Natura
dell’io
L’abitudine
ha, o implica, una natura doppiamente interessante. Questa, è tanto
ignota, o misconosciuta, quanto rivoluzionaria. Mi riferisco alla
concezione comune dell’abitudine che le persone adottano nel
concepire e definire se stesse e la realtà; per avere a che fare con
il previsto a discapito dell’orrifico ignoto.
«Sul
modello tecnico che ricalca l’esigenza del “tutto calcolabile”,
le cose tendono sempre più a perdere la loro specifica valenza per
consegnarsi alla mesta equivalenza della regola, che in modo univoco
e prestabilito codifica il significato di tutto».
Enrico
Grassani, L’altra faccia della tecnica.
Lineamenti di una deriva sociale prodotta e subita dall’uomo
Quella
comune concezione è un’adozione di tipo dogmatico: l’abitudine,
il suo significato, non è mai in discussione, se non per aggiornarla
o sostituirla con un’altra formalmente diversa ma, sostanzialmente
identica in quanto a potere su di noi.
È
proprio questo aspetto – il potere esercitato su di noi di
un’abitudine o di una consuetudine – che è segreto a molti.
La
cosa è culturalmente, e ancor più evolutivamente, interessante.
Lo
è in quanto entro le abitudini esistiamo ed esiste la realtà. Fatto
salvo uno spettro limitato già previsto,
l’abitudine stessa, noi e realtà ci appaiono definitive e
irrevocabili. Che lo spettacolo della realtà ci sia offerto dal
presunto fuori di noi o si proietti direttamente al nostro interno
non sposta il peso della questione.
«La
realtà sorge nello spettacolo, e lo spettacolo è reale».
Guy
Debord, La società dello spettacolo
La
psicopatologia è una forma di esaurimento del mondo entro la propria
idea. In essa, le ossessioni, forme-pensiero o egregore sono vera
realtà oggettiva, tangibile, vera a tutti gli effetti. La sua
terapia consiste nella presa di coscienza che si tratta di una nostra
creazione. Se la cura ha effetto le forme-pensiero svaniscono e
l’assunzione di responsabilità della propria condizione ha spazio
per ridurre o eliminare la sofferenza precedente. L’io che si
sentiva in dovere di lottare per qualcosa o contro qualcos’altro,
non si sente più minacciato e le relazioni migliorano.
«Ogni
volta che si adotta l’atteggiamento secondo il quale abbiamo un
accesso privilegiato a una realtà indipendente, come accade
costitutivamente nel percorso esplicativo dell’oggettività …: o
si è con qualcuno o si è contro».
Humberto
Maturana e Ximena Davila, Emozioni e
linguaggio in educazione e in politica
Ma,
anche entro l’ambito della cosiddetta normalità,
l’inconsapevolmente creazione del mondo comporta l’esistenza di
una realtà oggettiva, fuori, in attesa di noi, nella quale ci
spostiamo come un’entità mobile e indipendente entro un plastico.
Tanto
in situazione patologica quanto nell’ordinaria, ancora fa perno
l’autoreferenzialità. Questa, come tale, crea dipendenza e ci fa
esistere entro il legame che essa comporta. Nessuna differenza
sostanziale si può trovare rispetto alle dipendenze da sostanze
assuefanti.
Tutto
ciò comporta una cultura nella quale – nuovamente
inconsapevolmente – traiamo conforto. Vale per tutti e piuttosto
profondamente.
«…
gli scienziati troppo facilmente stimano il loro modo di pensare come
il modo naturale di pensare le cose, mentre le vedute degli altri, in
quanto differiscono dalle loro, sarebbero falsate dalle dottrine
filosofiche preconcette e infondate, che la scienza imparziale deve
evitare».
Paolo
Calabrò, Le cose si toccano. Raimon Panikkar
e le scienze moderne
«La
fisica classica partiva dalla convinzione — o si direbbe meglio
dall’illusione? — che noi potessimo descrivere il mondo, o almeno
delle parti di esso, senza alcun riferimento a noi stessi».
Werner
Heisenberg, Fisica e filosofia
Ma
dire cultura non basta più. È necessario impiegare il concetto di
mente e del suo potere. Un’entità metafisico-reticolare che agisce
sui suoi stessi generatori, senza però corrispondere alla loro
somma. È l’intento che questi esprimono attraverso i
sentimenti e i pensieri che genera la mente. Un ciclone dal quale non
è possibile esonerarsi dal donare le proprie forze, se non a mezzo
di un percorso evolutivo di emancipazione. Le aberrazioni compiute da
individui su individui, perché sembrava normale, come è
avvenuto e avviene, esprimono il potere della mente.
