Un chiarimento sul concetto di "spiritualità laica"


Risultati immagini per spiritualità della natura

Vorrei porre un chiarimento sull'abbinamento da me utilizzato dell'aggettivo "laica"  alla parola "spiritualità". 

La spiritualità di per se stessa non può  avere qualifiche di sorta, in quanto essa rappresenta la capacità percettiva, la coscienza-intelligenza, e quindi è assolutamente soggettiva (il noumeno). Il fatto  poi che  nel corso dei secoli  questa coscienza-intelligenza sia stata  indicata da varie religioni come una espressione delle  rispettive fedi, ha portato a qualificare lo "spirito" e la spiritualità  come  derivazione e componente di una qualsiasi religione. 
Ritengo quindi necessario restituire al termine "spiritualità" la sua totale indipendenza da ogni matrice religiosa. La spiritualità è  totalmente libera e naturale, una semplice e spontanea espressione della consapevole presenza.   In questo senso continuo ad  usare il termine spiritualità… non essendocene altri disponibili..  nel significato più profondo  del nome, quello  usato sin dall’antichità  per individuare la “presenza viva”. 

I pagani, che evidentemente avevano più dimestichezza con questa spiritualità naturale, riconoscevano tale presenza  non solo nell'uomo ma anche  nei luoghi, nei boschi, nei fiumi, negli animali, etc.  Ed anche oggi  non saprei che altro nome dare a quella “presenza”... e siccome il vero nome originario è “spirito” credo sia più che giusto recuperare la parola originaria piuttosto che cercarne una nuova. Il  cattivo uso del termine “spirito” (accreditabile alle religioni patriarcali: giudaismo, cristianesimo, islam), non è ragione sufficiente per rinunciarvi, anzi dobbiamo denunciare l’ipocrisia religiosa che addirittura definisce “laico” un credente che non è “ordinato” nel sacerdozio, mentre tutti sappiamo che il significato originario di “laico” è “al di fuori di ogni contesto e struttura politica e religiosa”. 

Per questo - per un chiarimento concettuale- continuo a definire "spiritualità laica"  quel senso di “presenza”, la stessa definita Es nella psicologia transpersonale. Una sorta di  “sottile essenza” della materia. Per cui come può esserci separazione fra la materia e lo spirito? Come può esserci separazione fra la rosa ed il suo profumo? Fra l’umidità e l’acqua? Tra il fuoco e la sua capacità di emettere luce e calore?

La spiritualità laica supera la distinzione  fra materia e spirito. 

Paolo D'Arpini

Immagine correlata

Il paganesimo resiste ... ed insiste



Risultati immagini per Il paganesimo resiste ... e insiste

Noi ci siamo, siamo qui, esistiamo e resistiamo, e se dopo due millenni di persecuzioni ci siamo ancora, ormai dovrebbero aver preso ogni illusione di riuscire a sradicarci. Siamo noi pagani, invece, che stiamo assistendo al declino e con ogni probabilità domani assisteremo alla sparizione del cristianesimo.


Tutto questo lo sappiamo bene, ne siamo ben consapevoli, ma forse la nostra realtà risulta ancora poco visibile alla maggior parte della gente che ci circonda, che continua a praticare forme sempre più stereotipate e sempre meno sentite di cristianesimo formale, imbevuta di relativismo post – cristiano che esprime soprattutto la mancanza di convinzioni, scettica, new age, eccetera, eccetera.
Per questo, non può che sorprenderci (piacevolmente) il fatto di trovare su di un mensile ad ampia diffusione come "Focus" (n. 154, agosto 2005) un articolo che s’intitola I pagani sono ancora tra noi (pag. 42 a firma di Franco Capone, con la collaborazione di Giacinto Mezzarobba).

In realtà l’articolo si rivela meno eclatante e meno sorprendente di quel che ci si potrebbe aspettare, essendo dedicato soprattutto alle sopravvivenze pagane all’interno di tradizioni e riti "cristiani" o meglio superficialmente cristianizzati, che continuano a perpetuarsi soprattutto nelle nostre campagne.

Si tratta di un discorso che conosciamo già, così come sappiamo che il cristianesimo riuscì a farsi accettare "con il trucco" – quando ritenne di non dover ricorrere alla più spietata violenza che è stata nei secoli il suo principale strumento di diffusione - "battezzando" riti e cerimonie pagane, trasformando in santi gli idoli pagani, e carpendo la buona fede della gente facendo credere che nulla o ben poco era o sarebbe cambiato.


Ciò che invece sarebbe  ben più interessante mettere in luce, è che nella storia dell’Europa esiste, è esistita, ha continuato ad esistere, è giunta fino a noi che ne siamo gli eredi e i continuatori, un’insopprimibile tradizione di paganesimo consapevole, cosa che va ben al di là come importanza, della sopravvivenza di riti, tradizioni, cerimonie pagane all’interno di rituali che si dicono cristiani, e di cui però si è persa la consapevolezza della loro autentica origine e del loro vero significato. Si pensi per tutti all’Islanda dove il paganesimo norrenico non solo è sopravvissuto attraverso i secoli, ma recentemente è uscito allo scoperto ed ha ottenuto il riconoscimento di religione ufficiale assieme alla Chiesa evangelica luterana, e l’analogo movimento presente in Lituania.

Occorre poi dire che non si tratta soltanto di sopravvivenze culturali in ambienti marginali portate avanti da persone di estrazione socialmente e culturalmente non elevata (il termine "pagano", come è noto, fu inventato dai libellisti cristiani, ed era un termine di significato inizialmente dispregiativo, viene da "pagus", "villaggio" nel significato di "gente di campagna", quindi persone sempliciotte, superstiziose, ignoranti).

Al contrario, sono stati implicitamente o scopertamente pagani alcuni dei più importanti pensatori e dei più fini intellettuali che hanno fatto nel corso dei secoli la cultura europea, si pensi solo a tutto il movimento umanistico e poi rinascimentale con la sua riscoperta dell’antichità classica, riscoperta che ovviamente si presentava come artistica, letteraria o tutt’al più filosofica, e che tuttavia molto spesso dava l’impressione che il cristianesimo fosse ormai ridotto ad una sottile crosta esteriore pronta ad esplodere per liberare una realtà del tutto diversa. Si pensi a Leonardo Da Vinci, che Vasari definiva "platonico e pitagorico al punto da non essere cristiano", od a Niccolò Machiavelli, grande ammiratore delle religioni pagane che contribuivano a rafforzare il senso civico degli uomini invece di indebolirlo, che ha individuato nella Chiesa cattolica e nel suo potere temporale la piaga che impediva la riunificazione italiana, che ha osato affermare esplicitamente che "Il cristianesimo ha effeminato il mondo e l’ha dato in mano ai malvagi, perché ha reso gli uomini più pronti a sopportare le offese per guadagnarsi il Cielo, che a vendicarle". Una tradizione infine divenuta sfida aperta e coraggiosa all’ortodossia cattolica in Giordano Bruno.

