Alea iacta est?
Non più
riferimenti. Anche nell’emergenza della guerra ce ne sono, sia per
i militari che per i civili. L’idea, il luogo, la fuga per la
sopravvivenza sono chiari. Ora no. Come con il terrorismo più cieco
e violento. Siamo in trappola o, in alternativa, colmi di paura come
selvaggina nella battuta. In balia di eventi le cui spiegazioni hanno
uno spettro che va dall’incompiuto al complotto lungamente
premeditato, passando per tutte le vie di mezzo incompetenti,
autoritarie, alternative, contraddittorie.
Le persone sono
disorientate. Quanto sentono dal web non ha nulla a che fare con
quanto si sente dalle tv e dai giornali di Stato. I giornali di Stato
cercano di tenere botta con modi che vanno da la verità sono io
alla richiesta di obolo per cercare di sopravvivere. E ci
riusciranno perché sono a loro volta merce e arma di chi li
possiede. Non resta che attendere censure crescenti per il web, suo
oscuramento o hackeraggio governativo. Tutto naturalmente in nome del
nostro bene oppure causato da qualche hacker nonché da imprevedibili
blackout informatici.
Che il virus sia
solo un diversivo di copertura a progetti egemonici da parte delle
ormai ubiquamente citate forze delle profondità finanziarie? Forse
le stesse che hanno demolito, insieme al Muro di Berlino, anche
l’Unione Sovietica? Quelle che forse a quel punto si credevano con
la Terra spianata pronta ad essere riempita di plastica e bancarelle,
di merci e banche? Quelle che non hanno esitato a creare guerre e
terrorismi islamici per focalizzare l’attenzione lontano dalle loro
trame? Quelle che dopo aver raso al suolo Stati interi si sono infine
dedicati alla Cina. Questa volta però, senza calcolare che, se
l‘antracite era bastata per impiccare Saddam Hussein e mandare a
gambe all’aria l’Iraq pur di alzare il livello dello scontro, a
suo vantaggio, tra sciiti e sunniti, il virus, non è bastato a
piegare l’economia cinese. Un bel guaio se non dovessero ora
riuscire a comprare la sua classe dirigente affinché il boicottaggio
provenga dal suo interno.
Perché tanta
fantasia? Da un punto di vista fisico, la terra non sopporta più la
demografia in esplosione, da quello geopolitico (termine ormai
svuotato di senso), il progetto egemonico dei pochi non regge più la
nazionalizzazione delle politiche e la crescente consapevolezza a
mezzo web. Forse hanno premuto il bottone del D-day. Nel panorama
dell’immaginazione, la narrazione non ha salti logici, quindi è
del tutto proponibile che il peggio sia già qui, sebbene ancora così
silente e ingannatore.
Loro
Nell’incessante
sciabordio di informazioni un dato galleggia sempre a porre e
riproporre una domanda tanto necessaria quanto paurosa: Come è
possibile che loro non abbiano contatti con la base, con noi?
Ricordano gli aiuti umanitari portati agli afghani. Gli americani
costruivano asili e cliniche e i locali dei villaggi circostanti li
distruggevano. Non erano stati consultati su dove sarebbe stato più
opportuno realizzare le opere.
Sì, è vero non
siamo la base di niente. Tranne per quelli che credono nella
democrazia.
La democrazia. Mai
esistita se non per controllare con modalità illuministe, con metodi
di velluto e d’oro. Se non per mantenere lo stato di schiavitù e
mano d’opera accondiscendente, se non per farci bere calici di
balzelli seduti ad una mensa dal servizio decrescente, seppur tante
volte il bastante per evitare il concerto di posate. Forse sono
terminati anche quei tempi nei quali ognuno, dentro sé riusciva
ancora a portare l’attenzione sulla buona volontà. Finiti perché
dopo innumerevoli tentativi la buona volontà e le gentili lamentele
delle singole persone non sono state ascoltate da chi di dovere per
migliorare i servizi della mensa. Mentre loro osservavano la
capacità sorprendentemente adattativa degli uomini. Mentre loro
farcivano la democrazia di cunei separatori tra categorie, tra
persone.
Trenta anni or
sono, il cuore delle proteste ha cessato di pompare. Edonismo,
individualismo, liberismo, come vampiri, hanno succhiato la vitalità
degli uomini. Per poi rigettarla in canali artefatti che loro stessi
avevano costruito credendo di realizzare il vero scopo della vita:
avere successo, disinteressarsi del prossimo, delle cose, degli
animali, dell’ambiente, correre verso la trinità della
disperazione: l’accumulo, il denaro, il potere. Una fede.
