In un luogo chiamato Baadar, nel distretto del Maharashtra, nacque un bambino ad una coppia di sposi molto devota a Dio. Egli venne chiamato Narayana.
Questo bambino era piuttosto cattivo, litigava con tutti gli altri ed era negligente negli studi. Purtroppo all’età di otto anni il padre morì e la povera madre Rama Devi non riusciva più a tenere sotto controllo il temperamento dispettoso e difficile del figlio.
Parenti e vicini la consigliarono di sposare il ragazzo, pensando che una volta messo di fronte alle proprie responsabilità avrebbe migliorato il suo comportamento.
Così, sebbene il ragazzo avesse solamente 13 anni, Rama Devi si lasciò persuadere a combinare il suo matrimonio.
Il giorno delle nozze, secondo usanze comuni, venne posta una cortina di stoffa pesante tra lo sposo e la sposa. La tenda fu poi alzata per permettere alla sposa di avvolgere il filo sacro e beneaugurante intorno al collo dello sposo ma … sorpresa!
Lo sposo era sparito. Lo cercarono ovunque senza successo, di lui si perse ogni traccia, ed il matrimonio andò a monte.
Il ragazzo, sfuggito alla cerimonia nuziale, raggiunse Nasik, un posto vicino alla sorgente del sacro fiume Godavari. Si fermò per qualche tempo ed in seguito si spostò sulla montagna vicina chiamata ‘Chitrakut’, questa montagna è considerata sacra perché Sri Rama visse qui per circa 12 anni.
Si scelse un piccolo luogo ameno, Panchavati, e vi si stabilì.
Narayana fu sopraffatto dalla bellezza e dalla grandiosità di quello scenario come pure dalla santità espressa dall’antico esilio di Rama in quei luoghi, tanto da passare il suo tempo costantemente immerso nella sua contemplazione.
Ma quale fu la causa che trasformò uno sprezzante ragazzetto in un giovane uomo devoto?
Per prima cosa si risvegliarono in lui le buone tendenze innate grazie allo shock prodotto dalla prospettiva di una vita matrimoniale gravosa di responsabilità, ma avvenne anche che, durante il suo soggiorno a Nasik, Narayana entrò in un famoso tempio di Hanuman dove pregò Dio con tutto il cuore per poter avere le stesse nobili qualità per le quali Hanuman era rinomato.
Egli seppe di essere stato ascoltato perché l’idolo incredibilmente si mosse con dolcezza trasmettendo al ragazzo delle vibrazioni spirituali.
Dopo 12 anni di dura penitenza a Panchavati, Narayana raggiunse la *Triplice Realizzazione* di Sri Rama, la stessa che ottenne Hanuman.
Si trattava di questo:
quando egli aveva la Consapevolezza del Corpo allora sapeva di essere il Servitore mentre Rama era il suo Maestro, quando era Cosciente del suo essere come Jiva, ossia come Anima Individuale, allora egli era una parte di Rama *(Visishtaadvaita)*
e quando era Cosciente di Essere l’Atma *, lui e Rama stesso divenivano Una Sola Cosa (Advaita)*.
Dopo aver ricevuto questa realizzazione, egli ritornò a Nasik, dove venne a sapere che il paese si trovava nella morsa della carestia.
Allora si rese conto quanto fosse estremamente egoista passare il tempo pensando solamente alla propria liberazione quando tutt’intorno la gente stava soffrendo la fame e fu allora che coniò il detto: “Rama nel Cuore e lavoro nelle mani”.
Entrò a far parte del servizio sociale con molto zelo e con tutte le sue energie, forgiando per se stesso ed il gruppo di lavoratori le massime: “Il servizio reso all’uomo è servizio reso a Dio” e ” il servizio ai villaggi è servizio a Rama”.
Egli riempì il serbatoio del suo Cuore con l’acqua sacra del Ramanam (Il Nome di Rama) che fluiva dal rubinetto delle sue mani per spegnere la sete di moltitudini di contadini.
Procedendo di villaggio in villaggio, adoperandosi nel lavoro sociale e cantando il Nome di Rama, arrivò fino alla punta della penisola Indiana.
Da qui si diresse ai centri di pellegrinaggio di Tirupati, dove ebbe il darshan del Signore Venkateswara ed a Hampi, dove adorò il Signore Viroopaaksha; infine ritornò a Nasik.
