Aristippo, Antifone, Zenone... e le radici dell'anarchismo


Affresco di Carlo Monopoli

L’anarchismo ha radici molto profonde e lontane, e verosimili precursori che risalgono a ben prima della  modernità (così ci si riferisce, non a torto, persino ad Aristippo, ad Antifone, a Zenone, e poi a molte eresie a sfondo millenaristico ed escatologico del Medioevo, ai diggers della rivoluzione inglese del XVII secolo, a vari scrittori utopisti, a socialisti pre-marxisti francesi, tedeschi, inglesi...). 

Se ci si limita all'elaborazione teorica moderna, il suo punto di partenza è indubbiamente rappresentato dall'Indagine sulla giustizia politica di William Godwin, che risale a quattro anni dopo la Grande Rivoluzione. 

Com'è noto, cardini e feticci supremi del liberalismo sono la proprietà privata e l'"individuo" in quanto detentore, appunto, di diritti proprietari. Viceversa, nella concezione della società che aveva Godwin (tanto estremamente decentrata, quanto comunitaria), è il concetto stesso di "proprietà privata" ad essere bandito. Il pensatore inglese a questa conclusione giunse poco meno di un secolo prima di Proudhon, il quale poi la ribadì con estrema forza. 

E per Godwin, che considerava la proprietà privata un ostacolo al conseguimento del bene universale e un incentivo allo sviluppo dei peggiori sentimenti dell'uomo, la sua soppressione è intimamente connessa all'abolizione dello stesso "diritto", e di conseguenza del "governo" e dello "Stato". 

Non sto qui neanche ad entrare nel merito della successiva elaborazione-conferma, a tale riguardo, di un Bakunin, di un Kropotkin, di un Malatesta, persino di un Tolstoj... L'anarchia che ha segnato di sé la storia delle idee, e la Storia tout court, nell'ottocento e nel secolo scorso, non "deriva" affatto dalla "civiltà liberale", e con le prospettive asfittiche di quest'ultima, proprie della borghesia, ha lo stesso rapporto che intrattiene l'Everest con la collinetta di San Siro. Così l'individuo (non rinserrato nell'"azienda" interiore a contare le "entrate" e le "uscite" e a rincorrere come un autoprigioniero i suoi fantasmi), come il tipo di convivenza sociale (collettivista ma insieme libera) cui ha sempre teso sono anzi antitetici ai corrispettivi rivendicati ed esaltati in ambito borghese. 

Questa radicale alterità è d'altra parte il motivo per cui è sempre stato tacciato, in senso derisorio, di "utopismo"; o, viceversa, se ne è cercato di costruire e vendere, per il consumo spettacolare - anche dal suo interno -, un'immagine altrettanto derisoria e ancor più depotenziata (quella dell'anarchico idiosincratico, "artista", “individualista”). 

Quanto a ciò che si può riferire allo spirito e a comportamenti di gruppo libertari prima della codificazione sette-ottocentesca, è enorme. C'è chi, come Zerzan o Clastres, risale persino a epoche pre-storiche. Io concordo con loro.

Quanto a Proudhon, egli scrisse Che cos'è la proprietà? trentun anni prima della Comune di Parigi, di cui furono ardenti sostenitori e attori innanzi tutto proprio i suoi eredi mutualisti. Se ancora vivo, sarebbe stato con loro, ci si può scommettere. 

Del resto, nel 1848, quando la Storia bussò alla sua porta, lui c'era e le aprì. Proudhon esprimeva le aspirazioni di artigiani, piccoli imprenditori e contadini in un Paese con un'industria non ancora molto progredita, ma non bisogna sottovalutarlo. E' stato una fucina di idee, molte delle quali interessanti, e che andavano (o potevano andare) oltre i suoi stessi limiti: una teoria del plusvalore che precede quella marxiana, il mutualismo che abolisce il denaro - sostituito dai "buoni" -, il "credito gratuito", l'abolizione senza se e senza ma dello Stato, della Chiesa, dello sfruttamento e del potere borghese, l'orrore per il principio stesso di "nazionalità", la rivendicazione della democrazia diretta, la critica coraggiosa e lungimirante dell’usura ebraica e del rabbi di Treviri... 

