"Il Gioco della Coscienza" di Swami Muktananda - Recensione


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"Il gioco della Coscienza" è un resoconto delle esperienze spirituali di un santo del nostro tempo sulla via dell'illuminazione.

Il 15 agosto del 1947 uno yogi di nome Swami Muktananda ricevette l'iniziazione dal suo Guru, Bhagavvan Nityananda, un asceta dal grande potere spirituale, il cui nome significa "la gioia eterna". Nei nove anni successivi Swami Muktananda attraversò uno straordinario processo interiore che trasformò il suo corpo, la sua mente e il suo cuore. Grazie a tale processo arrivò a percepire se stesso e ogni altra cosa come forme di un'unica energia divina, raggiungendo lo stato di illuminazione. 

Per descrivere il proprio viaggio interiore Swami Muktananda scrisse questo libro, un'autobiografia spirituale che spiega gli effetti di Kundalini risvegliata e l'applicazione dei principi della filosofia spirituale, e soprattutto un'opera illuminante, carica del potere interiore dell'autore.

Swami Muktananda è stato uno dei più stimati Maestri spirituali dei tempi moderni. Dal 1982, anno della sua scomparsa, la sua erede spirituale e attuale Maestro del lignaggio del Siddha Yoga, Swami Chidvilasananda, continua a diffondere i suoi insegnamenti a una cerchia sempre più vasta di cercatori.

Sia che abbiate appena iniziato a percorrere il sentiero spirituale o che lo stiate seguendo da lungo tempo, questo libro può aiutarvi a comprendere il vostro viaggio verso la perfezione.

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Sull'autore: 


Swami Muktananda (1908 – 1982) intraprese molto presto la vita del sadhu, del monaco errante alla ricerca della realizzazione spirituale.

Negli anni '70, seguendo il comando del suo Guru, Swami Muktananda portò in Occidente l'antica tradizione spirituale del lignaggio del suo maestro.

Diede l'Iniziazione shaktipat, fino ad allora poco conosciuta, a migliaia di cercatori spirituali.

Creò in India la fondazione Gurudev Siddha Peeth, per amministrare il lavoro svolto nel paese, e negli Stati Uniti creò la SYDA Foundation per amministrare le attività della meditazione Siddha Yoga nel mondo.

Egli ci ricorda continuamente che la nostra vera identità non è con il corpo o con la mente, ma con il Sé.

Il Sé, che è la base e l'essenza del nostro essere, è la Coscienza infinitamente creativa, infinitamente potente, infinitamente gioiosa.

Solo quando la scopriamo all'interno di noi stessi, diviene chiaro il significato della nostra vita.

Il processo per giungere a quella scoperta è il tema reale di questo libro, composto di saggi, domande e risposte e interviste che, riuniti in capitoli, formano la mappa del cammino verso l'autoconoscenza e nello stesso tempo un'introduzione di base agli insegnamenti di Swami Muktananda.

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Tao - Vivere la vita secondo natura



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Il taoismo è una filosofia naturalistica di origine cinese. Il sistema di pensiero da cui deriva fu elaborato fra il V e il IV secolo avanti Cristo dal filosofo cinese Lao Tzu. Il Taoismo si basa sul Tao (la via), ovvero il principio che dà origine al Cosmo, ma vi confluiscono saperi di varia matrice: principi di sciamanesimo femminile, religiosità popolare, metafisica, filosofie di vita tratte da autori come Laozi, Zhuangzi, Liezu

Lo confermano le affermazioni di Mario Sabattini e Paolo Santangelo: “Le concezioni che emergono dalle opere taoiste non presentano un carattere univoco; quasi certamente esse abbracciano tendenze diverse che sono andate via via stratificandosi in un corpus di testi, cui solo in epoca successiva si è voluto attribuire la natura di un complesso dottrinario omogeneo.”