L’età moderna ha conosciuto tra XVIII e XIX secolo due importanti rivoluzioni culturali che i libri di storia della letteratura ci hanno insegnato a percepire come antitetiche, ma che presentano anche forti elementi di continuità, l’illuminismo e il romanticismo, ed entrambe hanno contribuito ad infrangere il monopolio culturale cristiano che gravava sull’Europa, laddove la Riforma protestante aveva, si, indebolito l’autorità della Chiesa cattolica, ma semmai diffondendo una ventata di ulteriore intossicazione di fanatismo cristiano.

Fondamentale nell’illuminismo la rivendicazione del diritto dell’uomo a pensare liberamente con la propria testa a prescindere dall’autorità ecclesiastica e dai dogmi cristiani, e si veda con quale simpatia Voltaire tratta nel Dizionario filosofico la figura di Giuliano, "l’ultima possanza dell’impero", l’ultimo campione della romanità pagana, calunniato come "l’apostata", cioè "il rinnegato" dai rinnegati che portarono la dottrina del "discorso della montagna" a dominare ed a demolire l’impero romano, ed egli si chiede giustamente quale motivo si pretende che avesse di amare i cristiani un uomo che aveva visto da bambino i cristiani stessi trucidare i suoi genitori sotto i propri occhi.

Ancora più acuta, e verrebbe da dire magnifica, è l’analisi impietosa che fa Jean Jacques Rousseau della religione purtroppo divenuta maggioritaria in Europa negli ultimi due millenni, laddove mette il dito sulla piaga, di quello che sembra uno dei punti forti di questa religione, ma che a ben guardare ne è una delle debolezze maggiori, la morale, che viene sottratta a quello che ne dovrebbe essere l’ambito naturale, le relazioni fra gli uomini, per essere ridotta al compiacimento degli imperscrutabili desideri di una divinità, "Il cristianesimo separa l’uomo dal cittadino".

Contro l’illuminismo, il romanticismo viene spesso interpretato come movimento di ritorno allo spirito cristiano, movimento religioso, addirittura bigotto. Siamo proprio sicuri che le cose stiano in questo modo, o non siamo un po’ rimasti vittima della tendenza allo schematismo delle storie della letteratura?

Se andiamo a leggere il famoso discorso di madame De Stael, scopriamo che l’autrice ginevrina traccia una distinzione netta fra l’età antica, età dell’equilibrio, dell’armonia, della salute, del giusto rapporto fra la ragione e gli istinti, e l’età moderna, che comprende il Medio Evo ed inizia con il cristianesimo, età malata, età della contraddizione, della lacerazione, del conflitto interiore, del contrasto fra l’uomo ed i suoi istinti vitali, età della sofferenza di vivere. Basta che l’aspirazione al recupero della grande salute non sia più, appunto, solo un’ispirazione, un vago anelito, ma una precisa volontà ed un programma, e vedremo scaturire dai presupposti romantici la filosofia di Nietzsche.

Il primo ad osar dire apertamente l’indicibile, ciò che non era consentito dire e neppure pensare, è stato con ogni probabilità la massima espressione della cultura idealistico – romantica, il grande Hegel. La filosofia di Hegel è un mare magnum nel quale è possibile pescare tutto e il contrario di tutto. Quello che ci interessa sono le parti della Fenomenologia dello spirito relative allo spirito oggettivo ed allo spirito assoluto. La religione, afflato sentimentale che cerca di spiegare il mondo ed il destino ultimo senza fare ricorso al rigore della logica, è destinata ad essere superata dalla filosofia, il cristianesimo appartiene ad una fase storica che, così come è iniziata in un dato momento, ad un certo punto dovrà ben concludersi, ma più importante è forse la parte riguardante lo spirito oggettivo, con la distinzione delle tre aree del diritto, della morale, dell’eticità. Il diritto ha una sfera di azione pubblica, intersoggettiva, civile, laddove la morale – essenzialmente la morale cristiana – ha uno spazio interiore, soggettivo, che non può avere la presa di vincolare altri che chi ci crede, ed in tal modo si definisce uno spazio normativo laico nel quale le chiese non hanno alcun diritto d’intervenire. 


Tuttavia, esaminata in prospettiva questa concezione, se ne coglie immediatamente l’errore: Hegel legge il processo storico al contrario, noi assistiamo al passaggio dall’eticità antica, dalla sintesi di valori giuridici e morali, dalla piena integrazione e dalla coincidenza fra la religione e l’appartenenza ad una comunità, che è tipica di tutte le culture antiche, pagane, alla morale cristiana ed infine al diritto moderno, vuoto, esteriore, formalistico, non osservato altro che per convenienza; la storia, almeno i due millenni di storia cristiana dell’Europa, non rappresentano un progresso dello spirito, ma la sua decadenza.

Ben più chiaramente si sarebbero espressi Wagner e Nietzsche. Con sensibilità di artista, ma che trova piena conferma sul piano storico, il grande musicista ha compreso l’aspetto fondamentale della questione: il cristianesimo è un prodotto del mondo mediorientale – semitico che rimane sostanzialmente estraneo allo spirito europeo, e non c’è che un modo per superare la "moderna" lacerazione interiore, il conflitto dell’uomo europeo con se stesso di cui parlava madame De Stael, tornare allo spirito di Sigfrido per quanto riguarda la Germania, al paganesimo in genere per l’intera Europa: "Per quanto l’innesto sulle sue radici di una cultura che le è estranea possa aver prodotto frutti di altissima civiltà, esso è costato e continua a costare innumerevoli sofferenze all’anima dell’Europa".

Ancora più esplicito Friedrich Nietzsche, il cristianesimo è negazione degli istinti vitali, dunque perversione, malattia: occorre capovolgere i valori, superare i concetti cristiani di bene e di male, tornare ad essere – in una parola – pagani.
"Noi pochi o noi molti di fede pagana sappiamo oggi cos’è una fede pagana, raffigurarsi esseri superiori all’uomo ma al di là del bene e del male. 
Noi pochi o noi molti di fede pagana crediamo all’Olimpo e non al crocifisso".

All’Olimpo od al Walhalla, al pantheon celtico od a quello capitolino secondo le inclinazioni di ciascuno, non c’è alcun motivo di essere settari.
E’ stato Andrè Gide, mi pare, a dire che senza Nietzsche sarebbero occorsi ancora secoli per trovare il coraggio di bisbigliare quello che egli ha proclamato ad voce alta.

Se esaminiamo cosa ha da dirci a questo riguardo il XX secolo, forse uno dei fatti più significativi è stata la polemica che oppose Henry De Montherland e Simone Weil, il primo a proclamare la superiorità del paganesimo, la seconda nel ruolo di avvocato difensore della dottrina del Discorso della Montagna. La cosa forse più significativa è che campione del paganesimo sia stato l’intellettuale di estrazione aristocratica ed a difendere la fede nel "dio inchiodato" la scrittrice di origine ebraica.

I "marrani", gli ebrei convertiti, le persone di origine ebraica sono in definitiva i cristiani "migliori", perché sono gli unici che possono innestare il cristianesimo senza contraddizione sulle loro radici storiche, culturali e antropologiche. 

