L'attenzione scorge la realtà...

 

Immagine di Giancarla Pancera


A secondo di dove si posa l'attenzione sorge la realtà corrispondente. Scoprirlo è un passo evolutivo. Quando qualcuno sa come pilotare la nostra, non scopriremo mai come fa l'illusionista a tirar fuori conigli dal cilindro.


C’è una vignetta che dice: “Non c’è nessun pericolo. Le macerie sostengono la facciata”. In pratica significa che, nonostante tutto stia crollando, qualcuno non se ne accorge.



Primo argomento

Distratti da qualche sirena è facile inciampare: è esperienza comune. Nel nostro caso ci sono due argomenti – che poi convergono e si rafforzano – a sostegno del diritto d’errore.

Il primo dei due è il punto di attenzione.

Dov’è posto? Dove risiede? Cosa punta? Da chi o cosa è rapito? Cosa lo contiene?

Ecco, se ognuno sapesse dove si trova, a cosa è vincolata la nostra attenzione vedrebbe anche come questa, sia collegata al guinzaglio che ci limita i movimenti, prioritariamente intesi come creatività o come libertà di pensiero e di sentimento. È un’osservazione, una presa di coscienza, che possiamo realizzare per riconoscere quanto sia, più che semplice, banale. Tuttavia è generalmente poco adottata. Effettivamente non è gratuita, richiede dedizione.

Per toccare il suo segreto ci vorrebbe poco. Basterebbe che a scuola o a casa se ne sperimentasse la verità. Immediatamente aggiorneremmo lo sguardo sul mondo. Vedremmo che non è come descritto dai sussidiari, né corrisponde a quanto ci dicono gli esperti. Vedremmo che lui, il mondo, è sempre determinato dal nostro punto di attenzione. Che quello descritto dalle consuetudini è una sorta di zoo spacciato per savana.

Basterebbe”, tanto per dire. Se avessimo maestre e genitori consapevoli del punto di attenzione del suo significato per l’equilibrio e la centratura dei bambini, ovvero delle future persone, non saremmo a parlare del suo banale segreto.


Esso non è relativo a ciò che facciamo ma allo spirito che domina il fare. Spesso è occulto a noi stessi e, sostanza, è la vera motivazione delle nostre scelte.

Questo, come tutti i segreti, per quanto elementare si riveli a presa di coscienza compiuta, è opportuno rimanga tale, occultato tra le pieghe del tabarro del mago. Non c’è infatti sufficiente saggezza a disposizione per renderla sociale, realmente formatrice di persone compiute? Evidentemente è meglio tenerci alla larga. È meglio distrarci, mettere in campo diversivi che ci portino a guardare altrove. E non servono nomi e cognomi per riscontrare l’ipotesi. Basta osservare gli uomini, il loro comportamento vincolato al punto di attenzione fisso sull’importanza personale, sull’invidia, sull’orgoglio, sul potere, sul culto di sé. Salvo quello della madre, quale ego opera per amore incondizionato, per la crescita del prossimo?


Ricchi della consapevolezza del punto di attenzione, osservando il mondo, se stessi, le relazioni, le scelte, le reazioni e così via, indurremmo un cambio di registro dell’intera cultura. Cambierebbe tutto, tra cui la concezione dei consumi. Ciò che prima era vissuto come un bene, un valore, un diritto, poi, diviene chiaramente una dipendenza e un’assuefazione, con tanto di bugiardino che ne elenca le controindicazioni: Socialmente, un controllo; Nazionalmente, una mutamento di identità; psicologicamente, un’alienazione da sé; culturalmente, una perdita dei saperi legati al territorio e alla vicenda umana; evolutivamente, un’ulteriore castrazione; eticamente, una devozione ai valori posticci ed egoici; spiritualmente, una mortificazione della conoscenza.


Succede quindi che il punto di attenzione possa, non solo vincolarci alla giostra delle consuetudini, ma farcela vivere come verità. Se non t’indebiti e non sgomiti per guadagnare, non consumi. Almeno come il vicino. Almeno per chetare l’invidia verso il diretto interlocutore; per cercare di non perdere autostima e benefit.


Secondo argomento

Dunque, la questione numero uno è il punto di attenzione.