Il Tao e le energie Yin e Yang

La visione del mondo taoista è di natura olistica, a differenza di quella occidentale che si basa sulla contrapposizione di forze opposte. Queste forze, definite Yin e Yang, sono in realtà due facce della stessa medaglia, come si evince dal Tao, simbolo ormai diffuso anche alle nostre latitudini. Gli opposti sono manifestazioni del Tao e hanno la medesima importanza, pur essendo diversi. La "divinità" del Taoismo è quindi una specie di Principio ordinatore del mondo, concetto assai lontano dall’immagine di carattere personale tipica delle religioni occidentali. Non c’è bianco senza nero, non c’è luce senza buio, non c’è femminile senza maschile.

La visione globale del Taoismo favorisce la comprensione di questo scambio reciproco e dell’azione unitaria cui sono tesi gli opposti. In Occidente, al contrario, essi vengono percepiti in modo distorto, come fossero due fazioni che devono lottare l’una contro l’altra, per primeggiare.

Nella concezione Yin-Yang (che appartiene anche al Confucianesimo e alla medicina tradizionale cinese) i due poli sono l’uno la continuazione dell’altro, pur alternandosi dal punto di vista temporale. Quando il polo Yin (femminile) raggiunge l’apice lascia il posto al polo Yang (maschile) e così via in un moto perpetuo. Da ciò dipende l’equilibrio. Pensiamo per esempio alle stagioni fredde e calde. Le prime vengono rimpiazzate dalle seconde quando raggiungono il massimo di espansione, visto che a quel punto il loro ruolo (costruttivo) viene meno. E viceversa. Ma entrambe sono assolutamente indispensabili per mantenere uno stato di equilibrio sulla Terra. E così vale per la nostra psiche, che non deve necessariamente eliminare le pulsioni “negative” ma renderle costruttive. D’altronde anche la rabbia ha una sua funzione purché non prenda il sopravvento, solo in questo modo può dare frutti anziché procurare distruzione.

Quando comprendiamo che gli opposti sono necessari alla vita, intuiamo che tutto è relativo e impermanente. E comprendiamo di conseguenza che tutte le forme di estremismo portano fuori strada.

Mi viene in mente, a tal proposito, un’esperienza personale: dopo una delusione d’amore che mi aveva procurato grande sofferenza decisi di aprirmi nuovamente al mondo, iniziando a frequentare delle etnie che mi affascinavano da tempo. Riuscii nell’intento ritrovando la felicità che era venuta a mancare negli anni passati. Il problema è che mi feci coinvolgere a tal punto da questa nuova realtà, da perdere i contatti con il mondo cui appartenevo. La spinta Yang che mi aveva aiutata a uscire da una situazione difficile, convincendomi a sperimentare la vita avventurosa che avevo per anni represso, si era trasformata nella mia condanna. Mi ero lasciata risucchiare dallo stile di vita delle etnie con cui ero entrata in contatto, finendo per dimenticare le mie origini. Avrei dovuto, dopo l’entusiasmo dei primi anni, riconsiderare il mio lato Yin/femminile, quello legato al passato e alle radici, per non perdere la strada maestra. Così non è stato e mi sono smarrita. A dimostrazione di quanto sia importante mantenere l’equilibrio Yin/Yang anche nella vita reale.

Probabilmente sarà successo anche a te di lasciarti sopraffare da una delle due energie, Yin o Yang. Accade quando si concentra tutta la propria attenzione su un solo settore esistenziale, per esempio il lavoro, che potremmo definire tendenzialmente Yang visto che implica espansione. Se le energie sono completamente assorbite dalla professione, il lato Yin, più ritirato/intimista/femminile potrebbe risentirne. C’è bisogno di equilibrio e quindi, parlando di lavoro, è importante alternarlo con attività diverse, anche un semplice hobby che permetta di staccare la spina.

Il Taoista cerca un punto di incontro e rifiuta la guerra

Secondo il Taoismo è importantissimo riuscire a trovare un punto di incontro: d’altronde anche le differenze partono da un punto in comune. Il Taoista, in tale ottica, cerca ciò che unisce, non ciò che divide. E questo vale anche in una banale discussione. Sacrificare un po’ del proprio punto di vista per giungere a un accordo comune è più importante che avere ragione.

I 5 principi fondamentali del Taoismo rispecchiano perfettamente questo punto di vista: Unità, Armonia, Mutamento, Spontaneità e Non-Interferenza.

