Chi sei dei due? Ovvero, guarda la luna e lascia il dito.
“La credenza che la realtà che ognuno vede sia l’unica realtà è
la più pericolosa di tutte le illusioni”. Paul Watzlawick, La realtà della realtà.
Crea dieci segni differenti tra loro. Ad ognuno attribuisci un suono.
Combinali tra loro. Inizia a comporre parole che avranno il
significato che vorrai. Vedrai comparire le cose e il mondo intero.
Quel mondo sarà condiviso, e chi lo farà crederà che esso sia la
realtà, vera e sola, come crederà che dire sedia sia semplicemente
dire ciò che già è della sedia. Chi non lo condivide proverà a
farti presente la natura autoreferenziale della tua improvvisata
cosmogonia, ma non ci sarà niente da fare, continuerai a guardare il
dito, a parlare di realtà oggettiva, di ciò che è vero e di quanto
non lo è.
Ora dimentica tutto e riparti da capo. La sedia non c’è più, si
chiama in altro modo. Quindi esci di casa per andare a comprare il
xxxx (non si sa ancora cosa hai combinato con i dieci segni). Per
strada incontri uno, quello per cui la sedia è una sedia. Ti chiede
l’ora ma non capisci che vuole, nel tuo alfabeto di dieci segni e
suoni, quello che chiede non esiste. Lui insiste e se la prende
perché tu vuoi andartene e non vuoi aiutarlo, crede lui. Ti ha solo
chiesto l’ora, che c’è da prendersela? Si domanda. A dire il
vero è lui che se la prende, tu sei soltanto seccato, anche perché
il negozio poi chiude. Te ne vai. Lo lasci lì. Lui non capisce anzi,
non ammette. Nel suo mondo non è possibile che accada quanto sta
accadendo. Potrebbe allora restare basito, invece – guarda un po’
–, se la prende. Infatti, mentre tu te ne vai, ti afferra una
spalla come fanno i terzini con l’attaccante in fuga. Ora è
troppo. Ma che fa? Ti chiedi. È pazzo? Domanda retorica. No, in
realtà è sostanziale, perché non c’è altro da tirar fuori dai
tuoi dieci segni.
Linguaggio: ciò che resta di tutto il pensiero per l’ineludibile
necessità storica di sbrigare le sue faccende. Già averne
consapevolezza basterebbe per evitare di crederlo idoneo alla
gestione delle relazioni. Queste sono un territorio mobile, in cui le
cose non stanno ferme come un posacenere sul comò, ma fluttuano come
un universo di stelle, che non sono poche come le lettere di una
tastiera o i tuoi dieci segni, ma infinite.
L’emozione corre più veloce della luce, e ti è saltata addosso.
Se non l’anticipi con qualche espediente di consapevolezza, una
volta che arriva ricorda Gengis Khan: sei catturato e lei farà di te
qualunque cosa, anche un assassino e tutto il peggio che i dieci
segni permettono di pensare e quindi di realizzare. Avviluppati da
un’emozione, non c’è più niente da fare, scende il buio. Anzi,
di più: tutto sparisce. Tutto quello che sapevi, che volevi, i
valori in cui credevi e di cui ti vantavi. E adesso? Che fai? Non
scherziamo. Non c’è proprio lo spazio fisico per queste domande.
Per nessuna domanda. Nel tuo mondo occupato dall’azione, non c’è
neanche un angolino per la riflessione. Sempre che i tuoi dieci segni
te l’avessero a volte permessa. Nell’emozione il dubbio, puff,
svanisce dal panorama.
Ti giri come se fossi in diritto di fare ciò che stai per compiere.
A dire il vero, non come se, ma proprio in pieno diritto, come una
biglia da flipper che altro non può fare che eseguire l’ordine
della leva che l’ha spinta su. Se prende il fungo e fa punti, il
suo padrone-lanciatore sarà contento, diversamente, se la prenderà
col mondo – delle volte fino al tilt – quando, alla fine dei suoi
pazzi rimbalzi finirà in buca.
Ecco sì, con la cecità e irresponsabilità di una biglia di
flipper, ti giri – o ti eri già girato? Non ricordo più chi era
uno e chi era l’altro – e con una forza che non sapevi di avere,
gli vomiti un urlo che Joseph Conrad (vedi sotto) è niente al
confronto. Sì, perché non ragionato, architettato, organizzato. È
un bolo di violenza, un misto di tutto quello che, goccia dopo
goccia, eri stato capace di stivare nel tuo profondo e avevi creduto
d’aver dimenticato. La legge del quieto vivere era il tuo solo
comandamento, il buon senso la tua medicina. Anche se, per la verità,
avvertivi qualcosa di artificioso, o peggio, di disumano, in quella
prassi razionale, con cui incassavi più di Jake La Motta contro
Sugar Ray, che tutti ti invidiavano per la purezza con la quale ne
pennellavi la vita.
La tracimazione è un modo gentile, e perciò anche improprio, per
definire l’evento e il suo cuore di tenebra che sta per irrompere
sull’altro. Uno scroscio di parole lo investono da tutti i lati,
anche da sopra e da sotto. Non c’è freno, l’argine golenale è
scavalcato, e quello maestro non basterà. Non c’è speranza che
possa salvarsi. Si divincola cercando parole che non trova. E anche
se ne trova non escono dalle labbra, e le poche sgusciano fiori
impiastricciate di rabbia e sono soltanto frammenti, balbettii,
affanni di una reazione da flipper.