La due, riguarda la magia. Non quella vera di Ermete Trismegistus, di Eliphas Levi, Paracelso, Cristo e Buddha, ma quella spettacolare di Silvan, del Mago Forest e del suo amico Oronzo.

Anche mettendosi d’impegno non si capisce come il coniglio possa uscire dal cilindro, l’uovo dall’orecchio e la valletta sia mezza di qua e mezza di là.

È necessario riprendere il concetto del punto di attenzione. Sappiamo che un mago è un buon mago se il suo fare porta la nostra attenzione dove utile, affinché la sua magia possa sorprenderci.

Viceversa, consapevoli dei requisiti affinché la sorpresa possa accadere, di come questa implichi che qualcosa ci ha portato a guardare dove utile alla sua insorgenza, disponiamo di una carta in più nel repertorio delle nostre azioni.

Una carta a doppio servizio. Il disegno della figura ha la forma del diversivo. Al contrario del jolly che ha valore sostitutivo, il diversivo ha potere fuorviante. Messa in campo, attira e sposta l’attenzione dei giocatori-interlocutori. Si accomoda in tutti mazzi, è disponibile per tutti i giochi, si presta a tutti i tipi di relazione. Inclusa quella con se stessi. Nessun regolamento le riduce il valore potenziale. Lo può fare solo chi l’ha in mano. Come anche può esaltarlo. Ma non basta. Esso, il valore potenziale, dipende molto da noi che una volta messa in campo ne vediamo o meno, il significato, l’intento.


Essere in grado di vedere con precisione dove si trovi il proprio punto di attenzione, implica svestire la cosiddetta realtà dalle sue innumerevoli vesti e maschere. L’alto costo energetico risparmiato, permette nuotare controcorrente e arrivare alla sorgente degli archetipi e dei simboli. Permette di trovarsi. Di disintossicarsi. Di individuare la nostra natura, sola bussola in grado non subire le declinazioni magnetiche delle forme, delle chimere, delle ideologie, delle morali, dell’interesse personale. La sola che può svelarci la nostra direzione autentica. Che può mettere in evidenza quanta energia sprechiamo per lottare dentro il quadrato dell’Io. Ovvero, quanta creatività, cioè vita, ci sottrae. Non è tutto. Permette quindi di gestire noi stessi. Di condurci all’equilibrio e di offrirne esempio.


Gli interessati all’argomento ritengono l’emancipazione nei confronti del punto di attenzione un momento dell’evoluzione personale. Se il mondo ci appare in funzione di dove questo si posi, a trucchetto svelato ci si risparmia molta pena, molta vita non vissuta se non nella miseria spirituale. Viceversa, perderne il controllo o non averlo mai avuto, significa essere in balia dei nostri stessi sentimenti, delle nostre cieche reazioni.


La convergenza

Ecco, i sentimenti e le sue complici, le emozioni. È qui che avviene la convergenza di tutte le forze. Al loro interno si trovano i meccanismi di comando del punto di attenzione. Vederlo, riconoscere le ragioni dei suoi spostamenti, consapevolezza dopo consapevolezza, è il servigio che possiamo renderci e rendere.


Sapere cosa significhi punto di attenzione, è coltivare le doti del mago che c’è in noi. Lo fa la mamma per controllare il proprio piccolo. Le basta mettere in campo un argomento che ne tocchi la sensibilità. La madre buona lo fa per gestire gli interessi del bimbo, la cattiva per gestire i propri. Ma, consapevolezza permettendo, lo facciamo tutti quando il nostro scopo lo chiede. L’alternativa, è l’inconsapevolezza di come si sposti il punto di attenzione è inaccettabile. In quel caso, non ci saranno difficoltà a restare legati a un guinzaglio di cui non conosciamo il padrone, fossimo anche noi stessi.


Tutti siamo stati noria da qualcuno o da qualcosa. Solo poi, e solo a volte, ce ne siamo resi conto. Che fesso! Ci diciamo. Come ho fatto a crederci, a non accorgermi?