La Spontaneità ha una rilevanza particolare. Difatti questa religione detesta le regole rigide, preferendo l’agire spontaneo, dettato dal cuore, esattamente come accade ai bambini. Perché? Perché questo agire è naturale, non alterato dalla mente. In tale ottica ogni persona è qualcuno e deve auto-coltivarsi nel rispetto della sua vera natura.

Ogni persona ha il proprio Tao, ovvero la propria Via da seguire. Ed è per questo che le regole non possono essere rigide o valide per tutti. Ognuno di noi è diverso. Il Taoista non teme il karma, non accetta di doversi assoggettare a regole, ma agisce secondo natura. Nonostante ciò è importante seguire le indicazioni di un Maestro più esperto ma egli non impartisce ordini bensì vigila sul percorso del discepolo, per capire se ha intrapreso la strada della mente o il sentiero giusto, quello naturale. Questo non significa che il Taoismo sia una religione priva di etica, anzi. Il rispetto dell’altro è fondamentale. Solo che rifiuta le norme o i codici comportamentali troppo statici, standardizzati.

In definitiva un taoista vive la vita secondo natura, cercando di mantenersi in salute dal punto di vista psicofisico, mantenendo un contatto profondo con la propria spiritualità, proteggendo l’ambiente circostante e vivendo l’esistenza con serena accettazione.

Laura De Rosa


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«Tutto il nostro ragionamento si basa sulla legge di causa ed effetto, che opera come una successione. Qualcosa accade ora, perché qualcos’altro è accaduto allora. Ma i cinesi non ragionano tanto secondo questa linea orizzontale, che va dal passato al futuro, attraverso il presente: ragionano verticalmente, da ciò che è in un posto ora a ciò che è in un altro posto ora. In altre parole non si chiedono perché, o per quali cause passate, un certo ordine di cosa avvenga ora; si chiedono: -Qual è il significato delle cose che avvengono insieme in questo momento?- La parola Tao è la risposta a questa domanda.» (Alan Watts)


