Buddismo e Jainismo a confronto




Attorno al 500 a.C. in India si affermarono  due filosofie propagate dai rispettivi fondatori: il Buddismo, pensato dal Gautama Buddha ed il Giainismo propagato da Mahavira.

I due fondatori, se così possiamo chiamarli, furono coevi, e molti dei loro dettami  e conclusioni filosofiche hanno una matrice comune. Basti pensare all'idea da entrambi condivisa che "l'esistenza è dolore", per cui lo scopo della pratica spirituale è essenzialmente quello di sfuggire all'illusione di Maya o Mara, attraverso una stretta pratica acetica o attraverso l'autoconsapevolezza.


Si dice che sia il Buddha che Mahavira competessero per la nomina a 24° ed ultimo  Tirthankara di questo ciclo cosmico, la gara  fu infine vinta da Mahavira,  che condusse un'esistenza veramente penitente, con la conduzione di  pratiche mortificanti estreme con cui conquistò la palma di asceta per antonomasia. 

Il Buddha inizialmente  tentò anch'egli  il percorso  dell'ascetismo  ma allorché la nomina di ultimo Tirthankara fu conquistata da Mahavira   optò per "la via di mezzo" che comunque  ebbe più successo nei secoli a venire  e si propagò  in vari paesi dell'Asia giungendo sino in Grecia  e probabilmente influenzando il proto pensiero cristiano.

Vi sono molti aneddoti riguardo la competizione tra i due "profeti", non possiamo stabilire la loro veridicità ma alcune storielle sono pure divertenti... Tutte le religioni al mondo sono costrette ad affermare di sapere tutto ciò che è possibile sapere e conoscerlo esattamente per ciò che è – non possono fare altrimenti.

I giaina dicono che il tirthankara – il loro messia – è onnisciente. Sa tutto – passato, presente e futuro – quindi tutto ciò che dice è verità assoluta. Buddha prendeva in giro Mahavira, il messia giaina. Mahavira stava diventando vecchio, ma Buddha era ancora giovane e capace di ridere e scherzare. Era ancora giovane e vivo ma  non ancora ben affermato.

Mahavira aveva una religione affermata già da migliaia di anni, forse la più antica religione del mondo. Gli indù dicono, giustamente, di possedere il libro più antico del mondo, il Rig Veda. È stato ora scientificamente provato che il Rig Veda è la scrittura più antica mai sopravvissuta. Eppure nel Rig Veda viene menzionato il primo messia del giainismo, che è prova sufficiente del fatto che il messia del gianismo era precedente al Rig Veda. Il suo nome era Rishabhadeva.  Edoveva essere morto da almeno mille anni quindi il giainismo era una religione affermata già da molto tempo.

Osho, che nacque in una famiglia giaina, ha riportato diverse storielle sugli scherzi  e le derisioni del  Buddha nei confronti di Mahavira e sulla sua presunta onnipotenza, onniscienza e onnipresenza dicendo: "Ho visto Mahavira che mendicava davanti a una casa", perché Mahavira viveva nudo e mendicava. Buddha affermava: "L'ho visto fermarsi davanti a una casa vuota. In casa non c'era nessuno, eppure quest'uomo, dicono i giaina, conosce non solo il presente, ma anche il passato e il futuro".

Buddha continuava: "Ho visto Mahavira camminare proprio davanti a me, e pestare la coda a un cane. Era mattina presto, non era ancora chiaro. Solo quando il cane è saltato su abbaiando, Mahavira si è accorto che gli aveva pestato la coda. Quest'uomo è onnisciente, eppure non sa che un cane è sdraiato a dormire proprio sul suo cammino, e che lui sta per pestargli la coda".

Ma la stessa cosa è successa a Buddha quando si è affermato. Trecento anni più tardi, quando i suoi detti e le sue affermazioni vennero raccolti per la prima volta, i discepoli misero bene in chiaro che "tutto ciò che è scritto qui è assolutamente vero, e rimarrà vero per sempre".

Eppure tra quelle affermazioni ci sono tante cose stupide che possono essere state valide venticinque secoli fa, ma che ora non hanno più senso, perché tante cose sono accadute nel corso di questi secoli.

Ma vediamo ora nei particolari quali sono le caratteristiche peculiari, le somiglianze e le differenze,  delle due forme pensiero.

Nel V secolo a.C. ci fu una vera e propria esplosione  filosofica in tutto il mondo conosciuto, infatti Mahavira, oltre che  contemporaneo di Budda, lo fu anche di Senofane, Lao tzu, Talete, Eraclito, Zarathustra, Isaia, Geremia,  egli era  un membro dell’alta aristocrazia. 23 furono  i massimi maestri (chiamati Costruttori del ponte), che lo precedettero l’ultimo dei quali, il 24°,  fu appunto  Mahavir, che significa il grande coraggioso, colui che aveva vinto paura, lussuria, ira, ecc.