«Era
facile essere presi dal proprio ego, ma se si riusciva ad ottenere
almeno qualche grado di libertà da esso, si cominciava ad ascoltare
e il linguaggio cominciava a cambiare; e allora, ma solo allora, si
potevano dire cose nuove».
Humberto
Maturana e Francisco Varela, Autopoiesi e
cognizione
Prendere
consapevolezza del potere coercitivo che le abitudini esercitano nei
confronti della nostra evoluzione verso un’intelligenza non egoica
riguarda il secondo aspetto interessante.
Riguarda
la sua potenzialità rivoluzionaria. Il cambiamento però, non si
realizza nel momento della presa di coscienza di come l’abitudine
escluda l’accesso all’infinito. Essa, infatti, implica un campo
esistenziale limitato a se stessa.
Piuttosto,
il passaggio evolutivo si compie con un ulteriore movimento. Ovvero,
attraverso l’evidenza che ciò che chiamiamo io – entità alla
quale crediamo di corrispondere – non è che un’incastellatura di
consuetudini e, nuovamente, di abitudini con le quali tessiamo una
rete di valori, di morali e di significati, a loro volta
indispensabili per guidare noi stessi nella vita.
«Ma
critica è anche, ha scritto Foucault …. conoscenza del limite e
ricerca di un suo superamento, tentativo di cogliere “nella
contingenza che ci ha fatto essere ciò che siamo, la possibilità di
non essere più, di non fare più o di non pensare più quello che
siamo, facciamo o pensiamo”. La critica della vittima non può
essere fatta dall’esterno».
Daniele
Giglioli, Critica
della vittima
Armati
di quell’intelaiatura che corrisponde all’io – per i più
forti, razionalisticamente ben controventata – ci battiamo con
senso del dovere nel campo della vita per discernere il vero dal
falso, il giusto dallo sbagliato. Fino a uccidere e a farci uccidere.
Con
la stessa modalità è autopoieuticamente [che si genera da sé]
organizzato il sistema. Sarà lui, con i suoi livelli superiori, a
confortarci se perdiamo (terapia) e a esaltarci se vinciamo (premio).
Tuttavia
sul ristretto campo di gioco o di battaglia dell’ego restano sempre
e solo cadaveri di due tipi: vittime e sopravvissuti. Nella
schizofrenia egoica, il loro ruolo si alterna. A chi tocca di
restare, tocca anche il peso del senso di colpa o la mortificazione
di una vita.
Compiere
azioni all’esterno, svincolate dalle modalità sistemiche, non è
concesso e comporta ammonimento e punizioni da parte della mente e
frustrazione da parte nostra. Il super-io ci controlla anzi,
controlla l’io.
«Un
sistema vivente è autopoieutico in quanto si autoproduce: esso non
può essere caratterizzato in termini di input e output, nessuna
delle sue trasformazioni può essere spiegata come una funzione degli
stimoli del suo ambiente; esso si modifica in base alla sua
organizzazione, allo scopo di conservare costante la sua
organizzazione stessa […]».
Humberto
Maturana e Francisco Varela, Autopoiesi e
cognizione
Se
da un lato non è opportuno biasimare chi, inconsapevolmente, vede
coincidenza tra consuetudini/abitudini e giusto, dall’altro non si
può non vedere dove ci condurrà l’esplorazione in noi stessi, una
volta nella consapevolezza della struttura dell’io. Le
parole per narrarla corrispondono a quanto accade per un ritmo, una
danza. Ad ogni istante conosciamo già con quale realtà avremo a che
fare l’istante dopo. Una realtà o un ritmo dal gusto secondo la
sola ricetta che abbiamo conosciuto. L’imprinting ci dà alcuni
codici che crediamo i soli esistenti ma, come tutti i bimbi non
sospettosi che prima di loro si andasse al pozzo a prendere l’acqua,
così noi ci comportiamo partendo dai rubinetti dell’io.
