Osho e le sofferenze amorose...



L’amore è doloroso, perché crea la strada per la beatitudine. L’amore è doloroso, perché trasforma; l’amore è mutazione. Ogni trasformazione sarà dolorosa, perché il vecchio deve essere abbandonato per il nuovo. Il vecchio è familiare, certo, sicuro; il nuovo è assolutamente sconosciuto. Ti addentri in un oceano inesplorato. Non puoi usare la mente con il nuovo; con il vecchio la mente è abile. La mente può funzionare solo con il vecchio; con il nuovo, la mente è completamente inutile.

Quindi sorge la paura e, lasciando il vecchio mondo, comodo e sicuro, il mondo della convenienza, sorge il dolore. È lo stesso dolore che prova il bambino quando esce dal ventre della madre. È lo stesso dolore che prova l’uccello quando esce dall’uovo. È lo stesso dolore che proverà l’uccello quando tenterà di volare per la prima volta.

La paura dell’ignoto e la sicurezza del noto, l’insicurezza dell’ignoto, l’imprevedibilità dell’ignoto, spaventano moltissimo.

E poiché la trasformazione sarà dal sé a uno stato di non sé, la sofferenza è molto profonda. Ma non puoi avere l’estasi senza attraversare un’agonia. Se l’oro vuole essere purificato, deve passare attraverso il fuoco.

L’amore è il fuoco.

È a causa del dolore dell’amore che milioni di persone vivono una vita senza amore. Anche loro soffrono e la loro sofferenza è inutile. Soffrire nell’amore non è soffrire invano. Soffrire nell’amore è creativo, ti porta a livelli di coscienza più elevati. Soffrire senza amore è assolutamente uno spreco; non ti porta da nessuna parte, ti fa rimanere nello stesso circolo vizioso.

Un essere umano senza amore è narcisista, è chiuso. Conosce solo se stesso. E quanto può conoscere se stesso se non ha conosciuto l’altro? Perché solo l’altro può funzionare da specchio. Non conoscerai mai te stesso senza conoscere l’altro. L’amore è molto fondamentale anche per la conoscenza di sé. Una persona che non ha conosciuto l’altro in un amore profondo, in una passione intensa, nell’estasi assoluta, non potrà mai sapere chi è, perché non avrà uno specchio in cui vedere il proprio riflesso.

La relazione è uno specchio e più puro è l’amore, più elevato è l’amore, migliore è lo specchio, più pulito è lo specchio. Ma l’amore più elevato ha bisogno che tu sia aperto. L’amore più elevato ha bisogno che tu sia vulnerabile. Devi abbandonare la tua armatura; questo è doloroso. Non devi stare costantemente in guardia. Devi abbandonare la mente calcolatrice. Devi rischiare. Devi vivere pericolosamente. L’altro può ferirti; da qui nasce la paura di essere vulnerabili. L’altro può rifiutarti; questa è la paura nell’essere innamorati.

Il riflesso di te stesso che troverai nell’altro può essere brutto e da qui nasce l’ansia. Quindi eviti lo specchio. Ma evitando lo specchio non diventerai bello. Evitando la situazione non crescerai nemmeno. La sfida deve essere raccolta.

Bisogna innamorarsi. Questo è il primo passo verso dio e non può essere aggirato. Coloro che cercano di saltare il passo dell’amore non raggiungeranno mai dio. È assolutamente necessario, perché diventi consapevole della tua totalità solo quando sei provocato dalla presenza dell’altro, quando la tua presenza è rafforzata dalla presenza dell’altro, quando sei trascinato fuori dal tuo mondo chiuso e narcisistico, sotto il cielo aperto.

L’amore è un cielo aperto. Essere innamorati è essere in volo. Ma certamente, il cielo sconfinato incute paura.

E abbandonare l’ego è molto doloroso, perché ci hanno insegnato a coltivare l’ego. Pensiamo che l’ego sia il nostro unico tesoro... 




da: Osho, ll segreto, ed. Del Cigno

Vitaccia cavallina... - Corri uomo corri...



Forse il pettine sta stringendo nodi da tempo attesi da qualcuno, inattesi da molti. Si mostrano espressioni che nulla hanno a che vedere con la matrice culturale che ci avviluppa e gestisce le sinapsi. Ne sono un’opposizione, visto che ne implicano una critica. Espressioni eterodosse nei confronti di ciò che abbiamo appreso, studiato, voluto, alimentato, e trasmesso. Nei confronti della pellicolare superficie dell’umana potenza creativa.