Si sa con quanto veleno calunnioso, tipicamente talmudico, quest'ultimo cercò di oscurarne l’immagine e il ricordo
Invano.

Joe Fallisi

Liberazione umana e liberazione animale vanno di pari passo...


Collage di Vincenzo Toccaceli su vignetta di Staino

Tutto è radicalmente connesso nell'infelice campo dei "diritti". Solo per consuetudine culturale (costume che si fa regola(1)) le specie diverse dalla nostra sono da noi considerate, "viste"(2) – e l'aspetto fisico conta infatti moltissimo in tale valutazione – come animali altri da quello umano e totalmente a disposizione di quest'ultimo. 

NON è la differenza qualitativa intrinseca (quelle poche migliaia di geni diversi) tra lo scimpanzé e l'Homo sapiens sapiens che conduce il primo sul tavolo di vivisezione del secondo. 

O meglio: non direttamente, per quel che riguarda la nostra coscienza (e falsa coscienza). L'uomo, abituato da migliaia di anni a constatare quanto il suo cervello specialissimo gli consenta (in virtù di quella disparità biologica e di tutto lo sviluppo storico e sociale suo proprio) una superiorità di fatto incolmabile sulle altre specie, le sottomette e le reifica, fa di esse ciò che vuole. 

Unicamente il dominio, divenuto abitudine comune, "naturale" e poi legge inappellabile, fa ritenere un non-problema, dal punto di vista della giustizia, l'uccisione e la tortura seriale, infinita degli animali, al pari di noi senzienti il piacere e il dolore. 

Come la medesima attitudine (3 )abbia informato, lungo tutta la storia, la catena altrettanto senza fine di sopraffazioni intraspecifiche, di tormenti, umiliazioni e massacri inflitti a minoranze-maggioranze di "sottouomini", solo dei ciechi possono non vedere. 

Così è stato per millenni di schiavismo, di crociate, sino allo sterminio di interi popoli, eliminati, appunto, come "animali", come ratti e vermi. Ma se l'"inferiorità", intendo dire una vera e propria alterità, irregolarità, minorazione genetica, fosse esistita davvero, il comportamento di questi oppressori lo considereremmo meno odioso?... 

I poveri corpi ammassati l'uno sull'altro, ancora vivi e in silenzio, terrorizzati, come bestiame al macello, di Abu Ghraib, l'iracheno al guinzaglio come un cane, loro che, oltre a tutto, in linea filogenetica appartengono alle popolazioni (Sumeri, Accadi, Babilonesi) all'origine stessa della civiltà e cultura occidentale, erano, sono forse inferiori agli yankees di plastica, vomito e spettri?... 

No di sicuro e, ancora una volta, non di ciò si tratta, ma di forza bruta (4) e di immagine-incubo di massa. A fondamento ontologico, modello e paradigma di tutto questo delirio vi è l'antropocentrismo dell'uomo tiranno, l'abuso "normale" nei confronti delle altre specie. Senza liberazione degli animali, che solo l'uomo può compiere, non si avrà mai liberazione umana.


 Joe Fallisi

NOTE



(1) In questo senso etimologico effettivamente "etica", "morale" (cfr. http://www.etimo.it/?term=etica&find=Cercahttp://www.etimo.it/?term=morale&find=Cerca).

(2) "Specie" deriva dal verbo latino specio, "guardo verso un oggetto, una meta" (cfr. http://www.etimo.it/?term=specie&find=Cerca) – specismo: lo sguardo della reificazione (cfr. http://it.groups.yahoo.com/group/libertari/message/100255).