«Ora
striduli ora soporiferi, i media penetrano a forza nella comune, nel
villaggio, nell’azienda, nella scuola. I suoni prodotti dagli
autori e dagli annunciatori di testi programmati stravolgono di
giorno in giorno le parole della lingua viva facendone tanti blocchi
di frasario per messaggi prefabbricati. Oggi solo chi è tagliato
fuori dal mondo oppure l’anticonformista ricco e ben protetto può
far giocare i propri bambini in un ambiente dov’essi sentano
parlare persone anziché divi, annunciatori o istruttori. In ogni
parte del mondo si vede dilagare questa disciplinata acquiescenza che
caratterizza lo spettatore, il paziente e il cliente. Aumenta
rapidamente la standardizzazione del comportamento umano».
Ivan
Illich, Disoccupazione creativa.
Un nuovo equilibrio tra le attività svincolate dalle leggi di
mercato e il diritto d'impiego
Una
delle successive liberazioni si verifica nel riconoscere come
quell’infrastruttura, che avevamo creduto essere noi stessi, abbia
una vita sua propria. Si alimenta di tutto ciò in cui crediamo,
dunque dell’energia che mettiamo in campo, necessaria per
perpetuare la vita secondo le nostre convinzioni. È una specie di
scimmia sulla schiena che ci incita a ripetere il noto, fino alla
morte.
Il
passo liberatorio si compie quando ci accorgiamo di vedere,
interpretare e sapere attraverso filtri infrastrutturali, della rete
di abitudini e consuetudini, tutti necessari alla rete stessa, alla
sua sopravvivenza, al suo dominio. Vediamo
allora negli altri come l’io divenga vampiro. Lo vedremo poi anche
in noi stessi attraverso una specie di salto di livello. Un punto dal
quale sarà evidente che gli altri sono dei noi in altra forma, tempo
e spazio.
«La
consapevolezza, o la coscienza, è infatti l’unico elemento che la
maggior parte degli psicoterapeuti al giorno d’oggi riconosce come
motore essenziale della trasformazione. Avere consapevolezza dei
nostri processi significa portarli sotto il nostro controllo,
renderli nostri».
Claudio
Naranjo, Viaggio
di guarigione. Il potenziale curativo della terapia psichedelica
Natura
del sé
«C’è
una quantità di persone che non sono ancora nate. Sembra che siano
qui e che camminino ma, di fatto, non sono ancora nate perché si
trovano al di là di un muro di vetro, sono ancora nell’utero. Sono
nel mondo soltanto provvisoriamente e presto ritorneranno al pleroma
da cui hanno avuto inizio. Non hanno ancora creato un collegamento
con questo mondo; sono sospesi per aria, sono nevrotici che vivono
una vita provvisoria.
[…]
Bene, nascere è importantissimo; si deve venire in questo mondo,
altrimenti non si può realizzare il Sé, e fallisce lo scopo di
questo mondo. Se questo succede, semplicemente si deve essere
ributtati nel crogiuolo e nascere di nuovo.
[…]
Vedete, è di un’importanza assoluta essere in questo mondo,
realizzare davvero la propria entelechia, il germe di vita che si è,
altrimenti non si può mai mettere in moto Kudalinī
e non ci si può mai distaccare.
[…]
Se invece si entra in contatto con la realtà in cui si vive, vi si
rimane per diversi decenni e si lascia la propria impronta, allora
può avviarsi il processo impersonale. Vedete, il germoglio deve
sbocciare dalla terra, e se la scintilla personale non è mai entrata
nella terra, da lì non uscirà nulla, non ci saranno né Linga
né Kudalinī perché si è
ancora nell’infinità che c’era prima».
Carl
Gustav Jung, La psicologia del Kundalini-Yoga
Ma
l’incastellatura dell’ego dove appoggia?
La
sua struttura si erge intorno al sé, la vera sede di noi stessi, e
la nasconde proprio a noi.
«Poiché
l'ego è solo il centro del campo della mia coscienza, non è
identico alla totalità della mia psiche, ma è solo un complesso tra
gli altri complessi. Pertanto distinguo tra l'ego e il Sé, in quanto
l'ego è solo il soggetto della mia coscienza, mentre il sé è il
soggetto della mia psiche totale, quindi anche dell'inconscio».
Carl
Gustav Jung, Libro
Rosso o Liber Novus
Essere
giunti al cospetto del sé, essere in relazione al sé, muoversi
nella vita nel rispetto del sé invece che nelle inconsapevoli
egoiche coercizioni delle abitudini e delle consuetudini tende a fare
di noi uomini in equilibrio, creativi, forti, invulnerabili.
