L’inferno è anche l’assolutismo del razionalismo. Esso lo
crea. Essa non sa spiegarlo. Sa solo far finta non esista.
La suggestione
L’assolutismo del razionalismo costringe il pensiero entro
dinamiche meccanicistiche. Cioè, costringe a concepire l’uomo alla
stregua di una macchina che veste la scienza con l’illuministica
camicia di forza che la vincola a stringere la conoscenza entro le
sue regolette autoreferenziali. Le impone di riconoscere la verità
attraverso la scomposizione del tutto; riduce alla sola logica tutta
la realtà, assumendosi il diritto di escludere da essa quanto non è
in grado di descrivere.
Con questo peso addosso che chiamiamo cultura e civiltà, ogni
aspetto dell’esistenza pare muoversi su uno sfondo positivista che
avanza secondo una progressione temporale e lineare, che da origine
alla suggestione del prima e del dopo. Nonché a quella
secondo cui tutto è soggetto alla regola del causa-effetto.
A queste condizioni capestro, imposte da un mazziere poco di buono,
per quanto si chiami Storia, viene costretto tutto. Tra cui, la
medicina allopatica, indiscusso asso nella manica del castello di
carta del meccanicismo. Un altro ne è la – mai vista –
democrazia. E un altro ancora sta nella comunicazione creduta
implicita nel comunicato. L’idea che ognuno di noi abiti il suo
esclusivo mondo, non esiste se non in contesto psicoterapeutico e in
alcuni contesti didattici. Perciò, anche l’apprendimento
e/o la conoscenza, ridotta a messe e massa di dati, buoni per girare
un bullone, ma tragicamente inutili per l’evoluzione dell’uomo.
Ricchi di questo potere accecante – leggi arrogante –, i
probiviri della bandiera scientista non si avvedono dell’infinito
che la loro idolatrata dottrina esclude dal mondo. Sono impediti dal
riconoscere che la comprensione cognitiva è, tra tutte le forme di
conoscenza, la più superficiale. Credono infatti che basti parlare
per trasmettere consapevolezze a suon di dialettica logica. Accecati
dall’arroganza razionalista non vedono che è un’ottusità. Un
evento che potrebbero constatare quasi ad ogni istante della vita.
Tant’è che se glielo fai presente ti deridono dalla loro carrozza
della verità, con la quale scorrazzano per i sussidiari e i breviari
di tutti i loro adepti.
E se le loro erudite affermazioni non producono i risultati pretesi,
non hanno incertezze nel giudicare, escludere, condannare il reo non
allineato e allineabile. Non sospettano la potenziale forza del
firmamento di consapevolezze che ognuno di noi ha nel proprio cielo,
le cui stelle, costellazioni e galassie, non si illuminano a causa di
una logica spiegazione, ma per un’emozione, che un professore non
ci farà mai vivere e che una cameriera è invece sempre
capace.
Non essere consapevoli che le illuminazioni che chiariscono a noi
stessi chi siamo e dove sia la nostra strada avvengono per emozioni,
comporta misconoscere gli uomini e la loro realtà, comporta il
diritto di mannaia e censura delle voci avverse, da parte dell’ordine
costituito, sui cui scranni sono seduti gli ignoranti dediti alla
venerazione della quintuplice unità del dogma materialista,
meccanicista, positivista, razionalista, scientista. Così,
Nietzsche, Maturana, Bateson, Prigogine, Morin, Panikkar, Illich,
Goethe, Jung, Heisenberg, Eraclito, Platone, Buddha, Cristo e le
Tradizioni sapienziali sono stati ridotti a dati da studiare e
accumulare per il 18 e andare avanti lungo i binari della loro verità
di superficie.
La loro, è una corsa senza ostacoli, né rivali. Senza saperlo (?),
puntano tutto – e vincono – sulla quantità. Chi tace e si adegua
avanza, chi non capisce e critica è estromesso: eccola qui la
democrazia applicata. In cabina di regia della cultura ci sono loro,
che chiedono il computer alle elementari, che osannano l’intelligenza
artificiale, che stravedono per i progressi della tecnologia, che
promulgano leggi degne dei peggior stati totalitaristici; politiche
sfacciatamente destinate a decimare gli inutili e a controllare i
più; a generare un sistema sociale a punteggio. Serve altro per
riconoscere il maglio meccanicista? Altro per avvedersi di quello
spiritualmente mortificante? Per prendere coscienza che crescere
uomini convinti di essere limitati a se stessi, cioè definitivamente
recisi dalla loro origine unica, non ne farà che esseri destinati
all’inferno? Siamo in un gorgo dove nuotare per uscirne non serve
più. La corrente sovrasta tutto. Bisognerà arrivare in fondo prima
di vedere una rinascita.