Può accadere tanto per il bene quanto per il male. In quelle occasioni, facilmente siamo autoindulgenti. Non ci sentiamo i responsabili del raggiro. Tendiamo a dare la responsabilità a qualcuno purché non sia noi stessi. È un ovvio epilogo emozionale e sentimentale della vicenda. Un evento dispiegato entro una delle innumerevoli scenografie di una realtà scaturita dalla sovranità di un incontrollato punto di attenzione.


Perché accennare alla responsabilità? Che c’entra con il punto di attenzione? Attribuire responsabilità tende a non risolvere i problemi che ci coinvolgono, che ci riducono la qualità della vita. Di qualunque stirpe si tratti, essi sono scaturiti con noi e in noi. Non avvedersene tende a mantenerli, ad alimentarli, a crearne di nuovi. Viceversa, assumersene la responsabilità, è la sola modalità per fare chiarezza. Per alzare il rischio di imparare dall’errore, per riconoscere le nostre vulnerabilità. Per scoprire a cosa il punto d’attenzione si era agganciato, cos’ fortemente da sganciarci da noi stessi. La regia di noi stessi è nostra, senza interruzione id continuità, è opportuno arrivare a riconoscerlo. È una via per scoprire chi siamo, per accorgerci chi credevamo di essere.


Scoprire dove il mago spinge il nostro punto di attenzione è utile senza essere utilitaristico. Serve a noi e a chi ci è vicino. Può cambiare il mondo o far vedere come qualcun altro ce lo stia cambiando sotto il naso. Se così non fosse – uno per tutti – perché crediamo che la disoccupazione possa ridursi, e così il debito pubblico? Perché pensiamo che il vaccino sia una manna? Perché accettiamo di essere via via più controllati pensando sia giusto? Perché non ci avvediamo che con una politica economica fondata sulla depredazione di Uomini e Terra tutte le ecologie circolari, gli impatti zero, e quelli sostenibili sono fuffa negli occhi? E perché, al gioco delle tre carte, non vediamo mai dove va a finire l’Asso?

Qui ce n’è uno: https://www.youtube.com/watch?v=IrauF74kGv0

E qui un altro: https://www.youtube.com/watch?v=wfizYqldjhA

Lorenzo Merlo



*Punto di attenzione è preso dal gergo impiegato da Marco Baston in La soglia dell’energia



Un viaggio esoterico nella "natura naturans"



Un colpo di vento mi porta ai 5337 Km. percorsi attraverso la penisola balcanica, come un filo elettrico, attraverso un luminoso caleidoscopio di paesaggi, tradizioni e contraddizioni senza fine… l’estate scorsa, al puntuale presentarsi del periodo delle ferie. Una risalita, a partire da quei lidi della Grecia, attraversati dalle sorgenti dell’Acheronte e da quell’isola infilata in un oceano di perlacea bellezza, dedicata alla ninfa Leucade, che è via via andata arricchendosi di colori, sensazioni e sorprese inaspettate, a partire dalla costa epirotica di quella terra d’Albania che, accanto all’ipertrofica confusione di uno sviluppo urbano spesso incontrollato, spesso nasconde squarci di inaudita bellezza. Coste contornate da mari perlacei ed improvvise risalite su passi di montagna ad altitudini alpine, da cui ammirare un panorama mozzafiato di isole e costiere. Città turche, come Berat, adagiate sui costoni di due montagne, da cui partire per visitare la versione illirica del monte Olimpo, attraverso un panorama riarso dal sole, sino a giungere alla fine della strada, alla presenza dell’immensità di un canyon, di una fenditura della crosta terrestre, probabilmente seconda solo a quella strapubblicizzata in Colorado, Usa. 

Oppure dopo una sfibrante gita da Saranda sulla costa meridionale, alla città storica di Argirocastro/Gjrokaster, tra monti impervi, solcati da stradacce e tornanti senza fine, fermarsi nella fresca radura delle sorgenti dell’Occhio Blu, infilate nel cuore delle montagne di un parco nazionale, e gettarsi tra i dieci gradi di gelide acque sorgive, quasi a voler rinnovare istintivamente il rito senza tempo di una “lustratio” a cui tutti i pellegrini ed i viaggiatori dovrebbero sottoporsi al termine di un percorso che non solo fisico è, ma anche, e specialmente ideale, connettendo l’anima a quell’ “idèin/vedere” che, di essa è il momento principiale…oppure dopo aver visitato i resti della ellenistica Butrint/Butrothos, andarsi a gettare nelle acque di una qualsivoglia assolata e semideserta spiaggia ionia. 