(3) Particolarmente sviluppata nell'uomo occidentale soprattutto in virtù dell'effetto combinato dell'ideologia religiosa giudaico-cristiana (fra tutte la più antropocentrica) e, nella modernità, della scienza e del modo di produzione capitalistico, basato, quest'ultimo, sulla reificazione del vivente (predominio del lavoro morto sul lavoro vivo, del valore di scambio sul valore d'uso, dell’astratto sul concreto).

(4) Già per Aristotele il "servo" (cfr. http://www.etimo.it/?term=servo&find=Cerca), l’"ilota" (cfr. http://www.etimo.it/?term=ilota&find=Cerca), lo "schiavo" (cfr. http://www.etimo.it/?term=schiavo&find=Cerca) – il nemico vinto, il "barbaro" (cfr. http://www.etimo.it/?term=barbaro&find=Cerca), il "cattivo" (cfr. http://www.etimo.it/?term=cattivo&find=Cerca) – è  "inanimato", "strumento" verso il quale "non vi è amicizia né giustizia" da parte del "padrone", così come non ve ne può essere "verso un cavallo o un bue" (cfr. Etica Nicomachea, VIII, 11, 1261).

Il buono, il vero ed il bello e la professione politica


Collage di Vincenzo Toccaceli

Le tre idee platoniche del buono, del vero e del bello (così come quelle opposte) sono un unicum divino. 

Se qualcosa è informe, a-forme, deforme, squilibrato - e in questo senso BRUTTO -, già solo perciò è quasi sempre falso e cattivo. I moderni hanno operato una vera inversione dei valori, sicché "forma" è divenuto guscio vuoto e fortuito, casuale - invece che involucro causale -, e "materia" qualsiasi ente sensibile, presupposto-imposto come unica realtà, datità, che si può accompagnare, rivestire pressoché di qualunque abito. Era inevitabile con la progressiva (oggi compiuta) "pietrificazione"-reificazione materialistica del mondo(1) e dell'idea stessa di mondo. Ma per Aristotele e il suo Maestro non era questo il significato e la relazione reciproca dei due termini (2).

Si potevano leggere, sul "Corriere" di (tanto) tempo fa, gli elzeviri che comparivano regolarmente in terza pagina. Molti, se non la maggioranza di essi erano abili esercizi, variazioni divenute quasi genere letterario. All'apparenza tutto quadrava in modo ammirevole, quanto a lingua bella e ben impiegata. Ma l'occhio ancora sensibile non tardava a trarne un senso di artificio, di "insostanzialità", di non-necessità. Non in-formavano nulla, non avevano richiamato (fatto sorgere, incarnare da un altro mondo) nessuna loro propria materia. 

La separazione-inversione  funeraria era già avvenuta - e data per scontata. Lo "stile" dispiegato era un tic, una maniera. Meno che mai significava "l'uomo", ma, eventualmente, il manichino spettrale... E in fondo non c'entra nulla, in realtà, il rispetto di qualche regola ossificata. 

Ciò che conta è proprio quel biunivoco rapporto-"amplesso" tra forma e materia NECESSARIO e che NON PUO' CHE ESSERE QUELLO CHE E'... da sempre e per sempre. Così il mondo spirituale potente, grandioso, primordiale, tremendo come un vulcano, di Musorgskij ESIGEVA le sue note non lisciate, non conformi e (anche qui all'apparenza) non perfette... PROPRIO quelle e SOLO quelle... più giuste (buone, belle, vere) della loro riscrittura, pur fatta con le migliori intenzioni, da parte dell'ottimo professore di Conservatorio Rimsky-Korsakov.

Oggi viviamo nel mondo dell'inautentico, si sa (si vede e si vive dappertutto). Un'immensa profusione, in ogni campo, di imitazioni, copie, falsi, cloni, ersatz, sostituti sempre più spettrali... 

