Noi ci siamo, siamo qui, esistiamo e resistiamo, e se dopo due millenni di persecuzioni ci siamo ancora, ormai dovrebbero aver preso ogni illusione di riuscire a sradicarci. Siamo noi pagani, invece, che stiamo assistendo al declino e con ogni probabilità domani assisteremo alla sparizione del cristianesimo.
Tutto questo lo sappiamo bene, ne siamo ben consapevoli, ma forse la nostra realtà risulta ancora poco visibile alla maggior parte della gente che ci circonda, che continua a praticare forme sempre più stereotipate e sempre meno sentite di cristianesimo formale, imbevuta di relativismo post – cristiano che esprime soprattutto la mancanza di convinzioni, scettica, new age, eccetera, eccetera.
Per questo, non può che sorprenderci (piacevolmente) il fatto di trovare su di un mensile ad ampia diffusione come "Focus" (n. 154, agosto 2005) un articolo che s’intitola I pagani sono ancora tra noi (pag. 42 a firma di Franco Capone, con la collaborazione di Giacinto Mezzarobba).
In realtà l’articolo si rivela meno eclatante e meno sorprendente di quel che ci si potrebbe aspettare, essendo dedicato soprattutto alle sopravvivenze pagane all’interno di tradizioni e riti "cristiani" o meglio superficialmente cristianizzati, che continuano a perpetuarsi soprattutto nelle nostre campagne.
Si tratta di un discorso che conosciamo già, così come sappiamo che il cristianesimo riuscì a farsi accettare "con il trucco" – quando ritenne di non dover ricorrere alla più spietata violenza che è stata nei secoli il suo principale strumento di diffusione - "battezzando" riti e cerimonie pagane, trasformando in santi gli idoli pagani, e carpendo la buona fede della gente facendo credere che nulla o ben poco era o sarebbe cambiato.
Ciò che invece sarebbe ben più interessante mettere in luce, è che nella storia dell’Europa esiste, è esistita, ha continuato ad esistere, è giunta fino a noi che ne siamo gli eredi e i continuatori, un’insopprimibile tradizione di paganesimo consapevole, cosa che va ben al di là come importanza, della sopravvivenza di riti, tradizioni, cerimonie pagane all’interno di rituali che si dicono cristiani, e di cui però si è persa la consapevolezza della loro autentica origine e del loro vero significato. Si pensi per tutti all’Islanda dove il paganesimo norrenico non solo è sopravvissuto attraverso i secoli, ma recentemente è uscito allo scoperto ed ha ottenuto il riconoscimento di religione ufficiale assieme alla Chiesa evangelica luterana, e l’analogo movimento presente in Lituania.
Occorre poi dire che non si tratta soltanto di sopravvivenze culturali in ambienti marginali portate avanti da persone di estrazione socialmente e culturalmente non elevata (il termine "pagano", come è noto, fu inventato dai libellisti cristiani, ed era un termine di significato inizialmente dispregiativo, viene da "pagus", "villaggio" nel significato di "gente di campagna", quindi persone sempliciotte, superstiziose, ignoranti).
Al contrario, sono stati implicitamente o scopertamente pagani alcuni dei più importanti pensatori e dei più fini intellettuali che hanno fatto nel corso dei secoli la cultura europea, si pensi solo a tutto il movimento umanistico e poi rinascimentale con la sua riscoperta dell’antichità classica, riscoperta che ovviamente si presentava come artistica, letteraria o tutt’al più filosofica, e che tuttavia molto spesso dava l’impressione che il cristianesimo fosse ormai ridotto ad una sottile crosta esteriore pronta ad esplodere per liberare una realtà del tutto diversa. Si pensi a Leonardo Da Vinci, che Vasari definiva "platonico e pitagorico al punto da non essere cristiano", od a Niccolò Machiavelli, grande ammiratore delle religioni pagane che contribuivano a rafforzare il senso civico degli uomini invece di indebolirlo, che ha individuato nella Chiesa cattolica e nel suo potere temporale la piaga che impediva la riunificazione italiana, che ha osato affermare esplicitamente che "Il cristianesimo ha effeminato il mondo e l’ha dato in mano ai malvagi, perché ha reso gli uomini più pronti a sopportare le offese per guadagnarsi il Cielo, che a vendicarle". Una tradizione infine divenuta sfida aperta e coraggiosa all’ortodossia cattolica in Giordano Bruno.