Fonte: www.yinyangtherapy.it
Fonte secondaria:  http://www.eticamente.net/

Vita ed opere di Samarth Ramdas, nel racconto di Satya Sai Baba


Ramdas e Rama
In un luogo chiamato Baadar, nel distretto del Maharashtra, nacque un bambino ad una coppia di sposi molto devota a Dio. Egli venne chiamato Narayana.
Questo bambino era piuttosto cattivo, litigava con tutti gli altri ed era negligente negli studi. Purtroppo all’età di otto anni il padre morì e la povera madre Rama Devi non riusciva più a tenere sotto controllo il temperamento dispettoso e difficile del figlio.
Parenti e vicini la consigliarono di sposare il ragazzo, pensando che una volta messo di fronte alle proprie responsabilità avrebbe migliorato il suo comportamento.
Così, sebbene il ragazzo avesse solamente 13 anni, Rama Devi si lasciò persuadere a combinare il suo matrimonio.
Il giorno delle nozze, secondo usanze comuni, venne posta una cortina di stoffa pesante tra lo sposo e la sposa. La tenda fu poi alzata per permettere alla sposa di avvolgere il filo sacro e beneaugurante intorno al collo dello sposo ma … sorpresa!
Lo sposo era sparito. Lo cercarono ovunque senza successo, di lui si perse ogni traccia, ed il matrimonio andò a monte.
Il ragazzo, sfuggito alla cerimonia nuziale, raggiunse Nasik, un posto vicino alla sorgente del sacro fiume Godavari. Si fermò per qualche tempo ed in seguito si spostò sulla montagna vicina chiamata ‘Chitrakut’, questa montagna è considerata sacra perché Sri Rama visse qui per circa 12 anni.
Si scelse un piccolo luogo ameno, Panchavati, e vi si stabilì.
Narayana fu sopraffatto dalla bellezza e dalla grandiosità di quello scenario come pure dalla santità espressa dall’antico esilio di Rama in quei luoghi, tanto da passare il suo tempo costantemente immerso nella sua contemplazione.
Ma quale fu la causa che trasformò uno sprezzante ragazzetto in un giovane uomo devoto?
Per prima cosa si risvegliarono in lui le buone tendenze innate grazie allo shock prodotto dalla prospettiva di una vita matrimoniale gravosa di responsabilità, ma avvenne anche che, durante il suo soggiorno a Nasik, Narayana entrò in un famoso tempio di Hanuman dove pregò Dio con tutto il cuore per poter avere le stesse nobili qualità per le quali Hanuman era rinomato.
Egli seppe di essere stato ascoltato perché l’idolo incredibilmente si mosse con dolcezza trasmettendo al ragazzo delle vibrazioni spirituali.
Dopo 12 anni di dura penitenza a Panchavati, Narayana raggiunse la *Triplice Realizzazione* di Sri Rama, la stessa che ottenne Hanuman.
Si trattava di questo:
quando egli aveva la Consapevolezza del Corpo allora sapeva di essere il Servitore mentre Rama era il suo Maestro, quando era Cosciente del suo essere come Jiva, ossia come Anima Individuale, allora egli era una parte di Rama *(Visishtaadvaita)*
e quando era Cosciente di Essere l’Atma *, lui e Rama stesso divenivano Una Sola Cosa (Advaita)*.
Dopo aver ricevuto questa realizzazione, egli ritornò a Nasik, dove venne a sapere che il paese si trovava nella morsa della carestia.
Allora si rese conto quanto fosse estremamente egoista passare il tempo pensando solamente alla propria liberazione quando tutt’intorno la gente stava soffrendo la fame e fu allora che coniò il detto: “Rama nel Cuore e lavoro nelle mani”.
Entrò a far parte del servizio sociale con molto zelo e con tutte le sue energie, forgiando per se stesso ed il gruppo di lavoratori le massime: “Il servizio reso all’uomo è servizio reso a Dio” e ” il servizio ai villaggi è servizio a Rama”.
Egli riempì il serbatoio del suo Cuore con l’acqua sacra del Ramanam (Il Nome di Rama) che fluiva dal rubinetto delle sue mani per spegnere la sete di moltitudini di contadini.
Procedendo di villaggio in villaggio, adoperandosi nel lavoro sociale e cantando il Nome di Rama, arrivò fino alla punta della penisola Indiana.
Da qui si diresse ai centri di pellegrinaggio di Tirupati, dove ebbe il darshan del Signore Venkateswara ed a Hampi, dove adorò il Signore Viroopaaksha; infine ritornò a Nasik.
Sulla via del ritorno egli vide il santo Tukaram che cantava in modo così melodioso le glorie di Rama tanto da raccogliere intorno a lui un grande numero di persone, tra le quali Sivaji , il governatore del Maharashtra.
Ascoltando Tukaram, Sivaji fu preso dall’impulso di rinunciare al suo regno ed ai suoi beni per seguire il sentiero spirituale e comunicò questa sua decisione al santo. Tukaram però lo ammonì per la sua misera visione della spiritualità e lo esortò a considerare il dovere come Dio ed il lavoro come devozione.
In seguito a questo Sivaji pregò Tukaram di dargli l’iniziazione.
Ma Tukaram gli disse: “Il tuo Maestro non sono io, ma Ramdas e potrai ricevere l’iniziazione solamente da lui.”
Piuttosto contrariato Sivaji ritornò alla sua capitale.
Quando Sivaji venne a sapere che Narayana, ora conosciuto come Ramdas, si trovava a Nasik, mandò i suoi ministri, alti dignitari ed una banda di musicisti per invitarlo a corte, con tutte le tradizionali onorificenze che vengono attribuite ad un personaggio di grande levatura.
Quando Ramdas arrivò, il re lo ricevette con i dovuti onori, fece preparare per lui un alloggio nel palazzo stesso, e dopo avergli lavato i piedi spruzzando l’acqua sacra sul proprio capo, si sottomise a lui con tutta umiltà: “Riverito Maestro! Da questo momento il mio regno ti appartiene, ed io stesso sono tuo servitore!”
Al che Ramadas rispose: “Figlio mio, io sono un asceta che ha rinunciato ad ogni cosa. Non ho né il diritto, né il desidero del tuo regno limitato. Il regno di Dio è illimitato e l’obiettivo di questa mia vita è aiutare chiunque a raggiungere questo regno illimitato. Per questo non voglio il tuo regno ma Io incorono te quale governatore del regno che mi hai offerto. D’ora in avanti sarai re con una differenza: dovrai considerare il fatto che questo regno non ti appartiene realmente ma appartiene a Dio e che tu sei solamente il Suo Strumento o l’amministratore di fiducia il quale farà ogni cosa per il Suo Interesse.”