«L’uomo,
l’essere che era destinato ad essere magico, non lo è più. Si è
ridotto ad un banale pezzo di carne. Non ci sono più i sogni degni
dell’uomo, ma ci sono solo i sogni di un pezzo di carne: triti,
convenzionali, stupidi».
Marco
Baston, Disperdere il suggeritore.
Come affrontare i voladores
Quell’uomo
tende a permettere ulteriori stati evolutivi.
La
relazione con il proprio sé tende ad essere mantenuta in numero
crescente di emozioni se l’emancipazione nei confronti dell’io si
è compiuta. Viceversa, l’oscillazione tra il sé e l’io tende a
grandi escursioni se l’ambiente in cui viviamo è poco favorevole.
In un contesto di vita più opportuno, l’ampiezza del dentro e
fuori si riduce fino all’equilibrio.
«Il
Sé potrebbe essere caratterizzato come una specie di compensazione
per il conflitto fra l’interno e l’esterno […]. Pertanto esso è
anche la meta della vita, perché è la più perfetta espressione
della combinazione fatale che si chiama individuo […]. Quando si
riesce a sentire il Sé come un irrazionale, come un ente
indefinibile, al quale l’Io non è né contrapposto né sottoposto
ma pertinente, e intorno al quale esso ruota come la terra intorno al
sole, allora la meta dell’individuazione è raggiunta».
Carl
Gustav Jung, Libro
Rosso o Liber Novus
È
però da precisare che la prima e sola responsabilità di
quell’oscillare è in noi. Come per le abitudini, diveniamo
consapevoli che abbracciarle o liberarcene abbia il connotato di una
semplice scelta, altrettanto per mantenere una condotta a nostra
misura, a misura del sé, non imputiamo più responsabilità a
fattori esterni. Questi, in contesto evolutivo, costituiscono sempre
e solo informazioni sui nostri punti deboli, di vulnerabilità fisica
e psichica. Seguitare a vederli come responsabili del nostro
comportamento e stato spegne la luce che ci gettavano in aiuto. Un
lume che si attiva ad ogni nostra depressione o esaltazione,
malessere o euforia.
«Lo
so da molto tempo. Ma non riuscivo a comprendere la ragione per cui
sprofondavi sempre più nel fango dopo esserne faticosamente, e
tormentosamente, emerso. E poi, a poco a poco, a tentoni e osservando
prudentemente, scopersi ciò che ti rende schiavo: TU STESSO SEI IL
TUO AGUZZINO! Nessuno, se non tu stesso — questa fu la risposta —
è colpevole della tua schiavitù. Non altri, ti dico!»
Wilhelm
Reich, Ascolta
piccolo uomo
«Jung
è arrivato a capire che il Sé rappresenta l'obiettivo
dell'individuazione [del
Sé. NdR]
e che il processo di identificazione [col
Sé. NdR] non
consente un percorso lineare [Causa-effetto/logico.
NdR],
ma consiste in una sorta di circomambulazione del Sé. […] Il
processo di individuazione è stato quindi concepito come un modello
generale di sviluppo umano e la psicologia analitica, secondo Jung,
mancando di un'adeguata guida nella società contemporanea, è stata
chiamata a
una funzione di orientamento vicario nella transizione della gioventù
alla maturità».
Carl
Gustav Jung, Libro
Rosso o Liber Novus, dalla
prefazione di Sonu Shamadasani
Raggiunto
il sé, liberi dal cricetico ciclo desiderio-soddisfazione-desiderio
– e dai suoi alienanti/frustranti degradi – forti del riconoscere
i diversi mondi che ci creiamo attribuendo o assumendo la
responsabilità del mondo stesso, diventa esplicito come questo
scaturisca da noi.
Siamo
i creatori della realtà.
È
una consapevolezza che non avviene da sola e, da sola, non si compie
completamente: richiede infatti anche quella della cosiddetta
accettazione. Che nulla ha a che vedere con la passività.
L’accettazione
comporta la cessazione di due nodali azioni egoiche. Una, è quella
di investire la realtà con il nostro giudizio, per poi credere che
quella caratteristica sia della natura di ciò che abbiamo osservato.
L’altra, di sentirsi personalmente coinvolti (emozione e sentimento
negativi) da ciò che, nuovamente a nostro giudizio, è o va, contro
noi stessi.
