"Lo vedo..
Quel Giano bifronte
sorride e ghigna
attira l’attenzione con gli opposti.
E’ qui presente
davanti a me
lui in me come io in lui.
Siccome è doppio
bianco e nero
buono e cattivo
mi piace e non mi piace.
Lo vedo..
Come un pensiero
che sorge dagli umori
automaticamente consequenziale,
perché preoccuparsene?"
(Paolo D'Arpini)
"Lo vedo..
Quel Giano bifronte
sorride e ghigna
attira l’attenzione con gli opposti.
E’ qui presente
davanti a me
lui in me come io in lui.
Siccome è doppio
bianco e nero
buono e cattivo
mi piace e non mi piace.
Lo vedo..
Come un pensiero
che sorge dagli umori
automaticamente consequenziale,
perché preoccuparsene?"
GIANO nel culto e nella vita di Roma antica
di Bessie Rebecca Burchett - Edizioni VictriX
Un’opera dedicata integralmente a Giano e al suo culto nel mondo romano, il più arcaico e “misterioso” fra i culti romani. Proprio per la sua originaria natura, quello di Giano è un culto assai complesso, sia dal punto di vista dell’indagine sia dal punto di vista dell’interpretazione, anche alla luce di apparenti contraddizioni e diversità che sembrano enuclearsi a partire dalle fonti più arcaiche.
L’autrice, Bessie Rebecca Burchett, ha il grande merito di servirsi di un vasto e approfondito apparato bibliografico e, soprattutto, raccoglie quanto risulta possibile fra gli scritti degli autori antichi su Giano.
L’esposizione dei materiali raccolti appare strutturata in modo ordinato e semplice, per mettere in luce nella maniera più completa ed esaustiva affini e contrastanti affermazioni in merito a questa divinità. Per queste apprezzabili ragioni questo breve trattato può fornire una prima base e, soprattutto, linee precise per acquisire un’elementare conoscenza della complessa materia teologica relativa al Dio Giano, anche se la necessità di una sintetica trattazione non può esaurirla compiutamente.
Nella pregevole raccolta delle fonti sono fondamentali le citazioni riportate da Macrobio, Catone, Varrone, Plauto, Plutarco, Ovidio, Virgilio, Augusto, così come da Dionigi di Alicarnasso, Minucio Felice, da Paolo-Festo, Servio, Ausonio, Sant’Agostino, Ateneo, Arnobio, Isidoro, Lido, Procopio e dalla Suda, così da consentire al lettore di disporne direttamente, fonti da cui in alcun caso si può prescindere, anche se il contesto storico specifico assegna ad ognuna di esse un valore diverso, rendendo anche evidente come, nello sviluppo cronologico, venga perso il senso originario e quindi la relativa comprensione di questa arcaica ed originaria divinità.
Naturalmente diverso è lo spirito con cui Macrobio, Catone o Varrone riportano le proprie fondamentali considerazioni su Giano, già rispetto a Ovidio, ancor più, ovviamente, a seguire nell’addivenirsi delle testimonianze storiche, Agostino d’Ippona che non poteva che esaminare i culti degli antichi a partire da una concezione della religiosità profondamente lontana dalle origini romane, una religiosità ormai intrisa di quello spiritualismo intimistico proprio di tutte le religioni dal carattere primariamente devozionale come il cristianesimo della fede.
La visione religiosa degli antichi è una visione noumenica che sorge da una religiosità arcaica specifica, e via via, per molti tratti, la possibilità di comprendere queste forme di religione si perde nel tempo, fino a diventare pressoché incomprensibile, specie per l’uomo moderno o postmoderno, di fatto ateo e profano, che al massimo si può fare del Divino un’idea sentimentale, talvolta puerile, lontana, molto lontana dalla realtà.
È certo impossibile trattare del culto, di divinità, di aspetti religiosi a partire da una distorta idea di religione o da un ateismo di fondo, temi che pur l’a. cerca di mettere a fuoco nel primo capitolo, dedicato all’indagine sulle origini del culto di Giano, ma ella stessa poi non percorre questa strada, cadendo nell’errore di avvicinarsi alla comprensione con una mentalità moderna e finendo per dimostrare proprio come nel tempo si sia persa, di fatto, la comprensione di un’arcaica visione noumenica.
Anche solo dal punto di vista simbolico non si può privare di significato ciò che, in primis, è costituito proprio “simbolicamente” a monito, evocazione, esortazione, rimando, supporto per ricondurre alla causa. In quanto traccia, il simbolo addita sempre al principio da cui trae fondamento e origine. Quanto più si risale indietro nel tempo, quanto più i simboli si scarnificano, si emblematizzano e diventa più difficile interpretarli o anche solo riconoscerli come tali. Allo stesso tempo quanto più si materializza la visione dell’uomo, quanto più ogni cosa diventa inintelligibile.