Poiché Ramdas aveva capacità straordinarie di compiere grandi cose, venne conosciuto con il nome di Samarth Ramdas, l’appellativo ‘Samarth’ significa infatti ‘uomo dalle molteplici capacità’.
C’è un episodio della sua vita che descrive il contesto in cui gli è stato conferito questo titolo.
§
Era sua abitudine vestirsi e portare arco e frecce alla stessa guisa di Rama.
Un giorno, mentre passeggiava sulla riva del Godavari abbigliato in questo modo, alcuni Bramini gli chiesero se appartenesse alla tribù di cacciatori che si trovava sulla collina .
Ma quando egli rispose che era un devoto di Rama, gli domandarono come mai si vestiva e si equipaggiava allo stesso modo di Rama se era solamente il suo servitore.
Essi cercavano di metterlo in imbarazzo con domande come: “Perché imiti Rama solo con l’apparenza? Sei in grado di usare arco e frecce come fece lui?”
Proprio in quel momento un uccello sfrecciava molto alto nel cielo ed i Bramini gli chiesero se fosse capace di abbatterlo.
Con il nome di Rama sulle labbra, Ramadas puntò il suo arco e scoccò una freccia che colpì all’istante l’uccello facendolo precipitare proprio davanti ai Bramini.
Essi allora, vedendo l’uccello morto, incalzarono: “Non c’è armonia di pensiero, parola ed azione in te ed inoltre sei una persona malvagia perché, mentre canti il nome del Signore Rama, commetti il delitto di uccidere un’innocente creatura solo per mostrarci le tue capacità!”
Quando Ramdas replicò che questo era avvenuto solo su loro richiesta, essi obiettarono dicendo: “Se noi ti chiediamo di mangiare erba tu lo fai? Non sai pensare da solo? Non sai discriminare ?”
Allora Ramdas gentilmente replicò: “Signori, il passato è passato. Ditemi, per favore, cosa devo fare ora?”
Essi allora gli chiesero di pentirsi del suo peccato.
Allora Ramdas chiuse gli occhi e pregò Dio con tutto il suo cuore, pentendosi e chiedendo il Suo perdono. Poi aprì gli occhi e disse: “Nonostante il mio pentimento, però, questo uccello non è ritornato in vita!”
Con rimprovero i Bramini gli dissero: “Che zucca vuota che sei! Il pentimento non può disfare ciò che hai fatto, il suo scopo è solo quello di non ripetere lo stesso errore in futuro!”
“Secondo il mio umile punto di vista, questo non è pentimento” replicò Ramdas
“Dio ed il Suo Nome sono così potenti che se noi preghiamo sinceramente, la Sua grazia porterà di nuovo in vita l’uccellino.”
Così dicendo raccolse l’uccellino da terra, se lo strinse al petto e, con le lacrime che scendevano copiose dagli occhi, pregò intensamente: “O Rama! Io canto il tuo Nome con tutto il mio cuore, la mia anima e la mia mente, tu sai che non ho abbattuto questo uccello con l’intenzione di uccidere ma solo per ignoranza, possa la tua grazia far rivivere questo piccolo essere, oppure prenditi anche la mia vita insieme alla sua!”
Appena ebbe finito questa preghiera, l’uccello cominciò a battere le ali.
Ramdas allora aprì gli occhi e , ringraziando l’Onnipotenza Divina, liberò l’uccello che volò subito nel cielo.
Attoniti e stupefatti alla vista di questo miracolo, i Bramini esclamarono: “O reverendissimo, perdonaci per non aver riconosciuto la tua grandezza. Poiché tu hai avuto l’abilità di uccidere un uccello in volo con un’unica freccia ed anche la capacità di farlo rivivere dopo la morte, da questo momento in poi sarai chiamato con il nome illustre di ” Samarth Ramdas!”
In seguito Ramdas visitò Pandaripuram dove fu un testimone del modo ideale in cui un uomo di nome Pundarika servì i suoi genitori, al punto da far attendere il Signore stesso (Panduranga) davanti alla sua casa finché egli non avesse terminato il servizio nei loro confronti.
Ramdas proseguì il suo viaggio e si recò a far visita a Sivaji.
A lui portò tre cose con lo scopo di aiutarlo e di guidarlo nei suoi doveri regali: la prima, era una noce di cocco per ricordargli che così come essa si acquista per gustarne la parte bianca interna, allo stesso modo, lo scopo per cui un re è l’amministratore di un regno è quello di condurre lui stesso una vita saggia assicurando in questo modo la saggezza in tutto il paese;
la seconda, era una manciata di terra, per ricordare al re, e per suo tramite a tutto il popolo, la santità di Bharat (India) loro madrepatria;
per terza cosa un paio di mattoni, perché così come i mattoni servono a costruire una casa e per salvaguardare la sicurezza dei suoi abitanti, il re deve usare i suoi poteri per proteggere e per promuove il benessere del suo popolo.
A quell’epoca Ramdas si ricordò del servizio devozionale che Pundarika faceva ai suoi genitori e sentì l’impulso di ritornare a casa per servire la sua anziana madre.
Al suo arrivo la madre non lo riconobbe sia per la sua lunga barba che per il suo strano abbigliamento. Egli le disse che era suo figlio Narayana che adesso era conosciuto con il nome di “Samartha Ramadas”; a questo punto la madre esclamò felice: “O mio caro figlio, ho sentito molto parlare di Ramadas ed ho desiderato per lungo tempo di vederlo, ma non sapevo che questo era il nome popolare che veniva dato a mio figlio! Sono molto orgogliosa di te e ringrazio il Signore che ha fatto di me la madre di una tale nobile anima. La mia vita ora si è realizzata.”
E così dicendo, esalò il suo ultimo respiro tra le braccia del figlio.
Dopo breve tempo che Ramdas ebbe adempiuto al rito della cerimonia funebre della madre, venne a sapere che anche Sivaji aveva lasciato il suo corpo (la sua morte avvenne nel 1680 dopo sei anni dalla sua incoronazione da parte di Ramadas). Ramdas allora si recò nella capitale dove investì il figlio quale nuovo re benedicendolo affinché potesse governare il regno, seguendo le orme del suo nobile padre.
“Chinna Katha II” – Sri Sathya Sai Baba

