinità perduta li ha mutati in bolsi animali d'allevamento. E le università non credano di potersi sottrarre a tanta sottomissione, ad altrettanto rinnegamento della missione, ormai venduta più che perduta.

Nel calderone dell’audience, che è lo stesso del profitto, si può buttare tutto. La ricetta resta una sola. Ci stanno anche il prezzo e il valore. La lunga cottura li ha spappolati, rendendo impossibile riconoscerli, dispersi e mescolati agli archeoantropologi, avranno vita difficile nel ricostruire ciò che è stato e ancora di più nel rispondere alla domanda perché lo hanno fatto? E non sarà un episodio isolato. Esso si ripeterà identico a proposito delle leggi umane e di quelle naturali. Come hanno potuto credere di poter comprimere loro stessi entro le logiche ondivaghe della politica e dimenticare quelle ferree della natura?

In attesa che il tempo passi e che quei ricercatori arrivino a porsi quelle domande, una risposta è già possibile oggi. L’accredito delle élite, del loro verbo, la reverenza culturale di cui godono e di cui si fanno vanto, l’assenza di critica dal basso o, quando presente, la criminalizzazione di questa, trattata al pari di brigatisti da eliminare con idranti o da misconoscere quando non ignorare, rappresentano l’humus culturale, terreno sul quale hanno saputo erigere un vero muro di estraneità. Da una parte loro, dall’altra noi. Non più coccolati latori di voto, ma fastidi da gestire. Il progresso e Bruxelles lo impongono, loro eseguono. Così diranno in un’ipotetica Norimberga che giudichi i tempi. “Eravamo soltanto esecutori di ordini”.

Si arriverà al punto in cui forse nessuno ammetterà mai nulla. Il tempo passerà e sentiremo allora citare quest’epoca come si fa con i peccati che ancora si vogliono fuggire. Sentiremo – noi o chi per noi – battute e risatine per far passare la nefandezza alla quale abbiamo assistito come un fatto risibile, una cosa come un’altra. Finché chi non c’era non potrà che dubitare della nostra narrazione, “così simile ad altri negazionismi”. E saranno ancora i “medici no-vax ad aver ucciso” e sarà stato il vaccino ad aver “salvato il mondo” dalla pandetruffa. E non saranno stati compiuti soprusi, né ricatti istituzionali e anticostituzionali. Chi ha la comunicazione ha tutto il potere che serve. Come sennò proclamare menzogne e far credere si trattasse di “slogan”?

Hanno creato i no-vax (senza considerare di offenderli con questo titolo), hanno detto Ucraina democratica – e non sapevano niente di cosa ci fosse stato prima del 24 febbraio –, hanno sottratto a cittadini russi il loro diritto al lavoro, alla dignità, alla proprietà. Vuoi che chi ha la consapevolezza di quanto certa politica e certa comunicazione da spettacolo hanno prodotto non trovi come criminalizzare anche chi vede in essa la demolizione delle identità individuali (quelle nazionali sono in opera da tempo) e, con esse, la stabilità delle persone? Saremo ancora fascisti? Razzisti? Omofobi? Stupidi? Ci toglieranno il lavoro se rifiuteremo di abbracciare lo scempio? Azzereranno la nostra futura tessera della vita a punti se non ci allineeremo al loro progresso?

La questione dei diritti non c’entra niente. Chiunque sia come crede di essere, senza incertezze. Non è quella in corso la via per educare al rispetto, anzi l’obbligo ne realizza l’opposto. Quel nobile scopo non ha a che vedere col demolire storia, cultura, identità. Sennò facciamo anche il mondo di mancini, artisti, reduci, eccetera.

Se l’avevano visto i situazionisti già dal finire degli anni ’50 del secolo scorso, se Foucault, con l’Ordine del discorso del 1971, l’aveva a suo modo ribadito e ulteriormente argomentato, accreditare, oltre noi stessi, la parola dell’esperto è esattamente appenderci la carota davanti al naso e inseguirla. È credere acriticamente. Una acritica che viene in essere e a fa sparire il mondo circostante, tanto più la nostra attenzione è fissa sul punto che serve agli imbonitori, venditori, truffatori che siano. E così si ribaltano verità storiche senza che nessuno reagisca, con il consenso informato di tutti quelli che sono più disponibili a dire che la storia va avanti piuttosto che riconoscere che la storia è una sequela di scelte umane.