Papa Pio XII l’aveva affermato con chiarezza, "Con il cristianesimo siamo tutti diventati spiritualmente semiti". Non vi è motivo di metterlo in discussione, loro sono spiritualmente semiti, noi siamo e rimaniamo europei fino al midollo.
Eppure non è che questo "semitismo spirituale" non possa portare alle aberrazioni peggiori, compresa quella di ritorcersi in maniera drammatica contro il popolo ebraico (se non altro per il complesso d’inferiorità nei loro confronti che esso ispira). Un esempio eclatante è quello del filosofo Martin Heidegger, da alcuni considerato il più importante filosofo del XX secolo – forse, ma di certo il più prolisso ed incomprensibile – filosofo cattolico, educato dai francescani e rimasto legato ad ambienti cattolici per tutta la vita, e confluito nel nazismo. Perché stupirsene? Un pensiero oppressivo e totalitario confluisce in un altro pensiero oppressivo e totalitario.

La cosa più interessante di Heidegger dal nostro punto di vista è forse la Lettera sull’umanesimo nella quale il filosofo cristiano – nazista proclama, ma forse semplicemente constata, l’incompatibilità fra umanesimo fondato sulla centralità dell’uomo, sulla fiducia nella ragione, e pensiero cristiano che sottolinea l’inanità dell’uomo e si affida alla fede. Sono le stesse tematiche – si noti – recentemente riportate in auge dall’ultimo dei nouveux philosophes francesi, Emmanuel Levinas che, constatata l’incompatibilità dello spirito filosofico basato sulla ragione e sulla critica con l’atteggiamento fideistico del credente, propone in sostanza l’abbandono della filosofia per tornare alla fede dei padri (dei suoi, non dei nostri, anche perché è evidente fin dal nome che egli appartiene allo stesso gruppo etnico – culturale di Simone Weil).

Noi pagani, noi europei, figli della filosofia greca, di Roma, della cultura celtica e di quella germanica, dell’umanesimo e dell’illuminismo, su cosa scegliere fra una raccolta di testi redatta tre millenni or sono nei deserti mediorientali ed il libero esercizio della nostra intelligenza, non potremmo avere dubbi su cosa scegliere nemmeno per una frazione di secondo.

Non ci possiamo stupire nemmeno che oggi "strane" insofferenze verso il cristianesimo comincino a manifestarsi anche negli intellettuali dichiaratamente cristiani e cattolici.

Leggete queste righe: "Il Cristianesimo è stato dirompente rispetto ad ogni ethos" (...). Il Cristianesimo non ha più radici in costumi tradizionali, in una polis specifica, in un ethos; non ha più nemmeno una lingua sacra (...). Il Cristianesimo si rivela essenzialmente sovversivo dell'Antichità e dei suoi valori; che esso spezza definitivamente i legami fra gli Dei e la società. L'ethos antico era una religione civile (...). Il Cristianesimo, consumando la rottura con gli dei della Città, sradica l'uomo".

Sembrerebbe di leggere Rousseau o Nietzsche, ed invece si tratta di un brano di un’intervista di Massimo Cacciari, filosofo cattolico, rilasciata a Maurizio Blondet, altro intellettuale cattolico.

Anche il filosofo europeista Denis De Rougemont sottolinea l’incompatibilità fra cristianesimo e spirito europeo: "Nessuna armonia prestabilita tra il profetismo ebraico e la misura greca (...) Il cristianesimo porta un terzo mondo di valori, poco compatibili con quelli della saggezza greca e totalmente contrari a quelli di Roma".

Non basta, naturalmente, che ci si renda conto di tutto ciò, occorre un passo più in là, cominciare a ridare forma al paganesimo, ed in questa direzione si sono mossi due dei maggiori intellettuali del XX secolo, Ernst Junger e Mircea Eliade che nel 1956 hanno dato vita a Bruxelles alla rivista "Antaios" che prende il nome dal gigante Anteo che riprendeva vita e forze dal contatto con la terra, che ha avuto l’onore di rappresentare l’Europa nel Congresso Mondiale delle Religioni Etniche. Alla guida della rivista a del gruppo di "Antaios" è oggi Christopher Gerard, di cui merita davvero riportare qualche stralcio di una sua memorabile conferenza tenuta nel 1997: "Se dovessi definire (molto) rapidamente il Paganesimo in quanto coerente visione del mondo, direi che esso è fedeltà alla stirpe - considerata nel quadro di una memoria millenaria (quella che ci "re-ligat" (religio, religione, è appunto l'atto del religare, collegare - n.d.t.), che ci unisce ai nostri antenati lontani) - radicamento in un territorio (termine da prendere lato sensu) e apertura all'infinito. Potrei ugualmente parlare di partecipazione attiva al mondo, d'equilibrio ricercato fra microcosmo e macrocosmo.

Il Paganesimo è la religione naturale, la religione della natura e dei suoi cicli, la più antica del mondo perché "nata" - ammesso e non concesso che il mondo sia mai nato - con lui (…).

I nostri Dei, le nostre Dee non sono morti, per la semplice ragione che non sono mai nati. Apollo e Dioniso, Cernunno ed Epona, Mithra e Perkunas sono eternamente presenti al nostro fianco. Citiamo Eraclito (framm. 30): «Il mondo di fronte a noi - il medesimo per tutti - non lo fece nessuno degli Dei né degli uomini, ma fu sempre, ed è, e sarà, fuoco sempre vivente, che divampa secondo misure e si estingue secondo misure». Questo breve frammento vecchio di venticinque secoli traduce le linee di fondo del pensiero pagano: eternità del mondo, ciclicità del tempo, comunità dei mortali e degli Immortali...

Il Paganesimo non è mai potuto morire: perché, a immagine e somiglianza delle innumerevoli divinità che popolano i suoi innumerevoli pantheon, esso non è mai nato. Se le sue forme antiche (liturgie, templi...) hanno ceduto il passo ad altre che pure vi si sono largamente ispirate, tuttavia restano gli archetipi, che sono essi stessi eterni (...).

Il Paganesimo è soprattutto una conversione dello sguardo, quello che si rivolge su di un universo del quale noi siamo, insieme alle Dee e agli Dei, una parte integrante. Per meglio assimilare questa visione pagana, questo sguardo pagano, dobbiamo liberarci dal modello del "credente" delle religioni abramiche. Questo termine è realmente privo di senso per un Pagano: egli non crede, aderisce. 

Allo stesso modo, egli non si converte ad un'altra religione, che sarebbe l'unica vera (e che negherebbe ipso facto tutte le altre perché false, barbare o rozze). 

Semplicemente, il Pagano ridiviene quello che è sempre stato, perché l'anima è naturalmente pagana. Anima naturaliter pagana".

Sopravvivenze di rituali il cui senso è stato dimenticato? Figure marginali nella società moderna, "campagnoli" ignoranti e superstiziosi? Ma è di una parte considerevole della cultura europea degli ultimi cinque secoli che stiamo parlando!