Non si tratta di un cambio di registro classificabile sotto la formula “novità”. Uno strillo inflazionato, ordinariamente impiegato dalla società dello spettacolo (pubblicità, informazione, cultura, commercio), obbligata a fare uso a dosi crescenti pur di tirare avanti la consumistica messinscena.

Riguarda semmai il cosiddetto cambio di paradigma, nel cui cuore si trova una critica all’assolutismo del materialismo. Una realtà tanto strutturale delle nostre costituzioni da rendersi normalmente invisibile. Se, non ha senso al pesce cosa ne pensa dell’acqua, ne ha a chi ha preso coscienza che quell’acqua, ci struttura, ci compone, ci limita. Resterà il docile bue sotto il giogo una volta presa coscienza della propria potenza? Una volta presa coscienza di sé?

Ma la critica al materialismo non è per niente una novità. Quella finora espressa dalla narrazione condivisa è stata perlopiù intellettual-speculativa. Limitata al campo del sapere cognitivo: niente d’incarnato, di estetico, di radicale. Di carnale, in senso costitutivo. In quanto si esprime nei sentimenti, nel fare, nel pensare, nel concepire.

Insieme al materialismo, fanno corpo il razionalismo, il meccanicismo e lo scientismo. Territori atrocemente disumani in cui gli individui sono facili prede di superstizioni, incantesimi ed effimeri valori. Destinati così alla perdizione. Il culto dell’avere e quello della tecnologia hanno eletto ad universale il progresso materiale. Abbindolate come i primitivi dagli specchietti, ignare di sé, le persone si sono buttate a testa bassa e gomiti alti nella corsa all’oro. Il successo plebiscitario l’ha resa tanto efficace traino cultural-politico, quanto solida matrice di tutta l’intelligenza messa in campo per il podio. Ma la dedizione richiesta da quel processo ha svuotato di energie vitali tanto la cultura quanto la politica. Lasciandoci ruotare come blasfemi sufi in una spirale, senza apparente via d’uscita. Proprio come per il pesce.


Nessuna novità

Se le ragioni storiche del dominio del materialismo sono a disposizione di qualunque onestà intellettuale e se tutti possono osservare che le epoche storiche, di qualunque stirpe si voglia, scaturiscono per opposto, quei segni nuovi, inizialmente citati, in via di moltiplicazione, fanno auspicare e immaginare l’avvicendamento alla genia del materialismo. Non si tratta di ucciderlo, solo di declassificarlo a relativo e strumentale. Relativo come opposto ad assoluto e strumentale in quanto, tanto funzionale alla vita amministrativa, quanto disastroso in quella relazionale.

L’urbanistica storica del materialismo e le sue architetture pare stiano scricchiolando sotto il peso di crescenti consapevolezze che ne riconoscono il limite operativo e il vincolo creativo. Prese di coscienza sostanziali che riguardano l’io e il sé, il prossimo e la società, l’educazione e il benessere profondo, il lavoro come campo dei nostri talenti, l’ambiente non più come oggetto da preservare ma come habitat relazionale di noi stessi, la terra come organismo, la vita come dono. Cose vecchie rimaste impopolari. O massacrate dai canoni delle religioni. Ne aveva parlato la caverna di Platone, più anticamente i Veda, i Toltechi, Zoroastro e, più recentemente, Cristo. Naturalmente anche molti altri, ma tutti zittiti dalla storia e dalla vulgata, evidentemente inette alla cruna dell’ago. Visioni rimaste a narrazione d’appendice relegate nelle pieghe delle vicende umane. Mortificate ma mai del tutto sopite. Il respiro esoterico le proteggeva rendendole occulte ai più. Questi equivocavano e fraintendevano. E non perdevano occasione di deridere e torturare chi non abiurava simili fandonie. Miracoli, piombo che diventa oro, resurrezione, autoguarigione, chiaroveggenza, via! Tutto ammassato nella fossa comune del razionalismo, del materialismo, della verità ortodossa. Modalità utile per governare più che per far crescere popoli e società.