L’età moderna ha conosciuto tra XVIII e XIX secolo due importanti rivoluzioni culturali che i libri di storia della letteratura ci hanno insegnato a percepire come antitetiche, ma che presentano anche forti elementi di continuità, l’illuminismo e il romanticismo, ed entrambe hanno contribuito ad infrangere il monopolio culturale cristiano che gravava sull’Europa, laddove la Riforma protestante aveva, si, indebolito l’autorità della Chiesa cattolica, ma semmai diffondendo una ventata di ulteriore intossicazione di fanatismo cristiano.
Fondamentale nell’illuminismo la rivendicazione del diritto dell’uomo a pensare liberamente con la propria testa a prescindere dall’autorità ecclesiastica e dai dogmi cristiani, e si veda con quale simpatia Voltaire tratta nel Dizionario filosofico la figura di Giuliano, "l’ultima possanza dell’impero", l’ultimo campione della romanità pagana, calunniato come "l’apostata", cioè "il rinnegato" dai rinnegati che portarono la dottrina del "discorso della montagna" a dominare ed a demolire l’impero romano, ed egli si chiede giustamente quale motivo si pretende che avesse di amare i cristiani un uomo che aveva visto da bambino i cristiani stessi trucidare i suoi genitori sotto i propri occhi.
Ancora più acuta, e verrebbe da dire magnifica, è l’analisi impietosa che fa Jean Jacques Rousseau della religione purtroppo divenuta maggioritaria in Europa negli ultimi due millenni, laddove mette il dito sulla piaga, di quello che sembra uno dei punti forti di questa religione, ma che a ben guardare ne è una delle debolezze maggiori, la morale, che viene sottratta a quello che ne dovrebbe essere l’ambito naturale, le relazioni fra gli uomini, per essere ridotta al compiacimento degli imperscrutabili desideri di una divinità, "Il cristianesimo separa l’uomo dal cittadino".
Contro l’illuminismo, il romanticismo viene spesso interpretato come movimento di ritorno allo spirito cristiano, movimento religioso, addirittura bigotto. Siamo proprio sicuri che le cose stiano in questo modo, o non siamo un po’ rimasti vittima della tendenza allo schematismo delle storie della letteratura?
Se andiamo a leggere il famoso discorso di madame De Stael, scopriamo che l’autrice ginevrina traccia una distinzione netta fra l’età antica, età dell’equilibrio, dell’armonia, della salute, del giusto rapporto fra la ragione e gli istinti, e l’età moderna, che comprende il Medio Evo ed inizia con il cristianesimo, età malata, età della contraddizione, della lacerazione, del conflitto interiore, del contrasto fra l’uomo ed i suoi istinti vitali, età della sofferenza di vivere. Basta che l’aspirazione al recupero della grande salute non sia più, appunto, solo un’ispirazione, un vago anelito, ma una precisa volontà ed un programma, e vedremo scaturire dai presupposti romantici la filosofia di Nietzsche.
Il primo ad osar dire apertamente l’indicibile, ciò che non era consentito dire e neppure pensare, è stato con ogni probabilità la massima espressione della cultura idealistico – romantica, il grande Hegel. La filosofia di Hegel è un mare magnum nel quale è possibile pescare tutto e il contrario di tutto. Quello che ci interessa sono le parti della Fenomenologia dello spirito relative allo spirito oggettivo ed allo spirito assoluto. La religione, afflato sentimentale che cerca di spiegare il mondo ed il destino ultimo senza fare ricorso al rigore della logica, è destinata ad essere superata dalla filosofia, il cristianesimo appartiene ad una fase storica che, così come è iniziata in un dato momento, ad un certo punto dovrà ben concludersi, ma più importante è forse la parte riguardante lo spirito oggettivo, con la distinzione delle tre aree del diritto, della morale, dell’eticità. Il diritto ha una sfera di azione pubblica, intersoggettiva, civile, laddove la morale – essenzialmente la morale cristiana – ha uno spazio interiore, soggettivo, che non può avere la presa di vincolare altri che chi ci crede, ed in tal modo si definisce uno spazio normativo laico nel quale le chiese non hanno alcun diritto d’intervenire.