L’articolo su "Focus" ha ad ogni modo degli aspetti apprezzabili, in primo luogo quello di parlare almeno delle persecuzioni di cui furono vittime i pagani a partire dall’editto di Tessalonica del 380 con il quale l’imperatore rinnegato Teodosio (il continuatore della sciagurata politica di Costantino) mise fuori legge l’antica religione, persecuzioni di cui non si parla quasi mai, mentre quelle subite dai cristiani prima del 313 sono per solito enormemente ingigantite, perché la pura e semplice verità sulla quale gli storici preferiscono sorvolare, è che il cristianesimo fu imposto prima all’impero romano, poi all’Europa quasi unicamente con la violenza. Il testo riferisce il giudizio di un autore pagano, Libanio, che parla degli "uomini vestiti di nero" (i preti) e li definisce "più voraci degli elefanti", tuttavia tutto ciò è ancora molto poco, e per rendersene conto, basta fare una visita sul sito dell’U.A.A.R. (Unione Atei, Agnostici, Razionalisti), i cui punti di vista possiamo non condividere, ma che hanno fatto un lavoro eccellente di documentazione sulle atrocità cristiane, e che ci permettono di scoprire che non soltanto la Chiesa cattolica antica fiancheggiata da quello spregevole rinnegato che fu l’imperatore Tedosio, ha distrutto templi, statue degli dei, luoghi di culto con una frenesia selvaggia, ma che ha fatto decine di migliaia di vittime, tantissimi leali cittadini dell’impero messi a morte perché colpevoli di continuare a seguire la religione dei padri, e leggendo l’elencazione della lunga fila di orrori, si stenta a capire dove sia (ammesso che ve ne sia una) la differenza tra cristianesimo e nazismo, nonché comunismo (ma non una cosa all’acqua di rose, quello di Stalin e di Pol Pot, per intenderci). 

Nella loro frenesia sanguinaria, gli inquisitori di Teodosio arrivarono al punto di massacrare bambini che si erano messi a giocare con i frammenti delle statue abbattute degli dei.

L’elencazione delle atrocità compiute potrebbe essere molto lunga, ed annoiare, come annoiano gli elenchi di cifre. Per comprendere di quale natura fosse il pugno di ferro cristiano che cristianamente strangolò la civiltà romana, forse è meglio citare un solo caso emblematico per tutti, quello di Ipazia. Ipazia era una donna che insegnava filosofia ad Alessandria d’Egitto, ed agli occhi dei cristiani aveva due imperdonabili colpe, quella di essere pagana e di essere una donna che osava occuparsi di una cosa tradizionalmente riservata agli uomini, come la filosofia. 


Il cristianesimo di allora non era meno maschilista e misogino di quello di oggi, o dell’islam. Nei testi di storia di filosofia ci si limita a raccontare che Ipazia fu linciata da una folla di cristiani, lasciando intendere una reazione magari brutale ma non premeditata da parte di una folla isterica. Le cose andarono in maniera un po’ diversa: mentre se ne andava per strada per i fatti suoi, fu sequestrata da una squadraccia cristiana e trascinata a forza nel duomo di Alessandria, dove alla presenza del vescovo che aveva organizzato tutta la faccenda, le fu intentato un processo farsa, quindi fu linciata dai fedeli presenti, il suo corpo fu fatto a pezzi, ed i suoi resti furono buttati in un immondezzaio. 

La lezione certamente servì, passarono parecchi secoli prima che le donne osassero ricominciare a pensare con la loro testa, ma se un giorno fosse possibile chiamare i cristiani a rispondere delle atrocità commesse nei secoli in nome del loro Dio, allora si che ne vedremmo delle belle.

Oggi le Chiese cristiane, a cominciare da quella cattolica, tendono a presentarsi come la quintessenza della mitezza e della bontà, si tratta di un atteggiamento falso, dettato dal fatto che il cristianesimo è in difficoltà, sta perdendo rapidamente credibilità e potere, e che fida sull’ignoranza della storia da parte della gente comune.

L’articolo cita in apertura un episodio storico poco noto, che rappresentò la sconfitta definitiva dello stato romano, del paganesimo, della civiltà classica da parte della coalizione (equazione) cristianesimo – barbarie, un episodio che fa capire molte cose, al punto che non c’è proprio da stupirsi del fatto che il più delle volte i testi di storia non ne facciano menzione. Nel 394 le truppe dell’imperatore d’oriente, l’ineffabile Teodosio, venute ad invadere l’Italia e ad imporre, come d’abitudine, il cristianesimo con la violenza al riluttante impero occidentale, si scontrarono sul fiume Frigido, oggi Vipacco nei pressi di Gorizia con quelle dell’impero d’occidente al comando dell’imperatore Eugenio, e disgraziatamente vinsero.

Le ragioni per sottacere quest’episodio da parte della pubblicistica cristiana sono molte: innanzi tutto, vediamo che ottant’anni dopo l’editto di Milano di Costantino, vi era ancora chi era disposto a prendere le armi in difesa dell’antica religione, che la restaurazione del paganesimo non era stata una "fissazione" del solo Giuliano, ma rispondeva al bisogno di riportare l’impero ad una situazione di normalità.

Una cosa che Costantino aveva capito benissimo e che Teodosio sapeva alla perfezione, era che non esisteva nessuna compatibilità possibile fra lo stato romano, i valori di Roma ed il cristianesimo. Nel momento stesso in cui si era impadronito dell’impero, Costantino aveva iniziato lo smantellamento dello stato romano a favore della costituzione di una tirannide sacrale basata sulla nuova religione, collocata in oriente e che si rifaceva allo stesso modello dispotico che si era sviluppato per secoli all’ombra delle piramidi e delle zigurrat, spostando il centro nevralgico dell’impero sul Bosforo dove iniziò l’edificazione della nuova capitale che da lui prese il nome, Costantinopoli.

In questa prospettiva l’occidente, l’Italia, le Gallie, l’Iberia, la Britannia non divenivano altro che una terra occupata, una preda bellica dalla quale saccheggiare più risorse possibili nel minor tempo possibile. Quello che Giuliano ed Eugenio cercarono di fare restaurando il paganesimo, in definitiva non era che salvare l’impero. Che il cristianesimo fosse portatore di valori (o di disvalori) totalmente contrari a quelli di Roma non lo dico io, ma un filosofo come De Rougemont. Ciò che la storia ci dimostra con chiarezza solare, era che se c’era un’utopia irrealizzabile era proprio quella di un impero romano cristiano, della conciliazione fra romanità e cristianesimo, infatti l’impero orientale era destinato a trasformarsi rapidamente in una realtà "bizantina" che di romano non conservava nulla, e l’impero d’occidente, privato del suo nerbo e della sua anima, a dissolversi rapidamente.

Un altro punto che ho appreso con estremo interesse e, sono sincero, con una punta di commozione, è che in difesa dell’Occidente si schierarono quel giorno sul Vipacco legionari reclutati in Italia ed in Gallia, mentre Teodosio schierava un’accozzaglia di mercenari barbari: Visigoti, Alani, Vandali, persino Unni. Da un lato le ultime vere legioni di Roma che, contrariamente a quanto ci è dato spesso ad intendere, non scomparvero nel nulla senza aver combattuto la loro ultima battaglia, dall’altro una torma di mercenari che sembra quasi la prefigurazione di quelle plebi "mondialiste" che oggi assediano l’Europa ed alle quali le Chiese cristiane vorrebbero che spalancassimo le porte e le braccia fino ad essere sommersi, fino alla completa sparizione dell’homo europeus, rivelando così che il fondo anti – europeo del cristianesimo è sempre vivo.