O visitare la greco-romana Apollonia e recarsi alla scoperta dei semideserti litorali a nord della confusionaria Valona. Parlare con la direttrice del rinnovato museo archeologico di Durres per poi scoprire che, la costa epirotica tutta, fu colonizzata da greci provenienti da Kerkyra/Corfù, isola cara agli Dei e, pertanto, tutta fu dedicata a Diana/Artemide, Dea della caccia e della natura ferina, lì a testimoniare che, a dispetto del brullo aspetto odierno, una volta le terre d’Albania erano ricoperte tutte da verdi foreste di querce, cipressi, faggi e pini, rifugio di fiere ma anche di ninfe e driadi…

Percorrere impossibili strade deserte attorno a laghi di montagna, lontani da tutto, eppure a due passi da città confuse come Scutari, le cui vestigia venete fanno bella mostra di sé nel centro città, accanto a moschee ed edifici cadenti. Scoprire la presenza veneta nelle città montenegrine di Cotor/Cattaro ed Herceg Novi, magari incastonata tra moschee e bastioni, come in Bar. Percorrere laghi oceanici, come quello di Scutari, aridi ed immoti, immersi in foschie senza tempo e d’improvviso ritrovarsi davanti agli occhi scorci di paludi e foreste senza fine…Allontanarsi dalla confusione delle città costiere, per respirare la quiete mistica in monasteri come quello di Ostrog, incastonato tra le rocce, a precipizio di una ripida montagna…

E poi tuffarsi nel verde della costiera dalmata, tra penisole ricoperte di pini e cipressi, contornate da isole senza fine, qua e là puntellate di chiesette e minuscoli borghi dalla caratteristica matrice architettonica veneta e da cui, ogni tanto, sbucano resti e vestigia romane. E poi quella disarmante gentilezza, quel senso dell’ospitalità, tutte balcaniche che, in Albania, proprio non ti saresti aspettato, ma che, senza eccezioni, accomunano tutte le lande da me percorse, Grecia, Albania, Montenegro e la Croazia stessa…

Ospitalità, cortesia, sorrisi, ma tante, troppe, significative contraddizioni che stonano significativamente. Arrivi nella povera Albania, tra strade scassate o altre in costruzione, edifici fatiscenti, redditi minimi da 250 euro al mese in su…ma un parco macchine da far paura anche ai nostrani italioti, tanto amanti delle quattro ruote. Miseria e povertà a profusione, ma tanti abiti firmati, griffe e tanti bei cellulari di ultima generazione… discoteche sul mare, con la musica sparata a tutta birra, neanche fossimo a Ibiza. 

Tra una tappa e l’altra, qualcuno sommessamente mi racconta di strutture sanitarie assolutamente insufficienti e mal funzionanti e di una endemica corruzione che, pare, stia rallentando la costruzione di strade e compagnia bella…Stessa solfa in Montenegro: anche se, rispetto all’Albania, ti sembra di stare in Svizzera, quanto a servizi, qualità dei cibi nei supermercati, etc., di strade kaputt e storie del genere se ne sentono a bizzeffe. Concludo il mio percorso in Croazia, prima a Ragusa/Dubrovnik e poi, infine, a Spalato, gironzolando per il Palazzo di Diocleziano. 

Mi ero precedentemente recato, alcuni anni fa, in queste città, e ben ricordavo le folle di turisti, ma quanto ho adesso veduto, ha stavolta superato ogni limite. Orde di giovinastri yankee vocianti e cafoni, hanno invaso la bella città; uno stuolo di ciccione sguaiate ed ubriache, coppiette di maschietti barbuti mano nella mano…arroganza, invadenza, totale mancanza di rispetto per la meravigliosa storia di Spalato. Il tutto con il condimento finale della squallida esibizione musicale di un guitto che, nello spiazzale antistante al Tempio di Giove ed alla Ecclesia Maior (edificata su un altro tempio pagano, sic!), con tanto di chitarra elettrica, intona un nauseabondo “Hey Jew” , ad memoriam dei Beatles, che li’, in quel contesto, proprio non “c’azzecca” nulla. La melodia (si fa per dire) del guitto è accompagnata da uno sguaiato coretto di turisti e turiste yankee, sbragati alla ben’e meglio tra le vetuste rovine di Spalato. Disgustato da quello spettacolo, mi allontano tra i vicoli della città, in cerca di un po’ di silenzio e nel mentre vengo colto da una visione che, di quell’intero scenario, rappresenta la classica ciliegia sulla torta. 