Il
processo dell’accettazione comporta che, dal dovercela fare,
quale fonte di autostima, si possa passare al rispetto di sé, quindi
di non alterazione dell’equilibrio a causa dell’insuccesso.
Così
fa il calciatore che, pur sbagliando la facile occasione di segnare,
non lascia spazio alle emozioni che alimenterebbero la distrazione
(perturbazione) per la sua migliore prestazione successiva.
Così
già facciamo noi in molte occasioni, senza magari cogliere che
possiamo mutuare quell’intelligenza a tutte le circostanze
della vita, anche e soprattutto le più penose.
Allora,
nel sé, condizione che implica l’accettazione, si apre per noi una
creatività senza pari. Diviene possibile riconoscere le ragioni
dell’altro, se ne scorgono la dignità che contengono e la parità
con le nostre.
«Ci
sono livelli dell’esistenza in cui possiamo non soltanto comunicare
con gli altri, possiamo diventare uno parte dell’altro».
Ervin
Lazslo, Wolrdshift. Società, scienza e nuova
realtà
Prendendo
le distanze dalla occulta arroganza delle abitudini, fatti e
circostanze della vita non sono più interpretati secondo
l’importanza personale o l’orgoglio, ovvero secondo ciò
(l’incastellatura) che crediamo di essere. Non divengono quindi
perturbazioni, seppure anche positive, esaltanti. Ci lasciano
nell’equilibrio, quindi nel pieno possesso di noi stessi, della
nostra creatività e bellezza. Invece di trascinarci nei gorghi neri
delle emozioni – esaltanti o deprimenti non fa differenza –, ci
sfilano via come acqua sulla prora, ci lasciano nel benessere.
È
questo, o anche questo, essere nel sé.
Politica
«Tutto
il nostro vivere come esseri umani è in quanto tale politico, perché
genera mondi, e i mondi che generiamo con il nostro vivere e
convivere nascono dalle emozioni che fondano le risposte […] . Al
tempo stesso, tutto ciò che facciamo nel nostro vivere e convivere
come esseri umani sarà di per sé anche educazione, perché opererà
sempre come formatore dei sentimenti dei giovani […] ».
Humberto
Maturana e Ximena Davila, Emozioni e
linguaggio in educazione e in politica
Se
vogliamo cambiare, facciamolo. Guardiamoci come fossimo altro da noi
e diciamoci di smettere certe dipendenze, certe abitudini. Decidiamo
di metterci alla ricerca del nostro io, andiamo a vedere di che pasta
è fatto. E se gli altri non faranno altrettanto, allora è tutto
inutile, è un pensiero, una certezza, una formula magica che
contiene le ragioni per mantenere l’inerzia, per restare al divano,
per accontentarsi d’aver capito e magari considerarsi superiori a
chi ancora non c’è arrivato. Ma, è anche vero che contiene il
perché è opportuno mettersi in moto.
A
noi la scelta.
E
il lavoro per compierla.
Nessuno
può sostituirsi a noi, a nessuno possiamo delegare un mondo
migliore.
«Crisi,
parola greca che in tutte le lingue moderne ha voluto dire “scelta”
o “punto di svolta”, ora sta a significare: “Guidatore, dacci
dentro!” […] Ma “crisi” non ha necessariamente questo
significato. […] Può invece indicare l’attimo della scelta, quel
momento meraviglioso in cui la gente all’improvviso si rende conto
delle gabbie nelle quali si è rinchiusa e della possibilità di
vivere in maniera diversa».
Ivan
Illich, Disoccupazione creativa.
Un nuovo equilibrio tra le attività svincolate dalle leggi di
mercato e il diritto d'impiego
«Noi
esseri viventi siamo sistemi determinati dalla nostra struttura.
Nessuno di esterno a noi può specificare quello che accade. Ogni
volta che si verifica un incontro, quello che ci capita dipende da
noi. […] Anche in una conversazione come questa, ognuno ascolta a
partire da se stesso; e costitutivamente, in ragione del proprio
determinismo strutturale, non può che ascoltare a partire da se
stesso. Quello che sto dicendo è un’alterazione che scatena in
ognuno di voi un cambiamento strutturale determinato in voi, E non in
quello che dico e, pertanto, non da me che sono soltanto la
contingenza storica nella quale voi vi trovate a pensare ciò che
state pensando».