Nell’editoriale del direttore di "Focus" Sandro Boeri c’è un commento a quest’articolo. Vandali e Unni hanno ancora oggi una pessima fama, eppure furono loro a determinare la definitiva vittoria del cristianesimo. Dovremmo essergliene grati? Dovremmo essere loro grati di aver distrutto la maggiore civiltà del mondo antico e di aver assicurato all’Europa un millennio di barbarie e di oscurità sotto il segno opprimente della croce?

Un altro punto, che non si legge senza commozione, è che i legionari schierati quel giorno sul Vipacco in difesa della civiltà e del paganesimo contro i "crociati" cristiani e barbari, erano italici e gallici. Per un lungo lasso della storia antica, romanità e celtismo hanno vissuto di antagonismo reciproco, e la convivenza fra i due non è stata certo facile dopo la conquista romana delle Gallie, eppure eccoli lì, schierati insieme quel giorno, nell’ultima difesa della civiltà antica. Al disopra della contrapposizione fra l’uno e l’altra risalta la comune appartenenza al mondo pagano ed europeo.

I legionari romano – gallici si comportarono bene quel giorno, e senza un seguito di circostanze davvero sfortunate avrebbero inflitto all’accozzaglia barbarica l’ennesima sconfitta. Due circostanze davvero sfortunate volsero l’esito dello scontro a favore dei "crociati" barbari di Teodosio: un reparto dei difensori che avrebbe dovuto aggirare e prendere alle spalle le posizioni dei "crociati" tradì per denaro e passò al nemico, ma soprattutto si levò il vento, la micidiale bora, che ributtava loro addosso le frecce dei difensori e dava più slancio a quelle dei nemici.

Ammettere la sconfitta non è disonorevole, quando essa non è imputabile a mancanza di valore, nella storia vi sono alcune sconfitte nelle quali il valore sfortunato brilla più di quello premiato dal fato di tante vittorie, le Termopili, El Alamein, il quadrato della Vecchia Guardia che "muore ma non si arrende" a Waterloo.

Ciò che conta è saper trarre esempio da esse per maturare dentro di noi la determinazione che alla fine è destinata a vincere.


Fabio Calabrese

Risultati immagini per Il paganesimo resiste ... e insiste

(Noi pagani - commento su Focus numero 154)

"Bioregionalismo ed economia sostenibile" - Documento storico

Risultati immagini per bioregionalismo calcata
2003 - Escursione alle grotte nella Valle del Treja

Il racconto che segue è stato pubblicato sull’ultimo numero del  Bullettin, l’organo del Circolo Vegetariano VV.TT., che uscì in forma di “brochure” in occasione dell’incontro della Rete Bioregionale Italiana, tenuto a Calcata (nel Tempio della Spiritualità della Natura e nella sala Consiliare del Comune) dal 9 all’11 maggio del 2003. Il tema trattato era: "Bioregionalismo ed Economia Sostenibile"


Risultati immagini per bioregionalismo calcata
La vecchia sede del Circolo Vegetariano VV.TT. di Calcata

Testo:
Strettamente parlando, da un punto di vista delle finalità, la spiritualità laica e l’ecologia profonda affondano il loro esistere nella coscienza. L’uomo si è interrogato sulle forze della natura e sulla vita e questo interrogarsi ha prodotto la spiritualità, l’ecologia profonda è un approfondimento in senso materiale di questa ricerca. Entrambi gli approcci partono dall’esistente, dal modo di percepire noi stessi e la realtà che ci circonda, il primo è un approccio in senso metafisico mentre il secondo prende in esame il fisico ma non v’è differenza fra i due aspetti se non nel modo descrittivo.

Nell’ecologia profonda come nella spiritualità naturale si sottintende un ’quid’ che impregna le trame della vita. Tale ’quid’ è stato descritto come sorgente di tutte le cose, indipendentemente dal chiamarlo ’spirito’ o ’forza vitale’. Dall’interrogarsi iniziale siamo giunti a tutte le filosofie gnostiche, alle religioni d’oriente come pure alle grandi religioni monoteiste in cui, sia pur con angolazioni differenti, si inneggia al grande mistero della vita, questa è anche l’esigenza dell’ecologia che sempre tiene in conto il delicato equilibrio dell’insieme delle manifestazioni vitali. Spesso mi son trovato a descrivere l’esigenza di estrinsecazione spirituale dell’uomo come la nascita della prima virtualizzazione. Attraverso il pensiero e la speculazione intellettuale è infatti sorta la virtualità, l’immaginare, il presupporre vero sulla base di un pensiero (di un credere) e questa proiezione, una ’vis’ umana specifica, è forse presente anche nel resto dei viventi, chissà? 


Ad esempio nelle teorie del karma si descrive la vita individuale degli esseri come un percorso evolutivo che parte da una scintilla dell’intelligenza che poi si differenzia in miriadi di forme, a volte contrapposte, che son però strettamente collegate l’una a l’altra ed in continua ascesa verso la stessa finalità. Una unità questa che non è mai venuta meno anche durante il cosiddetto "percorso karmico" ma per via dell’illusione, ovvero la virtualità del pensiero, appare disgiunta ed imperfetta (e quindi perfettibile?). L’ecologia profonda, dal punto di vista materiale, è un aiuto a capire che non c’è nel contesto generale della vita un dietro od un avanti che non sia strettamente consequenziale, che non compartecipi della stess a sostanza di base e che perciò è impossibile scindere, pena l’estinzione stessa della vita.

Ed ora una domanda: come faremmo a vivere su questa Terra se tutti decidessimo di ritirarci in eremitaggio, di ritornare alla terra come si dice in gergo, senza immediatamente sconvolgere, distruggere definitivamente, il già precario equilibrio di questo pianeta? La Terra ospita ormai diversi miliardi di persone, perlopiù riunite in aree urbane, è pur vero che parecchie specie animali sono in netta diminuzione ma per contro molte di quelle addomesticate dall’uomo (essenzialmente per scopi voluttuari o di carenza affettiva) superano in numero gli umani stessi e come gli umani che vivono nelle città anch’essi son concentrati in grandi allevamenti. Se ognuno di noi dovesse andare a vivere in campagna, immaginando una società egualitaria, avremmo forse a disposizione non più di duecento metri di terreno a testa senza contare le zone desertiche, i ghiacciai, le alte montagne, se in più volessimo portare con noi anche i nostri "pets" dovremmo dividere quel piccolo spazio con cani e gatti, se poi volessimo mangiar carne dovremmo dividere ulteriormente la nostra casa con pecore, mucche, conigli, maiali, etc. 


Si fa presto ad immaginare la calca che si verrebbe a creare nei nostri duecento metri quadrati di terra, non solo ma come potremmo produrre in quel piccolo orticello abbastanza cibo per tutti i membri della nostra personale comunità rurale? Va da sé che questa tipo di scelta è impensabile per la massa come pure, per altre ragioni persino più serie, è impensabile che la vita possa continuare a lungo sul pianeta se continuiamo a sfruttare le risorse per soddisfare le esigenze di consumo parossistico dei grandi agglomerati urbani.