Conoscenza del mondo. Dalla fantasia religiosa all'empirismo laico


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"Ti interessa sapere cos'è la Matrix, Neo? Matrix è ovunque, è intorno a noi, anche adesso nella stanza in cui siamo. E' quello che vedi quando ti affacci alla finestra o quando accendi il televisore. Lo avverti quando vai al lavoro, quando vai in chiesa, quando paghi le tasse.E' il mondo che ti è stato messo davanti agli occhi, per nasconderti la verità"

"Quale verità?"

"Che tu sei uno schiavo: come tutti gli altri sei nato in catene, sei nato in una prigione che non ha sbarre, che non ha mura, che non ha odore; una prigione per la tua mente". (dal film Matrix)

Ecco che ancora una volta insegnamenti antichi e verità moderna si incontrano e combaciano nonostante l'abissale distanza temporale e di condizioni culturali, delineando chiaramente una realtà che alcuni saggi avevano intuito sin da tempi immemorabili: che la Terra è un immenso campo di prigionia, un lager globale, una colonia penale.

Gnosi è un termine derivato dal greco che significa "conoscenza".

Ma conoscenza di che? Della lista di tutti i presidenti degli Stati Uniti? Della tecnica di frantumazione delle particelle elementari?Delle strategie di accoppiamento dei lamantini?