Arcobaleno. Ma di cartone

Il Potere temporale dei papi fu atroce campione in carica per molti anni. L’Illuminismo permise di radunare idee che condussero le politiche dagli Stati personali agli Stati nazione. Poi, la sua vulgata che, da allora, ha inseminato di sé ogni capillare della cultura. Fino al punto che sii razionale è il monito che tutti pronunciano senza timore di sbagliare. Cultura che, così inebriata dalla novità che la liberava dai demoni delle tradizioni sapienziali, non ha esitato a gettar via il sudicio passato, senza accorgersi del bambino di conoscenza che vi era in mezzo. Quindi, l’apoteosi della Scienza. Così inebriata di sé da perdere di vista immediatamente l’autoreferenzialità da cui era nata. La Rivoluzione industriale sorse di lì a poco, nutrita da nient’altro che da materia, prima o seconda non cambia. Con quei prodromi appena detti, si trovò al galoppo sui cavalli alati della verità finalmente trovata. Prese possesso del concetto di progresso. Una vicenda ancora in essere che ebbe come irripetibile caricatura materialistica il Tina (There is no alternative) della ferrea Lady.

Lo scientismo, ovvero la scienza come sola sede della verità, come sola autentica indagine del reale che meriti rispetto e guidi degnamente il sapere degli uomini, nonostante l’avversione degli scienziati, si attestò sul gradino più alto della verità. Quello al quale tutti gli uomini, e anche i dentifrici – che sono infatti scientificamente testati – guardavano con ammirazione, finalmente sereni d’aver trovato ciò che da sempre l’uomo andava cercando. Per un buon tempo, perfino gli umanisti provarono cocciutamente a trovare la quadratura tra umanità e modello scientifico. La Tecnologia, figlia della Scienza ha avuto vita facile. Nella sua discesa verso noi si è capillarizzata senza incontrare ostacolo alcuno e ha monopolizzato le menti. Tutti giocano con il nuovo dispositivo che non gli fa più sbagliare strada, che dice che ora é a Ulaanbaatar, che gli calcola interessi degli investimenti e permette di fare on line ciò che prima richiedeva le gambe. “E che risparmio di tempo, ragazzi”. Del suo lato B, della dipendenza che implica e relativa assuefazione e patologie, naturalmente nessun accenno da parte dei nostri amati commercianti, della nostra amata informazione.


Vita virtuale

Se prima gli attrezzi analogici venivano usati e posati a fine servizio, ora quelli digitali, surrogati di affetto e assuefatori di attenzione, bruciano l’energia creativa e permangono in noi, scimmia sulla schiena di ogni dipendenza. La permanente attesa di novità come sola soddisfazione entro un orizzonte vuoto di progetti autentici, e la compulsiva masturbazione digito-tattile sono di pari tossico peso solo allo stretto tempo con il quale con reiterata famelicità si consuma tanto la news pubblica o privata, quanto l’algida e ossessiva palpazione di uno smart-qualcosa.

Il ciclo desiderio-soddisfazione-desiderio ha subito un’accelerazione. In tempo analogico era già spiritualmente esiziale. Nonostante ciò celebrato dalle politiche economiche in quanto motore del commercio, quindi del Pil e del suo benessere. Ora, nel tunnel digitale, alla concezione della vita e di sé più ho meglio è si affacciano psico-patologie legate alla stabilità individuale, al senso di sé. L’equilibrio emozionale necessario a costruire persone compiute, che sappiano sentire se stesse per trovare la strada, per educare se stesse dai propri errori, è venuto meno. È venuto liquido. L’effimero e l’apparenza, nonché i modelli unici che vi sono veicolati, sono aspetti che accompagnano l’infanzia e la crescita delle persone. Sono diavoli che intralciano il riconoscimento della propria dimensione, direzione, identità. Sono voluttuose sirene che favoriscono il transito di valori e di pensieri funzionali al controllo esogeno delle nostre vite e al consumo di merci ad obsolescenza programmata. Entrambi destini scelti per noi prodotti dai detentori della comunicazione. Che umanesimo può venire fuori da questa matrice dai tratti industriali a controllo digitale? Che può restare della cultura analogica, la cui fondamentale caratteristica costitutiva era di essere sempre a misura d’uomo?