I lemming, quel popolo di roditori che in caso di sovraffollamento periodicamente emigrano in massa, avrebbero già intrapreso il loro viaggio finale (che come tutti sappiamo finisce nelle gelide acque del mare del nord) per riequilibrare la natura. In parte un tale comportamento autodistruttivo sta avvenendo anche nella nostra società, con l’aumento delle guerre, dei suicidi, delle perversioni, della stupidità. Ma non è ancora sufficiente a trovare quell’equilibrio naturale di sopravvivenza e questo perché l’uomo ha l’arroganza di ritenersi un essere "superiore" alle altre specie e perciò ogni soluzione deve comprendere la continuazione del gioco attualmente in programma e cioè la fissità della nostra specie come dominante.

Ma a questo punto re-inserisco il concetto di "spiritualità naturale o laica". A dire il vero questa spiritualità non può assomigliare punto alla precedente spiritualità religiosa ma deve necessariamente tener conto del contesto vitale in se stesso, ovvero dell’ecologia. Una spiritualità ecologica in cui non si perseguano scopi immaginari (paradisi, inferni, etc.) ma in cui ci si occupi esclusivamente del presente stato dell’esistenza. Una presa di coscienza ’individuale’ di come è possibile il riequilibrio al contesto della vita senza ritenere che la nostra sia una funzione di controllo, di dominio (o di sudditanza ad una ipotetica divinità altra). 


Ognuno di noi dovrebbe già da ora affrontare il suo personale corso di sopravvivenza sapendo che tutto quello che noi rubiamo oggi dovrà sicuramente essere pagato domani, questo nel caso del sovrappiù, mentre se il nostro respirare, mangiare, vivere rientra nell’insieme del vivere, respirare, mangiare di ogni altro essere vivente potremmo finalmente goderci la vita, senza aver colpe da espiare, senza dover abbandonare il nostro modo di vita urbanizzato e fortemente sociale che -evidentemente- salvo il famoso riequilibrio di cui abbiamo detto, ha contribuito alla fioritura di questa bellissima nostra specie.

In questa fase della storia millenaria dell’uomo abbiamo privilegiato il secondario, il superfluo, a scapito del primario, ovvero il cibo, l’acqua, l’aria. E’ importante per noi esseri umani integrati analizzare le ragioni di questo sviamento. Uno sviamento che senz’altro è stato necessario per scoprire il valore di tesi astratte come l’arte, la scrittura, l’estetica, l’etica, ma che non può continuare ad occupare tutto lo spazio possibile del nostro esistere. Ad esempio dobbiamo essere consapevoli dello sforzo e del significato profondo insito nella ricerca e produzione del nostro cibo quotidiano.

Descrivo ora l’excursus storico sulla nostra evoluzione. La storia dell’uomo è molto semplice e rispecchia i quattro mutamenti fondamentali della vita. L’uomo nella sua corsa evolutiva compie quattro salti stagionali. All’inizio egli succhia il latte, alla base del latte c’è la verdura e la carne e ciò diviene il suo cibo, poi ancora oltre c’è la terra ed ecco l’uomo che la divora ma oltre la terra c’è lo spirito e l’uomo nutrendosi di "spirito" completa un altro ciclo di spirale nella scala dell’evoluzione. 


Questa simbologia può essere tradotta così: il latte rappresenta il momento in cui l’umanità si pone reverente verso la nutrice, la natura, che lo accudisce e lo sostiene nel suo grembo (potremmo dire che corrisponde al momento del "paradiso terrestre"); subentra poi la capacità di auto-sostenersi e di ricorrere a tecnologie appropriate per ricavare da se stessi il nutrimento (corrisponde al momento della fondazione patriarcale); ecco quindi il momento del massimo sviluppo tecnologico e sociale in cui l’uomo tende a divorare, a consumare, persino la terra che lo sostiene (il momento della decadenza consumistica e dell’idolatria scientifico religiosa); infine viene il momento della coscienza indifferenziata, l’uomo vien toccato dallo "spirito" si compenetra in esso e ritrova la sua unità primigenia (corrisponde al quid originario, alla consapevolezza di Sé), il ciclo si ripete passo dopo passo. 


E’ evidente che questo momento storico è segnato da un grande sbalzo fra il massimo del materialismo ideologico o religioso a quello di un ritorno alla consapevolezza non duale.

Come possiamo affrontare condizioni o contingenze apparentemente diametralmente opposte? Innanzi tutto c’è da considerare una cosa: la spinta evolutiva nell’uomo non è indotta da ideologie di massa, il pensiero di massa serve solo al mantenimento della compattezza psicofisica della specie, l’indice del cambiamento è sempre e solo rappresentato da forme pensiero, pseudopodi, che si irradiano verso possibili sbocchi evolutivi, questi pseudopodi non rappresentano che una piccolissima percentuale della massa, si tratta di minoranze….. 


Le due minoranze attualmente in antitesi, nel "programma" di sviluppo dell’intelligenza umana, son rappresentate da una parte dall’accentramento individuale del potere (lobby ideologiche ed economiche auto-foraggianti) e dall’altra da una rete smagliata di piccole persone che emanano forme pensiero collegate al tutto (una sorta di sincretismo universale).

Questi cicli o percorsi storici si manifestano allo stesso tempo sia nell’arco di una sola vita individuale che in stagioni o onde storiche, ere cosmiche. Mi sembra che questo momento di transizione, fra una condizione e l’altra dell’umano, sia dedicato all’aspetto distruttivo di ogni sovrastruttura di pensiero, un azzeramento dei canoni precostituiti. Infatti oggi come non mai la pulsione verso l’uscita dagli schemi fissati provoca uno stato sismico mentale (scossoni psichici) al corpo-massa dell’umanità. Basterebbe sapere che, come avviene nel processo realizzativo del sé, ogni singola cellula del corpo sociale umano deve essere toccata e deve essere in grado di percepire individualmente la reale possibilità evolutiva in corso. E mentre la tendenza egocentrica agisce sulla massa con meccanismi di aggregazione forzata (vedi la massificazione informativa) al contrario "l’aumento" della coscienza avviene sui piani emotivi individuali. 


Dobbiamo essere consapevoli di ciò quando, come precursori, proponiamo un indirizzo bioregionale che non potrà certamente usare i mezzi della controparte ma deve comunque comprenderli organicamente e da lì evolversi. Solo così può sciogliersi il senso di differenza e la coscienza può ri-trovare il suo spazio. L’interno dell’uomo è ancora tutto un mondo da esplorare ma anche l’esterno è altrettanto infinito ed inconoscibile. Per questo si ripropone sempre la via di mezzo, la moderazione, come unica strada possibile per la continuità della specie. La consapevolezza non-duale integra non divide. E’ per questo che nell’ecologia del profondo e nella spiritualità laica si narra del ritorno alla Terra, ascoltandone il suo messaggio, pervenendo così a quell’integrazione con essa. Godendo della silenziosa gioia di vita, qui e d ora. Una gioia che non ha costrutto, nessuna causa, nessun meccanismo da soddisfare, nessun possesso, solo è…. Si chiama esistenza.