Tuttavia, esaminata in prospettiva questa concezione, se ne coglie immediatamente l’errore: Hegel legge il processo storico al contrario, noi assistiamo al passaggio dall’eticità antica, dalla sintesi di valori giuridici e morali, dalla piena integrazione e dalla coincidenza fra la religione e l’appartenenza ad una comunità, che è tipica di tutte le culture antiche, pagane, alla morale cristiana ed infine al diritto moderno, vuoto, esteriore, formalistico, non osservato altro che per convenienza; la storia, almeno i due millenni di storia cristiana dell’Europa, non rappresentano un progresso dello spirito, ma la sua decadenza.
Ben più chiaramente si sarebbero espressi Wagner e Nietzsche. Con sensibilità di artista, ma che trova piena conferma sul piano storico, il grande musicista ha compreso l’aspetto fondamentale della questione: il cristianesimo è un prodotto del mondo mediorientale – semitico che rimane sostanzialmente estraneo allo spirito europeo, e non c’è che un modo per superare la "moderna" lacerazione interiore, il conflitto dell’uomo europeo con se stesso di cui parlava madame De Stael, tornare allo spirito di Sigfrido per quanto riguarda la Germania, al paganesimo in genere per l’intera Europa: "Per quanto l’innesto sulle sue radici di una cultura che le è estranea possa aver prodotto frutti di altissima civiltà, esso è costato e continua a costare innumerevoli sofferenze all’anima dell’Europa".
Ancora più esplicito Friedrich Nietzsche, il cristianesimo è negazione degli istinti vitali, dunque perversione, malattia: occorre capovolgere i valori, superare i concetti cristiani di bene e di male, tornare ad essere – in una parola – pagani.
"Noi pochi o noi molti di fede pagana sappiamo oggi cos’è una fede pagana, raffigurarsi esseri superiori all’uomo ma al di là del bene e del male. Noi pochi o noi molti di fede pagana crediamo all’Olimpo e non al crocifisso".
All’Olimpo od al Walhalla, al pantheon celtico od a quello capitolino secondo le inclinazioni di ciascuno, non c’è alcun motivo di essere settari.
E’ stato Andrè Gide, mi pare, a dire che senza Nietzsche sarebbero occorsi ancora secoli per trovare il coraggio di bisbigliare quello che egli ha proclamato ad voce alta.
Se esaminiamo cosa ha da dirci a questo riguardo il XX secolo, forse uno dei fatti più significativi è stata la polemica che oppose Henry De Montherland e Simone Weil, il primo a proclamare la superiorità del paganesimo, la seconda nel ruolo di avvocato difensore della dottrina del Discorso della Montagna. La cosa forse più significativa è che campione del paganesimo sia stato l’intellettuale di estrazione aristocratica ed a difendere la fede nel "dio inchiodato" la scrittrice di origine ebraica.
I "marrani", gli ebrei convertiti, le persone di origine ebraica sono in definitiva i cristiani "migliori", perché sono gli unici che possono innestare il cristianesimo senza contraddizione sulle loro radici storiche, culturali e antropologiche.
Papa Pio XII l’aveva affermato con chiarezza, "Con il cristianesimo siamo tutti diventati spiritualmente semiti". Non vi è motivo di metterlo in discussione, loro sono spiritualmente semiti, noi siamo e rimaniamo europei fino al midollo.
Eppure non è che questo "semitismo spirituale" non possa portare alle aberrazioni peggiori, compresa quella di ritorcersi in maniera drammatica contro il popolo ebraico (se non altro per il complesso d’inferiorità nei loro confronti che esso ispira). Un esempio eclatante è quello del filosofo Martin Heidegger, da alcuni considerato il più importante filosofo del XX secolo – forse, ma di certo il più prolisso ed incomprensibile – filosofo cattolico, educato dai francescani e rimasto legato ad ambienti cattolici per tutta la vita, e confluito nel nazismo. Perché stupirsene? Un pensiero oppressivo e totalitario confluisce in un altro pensiero oppressivo e totalitario.
