Viviamo su un piano di realtà inclinato, vertiginosamente ripido.
Salvo imprevisti, ci porterà alla morte. E sarà una buona sorte,
almeno dal punto di vista della rinascita. Qualche riga manichea che salta molti grigi della realtà, con il
solo intento di riferirsi alle tendenze di fondo...
Forse vivo o vengo da un altro mondo. In questi ultimi due anni sono
accadute cose che ci avrebbero fatto perdere la casa e qualunque
patrimonio se ci avessero proposto di scommettere su una simile
distopia. Eppure, a cose fatte, la maggioranza ha accettato con
indifferenza – al massimo con malesseri individualistici – la sua
realizzazione. Anche la sovranità individuale è stata delegata, il
guinzaglio attaccato e i canini mostrati ai propri simili meno
disponibili ad alienare se stessi.
Abbiamo assistito a cambi di versione di verità, a minacce, a
dichiarazioni di persecuzione, a preghiere di morte e di esclusione
dallo stato sociale, a elicotteri a caccia di solitari in riva al
mare, a cambi di definizione del concetto di pandemia; abbiamo saputo
dell’obbligo contrattuale di irresponsabilità delle case
farmaceutiche del siero e sapevamo della sua eterodossia, abbiamo
sentito affermare bugie da capi di stato e di governo, da politici e
giornalisti, mai seguite da dimissioni né smentite, tanto meno mea
culpa; abbiamo visto affermare posizioni come fossero verità
definitive, ci hanno fatto credere fosse per il nostro bene e tutto
si è rivelato una strategica azione politica per alzare il controllo
necessario al nuovo assetto socio-economico che ne azionava le mosse.
Abbiamo visto ricatti nascosti sotto trasparenti foglie di fico tinte
di verde, olezzanti di merda. Abbiamo visto la gioia in volto ai
Figliol-codanti, che sarebbero potuti tornare a sciare e in
discoteca, che credevano di scambiare un buco tossico per l’immunità.
Abbiamo visto la frattura sociale alimentata dalla cosmologia del
regime. Abbiamo visto ridicolizzate le manifestazioni nazionali e
internazionali, come non contassero, come non esistessero, come
fossero quattro gatti. Abbiamo visto ignorare i cambi di politica
protopandemica di un crescente numero di paesi. Abbiamo assistito al
miglior mondo che gente e agende meschine potessero realizzare.
Abbiamo assistito ai peggiori tradimenti felici di vedere Fiorello a
Sanremo e di applaudire ai suoi insulti ai sofferenti. Tutto ciò in
mezzo al tradimento [nessun aggettivo disponibile, nda] dei 5Stelle,
alla sideralizzazione del Pd, alla falsa fermezza delle destre, alla
farsa dell’elezione presidenziale e a quella dell’Italia che
riprende dopo essere stata veramente condannata.
E nessuno ha detto nulla.
Meglio, anche se ultimamente qualcuno sta dicendo qualcosa, per lungo
tempo nessuno ha detto nulla.
Nessuno ha reagito. Tutti hanno seguitato ad
accreditare la classe politica, i sindacati e le istituzioni,
nonostante i fatti discriminatori così sostanzialmente identici a
ciò che la storia dei totalitarismi ci ha mostrato fino a poco fa.
Nessuno della maggioranza, infatti, nonostante la quantità di
società andate a gambe all’aria, di lavoratori e di studenti
impediti ad accedere alle sedi di lavoro e di studio, di bambini
sottratti dal gioco, di medici non solo non ascoltati nonostante i
loro successi di cura, ma anche sospesi dai loro ordini, di
disoccupati condannati da probiviri governativi che offrono lavoro
solo ai sottomessi, di malati rifiutati se privi della vergognosa
tessera, ovvero di ciò che non serve a nulla, ha ritenuto di
indignarsi, di cessare di dare il proprio accredito a chi ci ha
offerto il peggior esempio della cosiddetta democrazia. E miglior
campione di educazione sociale in vista delle prossime vessazioni per
l’ambiente, per il clima, per l’energia, per i poveri, per la
guerra. Nessuno ha reagito, se non contro chi gli faceva presente che
un nuovo modello socio-politico-economico si era attestato nella
spaccatura sociale, e l’hanno chiamato complottista e gli hanno
augurato la morte.