La politica e le sue élite, alle quali tanto diamo credito, vivono dunque in un mondo a parte, senza più alcuna reazione diretta con noi. Se in grande misura, la deriva non costituisce un problema per il popolino fantozziano, quello con il gruzzoletto raccolto in anni di nero e anche quello con il miraggio della BMW. Per altri può essere tradotto con “non mi sento rappresentato da nessuno”. Parole che contengono un sentimento in crescente diffusione.

Ma se il malcontento, il disagio, la povertà, le difficoltà sono, come quel sentimento, in espansione, oggi in grado di interessare fasce di popolazione via via più spesse, come mai si sta tutti buoni e zitti?


Digestivo

Un effetto della spettacolarizzazione è la digestione. Così, il comico sul palco, la satira in un articolo e anche il sarcasmo in una vignetta sono lame che vorrebbero ferire il potere – istituzionale, politico o mediatico – ma che, di fatto, sortiscono altro, in un certo senso l’opposto. Battute, sberleffi, prese in giro, critiche da applauso sono in primis un digestivo che permette di trascendere dal tragico del reale per renderlo compatibile con la vita, fino a trasmutarlo in ordinarietà. Il peso politico di un giullare – apparentemente non di corte – è nullo. Quello che aveva il re svolgeva il medesimo servizio. Permetteva al sovrano di udire critiche ai suoi misfatti, altrimenti impronunciabili e indicibili. Era già allora la messa in atto del trucchetto del comico. Giravolta indispensabile affinché le malefatte potessero uscire dall’alambicco di una risata come cosa giusta e dovuta, disumanizzata, anche ricca di lacrime, ma – questo è il punto – senza più il potere morale del senso di colpa.


Con lo spettacolo, la realtà passa come passa una trasmissione. Viene più facilmente deglutita e digerita, a maggior ragione se di comicità, parodia e satira si tratta.

A causa del piacere della risata o della solidarietà che sentiamo venire a noi da una battura satirica che ci sottrae dalla solitudine, il reale diviene, senza colpo ferite e senza necessità di trait d’union, lo spettacolo.

Dal divano non è diverso da quanto era dall’arena per i romani, pronti a cliccare il pollice su o ad astenersi, per poi cambiare canale e continuare la digestione.


Così, lo spettacolo, trovato il campo lasciato libero dagli intellettuali, offre pure la prova del nove solo a chi è in grado di vederla. La poesia è radicalmente esclusa dalla monade della società dello spettacolo e con lei il principio di bellezza, nonostante siano due sintomi della vita vera, quella a cui tutti aspirano nei propri sogni. Da questi si è senza reazione passati alla povertà spirituale e, soprattutto, ad accettarla come normalità, anche da difendere. Della dipendenza, dell’assuefazione, della voracità animalesca che fanno di noi il cibo di pochi, del flusso che ci trascina via da ciò che conta e che ci spinge a nutrirci di effimeri valori, la società dello spettacolo non si occupa. Le resterebbe tutto sullo stomaco.

La realtà sorge nello spettacolo e lo spettacolo è reale. Questa alienazione reciproca è l’essenza e il sostegno della società esistente” (5).

Lorenzo Merlo 










Note


  1. Fondatori dell’Internazionale Situazionista, 1957: Pinot Gallizio, Piero Simondo, Elena Verrone, Michèle Bernstein, Guy Debord, Asger Jorn, Walter Olmo. È un movimento nato in Italia.

  2. Guy Debord, La società dello spettacolo, Milano, Baldini&Castoldi, 2008.

  3. Ivi, p. 55.

  4. Ivi, p. 57.

  5. Ivi, p. 13.



Sul significato di “Civiltà”...



La civiltà è un modo delle forme di vita associata umana nella storia della nostra abitazione del pianeta. Ad occhio rappresenta solo lo 0,16% del tempo della storia del nostro genere primate. Come e perché iniziò e lungo qui da dire, si tratta, al solito, di un sistema di cause interagenti, ma poiché è sorta più volte da più parti deve esserci stato al fondo un andamento comune.

La più probabile causa di fondo è stata l’avvento di un regime climatico particolarmente favorevole, l’Olocene. Il miglior clima ha sciolto il ghiaccio in acqua e il resto della natura ha prodotto più cibo vegetale e quindi animale, gli umani hanno vissuto una fase “paradiso terrestre” così narrato dopo che le condizioni peggiorarono di molto, nel ricordo.

A quel tempo, secondo alcuni paleoantropologi, gli umani che nel XIX secolo bollammo spregiativamente come “primitivi”, lavoravano per la sussistenza e il minimo confort necessario alla vita, tre-quattro ore al giorno. Il resto del tempo lavoravano artigianalmente assieme, chiacchieravano intorno al fuoco, ridevano, giocavano, facevano sesso. 