Ma attenzione… tale visione non ipotizza il ritorno al primitivismo bensì individua nelle attuali condizioni della società avanzata l’occasione di un riequilibrio. La continuità della nostra società, in quanto specie umana, richiede una chiave evolutiva, una comprensione globale, per mezzo della quale aprire la nostra mente alla consapevolezza di condividere con l’intero pianeta (forse sarebbe meglio dire con l’universo) l’esperienza vita. Questa è la scienza dell’inscindibilità della vita. 


Ne consegue che anche l’economia umana può e deve tener conto di questa visione per avviare un progresso tecnologico che non si contrapponga ma che sia in sintonia con i processi vitali. La scienza e la tecnologia in ogni campo di applicazione dovranno rispondere alla domanda: "E’ ciò ecologicamente e spiritualmente compatibile?" I macchinari, le fonti energetiche, lo smaltimento dei sottoprodotti, come pure la socialità e la cultura, dovranno essere realizzati in termini di sostenibilità. Se questo stimolo si manifesta nella mente umana allora sarà necessario un rapido processo di riconversione e riqualificazione industriale ed agricola che già di per se stesso sarà in grado di sostenere l’economia. Infatti la sola "riconversione ecologica" favorirà il superamento dell’attuale stato di "enpasse" impartendo grande spinta allo sviluppo economico e sociale. 


Una grande rivoluzione comprendente il nostro far pace con il pianeta e con gli esseri viventi che lo abitano.

Paolo D'Arpini


Risultati immagini per bioregionalismo calcata

Quanto manca alla fine?


Risultati immagini per Quanto manca alla fine?

A volte sembra d’essere prossimi a vedere realizzati quei cambiamenti
di paradigma che ci stanno a cuore. L’ambiente non più argomento di
facciata, la questione demografica come problema primario, politiche
dedicate all’homo senziente, non più solo oeconomicus, il cibo, i
sentimenti e l’inquinamento come fonte di salute e/o malattia,
altrimenti detto l’industria farmaceutica della malattia, la Terra
come sacra, eccetera. Ma non è così. Manca ancora molto.

Si può ipotizzare e supporre sia esperienza comune alla maggioranza di
noi avere avuto la sensazione che le cose stiano per cambiare. Mi
riferisco alla cultura, quel seno dal quale succhiamo valori e
pensieri, speranze e direzioni, scelte e possibilità.


Oggi più che mai sembra vicino il momento in cui al pil - come
referente del benessere di una nazione - venga sostituito un criterio
politico che ha nell’uomo e i nei suoi bisogni fondanti il criterio di
ricerca e scelta.


Oggi più che mai sembra che l’ambiente possa definitivamente assurgere
a problema capitale e non semplice corollario di governi che non
vogliono fare la figura dei cattivi.


Oggi come mai qualcuno accenna al problema demografico mondiale. Non
nei riduttivi termini produttivo-economici, entro i quali normalmente
viene citato a sostegno dei problemi di crescita economica che
affliggono tutti gli stati indebitati; neppure in quelli a sfondo
razzistico, usati per argomentare - più o meno velatamente - che
musulmani e cinesi seppelliranno tutti i signor Rossi e con buona pace
di tutti. Il problema demografico riguarda invece l’implicito concetto
di crescita infinita, incompatibile con tutto, in particolare con una
Terra finita. Se la crescita demografica, così auspicata affinché i
signori Rossi restino prevalenti sui Mohammad, affinché nuovi
consumatori sostituiscano quelli che ci hanno lasciato e l’economia
possa così mantenere il suo règime, è invece vista attraverso la
preoccupante ottica della ninfea, il sentimento e quindi le cose
cambiano.


In un lago le ninfee raddoppiano ogni giorno. Se impiegano 10 giorni a
coprire l’intera superficie, quanti giorni saranno necessari per
coprirne la metà?


Ecco, indipendentemente dal punto in cui siamo - che non è certo ai
primi giorni - la questione demografica, come qualunque altra se vista
con la storpiante lente della crescita infinita, ha questa
caratteristica. Preoccuparsene ha senso, affinché le case
farmaceutiche, già abili nel mantenere alto il mercato dei propri
clienti, non siano esortate - stavolta esplicitamente  - a produrre e
diffondere pillole decimanti, e contagianti virus dal costoso
antidoto. Sempre per il bene comune, sia chiaro.
Durante l’incontro, non una voce è stata dedicata alla sicurezza
dall’interno, come se disoccupazione, soglia della povertà, oltre alla
criminalità organizzata e vessazione fiscale non facessero parte del
problema.

Ma era tutta una sensazione che suggellava quell’ipotizzare e quel
supporre. Una sensazione coltivata entro l’intimità del proprio
ambiente, tra le strenue staccionate con le quali cerchiamo di
proteggere il nostro pensiero, entro le quali cerchiamo di erigere le
nostre rampe di lancio verso il futuro.
Una recinzione eretta con tutto il nostro impegno, ma la cui tenuta è
scarsa, nulla, di fronte alle altre forze in campo. Quanto godiamo,
quanto lucidamente vediamo al cospetto del nostro focolare, confortati
da amici e sodali, viene spazzato via come una vita nella pressione
incalcolabile di una valanga carica della cultura che vorremmo
aggiornare.

Così, costretto da un aggiornamento obbligatorio ai giornalisti, ho
presenziato ad un incontro intitolato Le prospettive della Nuova
Strategia globale dell’Unione Europea.
Al tavolo la moderatrice, professoressa Paola Bilancia, Università
degli Studi di Milano, ha presentato i relatori come i massimi esperti
nazionali ed internazionali sul tema della sicurezza dell’Unione.


Erano i dottori
Flavio Brugnoli, direttore Centro Studi sul Federalismo, Gianni
Bonvicini e Vincenzo Camporini, entrambi Vicepresidenti Istituto
Affari Internazionali, quest’ultimo ex Capo di Stato Maggiore della
Difesa 2008-11.
In quell’aula la mia staccionata ha retto poco, niente, sotto il peso
di quanto sentivo.


Ecco qualche appunto preso in ordine cronologico.


- La strategia egemonica degli Stati Uniti si avvia dal dopoguerra con
il piano Marshall, la creazione della Nato, l’imposizione del dollaro
come riferimento dell’economia mondiale. Nulla di strano da un punto
di vista storico. La sorpresa sta nel sentirlo affermare come una
conditio sine qua non della nostra stessa storia e cultura; nel
sentirlo affermare come dato costituente di noi stessi, non come dato
dal quale liberarsi; nel vederlo dichiarato come necessario, lasciando
che la nostra sovranità, politica, economica vada perduta tranne che
per avvallare quell’egemonia.