Mentre cammino assorto nei miei pensieri tra quegli stretti vicoli, il mio occhio cade in un negozio di non so cosa; spalle al muro, assise allo stesso tavolo, due splendidi esemplari di giovani femmine croate. L’etera bellezza di volti freschi dalla pelle tirata, condita da un’espressione immota, catatonica, rivolta verso il nulla…quel nulla che oggi si chiama cellulare, smartphone…

Come per un perverso sortilegio le due giovanette stanno lì a contemplare il nulla in tutta la sua magnitudo…per loro il mondo, la gente, in ragazzi, i sorrisi, gli ammiccamenti, la voglia di uscire, conoscere, curiosare, amare, il mondo, non esistono più…per loro è tutto un “emoticon”, dietro a cui sta solo un arido ed inanimato groviglio di fili e relais. Improvvisamente colto da un senso di fastidio e rabbia, torno a ripercorrere con la memoria, alcuni momenti della mia vita. E come per incanto, mi ritrovo proiettato in una via di Roma negli anni ’70, tra l’aspro fumo dei lacrimogeni e la voce roca a forza di urlare slogan, ma felice ed esaltato dagli scontri e dai cazzotti dati e presi con i compagni… mi ritrovo ancora una volta, zaino in spalla a viaggiare giovane ventenne con il treno attraverso quell’Europa, piena di splendide e sorridenti fanciulle straniere desiderose di fare quattro chiacchiere con un giovane di altre contrade…o a conversare tra sacchi di sabbia e strade deserte, al suono di colpi di cannone, con i giovani croati della “Garda” e della “Hos”, durante la terribile guerra balcanica dei primi anni ’90. 

Tutto crudamente e magnificamente vero, reale, animato dalla voglia di vivere, amare, morire che tutti quegli anni mi hanno sbattuto dinnanzi agli occhi, come in un film vissuto in prima persona. Mi risveglio, giro i tacchi e, mentre lascio le mie catatoniche marionette a svuotarsi le sinapsi in aridi giochi virtuali, mi dirigo verso il Tempio di Giove, di cui, sino a quel momento non ero riuscito a ritrovare, dopo anni, l’ubicazione. Il Tempio è piccolo e ben curato; a guardia del suo ingresso un omino a chiedere un balzello d’ingresso. Quale giornalista potrei entrar gratis ma, preferisco versare volontariamente quel “piaculum” quale dedica a Jupiter/Giove/Zeus/Nous, una volta Mente di quel Tutto, ora svuotato di qualsiasi contenuto, che non siano boutiques e cellulari…l’ambiente piccolo, sormontato da una statua assolutamente non pertinente e, addirittura, riempito di blocchi di muro pieni di glifi di età medioevale cristiana… mi allontano silenziosamente passando come un fantasma , indifferente a quel “bailamme” con il quale, mi rendo conto, sento di non aver nulla a che spartire. 

Ma non è solamente in Croazia, nella splendida Spalato, che ho avvertito questa sensazione. Dovunque io mi sia, in questi ultimi anni, recato, sia in moto che in aereo, sia in Europa che fuori di essa, via via in me è andata rafforzandosi la percezione di una barriera di incomunicabilità con il mondo esterno…oggidì rappresentato da quel mondo occidentale che, gettatosi anima e corpo tra le braccia di un alienante modello Tecno Economico, ha invece causato la propria desertificazione spirituale, avendo scelto di far gestire a quest’ultimo le proprie spinte vitali, sino ad arrivare al capolinea di un’assurda auto castrazione. E così il mio peregrinare attraverso terre e continenti, si fa metafora di un percorso attraverso tutti i fallimenti d’Occidente. Dalla ingloriosa fine delle dittature pauperiste che, in barba a tutti i bei propositi, hanno spalancato la strada a famelici e smodati modelli liberisti, anch’essi alienanti e fallimentari quanto queste prime, sino ad arrivare al cuore di un modello di sviluppo che, grazie al suo totale asservimento alla Tecno Economia, ha fatto dell’incomunicabilità tra gli individui, il proprio vessillo. 