Ma se dentro i gruppi umani la vita era niente male, fuori di questi le minacce erano tante, in fondo la forma sociale che ereditiamo dalla storia evolutiva di altre specie, serve proprio per opporre al vaglio adattivo gruppi e non singoli come pretendono i biologi molecolari riduzionisti e deterministi, perdonatemi ma non posso fare a meno di aggiungere “anglosassoni”. C’è un vincolo di coerenza delle immagini di mondo che parte dai barbari germanici trasferitisi nell’isola ad Hobbes (uno dei rari studiosi dell’Alto Medioevo inglese anche perché le fonti sono assai scarne e quindi si fa presto a farsene una idea), Locke, Smith, Ricardo, Malthus, Thatcher fino a Dawkins e compagnia anglo-brit. L'intera economia anglosassone parte dalla variabile di scarsità, ma le variabili sono due, l'altra è la ridistribuzione. Nella gestione delle immagini di mondo, a volte si ottiene narrativamente di più non aggiungendo qualcosa ma sottraendolo alla vista.

Ad ogni modo, queste condizioni favorevoli aumentarono il volume dei gruppi umani, molti presero a stanzializzarsi. Cacciavano, raccoglievano (soprattutto) e integravano con piccola agricoltura che non fu affatto una invenzione tecnica che trasformò i modi produzione come narrano all’unisono marxisti e liberali con mentalità che replica la Rivoluzione industriale del capitalismo all’eternità entrambi confortati di aver scoperto una “legge” dell’economia e così confortati dal fatto che l’economia sia una scienza con le leggi come la fisica. Nelle cose umane non c'è alcuna legge, questa è la sola legge (negativa), semmai regole.
Ad un certo punto, masse umane consistenti, entrarono in periodi climatici più turbolenti e meno umidi con una raggiunta densità abitativa importante.

 Domanda crescente, offerta naturale calante, questo il motivo per il quale gli umani si densificarono presso i fiumi (l’acqua non cadeva più con regolarità dal cielo). Ma è anche il motivo per il quale la caccia e la raccolta (calanti anch’essi) vennero sostituite da un incremento dell’attività agricola, praticata da almeno 10.000 prima. Nascevano così le prime città, la civiltà, la gerarchia sociale, la religione (stante che forme varie di spiritualità di gruppo sono longeve quanto l’uomo), la guerra organizzata, la scrittura e le immagini di mondo di una certa complessità. La gerarchia sociale non nasce affatto dai modi di produzione ma è il modo più semplice per gestire e coordinare una società dotata di una certa massa, l’autorganizzazione delle masse consistenti è auspicabile negli ideali ma è tremendamente improbabile se non accompagnata da una intenzionalità molto sofisticata, consapevole e ben distribuita.

Potremmo dire allora che la civiltà nasce perché non si poteva più alzarsi la mattina e dire “ok, oggi che si mangia?” per poi andare per boschi o prati o ruscelli a procurarselo, bisognava programmare, pensarci prima ed organizzarsi collettivamente di conseguenza. Naturalmente l’offerta relativamente abbondante di cereali e vegetali ma anche animali allevati, aumentò la popolazione al prezzo di malattie, dominio dei maschi sulle femmine, degli anziani sui giovani, dei forti sui deboli, fragilizzazione ossea ed una cascata di innovazioni adattative con impatti vari sulle forme sociali e loro dinamiche. Questo ci dice lo studio di decine di testi di paleo-et cetera, negli ultimi anni la tecnologia ci ha permesso di estrarre moltissime informazioni dai resti degli scavi e così sembra si possa dire sia andata, più o meno e non solo in Masopotamia che è quella che consociamo meglio, la storia più antica e quella più vicina a noi.

La civiltà umana ha avuto poi cinque-seimila anni di storia, fasi alterne con vari eventi separati tra popoli e territori.

Secondo gli statistici dell’ONU, oggi festeggiamo l’arrivo dell’ottavo miliardesimo di umano vivente. Il mondo intero è diventato una Grande Mesopotamia, ormai siamo tutti stipati con vari stili di vita sullo stesso pianeta. Vi arriviamo però impreparati come impreparati furono coloro che dal “paradiso terrestre” si ritrovarono a mangiare il sudore della propria fronte misto ad un po’ di miglio francamente deludente rispetto al barbecue di cervo, domandandosi quale colpa avessero visto che il loro dio gli aveva così duramente puniti. O almeno questo raccontavano i gestori dell’immagine di mondo al potere dando a tutti la colpa che non era di nessuno. Dare le colpe è una delle principali attività del potere.