Sulla via del ritorno egli vide il santo Tukaram che cantava in modo così melodioso le glorie di Rama tanto da raccogliere intorno a lui un grande numero di persone, tra le quali Sivaji , il governatore del Maharashtra.
Ascoltando Tukaram, Sivaji fu preso dall’impulso di rinunciare al suo regno ed ai suoi beni per seguire il sentiero spirituale e comunicò questa sua decisione al santo. Tukaram però lo ammonì per la sua misera visione della spiritualità e lo esortò a considerare il dovere come Dio ed il lavoro come devozione.
In seguito a questo Sivaji pregò Tukaram di dargli l’iniziazione.
Ma Tukaram gli disse: “Il tuo Maestro non sono io, ma Ramdas e potrai ricevere l’iniziazione solamente da lui.”
Piuttosto contrariato Sivaji ritornò alla sua capitale.
Quando Sivaji venne a sapere che Narayana, ora conosciuto come Ramdas, si trovava a Nasik, mandò i suoi ministri, alti dignitari ed una banda di musicisti per invitarlo a corte, con tutte le tradizionali onorificenze che vengono attribuite ad un personaggio di grande levatura.
Quando Ramdas arrivò, il re lo ricevette con i dovuti onori, fece preparare per lui un alloggio nel palazzo stesso, e dopo avergli lavato i piedi spruzzando l’acqua sacra sul proprio capo, si sottomise a lui con tutta umiltà: “Riverito Maestro! Da questo momento il mio regno ti appartiene, ed io stesso sono tuo servitore!”
Al che Ramadas rispose: “Figlio mio, io sono un asceta che ha rinunciato ad ogni cosa. Non ho né il diritto, né il desidero del tuo regno limitato. Il regno di Dio è illimitato e l’obiettivo di questa mia vita è aiutare chiunque a raggiungere questo regno illimitato. Per questo non voglio il tuo regno ma Io incorono te quale governatore del regno che mi hai offerto. D’ora in avanti sarai re con una differenza: dovrai considerare il fatto che questo regno non ti appartiene realmente ma appartiene a Dio e che tu sei solamente il Suo Strumento o l’amministratore di fiducia il quale farà ogni cosa per il Suo Interesse.”
Poiché Ramdas aveva capacità straordinarie di compiere grandi cose, venne conosciuto con il nome di Samarth Ramdas, l’appellativo ‘Samarth’ significa infatti ‘uomo dalle molteplici capacità’.
C’è un episodio della sua vita che descrive il contesto in cui gli è stato conferito questo titolo.
§
Era sua abitudine vestirsi e portare arco e frecce alla stessa guisa di Rama.
Un giorno, mentre passeggiava sulla riva del Godavari abbigliato in questo modo, alcuni Bramini gli chiesero se appartenesse alla tribù di cacciatori che si trovava sulla collina .
Ma quando egli rispose che era un devoto di Rama, gli domandarono come mai si vestiva e si equipaggiava allo stesso modo di Rama se era solamente il suo servitore.
Essi cercavano di metterlo in imbarazzo con domande come: “Perché imiti Rama solo con l’apparenza? Sei in grado di usare arco e frecce come fece lui?”
Proprio in quel momento un uccello sfrecciava molto alto nel cielo ed i Bramini gli chiesero se fosse capace di abbatterlo.
Con il nome di Rama sulle labbra, Ramadas puntò il suo arco e scoccò una freccia che colpì all’istante l’uccello facendolo precipitare proprio davanti ai Bramini.
Essi allora, vedendo l’uccello morto, incalzarono: “Non c’è armonia di pensiero, parola ed azione in te ed inoltre sei una persona malvagia perché, mentre canti il nome del Signore Rama, commetti il delitto di uccidere un’innocente creatura solo per mostrarci le tue capacità!”
Quando Ramdas replicò che questo era avvenuto solo su loro richiesta, essi obiettarono dicendo: “Se noi ti chiediamo di mangiare erba tu lo fai? Non sai pensare da solo? Non sai discriminare ?”
Allora Ramdas gentilmente replicò: “Signori, il passato è passato. Ditemi, per favore, cosa devo fare ora?”
Essi allora gli chiesero di pentirsi del suo peccato.