Si narra che Mahavira giunse all’illuminazione al termine di dodici anni di dura tapasya  e dedicò i rimanenti trent’anni della Sua vita all'insegnamento. Rifiutò tante  false dottrine e  superstizioni che popolavano l’India; si oppose ai sacrifici animali e umani, abolì la divisione in caste e il divieto allo studio per le donne e per le classi povere. Promosse il cammino della nonviolenza, del distacco,  dell’austerità, dell’equanimità.

L’Ahimsa nel giainismo è il fulcro della più antica dottrina della nonviolenza, sistema  sorto da una "mutazione" dell’antico induismo.

Dispute all’interno della chiesa giainista finirono col provocare nel 79 a.C. due correnti: quelli vestiti di bianco e quelli vestiti di spazio (cioè nudi), da cui ebbero nacquero altre varie sette.

Benché ridotta a circa un milione e mezzo di adepti e a sei milioni di aderenti, la comunità giainista conserva una notevole importanza economica in quanto i suoi membri praticano soprattutto attività commerciali e finanziarie, perché in base alla teoria dell’Ahimsa sono loro vietati mestieri manuali, infatti in questa loro caratteristica vengono considerati i "giudei" dell'oriente.  E  malgrado il numero esiguo, rispetto al totale della popolazione, in India i giainisti occupano posizioni importanti nel mondo degli affari e in quello della ricerca. Godono anche di una certa importanza nella cultura indiana, avendo contribuito in modo significativo allo sviluppo della filosofia, dell’arte, dell’architettura, della scienza e della politica dell’intero paese.

Il giainismo ha lo scopo di guidare l’anima verso la via della liberazione per il raggiungimento del Nirvana attraverso tre mezzi: la via diritta, la conoscenza diritta, la condotta diritta. Per il gianinismo l’anima e la materia sono sostanze identiche: l’una cosciente, l’altra incosciente. Esistono due categorie di anime: quelle libere o perfette (le anime dei profeti (l’ultimo dei quali è Mahavira), e le anime trasmigranti cui comprendono gli uomini, gli animali, i vegetali, i minerali.

Il giainismo è  stato  documentato come una "religione" a sé stante nell'universo induista, ma soprattutto è una filosofia in quanto non implica divinità definite.  Secondo la sua dottrina, la filosofia giainista diventa un modo di vivere nonviolento e un modo di comprendere e codificare le verità eterne e universali che in tempi diversi si erano manifestate all’umanità e che più tardi riemergono negli insegnamenti degli uomini che avevano raggiunto l’illuminazione.

Parliamo ora del Buddha, il fondatore del buddismo. Egli nacque 2500 anni fa nel nord dell'India. Figlio di un piccolo regnante ad un certo momento lasciò il lusso della reggia per cercare di alleviare la popolazione dalla "sofferenza del vivere". Il buddismo è fondamentalmente  una prassi di vita al fine di ridurre la sofferenza dovuta sostanzialmente all'attaccamento emotivo e intellettuale.

La realtà ultima non si può descrivere e un dio non è la realtà ultima. Tutti hanno dentro di sé la facoltà di raggiungere il risveglio. Si tratta quindi di diventare quello che già si è: "Guarda dentro di te: tu sei un Buddha.

Si dice che prima di Shakhiamuni ci sono stati molti Buddha e molti ce ne saranno ancora. Il buddismo non riconosce alcuna autorità per accertare il vero, tranne l'intuizione e l'esperienza diretta  del singolo.

Ognuno deve subire le conseguenze dei propri atti e trarne ammaestramento, mentre aiuta i propri simili a raggiungere la stessa liberazione.

I monaci buddisti sono maestri ed esempi, ma in nessun modo sono intermediari tra la realtà ultima e l'individuo.

E' praticata la massima tolleranza verso ogni altra religione e filosofia, perché nessuno ha il diritto di di intromettersi nel viaggio del suo prossimo verso la meta.

Il buddismo è un sistema di pensiero, una scienza spirituale e un'arte di vivere, ragionevole e pratica e onnicomprensiva.

Per più di duemila anni ha soddisfatto i bisogni spirituali di circa un terzo dell'umanità. Esercita un fascino per l'occidente perché non ha dogmi precisi, soddisfa al tempo stesso la ragione e il cuore, insiste sulla necessità di fare affidamento su se stessi e d'essere tolleranti verso le altrui opinioni, abbraccia scienza,  filosofia, psicologia, etica e arte, ritiene che l'uomo sia il creatore della propria vita attuale e l'artefice del proprio destino.