Come dal dialogo fra Morpheus e Neo citato sopra, la gnosi è la conoscenza trascendentale che al di fuori di questa ingannevole realtà esiste un "luogo" -non luogo da cui proveniamo veramente, che è la nostra origine: che dunque non apparteniamo a questo mondo e vi soggiorniamo brevemente. 

La corrente spirituale dello gnosticismo, che nei primi due secoli della nostra era si è fatta interprete, per l'appunto della Gnosi, ci chiarisce (ma anche altre correnti spirituali lo avevano fatto in precedenza, segnatamente l'induismo vedico) che il mondo che conosciamo è come avvolto da quella che alcuni mistici definirono la "Nube della non conoscenza"; che il mondo è stato strutturato in questo modo da una sorta di creatore detto il "Demiurgo" (che in greco significa "artefice, operaio del popolo") il quale si è proclamato Unico Dio (sì, avete indovinato, è il Jahvè biblico, il sanguinario despota che l'Antico testamento definisce "Dio" e che oggi sarebbe deferito al tribunale dell'Aja per genocidio).

Dunque per attraversare questo pesante velo psichico che ci oscura la visuale e ci mantiene in questo stato pietoso (di cui è testimone la cruenta ed insensata storia umana, infinita ripetizione dell'idiozia delle guerre) bisogna essere forniti delle ali che solo la consapevolezza di non appartenere a questo mondo può dare, una consapevolezza innescata dalla conoscenza, o ri-conoscimento, della nostra condizione: la Gnosi, oggi più che mai attuale.

Riconoscerci per ciò che siamo veramente libera la mente dall'illusione, e ci proietta in quella dimensione a-spaziale e a-temporale a cui si riferiva un antico saggio quando affermava: "Voi siete nel mondo ma non siete di questo mondo"

Simon Smeraldo

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Guinness della santità - In gara: Satya Sai Baba ed Osho Rajneesh

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Osho Rajneesh  e Satya Sai Baba ….  A volte li definisco  “due saggi opposti”. Osho Rajneesh rappresenta la trasgressione in senso intellettuale e sociologico mentre Satya Sai Baba incarna il modello devozionale indiano classico. Il primo fece di tutto per creare scalpore e rompere ogni schema, parlando male di tutti e persino di se stesso. Era famoso per i suoi scherzi crudeli come quello –ad esempio- in cui annunciò che alcuni dei suoi “discepoli” si erano realizzati per poi osservare le loro reazioni e svergognarli adeguatamente  per la finzione da loro dimostrata negli atteggiamenti esteriori. Osho era nato nell'anno della Capra perciò vi potete immaginare il tipo. 

Tutti i discepoli di Osho erano una macchietta con i loro panni indaco vistosi, pieni di collane e di rosari, si dicevano “sannyasin” (rinuncianti) ma si comportavano da grandi epicurei (in tutti i sensi). L’ashram di Poona era famoso per le libertà espressive manifestate in ogni campo… Allo stesso tempo Osho era  capace di tenere a bada quella mandria di scalmanati e li condusse –almeno alcuni di essi- pian piano all’annullamento del senso dell’io ed alla comprensione della vanità  dell’ottenimento mondano. In qualche modo restarono tutti “fregati” dalle sue trappole diaboliche ma i più saggi non se la presero ed andarono oltre….. Questo metodo di Osho  potrei definirlo  “psicologia transpersonale pura”.

 Praticamente da quando frequento ambiti spiritualisti ho costantemente incontrato e fatto  amicizia con discepoli di Osho, con loro mi sono divertito un mondo, ho amoreggiato con alcune e  litigato con alcuni.  Malgrado non avessi mai voluto incontrare e conoscere personalmente Rajneesh si vede che fosse mio destino incontrarlo attraverso i suoi seguaci in cui mi sono imbattuto e mi imbatto ovunque io vada.  Siccome non l’ho mai  incontrato di persona lo  conobbi  “indirettamente”. Pensate,   malgrado ciò il destino volle che dovessi scrivere  il suo necrologio, accadde quando Majid Valcarenghi (un suo  rappresentante in Italia) mi chiese di scrivere un commento su “Operazione Socrate” un libro denuncia in cui si alludeva all’ipotesi di avvelenamento di cui Osho pare fosse stato vittima negli Stati Uniti (mentre stava in galera per contravvenzione alle leggi d’immigrazione). Chiamai quel testo “Ad Memoriam” e credo  sia  stato pubblicato da qualche parte, forse su un numero di Liberation Times.