Il punto

E questo è il punto. Si va nella direzione opposta a ciò che serve agli uomini per escogitare una modalità di società che sia progressivamente libera dai conflitti. Da ciò che gli serve per evolvere. Un’evoluzione che nulla ha a che vedere con il cosiddetto progresso. Essa riguarda il riconoscimento di sé, ovvero di quella natura universale che impedisce di sviluppare politiche ed idee di sopraffazione, di alienazione, di infelicità, malesseri e malattie. Se prima l’identità aveva la cultura nazionale come solido plinto d’appoggio, ora siede sul ribollire di attrazioni che non riconosce ma ritiene necessario inseguire. La rincorsa è permanente, il nichilismo la affianca. Finirà sfiancata e facile preda disposta a tutto per una sopravvivenza vuota, nella quale i poteri e i talenti latenti di ognuno non avranno più le doti per affacciarsi agli uomini che hanno accettato di sottostare a condizioni di vita schiavistiche in cambio di un benefit. Che hanno lasciato l’infinito che siamo in cambio di una sua edulcorata scheggia.


Dove corrono i cavalli

Inconsapevoli della propria autoreferenzialità, ciò che scienza e materialismo riescono a misurare con il loro strumentini e ragionamentini diviene realtà, il resto dell’infinito semplicemente non esiste. Ma è proprio oltre la loro reificazione che si trova l’uomo. Le coordinate cartesiane possono rappresentarne le forme ma non hanno competenze per tracciarne lo spirito. Scienza e materialismo non sanno che tutto si genera per amore e che l’interesse personale ne inficia il valore, la bellezza, la qualità. E così, spogliarsi degli orpelli culturali entro i quali nascondiamo noi stessi, ai quali ci sentiamo sottomessi, fino all’incapacità e all’impotenza di mostrarci per quello che siamo, ci è impedito. Avvolti dalle fascinose sirene dei vizi capitali non sappiamo riconoscere le energie che emettiamo, né quelle emesse dal prossimo. Privi della basilare sensibilità della vibrazione della vita sopperiamo con la brutalità in tutte le sue forme e modi.

La realtà esaurita nella sua materialità e forma è come un film osservato da un bimbo preoccupato per gli indiani che muoiono. Identificarsi in esso è ciò che ci vincola ad una condizione del tutto estranea alle potenzialità di serenità e benessere che abbiamo. È necessario prendere le distanze dalla realtà con la quale ci siamo identificati, è necessario riconoscere le occulte identicità tra noi piuttosto che le evidenti differenze. Necessario riconoscere che siamo dei Truman Burbank. Che i saperi cognitivi uccidono la conoscenza. Che questa è già in noi. Perché se non lo faremo seguiteremo, a testa alta e petto in fuori per mostrare la collezione di mostrine, ad avanzare nella direzione opposta a dove corrono i cavalli.

Lorenzo Merlo



...prima del cristianesimo e della democrazia...

 


Molti secoli prima dell’avvento del cristianesimo e della cosiddetta "democrazia", vigeva una fratellanza molto diversa nel comportamento umano, riferito ad un periodo antecedente ai tiranni della storia Occidentale, mentre in Asia erano diffuse credenze fondate sul “non fare agli altri quello che non vorresti che gli altri facciano a te”.  


Allora non c’erano i corrotti e corruttori, non c’erano i bulli e i bulloni, non c’era la casta di privilegiati, non c'erano le finte "elezioni", non c’era il potere dell’ingiustizia, non c’era la preghiera come remissione dei propri peccati, e non c’era neanche la necessità del perdono, gli uomini si comportavano degnamente di fronte alla propria coscienza dove il Sole e tutta la Natura rappresentava l’amore e la vita in un mistero Divino impenetrabile.

Ed oggi?

La religione non funziona?

La politica non funziona?

La sanità non funziona?

Le pensioni non funzionano?

La scuola non funziona?

L'industria non funziona?

Il lavoro non c’è più.

La povertà e l'ingiustizia rappresentano il fallimento della società.

La sola cosa che funziona perfettamente nel Paese e il costante arretramento della nostra civiltà.

L’Italia sta vivendo un lungo periodo di incapacità ideologiche del Potere, orchestrate in simbiosi tra la Giustizia e il Clero, evadendo le responsabilità e le giuste punizioni per i tanti anni di continui errori con speculazioni, furti e imbrogli di ogni genere, che mirano a sostituire le persone nei punti chiave senza intervenire sul sistema, il quale continua a disseminare penose sofferenze e suicidi, trascinando l’Italia  alla rovina.

Dai grandi uomini del passato descritti nei libri di scuola come esempio di capacità e di amor patrio, tradotti in un popolo di masochisti senza futuro, pazzamente rappresentati da persone avvitate nella corruzione, nella speculazione e nell’ignoranza.

