Già
nell’antichità un grande filosofo di Efeso contemporaneo, ed anzi
leggermente precedente Parmenide, Eraclito
di Efeso
(535-475 A.C.), di cui purtroppo ci
sono rimasti solo alcuni significativi frammenti, ha dato una potente
risposta agli Eleatici. L’unica
realtà, dice Eraclito, è il cambiamento.
Ogni cosa in questo mondo reale è contemporaneamente
essere e non-essere. Ad esempio,
l’uomo è contemporaneamente giovane e vecchio, vivo e morto,
perché l’uno si trasforma continuamente nell’altro. Non potrai
mai bagnarti nella stessa acqua dello stesso fiume perché l’acqua
scorre ed il fiume, pur restando se stesso, cioè mantenendo
indubbiamente una propria identità, si trasforma continuamente e si
tramuta sempre in qualcos’altro, perché si spostano e mutano
continuamente le molecole che lo compongono. Da queste considerazioni
proviene il celebre detto di Eraclito (ma attribuito da alcuni ad un
suo allievo): “pànta rèi”,
“tutto scorre”.
Inutile
dire che l’atteggiamento culturale di Eraclito, pur non finalizzato
direttamente alla scienza, favorisce l’atteggiamento del
ricercatore, perché ci induce a fidarci dell’esperienza, che ci
mette sotto gli occhi una realtà che è in continuo cambiamento.
Il
grande filosofo di Efeso è considerato anche come l’anticipatore,
se non l’inventore, della dialettica
della realtà. Egli infatti ritiene
(come dirà anche un altro famoso filosofo dell’antichità,
Empedocle
di Agrigento, e come già accennato da Anassimandro)
che il cambiamento della realtà proviene dal contrasto degli
opposti. Questo concetto, se interpretato correttamente e
concretamente, in modo non dogmatico, ha precisi riscontri anche
fisica: ad esempio un corpo pesante cade solo se esiste un “alto”
(dove si dice che il corpo possiede una maggiore “energia
potenziale”) contrapposto ad un “basso” (dove possiede una
minore energia potenziale). Lo stesso avviene per una carica
elettrica che si sposta se viene attirata da un’altra carica di
segno opposto (le cariche possono essere “positive o “negative”),
o se si sposta da un punto con potenziale elettrico “alto” ad un
punto con potenziale elettrico “basso”. Oltre due millenni dopo
Engels, con l’opera “La
Dialettica della Natura”, e poi
anche Lenin
ed altri giganti del socialismo, riprenderanno e svilupperanno
concetti simili.
Il
termine “dialettica” proviene dalle parole greche antiche
“dialektiké, dialègein, dialègomai”, che significano
“confronto, discutere, confrontarsi” sulla base di principi
opposti, ed è stato definito ed utilizzato da vari filosofi in modi
diversi, spesso solo idealistici (ovvero riguardanti solo le idee), o
retorici (cioè riguardanti le tecniche del discorso e del
dibattito).
Per
il filosofo idealista Platone,
la dialettica riguarda le idee e serve a risalire dalle idee
particolari a quelle generali, e viceversa. Anche per l’idealista
moderno Hegel
la dialettica è il modo di sviluppo dello spirito. Per i Sofisti,
di cui scriveremo nei prossimi numeri, la dialettica è vista più
concretamente come tecnica retorico-discorsiva per confrontare tesi
opposte cercando di far trionfare la propria tesi.
Per Aristotele
è solo un confronto di opinioni. Non si può inoltre ignorare che in
molti casi il termine “dialettica” è stato utilizzato per creare
nuovi sistemi filosofici dogmatici ed artificiosi, come vedremo nei
prossimi numeri.
Ma,
tornando alla dialettica del reale, in tempi moderni, il continuo
fluire e la continua trasformazione irreversibile della realtà
fisica tipica del pensiero di Eraclito, sono stati ben espressi a
livello scientifico dal noto secondo
principio della
termodinamica secondo
l’interpretazione che ne ha dato
il grande fisico Boltzmann
alla fine dell’800, con
la definizione della grandezza detta “Entropia”
che cresce sempre nell’universo senza la possibilità di tornare
indietro (teoria di cui ci interesseremo quando giungeremo a quel
periodo).
Vincenzo Brandi
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