Destinata a condurci verso una bara ricolma di banconote e protesi
tecnologiche, per un corpo afflitto da malattie e uno spirito
svuotato di serenità.
Pusillanimità
culturale
Opportunamente e
facilmente indottrinati, per timore di annegare nel poco che
avevano, gli uomini hanno venduto la propria madre pur di seguire la
corrente del globalismo. Per quegli uomini si trattava di un evento
immane, come la natura. Mai di una catena di scelte compiute dai suoi
simili. Un evento salvifico dunque, che avrebbe, solo lui, concesso
loro di seguitare la personale e sociale rincorsa verso una realtà
che vedeva pregna di significato e sostanza, che non sospettavano
riguardasse la fittizia superficie dell’esistenza, l’apparire.
Ora, che siamo al
centro del guado e le sponde sono lontane, di tutto può accadere.
Chi aveva già le consapevolezze critiche nei confronti dell’andazzo
ha il web come ultimo appello per radunare i simili a se stesso, per
tenere viva la speranza di essere considerato, di tornare a credere
in qualcosa che non sia solo il proprio bieco interesse. Dentro
questa speranza serpeggia il rischio di radunare anche la moltitudine
di popolo che necessariamente vorrà affidarsi ai guru: non dispone
del necessario per fare propria la filologia della protesta; dispone
di energia notevole che privata di dialettica, non ha altro canale
che la rabbia verso il prossimo e l’eventualità della violenza
verso se stesso. La perdita di controllo del poco che le persone
possono radunare in termini di contrattualità, è alta.
Intanto, la
vaccinazione per il Coronavirus pare obbligatoria. Un fatto grave che
si aggiunge ad appesantire il corpo del risentimento popolare. L’app
di tracciamento contagiosi (e contatti) che, sebbene al momento sia
venduta come facoltativa, non tarderà a mostrare la sua vera
logica. Ovvero se non ne disponi non puoi fare questo e quello
e, per farlo, devi pagare e aspettare, la priorità è per i
possessori dell’app. Le restrizioni sconsiderate, le comunicazioni
ufficiali ondivaghe, tranne nella loro logica terrifica, lo spettro
di una crisi economica che qualunque scintilla muterà in sociale,
che qualunque previsione la considera per più corposa di quella
conosciuta per la clausura domiciliare. La progressiva installazione
delle strutture necessarie al 5G, la promessa di liquidità per la
ripresa economica, bloccata dalla burocrazia strutturale di questa
politica e di queste istituzioni, che neppure una parola hanno
dedicato ad un cambio di registro più ecocentrico, meno egocentrico.
Facile
psicologia
Il senso
vittimistico, mai troppo lontano dalla nostra psicologia, avrà di
che nutrirsi nel paniere del nostro attribuire colpe e responsabilità
al governo. Come fosse colla di pesce, ci sentiremo uniti e solidali
forse sufficientemente per sovversioni piccole o grandi.
Sentirsi vittima
non porta ad alcunché che permetta passi evolutivi, il solo vero
dono nascosto in tutte le scatole delle crisi. Forse al momento ci
sembrerà d’averlo scartato come un regalo inutile. Ma il rilascio
non ha il tempo dell’usa e getta. È a lunga scadenza. Forse, tra
qualche anno o generazione, la crisi del Coronavirus non sarà citata
come la pandemia del 2020, ma come l’avvio definitivo di un nuovo
paradigma. Non più famelico e devastante, non più alla trangugia
e divora.
Ma, per avere fede
è necessario aver preventivamente accreditato il medium che porta la
voce. Un contesto per la maggioranza di noi che non sussiste. Oggi,
dopo l’evidente impossibilità di governare secondo una balistica
da aria compressa, dopo la spumeggiante risacca nella quale è andata
tritandosi la bussola dei valori con la quale avevamo sempre una
direzione da seguire. Come è possibile governare nel senso sublime e
sublimante del concetto? Oggi non c’è che mordi e fuggi. Tutto è
fallito. Le pezze non possono più correggere una modalità di
concezione del mondo, come certa classe dirigente ancora crede.
L’abito va sostituito.
Nessuno più,
tranne le generazioni più anziane, possono ascoltare con credito la
voce ufficiale. Solo alcuni di loro, i meno corrotti dalla diffusione
della comunicazione, quelli che la politica non m’interessa,
ancora si alzano in piedi a battere i tacchi quando entra il re.
Nessun altro.
Suerte. A
tutti noi.