Dinanzi a un quadro simile, sarebbe più redditizio formare un nuovo pensiero politico per raccogliere tutte le persone di buon senso nella formazione di un Partito denominato “il Partito del WC” che tradotto in Italiano può significare tante cose, ma sono certo che riceverebbe molti assensi perché l’uso del WC tradizionale potrebbe anche essere inteso come una importante funzione fisiologica di prima necessità, soprattutto per coloro che soffrono di intestini a causa di abusi alimentari tendenti ad approfittare nell’arte dell’arraffare o nella libera corruzione Politica che ha distrutto il Paese.

Con il Partito del WC provvisto di sciacquone, ogni tanto potremo tirare la cordicella per ripulire il Water prima che infetti l’intero edificio o l’intera Nazione.

Nella politica e nella religione serve gente fresca con il pensiero rivolto all’innovazione fondata sull’etica e sull’onestà, per salvare una nave molto prossima alla deriva.

Anthony Ceresa






Treia. Gli ulivi hanno fruttificato...

 


Era il 2 od il 3 gennaio 2010 allorché misi piede per la prima volta a Treia. (http://bioregionalismo-treia.blogspot.it/2011/07/la-prima-volta-treia-come-si-ruppe-il.html)

La mia adorata compagna Caterina venne a prelevarmi a Calcata e mi portò fino a questa cittadina marchigiana da cui la sua famiglia era originaria. Qui nella casa di Caterina ebbi la netta sensazione che avrei trovato il mio "buen retiro", il rifugio in cui ripararmi dalle gelide folate di vento calcatese, che ancora mi soffiava nelle orecchie. Non che a Treia non ci fosse vento, anzi dal punto di vista meteorologico ce n'era anche di più e più freddo, ma il senso di riparo che provavo in questa casa e soprattutto il sentirmi libero dalle incombenze calcatesi, di guru obbligato all'infamia,  mi aveva sollevato lo spirito...

Avevo finalmente trovato il luogo adatto per continuare la mia ricerca bioregionale e spirituale.

Di lì a poco mi trasferii definitivamente a Treia, e per farvi vivere le sensazioni che anch'io vissi in quei primi momenti vi invito a leggere questa memoria: http://bioregionalismo-treia.blogspot.it/2011/05/treia-la-casa-sulla-roccia-e-le-campane.html

Questa breve premessa per spiegarvi come una volta insediatomi a Treia non potessi far a meno di imparare a conoscerla e ad amarla, per quello che è... nel bene e nel male. Il bene è senz'altro preponderante, sia dal punto di vista ambientale che sociale, ma anche qui -soprattutto in seguito al generale degrado subito dalla società italiana negli ultimi  anni- la crisi e il senso di scollamento sociale si fa sentire.

In parte il disagio è dovuto all'estraneazione dovuta alla paura  del contagio  che  attanaglia gli animi della popolazione  ma anche alla  carenza di input culturali e sociali. 
 Purtroppo non posso esimermi dal prestare attenzione all'allarme lanciato da tante nobili anime che qui vivono,  il  loro amore per il luogo e per la comunità  mi ha coinvolto, mi ha attirato e spinto verso la insospettata necessità di compiere un  dovere umano verso la società treiese che mi ospita. 

La buona occasione per promuovere lo spirito comunitario è giunta in seguito al lavoro indefesso svolto, nell'ambito delle attività portate avanti dall'associazione Auser Treia,  soprattutto  da due cari amici, Andrea Biondi e Chiara Teloni, due insegnanti e neo contadini che si sono impegnati a promuovere e realizzare una biblioteca  pubblica e gratuita nella sede del locale  Circolo  Auser, che dai primi di ottobre 2021 è  accessibile alla cittadinanza  
(Vedi: https://www.facebook.com/bibliotecaausertreia). 


Questa iniziativa, presentata in occasione della celebrazione di San Francesco, sento che abbia ricevuto le sue benedizioni, come pure le hanno ricevute le olive del nostro orticello, dal 4 ottobre sono  pronte per la raccolta. 

Paolo D'Arpini


 Una società è l’organismo; i suoi membri costituenti sono gli arti che svolgono le sue funzioni. Un membro prospera quando è leale nel servizio alla società come un organo ben coordinato funziona nell’organismo.    Mentre sta fedelmente servendo la comunità, in pensieri, parole ed opere, un membro di essa dovrebbe promuoverne la causa presso gli altri membri della comunità, rendendoli coscienti  ed  inducendoli ad essere fedeli alla società, come forma di progresso per quest’ultima..." (Ramana Maharshi)