Allora Ramdas chiuse gli occhi e pregò Dio con tutto il suo cuore, pentendosi e chiedendo il Suo perdono. Poi aprì gli occhi e disse: “Nonostante il mio pentimento, però, questo uccello non è ritornato in vita!”
Con rimprovero i Bramini gli dissero: “Che zucca vuota che sei! Il pentimento non può disfare ciò che hai fatto, il suo scopo è solo quello di non ripetere lo stesso errore in futuro!”
“Secondo il mio umile punto di vista, questo non è pentimento” replicò Ramdas
“Dio ed il Suo Nome sono così potenti che se noi preghiamo sinceramente, la Sua grazia porterà di nuovo in vita l’uccellino.”
Così dicendo raccolse l’uccellino da terra, se lo strinse al petto e, con le lacrime che scendevano copiose dagli occhi, pregò intensamente: “O Rama! Io canto il tuo Nome con tutto il mio cuore, la mia anima e la mia mente, tu sai che non ho abbattuto questo uccello con l’intenzione di uccidere ma solo per ignoranza, possa la tua grazia far rivivere questo piccolo essere, oppure prenditi anche la mia vita insieme alla sua!”
Appena ebbe finito questa preghiera, l’uccello cominciò a battere le ali.
Ramdas allora aprì gli occhi e , ringraziando l’Onnipotenza Divina, liberò l’uccello che volò subito nel cielo.
Attoniti e stupefatti alla vista di questo miracolo, i Bramini esclamarono: “O reverendissimo, perdonaci per non aver riconosciuto la tua grandezza. Poiché tu hai avuto l’abilità di uccidere un uccello in volo con un’unica freccia ed anche la capacità di farlo rivivere dopo la morte, da questo momento in poi sarai chiamato con il nome illustre di ” Samarth Ramdas!”
In seguito Ramdas visitò Pandaripuram dove fu un testimone del modo ideale in cui un uomo di nome Pundarika servì i suoi genitori, al punto da far attendere il Signore stesso (Panduranga) davanti alla sua casa finché egli non avesse terminato il servizio nei loro confronti.
Ramdas proseguì il suo viaggio e si recò a far visita a Sivaji.
A lui portò tre cose con lo scopo di aiutarlo e di guidarlo nei suoi doveri regali: la prima, era una noce di cocco per ricordargli che così come essa si acquista per gustarne la parte bianca interna, allo stesso modo, lo scopo per cui un re è l’amministratore di un regno è quello di condurre lui stesso una vita saggia assicurando in questo modo la saggezza in tutto il paese;
la seconda, era una manciata di terra, per ricordare al re, e per suo tramite a tutto il popolo, la santità di Bharat (India) loro madrepatria;
per terza cosa un paio di mattoni, perché così come i mattoni servono a costruire una casa e per salvaguardare la sicurezza dei suoi abitanti, il re deve usare i suoi poteri per proteggere e per promuove il benessere del suo popolo.
A quell’epoca Ramdas si ricordò del servizio devozionale che Pundarika faceva ai suoi genitori e sentì l’impulso di ritornare a casa per servire la sua anziana madre.
Al suo arrivo la madre non lo riconobbe sia per la sua lunga barba che per il suo strano abbigliamento. Egli le disse che era suo figlio Narayana che adesso era conosciuto con il nome di “Samartha Ramadas”; a questo punto la madre esclamò felice: “O mio caro figlio, ho sentito molto parlare di Ramadas ed ho desiderato per lungo tempo di vederlo, ma non sapevo che questo era il nome popolare che veniva dato a mio figlio! Sono molto orgogliosa di te e ringrazio il Signore che ha fatto di me la madre di una tale nobile anima. La mia vita ora si è realizzata.”
E così dicendo, esalò il suo ultimo respiro tra le braccia del figlio.
Dopo breve tempo che Ramdas ebbe adempiuto al rito della cerimonia funebre della madre, venne a sapere che anche Sivaji aveva lasciato il suo corpo (la sua morte avvenne nel 1680 dopo sei anni dalla sua incoronazione da parte di Ramadas). Ramdas allora si recò nella capitale dove investì il figlio quale nuovo re benedicendolo affinché potesse governare il regno, seguendo le orme del suo nobile padre.
“Chinna Katha II” – Sri Sathya Sai Baba