Gli idolatri del mondo logico-razionale sono ovunque. È la somma dei
loro piccoli entusiasmi che genera il vortice. Sono anche tra le
pieghe degli alternativi. Recentemente mi sono visto cassare
un articolo di carattere evolutivo-esistenziale in quanto non si
concludeva con dei consigli utili. Sono inorridito. Non per
l’articolo cassato, ma per l’abiura che gran parte di noi ha
compiuto a favore del pensiero unico cioè, nei confronti della
crescita esistenziale, quella che nella serenità ha la sua
destinazione.
“In nessuna circostanza il saggio deve turbare le menti delle
persone ignoranti attaccate alle azioni. Al contrario, impegnandosi
continuamente in attività, l’Essere Illuminato deve creare
nell’ignorante il desiderio per le buone azioni”. (Bhagavad Gita
cap. III, v. 26)
Capire e ricreare
Capire non conta nulla. Capire riguarda la superficie. Su essa tutto
e il suo contrario si riflettono e mutano, convincendoci istante per
istante che ognuno contenga la verità.
Ricreare è necessario. Ricreare riguarda il corpo che la superficie
nasconde. Ricreare fa nostro, come è nostro il dito, l’occhio e il
ginocchio. E questi esprimeremo, in tutti i modi della nostra
presenza. E questi non dimenticheremo. Come non dimenticheremo che
ugualmente così sarà per gli altri, universi diversi dal nostro.
Capire riguarda la dimensione cognitiva, la più superficiale tra
quelle disponibili agli uomini. La sua natura è intellettuale,
quindi cangiante e impermanente. Ricreare coinvolge integralmente, il
suo corpo e la dimensione emozionale, quindi costituente e
permanente.
Come – oltre alla cameriera – qualunque cosa può scatenare in
noi l’emozione necessaria per fare luce su quanto ci era oscuro,
così la modalità serendipidica di esplorazione e apprendimento,
permette di mantenere autonomia di pensiero. Ovvero, di quel terreno
da cui scaturisce la realtà. Ci permette cioè di riconoscere le
ideologie o idolatrie, di starne alla larga, e anche di avvedersi
quando invece ci siamo caduti dentro. Una coscienza di sé che tende
a produrre una politica e quindi una società non più mortifera come
l’attuale.
Disegnando un albero, lo riconosciamo come nostro. Un’identificazione
che non avviene nei confronti dell’albero uscito da mani altrui. La
descrizione razionale e la comprensione cognitiva di cosa sia e di
come debba essere un albero non conterà nulla, non costituirà nulla
di noi, non sarà mai un nostro dito, e sarà invece sempre un
indottrinamento, cioè una via senza cuore (Castaneda), ma verso
l’inferno.
Tutto ciò con cui entriamo in relazione ha il potenziale di essere
un messaggio nella bottiglia, con la mappa del tesoro che è in noi.
Quel messaggio, quella bottiglia, quel momento esprimono la verità
del Tao. In cui è la contemporaneità che conta, che esprime il
significato. In che altro modo si potrebbe cogliere il potere
illuminante di un’emozione scaturibile in ogni istante a mezzo di
qualunque forma? Diversamente, come pretendeva quel sito web che
voleva il consiglio positivo a fine articolo, tipo la bella vita
in 10 lezioni, quale requisito per pubblicare il mio pezzo, si
resta fermi al prima e al dopo, al causa-effetto, alla concezione
lineare e alla convinzione che l’esperienza sia trasmissibile, e
perciò a dare consigli, a cercare proseliti. Quindi, a perpetuare
questa cultura e civiltà dell’ignoranza. Nel qui ed ora del Tao è
presente il Tutto. Nel presente in cui si esprime, nulla manca,
neppure l’eternità.
“Esse [le vane ambizioni umane, nda] indurrebbero ad aumentare
conoscenze e ricchezze, ma in questa crescita si smarrirebbe
l’essenziale [...]”.
Attilio Andreini, Maurizio Scarpare, Il daoismo, Bologna, Il
Mulino, 2024, p., 27.
Il mistero, di cui la logica tenta di sbarazzarsi, in quanto inetta a
muoversi e dominare sui terreni non misurabili e oltre le tre
dimensioni della materia, contemporaneamente lo crea attraverso le
sue domande e le sue ricerche analitiche. Le stesse modalità che
generano la peggior condizione esistenziale, quella che i cattolici
chiamano infernale, in cui viviamo prede dell’ingorgo dell’effimero
eletto a valore e verità da questa cultura.
Lorenzo Merlo