La cosa più interessante di Heidegger dal nostro punto di vista è forse la Lettera sull’umanesimo nella quale il filosofo cristiano – nazista proclama, ma forse semplicemente constata, l’incompatibilità fra umanesimo fondato sulla centralità dell’uomo, sulla fiducia nella ragione, e pensiero cristiano che sottolinea l’inanità dell’uomo e si affida alla fede. Sono le stesse tematiche – si noti – recentemente riportate in auge dall’ultimo dei nouveux philosophes francesi, Emmanuel Levinas che, constatata l’incompatibilità dello spirito filosofico basato sulla ragione e sulla critica con l’atteggiamento fideistico del credente, propone in sostanza l’abbandono della filosofia per tornare alla fede dei padri (dei suoi, non dei nostri, anche perché è evidente fin dal nome che egli appartiene allo stesso gruppo etnico – culturale di Simone Weil).
Noi pagani, noi europei, figli della filosofia greca, di Roma, della cultura celtica e di quella germanica, dell’umanesimo e dell’illuminismo, su cosa scegliere fra una raccolta di testi redatta tre millenni or sono nei deserti mediorientali ed il libero esercizio della nostra intelligenza, non potremmo avere dubbi su cosa scegliere nemmeno per una frazione di secondo.
Non ci possiamo stupire nemmeno che oggi "strane" insofferenze verso il cristianesimo comincino a manifestarsi anche negli intellettuali dichiaratamente cristiani e cattolici.
Leggete queste righe: "Il Cristianesimo è stato dirompente rispetto ad ogni ethos" (...). Il Cristianesimo non ha più radici in costumi tradizionali, in una polis specifica, in un ethos; non ha più nemmeno una lingua sacra (...). Il Cristianesimo si rivela essenzialmente sovversivo dell'Antichità e dei suoi valori; che esso spezza definitivamente i legami fra gli Dei e la società. L'ethos antico era una religione civile (...). Il Cristianesimo, consumando la rottura con gli dei della Città, sradica l'uomo".
Sembrerebbe di leggere Rousseau o Nietzsche, ed invece si tratta di un brano di un’intervista di Massimo Cacciari, filosofo cattolico, rilasciata a Maurizio Blondet, altro intellettuale cattolico.
Anche il filosofo europeista Denis De Rougemont sottolinea l’incompatibilità fra cristianesimo e spirito europeo: "Nessuna armonia prestabilita tra il profetismo ebraico e la misura greca (...) Il cristianesimo porta un terzo mondo di valori, poco compatibili con quelli della saggezza greca e totalmente contrari a quelli di Roma".
Non basta, naturalmente, che ci si renda conto di tutto ciò, occorre un passo più in là, cominciare a ridare forma al paganesimo, ed in questa direzione si sono mossi due dei maggiori intellettuali del XX secolo, Ernst Junger e Mircea Eliade che nel 1956 hanno dato vita a Bruxelles alla rivista "Antaios" che prende il nome dal gigante Anteo che riprendeva vita e forze dal contatto con la terra, che ha avuto l’onore di rappresentare l’Europa nel Congresso Mondiale delle Religioni Etniche. Alla guida della rivista a del gruppo di "Antaios" è oggi Christopher Gerard, di cui merita davvero riportare qualche stralcio di una sua memorabile conferenza tenuta nel 1997: "Se dovessi definire (molto) rapidamente il Paganesimo in quanto coerente visione del mondo, direi che esso è fedeltà alla stirpe - considerata nel quadro di una memoria millenaria (quella che ci "re-ligat" (religio, religione, è appunto l'atto del religare, collegare - n.d.t.), che ci unisce ai nostri antenati lontani) - radicamento in un territorio (termine da prendere lato sensu) e apertura all'infinito. Potrei ugualmente parlare di partecipazione attiva al mondo, d'equilibrio ricercato fra microcosmo e macrocosmo.