Se l’operato dei giornalisti è fuori dalle classiche del demerito,
quello dei medici gli è pari. Quello dei politici e della
magistratura non è neppure più esorcizzabile. Il barcone che tutti
insieme governavano nelle bonacce della paura si è subito riempito
di piccoli uomini le cui doti di coraggio e determinazione si
sarebbero subito palesate per gettare a mare gli ipotetici untori,
solo perché si ponevano interrogativi elementari su quanto stava
accadendo. Non è un’illazione. Chiunque, in questi anni, si sia
mosso senza maschera, ha potuto vedere spettacolari salti di
marciapiede e udire alle spalle insulti ed improperi a lui destinati
dal popolo solerte alla vanitosa ubbidienza. Da pochi giorni abbiamo
visto cadere il governativo obbligo di maschera, ma non abbiamo visto
perdere la condizione di zerbini alla buona percentuale che ancora,
forse con orgoglio, lo protrae come pusillanimi proboviri capoclasse.
Ma ci vorrebbe qualcuno che avesse preso nota strada facendo o
qualcun altro che avesse voglia di spulciare l’archivio dei giorni
per moltiplicare gli argomenti annotati in queste poche righe, che
vogliono essere soltanto evocative di uno stato di incantesimo
diffuso.
Alla stessa maniera è accaduto che i paesaggi si siano popolati di
ciminiere, la strada di scatole meccaniche, il pensiero di pretese e
vanità. Di volta in volta, nessuno ha detto nulla. E chi
diceva era screditato, criminalizzato, colpevolizzato,
ciarlatanizzato. E chi non lo è stato era solo un cantante, un
cantautore o un teatrante: Celentano, Faber e Gaber. E se proprio
rompeva, poeta, scrittore o regista che fosse, per ragion di stato si
poteva anche fare ciò che essa richiede.
Quello di ora, come per tutti gli altri che in nome del progresso
materiale hanno ammazzato più di Pasolini, è stato un processo di
realtà che nulla aveva a che vedere con la conoscenza. Non quella
dei saperi analitici, tanto utili quanto stupidi se concepiti come i
soli degni di epistemologia, ma quella che fa riferimento alla
natura, senza lucro né colore.
Rispetto a quanto accaduto in passato, il tempo di ora ha beneficiato
di mezzi di comunicazione a terminale digitale. La quantità di
attenzione che questa implica ha comportato assuefazione e, quindi,
dipendenza. Significa che la tecnologia domina il nostro fare. Oppure
che il fare naturale che terrebbe legati alla terra e alle sue verità
è, per la maggioranza, divenuto lontano vaneggiamento new age.
Nuovamente da screditare, criminalizzare, colpevolizzare e, se
necessario, eliminare. Niente più.
Se ci vuole una rara virginea visionarietà per tracciare un progetto
capace di interrompere il declino spirituale abbozzato in queste
considerazioni, osservare cosa comporta proseguire secondo le logiche
dell’attuale politica, è cosa più accessibile a molti. Se ne
potrebbero scrivere volumi. Probabilmente se ne sono scritti. E se ne
scriveranno. Basterebbe una loro pagina, una loro briciola per
evocare l’impressionante esigenza di fermare la folle corsa. Ma
sarebbe un’evocazione raccolta da pochi, da quelli che alla
maggioranza piace chiamare apoti.
Se ne può scrivere, allora, anche qualche riga, almeno come pianto e
invocazione.
Privati di identità sociale e individuale, come la politica
globalista richiede, non solo siamo perduti, non solo siamo
volatilmente disponibili a quella della maggioranza, dell’occasione
e della moda, ma diveniamo definitivamente incapaci di evolvere, di
divenire individui compiuti, il cui destino è nel sentire la dignità
che ci viene data e quella che necessariamente daremo, nel
riconoscere la natura come madre e maestra, come fonte e dimora, come
essere e non più come oggetto. O nessuna storia potrà essere
diversa da quella di un incantesimo. Il cui principio è di essere
mossi da entità a noi aliene.
Forse vivo o vengo da un altro mondo. Davanti a queste
considerazioni, il meglio che mi sono sentito dire è di essere
disadattato, che non mi occupo di realtà, che
devo dimostrare ciò che esprimo, che devo studiare.
Erano le voci della maggioranza, quelle lontane dal mondo. Dentro
l’incantesimo.
Lorenzo Merlo