E così mi rendo conto che i miei sono stati pellegrinaggi effettuati nel caos silente di un mondo che, sempre più, vive di apparenza e di poca, o nulla, sostanza. Ed è allora che, come in preda ad un repentino “satori”, sale nell’animo mio di giramondo la necessità di trovare delle risposte che sappiano essere oltre e dentro la stessa sostanza delle cose che ho davanti agli occhi. Il mondo mi si presenta allora innanzi, come un gigantesco caleidoscopio, una molteplicità di forme che fanno capo ad un’unica misteriosa realtà. Ed allora, oltre alla condizione della contemporanea, umana alienazione, mi ritrovo davanti agli occhi, in tutto il loro splendore, quei mari, quelle montagne, quelle foreste, quei deserti, ma anche quei magici “rassemblements” architettonici, che ho percorso in sacra solitudine. 

E capisco come le antiche semplificazioni, tutti quei modelli di intransigente monoteismo mentale, non siano più sufficienti a dare una spiegazione ed un senso alle cose. E sempre più avverto la presenza di una percezione “altra” da quella solita che, da sempre, costituisce sfida e tentazione per le menti che ne sappiano cogliere le suggestioni. Essa è fatta di simboli e simulacri oggi, all’apparenza, polverosi ma che, a guardar meglio, risvegliano in noi antiche e mai sopite suggestioni. Ci parlano di Astri, di insensate forme e simboli geometrici, ci riportano a Dei e Dee, ma anche alla possibilità attraverso essi, di penetrare l’anima, seppur senza estraniarsene, di quel mondo, di quella caotica e multicolore confusione, di cui costituiscono il senso ultimo. Meditando, appuntando le proprie energie mentali sopra uno di essi, scopri che possono essere il varco verso il controllo di uno o più aspetti di quella realtà che ci avviluppa come un misterioso Velo di Maya, ma che, d’improvviso sembra volerci disvelare e suggerire una soluzione all’apparenza semplice ma, per noi mortali, sempre sfuggente: quella del giuoco d’ombre dell’immanenza della trascendenza e della trascendenza dell’immanenza. 

E questa realtà finisce con il riportarmi a quel mondo che, con i suoi infiniti aspetti ne è la principale espressione. Il viaggio finisce così, con il farsi forma di autoiniziazione, di lucida apertura verso quella duplice dimensione della realtà, verso la quale, ogni qualvolta ne veniamo a contatto, non possiamo non provare “thàuma”/sbigottimento. Un’improvvisa folata di vento mi risveglia dai miei pensieri e mi riporta, a cavalcioni della mia moto, in un rigido pomeriggio d’autunno tra i monti dell’alto Lazio, tra foreste il cui rosso fogliame, mi fa venire alla mente l’arzigogolato manto di Diana, Dea delle foreste… proseguo lungo la strada del ritorno, mentre il carro solare di Helios va a tuffarsi per il tramonto in un mare di nubi, creando uno splendido effetto scenico multicolore. E’ l’ultimo saluto di quegli Dei che, oggidì, solo attraverso l’immersione nella “natura naturans”, si possono ancora incontrare….

 Umberto Bianchi ordet3000@yahoo.it 







Articolo in sintonia: https://www.ereticamente.net/2019/08/la-natura-esiste-ed-e-tangibile-dio-e-solo-unipotesi-paolo-darpini.html

Helena P. Blavatsky, la società teosofica ed il materialismo scientifico...