Il Paganesimo è la religione naturale, la religione della natura e dei suoi cicli, la più antica del mondo perché "nata" - ammesso e non concesso che il mondo sia mai nato - con lui (…).
I nostri Dei, le nostre Dee non sono morti, per la semplice ragione che non sono mai nati. Apollo e Dioniso, Cernunno ed Epona, Mithra e Perkunas sono eternamente presenti al nostro fianco. Citiamo Eraclito (framm. 30): «Il mondo di fronte a noi - il medesimo per tutti - non lo fece nessuno degli Dei né degli uomini, ma fu sempre, ed è, e sarà, fuoco sempre vivente, che divampa secondo misure e si estingue secondo misure». Questo breve frammento vecchio di venticinque secoli traduce le linee di fondo del pensiero pagano: eternità del mondo, ciclicità del tempo, comunità dei mortali e degli Immortali...
Il Paganesimo non è mai potuto morire: perché, a immagine e somiglianza delle innumerevoli divinità che popolano i suoi innumerevoli pantheon, esso non è mai nato. Se le sue forme antiche (liturgie, templi...) hanno ceduto il passo ad altre che pure vi si sono largamente ispirate, tuttavia restano gli archetipi, che sono essi stessi eterni (...).
Il Paganesimo è soprattutto una conversione dello sguardo, quello che si rivolge su di un universo del quale noi siamo, insieme alle Dee e agli Dei, una parte integrante. Per meglio assimilare questa visione pagana, questo sguardo pagano, dobbiamo liberarci dal modello del "credente" delle religioni abramiche. Questo termine è realmente privo di senso per un Pagano: egli non crede, aderisce.
Allo stesso modo, egli non si converte ad un'altra religione, che sarebbe l'unica vera (e che negherebbe ipso facto tutte le altre perché false, barbare o rozze).
Semplicemente, il Pagano ridiviene quello che è sempre stato, perché l'anima è naturalmente pagana. Anima naturaliter pagana".
Sopravvivenze di rituali il cui senso è stato dimenticato? Figure marginali nella società moderna, "campagnoli" ignoranti e superstiziosi? Ma è di una parte considerevole della cultura europea degli ultimi cinque secoli che stiamo parlando!
L’articolo su "Focus" ha ad ogni modo degli aspetti apprezzabili, in primo luogo quello di parlare almeno delle persecuzioni di cui furono vittime i pagani a partire dall’editto di Tessalonica del 380 con il quale l’imperatore rinnegato Teodosio (il continuatore della sciagurata politica di Costantino) mise fuori legge l’antica religione, persecuzioni di cui non si parla quasi mai, mentre quelle subite dai cristiani prima del 313 sono per solito enormemente ingigantite, perché la pura e semplice verità sulla quale gli storici preferiscono sorvolare, è che il cristianesimo fu imposto prima all’impero romano, poi all’Europa quasi unicamente con la violenza. Il testo riferisce il giudizio di un autore pagano, Libanio, che parla degli "uomini vestiti di nero" (i preti) e li definisce "più voraci degli elefanti", tuttavia tutto ciò è ancora molto poco, e per rendersene conto, basta fare una visita sul sito dell’U.A.A.R. (Unione Atei, Agnostici, Razionalisti), i cui punti di vista possiamo non condividere, ma che hanno fatto un lavoro eccellente di documentazione sulle atrocità cristiane, e che ci permettono di scoprire che non soltanto la Chiesa cattolica antica fiancheggiata da quello spregevole rinnegato che fu l’imperatore Tedosio, ha distrutto templi, statue degli dei, luoghi di culto con una frenesia selvaggia, ma che ha fatto decine di migliaia di vittime, tantissimi leali cittadini dell’impero messi a morte perché colpevoli di continuare a seguire la religione dei padri, e leggendo l’elencazione della lunga fila di orrori, si stenta a capire dove sia (ammesso che ve ne sia una) la differenza tra cristianesimo e nazismo, nonché comunismo (ma non una cosa all’acqua di rose, quello di Stalin e di Pol Pot, per intenderci).