Come se i suoni e i rispettivi significati fossero proietti scoccati,
si sente scosso, si trova disarmato, si accorge di essere ferito e
forse morente, con soltanto il tempo per chiedersi il perché di
tutto ciò, pur sapendo che la domanda era stupida in assoluto e
anche in particolare. Come mille altre volte durante le loro vite se
l’erano posta senza mai trovare una risposta degna, all’altezza
della loro grande razionalità, così capace di osservare con logica
i fatti del mondo, così adatta a risolvere tutti i problemi, a
piallare i picchi e gli abissi esplorati dagli uomini. Quella, come
altre volte, il loro vantato sapere non sarebbe bastato. Come altre
volte, non avrebbe avuto risposta.
Di fatto, a parte il momento di un baleno, in cui quel ma perché?
si era affacciato alla loro coscienza, non c’erano state le
condizioni per tenerla ferma. E neppure per lasciare al moralismo
l’agio di darle dignità e la forza di rinchiuderla, all’autostima
di soddisfarla e al fato di prendersela, se proprio altro non si
poteva.
Tutte considerazioni pertinenti e realistiche, ma sostanzialmente
inefficaci. Infatti, seppur non l’avesse visto arrivare, non aveva
dubbi, un pugno l’aveva colpito in pieno volto. Anche per lui si
fece tutto buio. Anzi no, anche per lui sparì il mondo o meglio, si
ridusse al sapore di sangue in bocca. Quell’organo acquoso, con
quel fastidioso retrogusto, che dire metallico è forse ciò che più
si avvicina, pure restando molto lontano.
In altre occasioni era stato capace di rinunciare a sé, e non gli
era neppure costato in autostima. Mentre il sangue lo ingozzava e la
sensazione che un altro colpo stesse per raggiungerlo, pensò al
passato con lo straniamento di colui che non lo vede tornare indietro
per lasciargli tra le mani un presente che lo ricrei diverso, senza
dolore. Solo l’istante successivo, si ritrovò solo e stranito da
se stesso per non essere stato capace di lasciar perdere anche quella
volta. Eppure lo sapeva, ne aveva esperienza.
Questa volta arrivò dal lato opposto. Gli prese l’orecchio e
secondo lui, quell’altro si fece pure male alla mano. Non voleva
trovarsi lì. Per un attimo si trovò faccia a faccia ancora con
l’idea della reversibilità del tempo. Che in quell’istante non
gli pareva idiota.
Anzi, lei, l’idea della reversibilità del tempo, c’era e non era
per niente idiota nel mondo senza peso dei quanti. Forse in
quell’infinitesimo di eternità aveva dato tutto se stesso per
farla esistere anche nel mondo pesante della materia. Prima o poi
qualcuno ci sarebbe riuscito. L’orecchio gli doleva e l’aria
pareva ovattata come dopo una granata. Tuttavia viveva in lui la
speranza che si potesse verificare anche nel mondo degli oggetti.
Anche se da un lato la sentiva forte e vivida, dall’altro vedeva
che si impiccava da sola. Una volta materia, le leggi dell’energia
sottile vengono meno. Ma allora cosa l’aveva portato dove non
voleva essere?
Erano finiti a terra e l’altro gli stava sopra. Sarebbe bastato,
avrebbero detto in tanti. E invece no. Seguitava a colpirlo in preda
al demonio. Nessuno e nessun ragionamento lo avrebbe fermato. I dieci
segni della ragione sono diversi dai dieci segni dell’emozione. Ma
a loro non era stato insegnato e continuando a guardare il dito non
avevano mai visto la luna.
Chi sei dei due? La domanda è retorica, provocatoria e fuorviante.
La risposta è che se non vediamo la luna, saremo sempre entrambi.
“Fin da quando nasciamo, gli altri ci dicono che il mondo è in un
determinato modo, e naturalmente noi non abbiamo altra scelta che
accettare che il mondo sia così come gli altri hanno detto che è” Carlo Castaneda, Una realtà separata, Roma,
Astrolabio, 1972.
“Gli uomini erano vittoriosi o sconfitti, e a seconda di ciò
diventavano persecutori o vittime. Quelle due condizioni prevalevano
fin quando un uomo non arrivasse a ‘vedere’; il ‘vedere’
scacciava l’illusione della vittoria, o della sconfitta, o della
sofferenza”. Carlo Castaneda, Una realtà separata, Roma,
Astrolabio, 1972, p. 122.
“La mente dell’uomo è capace di qualunque cosa – perché in
essa c’è qualsiasi cosa, tutto il passato come tutto il futuro.
[…] I principi non servono. Sono acquisizioni, abiti, stracci
graziosi – stracci che volerebbero via al primo serio scrollone.
[…] Naturalmente, uno sciocco, tra la semplice paura e i nobili
sentimenti, è sempre al sicuro”. Joseph Conrad, Cuore di tenebre, Milano, Mursia, 1978, p. 111.
“Ma prima che potessi giungere a una qualunque conclusione mi venne
in mente che parlare o tacere, invero qualunque mio gesto, sarebbe
stato del tutto futile. Che importava ciò che chiunque sapesse o
ignorasse”. Joseph Conrad, Cuore di tenebre, Milano, Mursia, 1978, p. 117.
Lorenzo Merlo