- L’incontro aveva come fulcro il recente (28.06.16) rapporto della
nostra Federica Mogherini, attuale Alto rappresentante dell’Unione per
gli affari esteri e la politica di sicurezza, Una strategia globale
per la politica estera e di sicurezza dell’Unione europea, da cui il
titolo dell’incontro al quale stavo partecipando. Il documento,
naturalmente più volte citato, è servito anche per precisare che
attualmente il problema della sicurezza non riguarda più come in
passato una questione tra stati, ma la minaccia viene da entità che
non sono solo stati. Vero e sacrosanto, tuttavia mi ha ricordato
quanto le leggi - costituenti a parte - tanto più hanno a che fare con
i grandi numeri, tanto più sono in ritardo rispetto a ciò che vogliono
regolamentare. Senza contare che nei grandi numeri, e la
globalizzazione li ha fortemente moltiplicati, la velocità di
mutamento è a sua volta accelerata, rendendo fortemente volatili le
dinamiche intersociali. E la globalizzazione della comunicazione ne è
il sistema circolatorio. Dunque un’asserzione del rapporto, presentata
come cardine imprescindibile per la sicurezza nel 2016 a 15 anni dal
crollo delle Twin Towers, oltre tre mila morti, a 23 dal primo
attentato di al Qaeda sempre alle Torri Gemelle del 1993, sei morti,
mille feriti. Oltre alla contabilità dei morti e degli anni c’era da
considerare il simbolismo di quelle azioni per cogliere prima d’ora
che nel mirino della sicurezza era entrato un elemento che non si
muoveva per invadere stati ma valori, che il World Trade Center meglio
di altro esprimeva e testualmente dichiarava.


La panoplia occidentale, quindi anche europea, è sempre più estesa e
articolata. Ciò comporta un sicuro incremento di attenzione e ricerca
nella tecnologia perché è il vantaggio tecnologico che produce
sicurezza. Non ricordo chi dei quattro l’abbia detto ma tutti erano
d’accordo e non hanno obiettato né rimodulato il concetto. Siccome la
paura è crescente e siccome con essa si abbassa lo standard di
tolleranza, le forze da dedicare allo stato sociale tenderanno a
ridursi affinché quel vantaggio tecnologico sia mantenuto. Sempre che
la Cina, l’India, il Pakistan, la Russia non la pensino nello stesso
modo.


Ai tempi di Solana, che precedette la Mogherini, due problemi che l’UE
voleva affrontare erano l’incremento del mercato delle armi e le
mafie. Nel rapporto del 2016 si trova invece un appello alla questione
ambientale e uno a quello esistenziale. Bello. Ci sarebbe d’andarne
fieri. Ci sarebbe, sì, perché poi ho sentito dire, ripetere e ribadire
che è un peccato che i finanziamenti alla Difesa siano stati ridotti.
“Un peccato perché grazie all’industria per gli armamenti avremmo
goduto di positive ricadute sociali, perché il pil crescerebbe. In
pratica è un boomerang doloroso non incrementare quell’industria.”
- Nel documento si fa volontà di elevare l’Unione Europea a attore
internazionale. È stata una delle sorprese. Pensavo che quella volontà
esistesse da sempre, che precisarlo ora a mo’ di linea guida, fosse
pleonastico. Mi sbagliavo. Come quando credevo che la mia staccionata
avesse potuto reggere la magnitudo alla quale stavo assistendo.


- L’Unione Europea è un cantiere aperto, leggevo su una delle
diapositive sul muro alle spalle del tavolo dei relatori. Non era un
titolo allarmante, almeno fino a quando ne ho ascoltato i contenuti,
tutti, effettivamente, di non facile accesso ai profani, tutti
prodotti evidentemente da accurati e particolari studi e ricerche. “La
sicurezza dell’Unione dipende dai valori e dagli interessi dei 27
Paesi che ne fanno parte.”


Di Junker, attuale vice della Mogherini, si è detto poco e quel poco
non poteva che essere la sua affermazione dedicata ad invocare la
necessità di un esercito europeo. Il discorso è subito andato avanti,
tranne che per un attimo, nel quale mi sono chiesto che senso patrio
potessero avere quei soldati e che forza morale per tenere duro visto
che sarebbero stati irregimentati per denaro e non per ideali.
Ma come dare contro a dei professionisti della guerra, se gli stessi
ministri degli esteri dei Paesi membri dell’Unione Europea in
occasioni quali la crisi jugoslava, solo per dirne una, non sono
convolati loro sponte - e neppure da nessuno sollecitati - ad un
comune tavolo a Bruxelles per dedicarsi anima e corpo alla ricerca di
una azione europea.


- Ma nel 2016 c’è stato un altro step da non tralasciare. Questa volta
senza ironia visto le tragedie che evoca. Il documento riferisce di
realizzare una politica estera militare non più dedicata a far capire
a quei selvaggi come si devono organizzare gli stati e come devono
stare le cose, bensì in forma di aiuto senza alcuna ingerenza. Dopo
l’epoca, i mercenari e le risorse spese per l’esportazione della
democrazia abbiamo capito ciò che, tra gli altri, anche Mu’ammar
Gheddafi aveva in pratica detto in suo intervento alle Nazioni Unite
il 23 settembre 2009.
- Ora l’Unione Europea da economica deve divenire politica affinché la
sicurezza se ne giovi. Se l’avessi letto in un tema liceale avei
pensato d’essere di fronte ad uno statista in fieri. Al momento mi
sono sentito travolto da un’onda più forte delle precedenti.

Del mio recinto non restava nulla e, non riuscivo a vedere bene, ma
probabilmente anche del mio praticello. Ma è bastato poco per
accorgermi che non avevo previsto male.
- L’attuale situazione sta entro le 3C. Complesso, per movimenti dei
poteri e degli interessi nazionali; Connesso, ogni evento ovunque si
verifichi deve interessarci, tutto è connesso a tutto; Conflitto, che
ora è da considerare permanente. È una sintesi efficace che non so da
chi possa essere contestata. È una sintesi che dice che siamo sulle
uova, che sa che Donald Trump o Marine Le Pen - nel caso vincesse le
presidenziali francesi del prossimo aprile - potranno con poco muovere
molto. Forse più che un cantiere, l’Unione Europea è un omelette,
nella quale, tra l’altro, delle nostre specialità non si sentirà
neppure il retrogusto.

L’incontro al quale stavo partecipando, oltre che momento
dell’aggiornamento dei giornalisti era elemento di un corso
universitario, numerosi erano gli studenti presenti. Per questi e per
i colleghi che non si erano mai occupati di certi argomenti, no, ma
per me sentii imbarazzo più volte assistendo alla presentazione di
consapevolezze circolanti da decenni e anche secoli, come illuminanti
intuizioni dell’ultima ora, a firma Unione Europea.

La motonave della cultura ha curve lunghe e gira piano, ancora più
piano in momenti di crisi, di nazionalismi e di paure. In queste
contingenti, burrascose acque tutti i marosi vanno presi di prua.
Appare perfino infantile pensare ad alternative quando “manca la mappa
del disegno complessivo della politica dell’Ue”. Chi ha il timone non
ha la rotta. Una banalità per chi si guarda intorno, per quanto
terrifica.


Come diceva in una domanda posta ai relatori da un giornalista
presente “il casino organizzativo è assoluto.”

Dunque nessun lapillo verso quella meta che ci sta a cuore, che ci era
parsa a volte prossima.


Ma quanto manca alla fine?


Lorenzo Merlo


Risultati immagini per Quanto manca alla fine?