Nella loro frenesia sanguinaria, gli inquisitori di Teodosio arrivarono al punto di massacrare bambini che si erano messi a giocare con i frammenti delle statue abbattute degli dei.
L’elencazione delle atrocità compiute potrebbe essere molto lunga, ed annoiare, come annoiano gli elenchi di cifre. Per comprendere di quale natura fosse il pugno di ferro cristiano che cristianamente strangolò la civiltà romana, forse è meglio citare un solo caso emblematico per tutti, quello di Ipazia. Ipazia era una donna che insegnava filosofia ad Alessandria d’Egitto, ed agli occhi dei cristiani aveva due imperdonabili colpe, quella di essere pagana e di essere una donna che osava occuparsi di una cosa tradizionalmente riservata agli uomini, come la filosofia.
Il cristianesimo di allora non era meno maschilista e misogino di quello di oggi, o dell’islam. Nei testi di storia di filosofia ci si limita a raccontare che Ipazia fu linciata da una folla di cristiani, lasciando intendere una reazione magari brutale ma non premeditata da parte di una folla isterica. Le cose andarono in maniera un po’ diversa: mentre se ne andava per strada per i fatti suoi, fu sequestrata da una squadraccia cristiana e trascinata a forza nel duomo di Alessandria, dove alla presenza del vescovo che aveva organizzato tutta la faccenda, le fu intentato un processo farsa, quindi fu linciata dai fedeli presenti, il suo corpo fu fatto a pezzi, ed i suoi resti furono buttati in un immondezzaio.
La lezione certamente servì, passarono parecchi secoli prima che le donne osassero ricominciare a pensare con la loro testa, ma se un giorno fosse possibile chiamare i cristiani a rispondere delle atrocità commesse nei secoli in nome del loro Dio, allora si che ne vedremmo delle belle.
Oggi le Chiese cristiane, a cominciare da quella cattolica, tendono a presentarsi come la quintessenza della mitezza e della bontà, si tratta di un atteggiamento falso, dettato dal fatto che il cristianesimo è in difficoltà, sta perdendo rapidamente credibilità e potere, e che fida sull’ignoranza della storia da parte della gente comune.
L’articolo cita in apertura un episodio storico poco noto, che rappresentò la sconfitta definitiva dello stato romano, del paganesimo, della civiltà classica da parte della coalizione (equazione) cristianesimo – barbarie, un episodio che fa capire molte cose, al punto che non c’è proprio da stupirsi del fatto che il più delle volte i testi di storia non ne facciano menzione. Nel 394 le truppe dell’imperatore d’oriente, l’ineffabile Teodosio, venute ad invadere l’Italia e ad imporre, come d’abitudine, il cristianesimo con la violenza al riluttante impero occidentale, si scontrarono sul fiume Frigido, oggi Vipacco nei pressi di Gorizia con quelle dell’impero d’occidente al comando dell’imperatore Eugenio, e disgraziatamente vinsero.
Le ragioni per sottacere quest’episodio da parte della pubblicistica cristiana sono molte: innanzi tutto, vediamo che ottant’anni dopo l’editto di Milano di Costantino, vi era ancora chi era disposto a prendere le armi in difesa dell’antica religione, che la restaurazione del paganesimo non era stata una "fissazione" del solo Giuliano, ma rispondeva al bisogno di riportare l’impero ad una situazione di normalità.
Una cosa che Costantino aveva capito benissimo e che Teodosio sapeva alla perfezione, era che non esisteva nessuna compatibilità possibile fra lo stato romano, i valori di Roma ed il cristianesimo. Nel momento stesso in cui si era impadronito dell’impero, Costantino aveva iniziato lo smantellamento dello stato romano a favore della costituzione di una tirannide sacrale basata sulla nuova religione, collocata in oriente e che si rifaceva allo stesso modello dispotico che si era sviluppato per secoli all’ombra delle piramidi e delle zigurrat, spostando il centro nevralgico dell’impero sul Bosforo dove iniziò l’edificazione della nuova capitale che da lui prese il nome, Costantinopoli.