Humberto
Maturana e Ximena Davila, Emozioni e
linguaggio in educazione e in politica
La via, il percorso, è tutto. Non c’è il successo conclamato in
attesa. Sarebbe una pretesa egoica, contro la quale non dovremmo più
battagliare. Esiste solo l’impegno per percorrerla, ognuno a
propria misura, quella del sé. Ognuno ormai con l’apertura alla
gratitudine per ciò che è.
«Qualsiasi
via è solo una via, e non c’è nessun affronto, a se stessi o agli
altri, nell’abbandonarla, se questo è ciò che il tuo cuore ti
dice di fare… Esamina ogni via con accuratezza e ponderazione.
Provala tutte le volte che lo ritieni necessario. Quindi poni a te
stesso, e a te stesso soltanto, una domanda… Questa via ha un
cuore? Se lo ha, la via è buona. Se non lo ha, non serve a niente».
Carlos
Castaneda in Fritjof Capra, Il
Tao della fisica
«”Questa,
si questa è ormai la mia
via: e la vostra
dov’è?“ così rispondevo a quelli che mi “chiedevano la via”.
Poiché la via,
la via non
esiste!».
Friedrich Nietzsche, Così
Parlò Zarathustra
«La via è in noi, ma non in dei, né in dottrine, né
in leggi. In noi è la via, la verità e la vita. Guai a coloro che
vivono secondo modelli! La vita non è con loro. Se voi vivete
seguendo un modello, allora vivrete la vita del modello, ma chi
dovrebbe vivere la vostra vita, se non voi stessi? Dunque vivete voi
stessi […].
Imporre leggi, migliorare o rendere facili le cose è diventato un
errore e un male. Ciascuno cerchi la propria via. La via ci porta
all’amore vicendevole nella comunione. Gli uomini vedranno e
sentiranno la somiglianza e la comunanza delle loro vie.
[…]
Questa vita è la
via, la via a lungo cercata verso ciò che è inconoscibile e che noi
chiamiamo divino.
[…] Credevo che la mia anima potesse essere l’oggetto del mio
giudizio e del mio sapere; il mio giudizio e il mio sapere sono
invece proprio loro gli oggetti della mia anima. […] Giunge al
luogo dell’anima chi distoglie il proprio desiderio dalle cose
esteriori. […] Se possediamo l’immagine di una cosa, possediamo
la metà di quella cosa.
L’altra metà è la conoscenza che si costituisce nella relazione
con l’immagine».
Carl
Gustav Jung, Libro
Rosso o Liber Novus
È
questo il qui ed ora.
La
formula è breve ma profonda. Implica infatti la libertà dal
ruminante turbinio di pensieri. Una presenza che per sua natura
impedisce il qui ed ora e complica le cose all’accettazione.
«Il
linguaggio delle emozioni comporta un fluire ininterrotto di segnali
e controsegnali, mentre il linguaggio della cognizione autocosciente
traccia di continuo differenze, contorni, soglie di discontinuità».
Sergio
Manghi, La conoscenza ecologica.
Attualità di Gregory Bateson
Nel
sé, siamo Uno. Nell’io, il molteplice, sinonimo di avere e
di perdizione, subiamo. L’io ha da
difendere, e da attaccare. Il sé no. L’io è settoriale, il sé è
sistemico.
Anche
il grande ego dell’Occidente, la sua cuspide d’intelligenza, la
Scienza, così originariamente autoreferenziale, affermativa del vero
definitivo, analitico-scompositiva dell’intero, dopo aver ridotto
l’infinito a sola materia misurabile e cognizione, attraverso il
suo cuore esploratore, con la meccanica quantistica, ha superato la
realtà data per riconoscere quella creata.
«[...]
è nella teoria dei quanta che hanno avuto luogo i cambiamenti più
radicali riguardo al concetto di realtà. [...] Ma il mutamento del
concetto di realtà che si manifesta nella teoria dei quanta non è
una semplice continuazione del passato; esso appare come una vera
rottura nella struttura della scienza moderna».
Werner
Heisenberg, Fisica e filosofia
In
ogni caso, sulla via del sé siamo soli, dare colpe agli altri della
nostra solitudine o pretendere aiuto per la nostra difficoltà, sono
fughe che riguardano il piccolo campo dell’ego, quello che
all’inizio sembrava il solo esistente.
Lorenzo Merlo - force@victoryproject.net
Bibliografia
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Marco
Baston, Disperdere il suggeritore.
Come affrontare i voladores - Edizioni
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