Nella  trasmissione “Il Pentagramma Segreto”  il sig.  Guerrieri ha definito  H.P.B. e tutti i teosofi maghi neri   https://www.youtube.com/watch?v=yPWDxSWxoCE&feature=youtu.be  - a 1h,17 ca –

 

Affermazione che lascia attoniti tutti coloro che hanno letto  anche   pochi scritti di Helena P. Blavatsky, quali ad esempio il suo libro “La chiave alla Teosofia”. E’ noto che la Società Teosofica venne istituita a fine ottocento per arginare il materialismo scientifico e le lotte dogmatiche tra le varie religioni,  lotte sovente  strumentalizzate dallo scientismo globalista.    E’ altrettanto noto che nel 1908 i teosofi fondarono, tra le altre, la lega contro vaccinazioni e vivisezione  perché in quel periodo, dopo il vaccino antivaioloso,  le persone morivano come mosche.

Se si fossero seguite le  ricerche di  H.P. Blavatsky, che l’antropologo-teosofo Bernardino del Boca ha aggiornato con le sue del   secolo scorso, forse non ci saremmo trovati in un mondo dominato dalla paura di un invisibile virus  e la maggior parte della popolazione mondiale avrebbe già da tempo confutato le basi stesse della virologia

In questo sito si possono trovare alcune delle ricerche di Blavatsky e di Bernardino del Boca sufficienti a sfatare molte menzogne  http://www.teosofia-bernardino-del-boca.it/

 

Nelle  facoltà di medicina, antropologia, genetica ecc. la mente-anima-spirito non sono menzionati, conseguentemente nella ricerca delle cause delle malattie o epidemie,  viene spesso aprioristicamente esclusa  l’esperienza personale,   il proprio vissuto/sentito,  alimentando  in tal modo la  separazione fra scienza-mente-psiche-spirito e, conseguentemente,  il  divide et impera che perdura da millenni.

 

Fra i commenti di alcuni articoli  pubblicati su siti web  ho inserito i miei  seguenti:

 

“Stefan Lanka:  “Poiché questi virologi hanno chiaramente violato le leggi del pensiero, la logica e le regole del lavoro scientifico con le loro affermazioni e con le loro azioni, possono essere colloquialmente descritti come imbroglioni della scienza. Ma poiché la frode scientifica non si verifica nel diritto penale e non ci sono precedenti per questo, suggerisco, e lo farò io stesso, di far stabilire in tribunale e nel diritto penale la frode occupazionale dei virologi - che fingono di essere scientifici ma agiscono e argomentano in modo antiscientifico. Le autorità governative responsabili sono chiamate a perseguire questi truffatori occupazionali antiscientifici per impedire loro di fare cose antiscientifiche e, di conseguenza, antisociali e pericolose. Dal momento in cui un primo tribunale stabilirà i fatti descritti di seguito e condannerà il primo virologo della frode occupazionale, la fine della crisi della corona sarà annunciata e sigillata dal tribunale e la crisi globale del corona si rivelerà un'opportunità per tutti.

https://evokeagents.blogspot.com/2020/12/i-responsabili-della-crisi-del-corona.html

 

Il dr. Scoglio nel suo intervento: Dove sbaglia la Bolgan   https://www.databaseitalia.it/dott-stefano-scoglio-dove-sbaglia-la-bolgan/

  “Forse dovremo seguire l’esempio di Stephan Lanka, e mettere un premio a disposizione di chiunque voglia cimentarsi con la dimostrazione sia dell’isolamento che della patogenicità del fantomatico SARS-Cov2…così vedremo se c’è qualcuno che si farà avanti non con arrampicamenti sugli specchi, ma con prove scientifiche vere, che però sono molto più difficili da produrre dei discorsi…”

 

Speriamo che Lanka possa  finalmente  riuscire in questo suo intento. Non se ne  può più di assistere ad un mondo  devastato,  con il supporto della virologia che continua  sostenere lo spillover o salto di specie, suffragando in questo modo  la farsa  che la spagnola, e i suoi 50 milioni di decessi, sia stata causata dagli uccelli.   


Un caro  saluto.  Paola  Botta  Beltramo




 

 











Alcuni  link  https://www.ingannati.it/2017/09/05/vaccini-anche-fra-complottisti-qualche-scivolone-carpeoro/

 

http://accademiadellaliberta.blogspot.com/2020/10/vaccini-ogm.html

 

http://accademiadellaliberta.blogspot.com/2018/07/vaccini-e-dna-accadde-nel-2017.html