In questa prospettiva l’occidente, l’Italia, le Gallie, l’Iberia, la Britannia non divenivano altro che una terra occupata, una preda bellica dalla quale saccheggiare più risorse possibili nel minor tempo possibile. Quello che Giuliano ed Eugenio cercarono di fare restaurando il paganesimo, in definitiva non era che salvare l’impero. Che il cristianesimo fosse portatore di valori (o di disvalori) totalmente contrari a quelli di Roma non lo dico io, ma un filosofo come De Rougemont. Ciò che la storia ci dimostra con chiarezza solare, era che se c’era un’utopia irrealizzabile era proprio quella di un impero romano cristiano, della conciliazione fra romanità e cristianesimo, infatti l’impero orientale era destinato a trasformarsi rapidamente in una realtà "bizantina" che di romano non conservava nulla, e l’impero d’occidente, privato del suo nerbo e della sua anima, a dissolversi rapidamente.
Un altro punto che ho appreso con estremo interesse e, sono sincero, con una punta di commozione, è che in difesa dell’Occidente si schierarono quel giorno sul Vipacco legionari reclutati in Italia ed in Gallia, mentre Teodosio schierava un’accozzaglia di mercenari barbari: Visigoti, Alani, Vandali, persino Unni. Da un lato le ultime vere legioni di Roma che, contrariamente a quanto ci è dato spesso ad intendere, non scomparvero nel nulla senza aver combattuto la loro ultima battaglia, dall’altro una torma di mercenari che sembra quasi la prefigurazione di quelle plebi "mondialiste" che oggi assediano l’Europa ed alle quali le Chiese cristiane vorrebbero che spalancassimo le porte e le braccia fino ad essere sommersi, fino alla completa sparizione dell’homo europeus, rivelando così che il fondo anti – europeo del cristianesimo è sempre vivo.
Nell’editoriale del direttore di "Focus" Sandro Boeri c’è un commento a quest’articolo. Vandali e Unni hanno ancora oggi una pessima fama, eppure furono loro a determinare la definitiva vittoria del cristianesimo. Dovremmo essergliene grati? Dovremmo essere loro grati di aver distrutto la maggiore civiltà del mondo antico e di aver assicurato all’Europa un millennio di barbarie e di oscurità sotto il segno opprimente della croce?
Un altro punto, che non si legge senza commozione, è che i legionari schierati quel giorno sul Vipacco in difesa della civiltà e del paganesimo contro i "crociati" cristiani e barbari, erano italici e gallici. Per un lungo lasso della storia antica, romanità e celtismo hanno vissuto di antagonismo reciproco, e la convivenza fra i due non è stata certo facile dopo la conquista romana delle Gallie, eppure eccoli lì, schierati insieme quel giorno, nell’ultima difesa della civiltà antica. Al disopra della contrapposizione fra l’uno e l’altra risalta la comune appartenenza al mondo pagano ed europeo.
I legionari romano – gallici si comportarono bene quel giorno, e senza un seguito di circostanze davvero sfortunate avrebbero inflitto all’accozzaglia barbarica l’ennesima sconfitta. Due circostanze davvero sfortunate volsero l’esito dello scontro a favore dei "crociati" barbari di Teodosio: un reparto dei difensori che avrebbe dovuto aggirare e prendere alle spalle le posizioni dei "crociati" tradì per denaro e passò al nemico, ma soprattutto si levò il vento, la micidiale bora, che ributtava loro addosso le frecce dei difensori e dava più slancio a quelle dei nemici.
Ammettere la sconfitta non è disonorevole, quando essa non è imputabile a mancanza di valore, nella storia vi sono alcune sconfitte nelle quali il valore sfortunato brilla più di quello premiato dal fato di tante vittorie, le Termopili, El Alamein, il quadrato della Vecchia Guardia che "muore ma non si arrende" a Waterloo.
Ciò che conta è saper trarre esempio da esse per maturare dentro di noi la determinazione che alla fine è destinata a vincere.
Fabio Calabrese
(Noi pagani - commento su Focus numero 154)