Il buddismo non è una religione in senso stretto, in quanto priva dell'idea di un dio-persona e quindi di una teologia.  In tal senso la evoluzione  chan o zen del buddismo  ne è dimostrazione lampante. 

La chiave è la  Presenza Consapevole. Quel continuo stato di essere presenti che viene chiamato autoconsapevolezza, autocoscienza, coscienza osservante, oppure, forse impropriamente, autopresenza.  Come indicò il maestro Tilopa: "Disincagliarsi dalla rete. Chi si aggrappa alla mente non vede la verità che sta oltre la mente. Chi si sforza di praticare il Dharma non trova la verità che è aldilà della pratica. Per conoscere ciò che è aldilà sia della mente che della pratica bisogna tagliare di netto la radice della mente e, nudi, guardare; bisogna abbandonare ogni distinzione e restare tranquilli."

Paolo D'Arpini


La Dea Madre e la danza della natura...

La danza della natura... Bioregionalismo e spiritualità

I popoli arcaici, che si ispiravano al Mito dell’Origine eternamente attuale, interpretavano la vita e la morte quali aspetti inseparabili di un movimento che si ripete ininterrotto, pur senza mai ritornare all’identico. Tale concezione ciclica dell’esistenza si inabissò con l’emergere di una visione lineare, evolutiva, della vita: dal meno al più. Tuttavia essa non è del tutto sparita, giacché continua a vivere nella coscienza degli uomini che, non lasciandosi ingannare dai miraggi di una sedicente civiltà in preda all’illusione di un progresso od evoluzione illimitati, non si allontanano dai valori immutabili della Terra e del Cielo. Tra il 200 e il 1200 d.C. Tiruvalluvar, poeta del Tamil Nadu, scrisse: “Per quanto faccia, il mondo finisce sempre col tornare all’aratro perché l’agricoltura, benché faticosa, è la cosa essenziale” (“Tirukkural”, 1031).
Presso la Tradizione del Sanatana-dharma, la Via degli Avi, uno tra i due percorsi post mortem, vien detta Pitriyana; essa può essere riassunta nel modo che segue: il jiva (l’anima individuata) che sulla Terra abbia ottemperato al proprio dharma personale sale alla sfera della Luna, da dove, dopo aver beneficiato dei meriti accumulati, ritorna a questo mondo come pianta, animale o uomo. Si tratta di una Via che non disperde il jiva nella nescienza, ma nemmeno lo conduce alla Liberazione, poiché lo trattiene nell’ambito di nuovi stati di manifestazione individuati.
Il mondo della Luna (Candraloka) segna la distinzione tra gli stati superiori dell’Essere (non individuati) e quelli inferiori (individuati). La sfera della Luna ineriva quelli che presso il mondo ellenico venivano considerati i Piccoli Misteri. I Grandi Misteri riguardavano la Via del Sole (Devayana). Di ciò ci parla Apuleio nella sua celebre opera “L’asino d’oro”, in cui compare tra l’altro un bellissimo Inno alla Dea.
Il mondo storico, succeduto a quello mitico, ha però frainteso e deformato tale sapienza tradizionale, interpretandola nel senso che la terra-natura-donna va rigettata e capillarmente sfruttata se ci si vuole aprire alle esigenze di una perfettibilità illimitata: dall’ameba, all’anfibio, alla scimmia, all’uomo, al titano... al niente.
Nulla di più falso: soltanto se la Natura viene abbracciata, amata e compresa in quanto realtà inseparabile da noi stessi, essa ci permetterà di accedere agli stati sovraformali dell’Essere o, addirittura, al Risveglio nell’Ineffabile, da cui non c’è ricaduta cieca nella ruota del samsara.
Se ne evince un’enorme disponibilità a confrontarsi con la complessità delle interpretazioni dottrinali e con l’indefinita varietà delle forme. E dire che noi occidentali siamo andati in giro per il mondo per centinaia d’anni – e ancora lo stiamo facendo – ad esportare una civiltà che, nella pretesa di essere unica o, quanto meno, a tutte superiore, ha puntualmente lasciato dietro di sé una scia di distruzione, desolazione e morte.
Se è vero l’insegnamento secondo cui bisogna valutare dai frutti, che cosa ne dobbiamo dedurre? Probabilmente che dobbiamo tornare ad imparare i principi elementari della saggezza: l’Essere che anima questo individuo o che ispira questa lingua è lo stesso che anima la foglia, l’insetto, la stella e che suscita tutte le altre lingue. A livello formale vige la diversità ed una relativa gerarchia, dal punto di vista dell’Essenza, invece, Tutto è Uno.
Subramanyam

Immagine del post: "Dance of Nature" tratta da www.paintstudio.co.in