Saprete e leggerete come tutto ciò porta ad un gigantesco problema adattivo di tipo ecologico, ambientale, climatico. Ma dovrete aggiungere parecchio altro per capire il perché del titolo del post. Ad esempio, il conflitto per spazio e risorse (terra, minerali, energia, acqua) che ha portato di recente la geopolitica a prendere il posto della virologia che già aveva preso il posto dell’economia. Poi dovrete aggiungere il ridisegno dei sistemi di relazione tra culture diverse, economie e finanze diverse, credenze diverse, modi politici diversi con sciame di lotte tremende per garantirsi le migliori condizioni di possibilità a noi e non ad altri. Migrazioni ovviamente, treni di feedback non lineari che percuotono l’omeostasi del sistema umano e naturale, deliri tecnologici nella credenza magica che ogni problema complesso abbia soluzioni semplici che poi è in breve “farci i soldi” credendo di risolvere un problema creandone una decina ex-novo. Infine, ma solo perché lo spazio per scrivere ed il tempo per leggere è tiranno, l’effetto che tutto ciò ha nelle nostre specifiche forme di vita associata. Partendo dall’umanità alle varie civiltà, la nostra civiltà occidentale, l’Europa che è di natura diversa dall’Anglosfera, l’Italia e via così.

Dopo seimila anni, ci troviamo oggi e per la prima volta, con un problema adattivo inedito: riuscirà l’umanità a riconfigurarsi per essere complessivamente adatta a vivere in così tanti con così meno a disposizione di ognuno? Si tratta di un problema di ridistribuzione a dimensione planetaria e non solo tra classi sociali interne una data società, sebbene le due cose siano correlate ovviamente, come lo furono quando iniziò la civiltà.

Da ciò conseguono cascate e cascate di novità perturbanti. Le forme di vita associata, le nostre singole esistenze, le immagini di mondo. Chi scrive si occupa di questo, prioritariamente e lo fa con metodo di studio suo, indipendente, non solo nel descrittivo ma cercando anche di conseguirne il prescrittivo. Coltivo una nuova disciplina, la mondologia. Farà sorridere l’enormità dell’intento; eppure, non c’è proprio niente da ridere. Noi abbiamo il logos, il discorso con cui interpretiamo cose e fenomeni ed oggi abbiamo un nuovo oggetto iper-complesso che è il mondo. Un “mondo” in generale ce l’avevamo anche prima, ma quello di oggi si presenta come un sistema in sé alla ricerca della sua coerenza e compatibilità interna ed esterna a condizioni nuove, inedite, problematiche, con poco tempo per trovare le soluzioni, mentre il mondo stesso continua a cambiare velocemente e profondamente.

Il mondo è entrato nella prima fase storica planetaria, dove cioè le dinamiche sono sincroniche per tutto il sistema umano e i battiti di farfalla lì fanno uragani qui, questa è l’Era complessa. Ed è di questo mondo che ci sforziamo di dare una immagine, una immagine di mondo adatta al mondo che è oggi, non quello di un secolo o un millennio fa, solo qui e non lì. Non è un mio piglio definirla una nuova era storica, mi pare un fatto oggettivo secondo numero-peso-misura, materialisticamente e spiritualmente parlando.

Dovremmo forse condividere un po’ di più questo problema perché è il problema di tutti i problemi. Certo sono cose preoccupanti, complicate, prima di dire dovremmo studiare molto, cambiare molte credenze cui siamo affezionati e molti modi di essere e fare, ma è anche una formidabile spinta al cambiamento, è un cambiamento che tanto avverrà comunque, a noi sta “”solo” cercare di direzionarlo da una parte o da un’altra.

Mi sento di citare un filosofo pessimista ma forse era solo pessimista nella ragione anche se la moglie disse che era troppo “pesante” (la moglie era H. Arendt) e per questo lo mollò. Diceva il nostro e non lo trovo affatto un pensiero pessimista, al contrario, che bisognava far in modo che il mondo non cambiasse senza di noi.

Se avremo o meno un futuro con un discreto adattamento a cotanta complessità emergente dipende solo ed esclusivamente da questo.

Pierluigi Fagan




(Appoggio solo una scarna ANSA sulla notizia del dato, troverete analisi un po’ più esplicative sulla stampa odierna, dategli un occhio, sono cose importanti tra un Kherson, un Montesano ed un Xi Jinping, tutte parti e conseguenze del tema posto: https://www.ansa.it/.../onu-la-popolazione-mondiale...).