Cos'è, in fondo, l'inautentico se non separazione e scontro della forma rispetto alla materia, l'una aliena dall'altra, unite da rapporti estrinseci, casuali, arbitrari? Perché ovviamente nulla può esistere, incarnarsi, senza quel rapporto... ma quando esso è danneggiato alla radice non può che produrre esseri incompiuti e mediocri. 

Di qui il senso di assurdo e inadeguatezza che spesso la "realtà" (tanto più quella odierna - invertita, orwelliana) rimanda. E ciò vale nel bene, così come nel male. Un criminale di guerra carino, frollo, retorico, eterodiretto e ballista come Obama è inautentico. Netanyahu o Lieberman, al contrario - o il loro zombimaestro Sharon -, autentici lo sono. Animo, faccia, parola, fetore... tutto in loro si accorda.

E a proposito di pietrificazione-reificazione...  sembra forse strano che l'architettura dei regimi "socialisti" fosse ciò che era - che è?... quell'obbrobrio uniforme-informe di pesantezza crassa, implacabile?... ma cos'altro poteva venir fuori da una visione del mondo, dell'uomo, della natura, della storia materialista-dialetticointestinale? Quando l'individuo è raso al suolo e ridotto a tubo digerente e riflesso condizionato, quale altra può essere la sua "abitazione"?

Joe Fallisi




NOTE


(1) La quale già di per sé comporta il predominio del brutto (e l'abitudine al brutto come normalità). 

Memoria contadina e agricoltura tradizionale, dal passato il futuro!



CULTURA DEI CAMPI COLTIVATI TRA PASSATO, PRESENTE E FUTURO

Sono agricoltore di scuola e tradizione organica, agronomo e storico autodidatta che, oltre alla pratica empirica, ricerco e studio da decenni  la mia materia, l’Agricoltura.

Che non intendo solo come semplice coltivazione biologica o biodinamica dei campi, o un settore economico del vigente sistema di mercato capitalista globale, ma nella sua piena accezione originaria latina del termine il quale significa: cultura dei campi coltivati, ossia arte/mestiere, scienza, società, economia e spiritualità; cultura del rapporto diretto tra uomo  e  madre terra, tra humanus e humus, rapporto di humilitas, virtù opposta alla superbia: l’uomo è terra e tornerà inumato alla terra come ceneri di azoto, fosforo, potassio …

La mia conoscenza agronomica ed ecologica segue la linea storica che va dai cacciatori-raccoglitori agli allevatori e coltivatori, in cui i primi si evolsero, tutti anche artigiani, migliaia di anni fa, creando quella cultura dei campi coltivati, arrivata sino a noi pochi decenni orsono, come Civiltà Contadina. Non la civiltà urbana, perché gli agricoltori non vivono nelle città e quella rurale le fu sempre parallela e complementare.

I primi scrittori di agricoltura dei quali sono rimaste le opere sono latini e riportano, a loro dire, un sapere che già fu loro tramandato da tempi remoti. Ad uno di questi letterati agronomi  si deve la definizione originale  dell’Agricoltura: “Non solo è un’arte, ma anche necessaria e di assoluta importanza; ed è anche scienza, di quello che sia da coltivare e produrre in ciascun campo, affinché la terra renda in perpetuo il massimo dei frutti”.
La sostenibilità agro ambientale che oggi andiamo cercando era già caratteristica degli antichi fondi agricoli, complessi organismi viventi, unità di ecosistema coltivato, che riproducevano i cicli perenni e rinnovabili di quelli naturali e selvatici.

Nel medioevo  solo i monaci cistercensi  mantennero memoria e pratica dell’Agricoltura classica, sino a che, nel Rinascimento,  il corpus di testi noti nell’insieme come De Re Rustica furono riscoperti e rivalutati e divennero il fondamento della nuova scienza agronomica europea, la quale fu diffusa, nei secoli successivi, da diversi autori e scuole che  ne ripresero e rielaborarono principi e contenuti, sul modello della villa rustica autosufficiente romana, diversa dal latifondo schiavista.
Quindi, intorno alla metà dell’Ottocento, l’Agricoltura organica, giudicata arretrata, superstiziosa e legata all’ancien regime, di cui era il fondamento dell’economia, fu sconfitta a livello accademico e politico dal  materialismo scientifico, il quale vi oppose il “progresso” dell’agrochimica inorganica ed industriale moderna che oggi predomina.