Mi sono dilungato su Osho perché ho per lui una simpatia antipatia innata, ci avrei litigato di sicuro ma siccome non l’ho mai voluto né potuto incontrare mi resta affettuosamente vicino e apprezzo i suoi tricks furibondi.  


In qualche modo la stessa cosa  accadde con Satya Sai Baba. Pensate che per anni ed anni sono andato e  risiedei per parecchio  tempo in Andra Pradesh , lo stato indiano in cui si trova Puttaparti,  dove c’è il suo ashram.  Abitavo a pochi kilometri da lui ma (come avvenne per Poona  che si trova a poche miglia da Ganeshpuri) non mi passò mai per la capa di andarlo a visitare, ma  anche così non potei fare a meno di essere continuamente e costantemente frequentato dai suoi devoti. Ancora oggi succede ed infatti ho rapporti epistolari e di amicizia con tanti “beneficiati” di Satya Sai.

Voglio però qui raccontare come  accadde che da una iniziale diffidenza nei  confronti degli avvenimenti miracolistici del Baba appresi a considerarli come un gioco utile all’avvicinamento verso la “coscienza”.  Tanti anni fa, forse nel 1980, stavo a Jillelamudi,  lì viveva anche un certo Siam, un ragazzo inglese originario di Malta, il quale non si dichiarava particolarmente interessato alle pratiche spirituali, mi diceva “non so dove andare e siccome qui mi danno da mangiare e da vestire ci resto finché posso”,  ma non dovete meravigliarvi della cosa perché questa era l’atmosfera dell’accoglienza totale ricevuta nella Casa di Tutti di Anasuya Devi. Un giorno  chiesi a Siam se avesse mai conosciuto Satya Sai Baba e lui mi rispose che aveva vissuto a Puttaparti a lungo. Per curiosità gli domandai ancora se avesse avuto qualche esperienza miracolistica con il santo, a questo punto Siam mi guardò più seriamente e mi  narrò una sua esperienza. “Stavo lì già da parecchio tempo senza mai aver avuto un particolare rapporto con Sai Baba, poi accadde che  mi beccassi la rogna, una malattia epidermica  che spesso si attacca dal contatto diretto con  i cani,  vedi anche qui a Jillellamudi succede perché i bambini della scuola per il freddo dormono con i cani randagi al fianco e  si beccano la rogna,  insomma mi ero preso l’infezione e le mie mani erano piene di piaghe, una situazione dolorosa e pareva che non vi fossero cure adeguate a guarire dal male. Una notte sognai che Sai Baba stava passando in rassegna tutti noi e quando si trovò davanti a me mi guardò e mi chiese come  stavo,  io gli mostrai le  mani piagate e dissi –non posso più nemmeno mangiare per il dolore che provo- (in India si mangia con le mani ed il contatto con le spezie piccanti  procura bruciore)…  al che Satya Sai Baba, sempre nel sogno, mi disse di non preoccuparmi e mi prese le mani fra le sue… l’indomani mattina ero guarito…”.  

Dopo che Siam mi ebbe raccontato questa storia compresi come mai si stava dando tanta pena  a curare dei bambini che avevano preso la rogna  e smisi di pensare che “certe esibizioni miracolistiche di alcuni santi del sud” non erano affatto conduttive alla spiritualità. Insomma accettai  i miracoli di Satya Sai Baba come un possibile  aiuto spirituale….   


Ed allora eccomi al termine della “comparazione” fra Osho e Satya e traggo una conclusione: Le vie del karma sono imperscrutabili! ed andare avanti con il paraocchi non conduce alla pienezza… .  

 Paolo D’Arpini - 
spiritolaico@gmail.com


Il mio guru Baba Muktananda abbraccia Satya Sai Baba