Guardando le cose a partire dalle loro sembianze e in assenza di un metodo religioso, non si giunge mai ad intravederne le cause e, dunque, le ragioni che altro non possono che derivare dalle cause. Cercare di conoscere la natura del Dio, a partire dal fatto che non Esso è la causa dell’uomo, ma l’uomo la causa del Dio, ovviamente non può che dare un sol frutto. Si guarda il fenomeno e si pensa che possa essere tutelato da uno spirito, da un numen, cui si dà un nome e degli attributi, come delle specifiche funzioni, così l’a. cerca, in modo “rigoroso”, di dimostrare la “fabbric-azione” di Giano e del suo culto, individuando “contraddizioni e insussistenze”, ma non fonda dovutamente sulle sue stesse premesse.
È altresì evidente che l’universo culturale e religioso non può che essere strettamente simbolico, in qualsiasi contesto sia calato, da Oriente a Occidente, specie, dunque, quando si cerca di indagare la natura di una divinità, la ragione di un culto, la dedicazione di templi e di ludi, la veicolazione delle immagini attraverso la monetazione, occorre che l’indagine si ponga l’umile sforzo di evitare giudizi e conclusioni che rischiano di presentare limiti e distorsioni ermeneutiche.
L’assunto fondamentale che l’a. pone e riconosce è il fatto che “Giano conservò l’ancestrale caratteristica dinumen”, per cui le sue raffigurazioni antropomorfe, specie nella statuaria, sono assai rare. I romani, “fino ad un periodo relativamente recente della loro storia, non rappresentarono i loro dèi attraverso la statuaria” e Giano è sempre rimasto fortemente connesso ad elementi simbolici legati agli “inizi”, come la porta o il porto, il mese di Gennaio, “il primo mese dell’anno nel nuovo calendario aveva il suo nome; le cerimonie per l’insediamento dei consoli lo collegavano in qualche modo alla datazione dell’anno; un epiteto, Junonius, sembrava legarlo alle calende; un altro epiteto, matutinus, lo associava all’alba”, così come gli autori latini spaziano in analogie sempre di natura simbolica per descriverne attributi e funzioni. Ne consegue che non è difficile comprendere come possa un numen assumere molteplici caratteristiche, anche se è complesso individuarne le sottili confluenze, sia dal punto di vista simbolico, che negli sviluppi storici. È infatti corretto evidenziare che anticamente il primo mese dell’anno era dedicato a Marte e non a Giano, ma i mutamenti calendariali storici e simbolici che hanno prodotto la “nuova” dedicazione del primo mese vanno considerati a partire dalla funzione e dal senso del calendario originale e del successivo calendario numano.
“Siccome sono le cerimonie religiose a specificare il carattere di una divinità” e le divinità ancestrali e fortemente simboliche come Giano non hanno particolari cerimonie religiose ad esse dedicate, diventa impossibile capacitarsi e specificare in maniera univoca il carattere di Giano, che assumerà dunque così tante caratteristiche per “strana coincidenza”. Ed ecco che Giano è Dio degli inizi per “inveterata consuetudine” o non è Dio degli inizi perché non si ha riscontro di offerte a lui fatte nelle Calende, né al mattino o simili. Ancor più azzardato è cercare con “logiche profane” il senso dell’ordine gerarchico delle divinità invocate in preghiere e riti.
Quanto le Edizioni Victrix progettualmente intendono fare, ridando alle stampe opere e scritti sui temi fondamentali della religione romana, raccogliendoli nella collana Religio Romana, sorta a tal fine, dimostra molto chiaramente la volontà di fornire le basi primarie per affrontare lo studio della complessa materia teologica romana, anche tramite ricerche, elaborazioni, indagini “filologiche” e “archeologiche” che permangono valide nella loro struttura documentale, anche se a volte possono richiedere appunti o chiarimenti circa l’indirizzo interpretativo dei documenti raccolti e ordinati. Un’adeguata applicazione alla religione romana richiede molto spesso un radicale mutamento di prospettiva visuale, proprio perché la sua interpretazione necessita di un punto di vista religioso, in special modo romano.
Infine un invito ai lettori, affinché colgano, al di là della “lettera”, quanto profondamente il culto di Giano abbia permeato tutta la religione romana e quanto, ancora oggi, esso possa, essenzialmente, incarnare la sua funzione e ispirare la pace:
“Ianvs presiede alla Pax e al Bellvm, le porte del suo tempio sono chiuse quando vige la Pax Qvirinalis e sono aperte quando si sviluppa il Bellvm Martialis. La Pax, in quanto relativa all’aspetto non agente dell’Essere, trascende il Bellvm, che è relativo all’aspetto dell’Essere agente nell’esistenza duale. In Ianvssono inoltre unificate Pax, Concordia e Salvs:
Ianvs adorandvs hoc concordia mitis et romana Salvs Araqve Pacis erit.Ianvs, nella sua natura incondizionata, presiede tanto al Regno dell’Essere Divino Essenziale, quanto al regno dell’esistenza, del divenire, del mondo, perciò ha un primato assoluto su ogni ordine di cose. Esso costituisce la Pax e i modi per ricondurre alla Pax.”
http://www.victrixedizioni.it/chi-siamo/