Nonostante i profondi cambiamenti politici, culturali, sociali ed economici portati dalla rivoluzione liberale borghese nell'800, l'agricoltura organica tradizionale è però sopravvissuta resistendo nelle campagne non solo sino a pochi decenni fa, ma è continuata, in forme e metodi aggiornati come contemporanea agricoltura biologica e biodinamica.
Dalla fine anni ‘70 si parla inoltre di agricoltura permanente, o Permacultura e di Agro-ecologia, che non sono affatto nuove scienze, ma hanno radici profonde sino a quei cacciatori raccoglitori da cui tutto ebbe origine e si inseriscono quindi in un filo conduttore storico e millenario di tempo ciclico, e non lineare  di sviluppo illimitato e del sempre più nuovo che avanza.
Questo per il semplice motivo che le cosiddette leggi naturali , le quali sono dedotte e misurate dall'osservazione dei cicli rinnovabili e perenni di energia solare e materia vivente, sono immutabili nel tempo e il rapporto uomo-terra madre non se ne discosta, né può farlo, senza uscirne dai suoi parametri biologici, fisici e chimici, andando contro natura. 

La catena alimentare è per noi umani di latitudini temperate la catena del pascolo e del detrito, formata da anelli che sono agganciati l’un l’altro in interrelazione e che non possono essere infranti dall’uomo.
In particolare, l’anello tra vegetali ed erbivori ruminanti, che trasformano la materia vegetale in humus fertile, è il fondamento dell’agricoltura organica. Oggi abbiamo sostituito l’humus fertile con i concimi chimici, tolto agli erbivori ruminanti la loro funzione primaria, li abbiamo rinchiusi in allevamenti intensivi  come macchine da carne e da latte e il loro letame è considerato rifiuto industriale, carico com’è di residui di antibiotici.
Altre considerazioni per completare il quadro del mio discorso.

L'agricoltura organica tradizionale ed i suoi modelli sono finiti in secondo piano e progressivamente il loro impianto si è disgregato, colpiti al cuore da leggi, burocrazie e tasse del sistema di mercato capitalista "liberale"ed industriale, basato sul profitto e lo sfruttamento e non più sulla rendita.  Sono mutati paesaggi, società ed economia, in modo definitivo dalla seconda metà del secolo scorso, ma questo processo era iniziato, lento ed inesorabile almeno cent’anni prima, qui in Italia, alla sostituzione del sistema monetario aureo, sovrano e stabile, legato al valore del grano e del pane, delle merci artigiane, dell’economia produttiva reale, con quello cartaceo a inflazione e debito illimitato, utile solo alla speculazione finanziaria  e usuraia.

Culture rurali millenarie non si abbattono così facilmente con una rivoluzione da parte di una minoranza di ricchi borghesi e neoaristocratici che conquista il potere: per cambiare il paradigma mentale dell'uomo, strappandolo dalle sue radici native in natura, dalle sue conoscenze pratiche e modo di vita, è occorso un condizionamento applicato a più di una generazione, sino a cancellare ogni memoria storica e recidere il filo che unisce uomo a Natura. Molto più difficile è riallacciare ora questo filo.

Il nonno contadino è distante anni luce dai nipoti cittadini, come lui lo era già, pur molto meno, da suo padre e suo nonno, già "corrotto" dai tempi nuovi e dall'avanzare  ed imporsi di quello che per me,  e non solo, per vari suoi aspetti ed effetti è un falso progresso perché deriva da un modello di sviluppo illimitato in un sistema come quello terrestre che è invece limitato e a ciclo chiuso.

La memoria storica è comunque nei cromosomi, siamo parte inscindibile della natura terrestre,  alla quale il modo di vita urbano moderno è sostanzialmente artificiale e alieno, memoria che rimane  brace sotto la cenere di archetipi lontani di vita naturale, cui questo odierno sistema economico preclude però di fatto ogni via di realizzazione.
Mi riferisco a quell'istinto "primordiale" che indirizza vari individui, oggi, ad un ritorno onirico alla terra e in seno alla vita naturale, ma che si traduce nei fatti, spesso, in avventurismi inconcludenti e parziali nei risultati, che causano anche delusioni, nel tentativo di creare ex novo un modo di vita rustica , ma sulla base di paradigmi propri della cultura progressista urbana: chi va in campagna si porta dietro il proprio modello cittadino cui è stato educato, le proprie abitudini cittadine, proprie interpretazioni delle leggi naturali, creando ibridi con compromessi e contraddizioni, i quali risultano poi di fatto o in situazioni estreme o nello rientrare negli schemi da cui si era cercato di uscire.
Ci si aggrappa anche ad altre culture lontane, spuntandone alcuni suggestivi elementi ed adattandoli, innestati a nuovi impianti, si formulano nuove teorie ideologiche, per colmare un vuoto che indubbiamente si è formato nello sviluppo di una visione materialista della realtà. Stiamo cercando nuove identità.

Oggi, l’agricoltura biologica è settore del mercato di cui sta alle regole, essendo pressoché totalmente incapace, quanto impossibilitata, di esprimere una propria autentica cultura ed economia rurale. Si producono monocolture industriali con "metodo" biologico, sacrificando il creare unità organiche di ecosistema coltivato, come si dovrebbe in teoria, perché sarebbe solo una spesa che non produce profitto e neppure reddito, ed oggi, il fine del lavoro agricolo, anche bio, non è il lavoro in sé a produrre auto sostentamento e surplus per il mercato, a produrre un modo di vita più autentico e felice in cui prendersi  cura dell'ambiente e dei nostri simili, ma il denaro, i cui valori non coincidono con quelli naturali, etica compresa.

Certo è che, nonostante il paradigma classico portante della villa rustica, non si tratta affatto, da parte mia ,di sostegno nostalgico del modello economico e sociale antiquato, dei contadini mezzadri  del podere tosco-emiliano. Ma la medesima agronomia ed economia era comune anche a contadini liberi, senza padroni, con possesso quindi diretto di propri mezzi di produzione, associati per convenienza reciproca  in rete solidale e locale di villaggio, con baratti e scambi d'opera, con la disposizione di terre ad uso civico.
Così fu, ed è un bene che la struttura dell’antico classismo feudale sia decaduta, ma si è buttata via l'acqua sporca con il bambino,anzi il contadino, all’imporsi di quel binomio neoclassista di borghesia capitalista e proletariato, nuovi padroni e nuovi servi, alienati, questi ultimi, di ogni mezzo proprio di produzione per auto sostentamento, consumatori passivi, risorsa umana lavorativa inurbata da sfruttare in  economie industriali.

È andata così, come contadini, paisan, campesinos, nativi cacciatori, pescatori e raccoglitori del pianeta, siamo dalla parte dei vinti, avrebbe potuto andar meglio, se il modello di sviluppo avesse con lungimiranza e arte di buon governo tenuto conto che chi lavora la terra, chi vive in natura, ha un’importanza fondamentale nella custodia e gestione degli ecosistemi coltivati e naturali, e questo a vantaggio anche e non ultimo di chi vive in città. Non stiamo parlando dei moderni imprenditori agricoli con mega trattori e diserbanti, dei bovini chiusi nei lager, munti e macellati come oggetti senz’anima.

Nei tempi che ci attendono, in cui l’agrochimica basata sul petrolio avrà una fine, e si dovrà per forza rivolgere lo sguardo indietro alla terra che ci nutre, ci accorgeremo che tanta è andata sprecata sotto cemento ed asfalto, molta altra resa sterile. Questa crisi economica che è di sistema e non di mercato, non solo sta creando povertà e disoccupazione ma rivela tutta l’insostenibilità ambientale ed umana del sistema stesso e richiama la necessità di soluzioni possibili che non sono certo l’emigrazione su altri pianeti o le modificazioni genetiche di piante ed animali. Piuttosto potrebbe essere il riprendere in considerazione economie locali a sovranità alimentare e monetaria, in cui l’uomo sia ricollocato al centro di modi di vita più naturali,  consapevoli che è la terra fertile la base della nostra sopravvivenza e prodursi alimenti e materie prime organiche in modo sostenibile e rinnovabile è, da sempre,  ricchezza della civiltà umana.

Alberto Grosoli 

Intervento al convegno su Bioregionalismo, Ecologia Profonda e Spiritualità Laica, tenuto al Ribalta di Vignola il 9 febbraio 2013

Le religioni semitiche originate da Saturno



L'antichità classica sempre vide in relazione analogica gli israeliti a Saturno, "Il Signore degli Anelli", dei sette astri erranti quello più lento e remoto, che ha il suo domicilio solare in Capricorno e lunare in Acquario e la cui gioia è in Casa 12°, il settore dei nemici, del disonore, delle malattie gravi e croniche, delle prigioni, delle mestizie, della miseria, dei servi.(1) Così al-Bîrûnî, per quanto attiene alle religioni, associa il grande malefico a "gli ebrei e coloro che vestono di nero" (cfr. al-Bîrûnî - L'arte dell'astrologia, Mimesis, Milano 1997, p 69). 

E ancora scrive Glogowczyk in pieno Rinascimento: "Quando vuoi pronosticare la condizione dei giudei in un quadrante dell’anno, considera anzitutto la condizione di Saturno in ciascun quadrante, sia nelle figure delle sizigie, sia in quelle degli ingressi, poiché Saturno è significator essentialis del popolo ebraico e della dottrina giudaica (...). 

Poiché tale popolo ha in sé tutte le condizioni proprie di Saturno. Saturno è infatti significatore della profezia e sappiamo che le profezie sono ampiamente avvenute in seno al popolo ebraico. Saturno è pianeta dell’avarizia, della discordia, della pertinacia, dell’impurità e dell’invidia, tutte cose che si ritrovano in codesto popolo. 

Saturno a nessun pianeta si accosta, ma tutti ad esso: allo stesso modo la dottrina giudaica a nessun’altra dottrina si richiama, ma tutte ad essa. Dalla condizione di Saturno, buona, mediocre, cattiva, si giudica dello stato degli ebrei." (Tractatus preclarissimus in iudiciis astrorum de mutationibus aeris ceterisque accidentibus iuxta priscorum sapientumque sententias per magistrum Ioannem Glogoviensem, per quam utilissime ordinatus atque noviter bene revisus. Impressum Cracovie per Florianum et Wolgangum 1514, p. 21)


(1) "Le civiltà semitiche si riferiscono al dio Saturno come 'El'. Questa divinità suprema veniva rappresentata da un cubo nero. Esemplari se ne trovano in tutto il mondo.

 

 
(La Kaʿba era oggetto di culto migliaia di anni prima dell'avvento dell'Islam)

 

(Questo cubo nero è una traccia rimasta dell'antico culto di El. Forse ebrei e musulmani hanno più cose in comune di quanto credano...)

Gli antichi ebrei rappresentavano Saturno mediante la stella a sei punte, che più tardi divenne la Stella di Davide (ha anche molti altri significati esoterici). Il simbolo è presente anche nella bandiera di Israele.

(Molti studiosi di esoterismo affermano che il nome Is-Ra-El risulta dalla combinazione dei nomi delle antiche divinità pagane Iside, Ra ed El.)" 

Joe Fallisi