Piergiorgio Odifreddi, dice la sua verità su olocausto e camere a gas



cellblock dees Italian Parliament introduces legislation against Holocaust blasphemy

E' stato il "ministero della propaganda" a costruire la realtà su olocausto e camere a gas. 

Le parole, forti, non sono dell'ultimo neonazista incontrato al bar sotto la redazione, ma di chi è considerato uno dei filosofi matematici più in voga (e chic) d'Italia: Piergiorgio Odifreddi. Il giorno in cui il mondo commemora la prima deportazione degli ebrei romani verso i campi di concentramento e il Parlamento italiano si appresta ad istituire il reato di negazionismo, ecco che un post di Odifreddi pubblicato sul sito di Repubblica entra prepotentemente sulla scena politica. 

Commento - Qualche giorno fa il matematico aveva scritto un lungo post per criticare la Chiesa che non permetteva alla famiglia di Erich Priebke di celebrare i funerali del "caro estinto". Via via, nei commenti la discussione è virata sulla seconda guerra mondiale, sull'Olocausto e su Norimberga. Odifreddi, che è solito partecipare alle discussioni in calce ai suoi post, si è sentito chiamato in causa da un lettore. Ed ha risposto. "Il processo (di Norimberga, ndr) è stato un'opera di propaganda".

Fantasia - Odifreddi è un fiume in piena: "L'opinione che la maggior parte delle persone, me compreso ovviamente, si formano su una buona parte dei fatti storici è fondata su opere di fantasia pilotata, dai film di Hollywood ai reportages giornalistici". Ma come, i sei milioni di ebrei uccisi, i campi di concentramento, i soccorsi, la guerra? Non basta, Odifreddi incalza e scrive: crede "che la storia sia tutt'altra cosa, e abbia il suo bel da fare a cercare di sfatare i luoghi comuni che sono entrati nel sapere collettivo".

Uccisi - Odifreddi strizza l'occhio ai folli neonazisti che ancora bazzicano qua e là alcune piazze europee, ma nessuno, questa volta, alzerà il dito. Nessuno, insomma, se la prenderà con il noto filosofo, nonostante le sue parole siano forti, molto: "Non entro nello specifico delle camere a gas - ha detto, prima di insinuare dubbi stomachevoli -, perché di esse "so" appunto soltanto ciò che mi è stato fornito dal ministero della propaganda alleato nel dopoguerra". Piergiorgio, che pubblica con Rizzoli, che scrive su Repubblica e che è una vera icona della sinistra italiana (quella che va da Fabio Fazio, per esempio) dice che "non essendo comunque uno storico, non posso far altro che 'uniformarmi' all'opinione comune. ma almeno sono cosciente del fatto che di opinione si tratti". E' un'opinione, dunque, poi mette in guardia, tutti: "Le cose possano stare molto diversamente da come mi è stato insegnato, affinché credessi ciò che mi è stato insegnato". Ahia, se l'avesse detto un ragazzo di nero vestito e con i capelli rasati adesso avrebbe i carabinieri in cameretta. 


(F.T.)

Bioregionalismo, ecologia sociale e la comune matrice spirituale e vitale...



San Francesco - Discorso con la cicala


In questi giorni in cui gli italiani sono scossi e senza parole per la crisi economica stanno ritornando in auge discorsi corrosivi. Nord contro sud, est contro ovest... Mentre l'Europa stenta ad affermare l'unità politica anche nel piccolo la separazione e lo scollamento sociale divengono più evidenti... 

Un ritorno al razzismo interno mentre la comunità sembra aver perso la capacità di esprimere solidarietà  e collaborazione.  

Ciò avviene persino fra compaesani.. tutti sono oggi inequivocabilmente percepiti alieni  da ognuno di noi. Perciò è evidente che lo "straniero" è addirittura visto come un invasore e questo comporta uno scontro continuo fra le parti. Extracomunitari che si coalizzano contro gli italiani ed il contrario. 

Come si può in tal modo costruire una società umana decente? Mentre non si riconosce più nemmeno un membro della famiglia come nostro proprio come possiamo accettare ed accogliere chi non conosciamo, o pensiamo di non conoscere?  

Viviamo in un mondo di stranieri e noi stessi siamo stranieri in questo mondo. Eppure con la globalizzazione si presupponeva che la “razza globale”, il concetto di comune appartenenza alla Terra, divenisse un dato acquisito, una realtà. Purtroppo non è andata così, la mancanza di coesione nella società urbana e consumista è ormai evidente. O
ra dobbiamo ritrovare la strada verso “casa”. La Casa di Tutti.  

Soprattutto adesso in cui ogni parte d’Europa (e del mondo) si assiste ad un processo di frantumazione degli stati ed a forme esacerbate di separatismo, non solo per motivi religiosi, ideologici o di status o  per ragioni di concorrenza commerciale od altro. Qual’è la motivazione di questo sgretolamento?  

Blocchi monolitici di potere   economico e politico si stanno sbriciolando (vedi i recenti scossoni bancari e finanziari in USA ed  anche in Europa). 

I separatismi stanno facendo  la loro parte e, con l'inasprimento fiscale  e la lotta alla scuola pubblica, sembra acquistare impeto una nuova spinta centrifuga. Nuove entità economiche, basate sulla produttività amorfa (precariato, call center, veline, prostituzione in tutte le forme, corruzione, furti, rapine, mafia, etc),  sono in cerca di affermazione riconosciuta, mentre le forze sociali sane cercano di scalfire il monolite dello Stato e percuotono le mura (senza porte) di una apparente legalità democratica che più non  regge le sorti della nazione.  

Vediamo inoltre che in oriente come in occidente i vecchi equilibri basati su una appartenenza etnica o culturale non sono più sufficienti a tenere incollati i vari popoli. Gli umani nel tentativo di uniformasi alla globalità hanno perso il senso della dignità e del rispetto per la diversità. Ancora ed ancora si distingue e si  giudica.  Non però nella pianificazione economica e sociale saldamente in mano a pochi "esperti"…

Ritengo comunque che per una opposta tendenza compensativa  succederà che questa "separazione" sfocerà necessariamente al  ri-accostamento interiore e  dell’uomo verso l’uomo. In fondo quanto possiamo separarci da noi stessi senza perire? Ecco che l’allontanamento diviene avvicinamento… la vita è  elastica e non può andare in una sola direzione. Ora  sorge la necessità di nuove forme di equilibrio, più radicate nella coscienza della comune appartenenza alla vita. 

Un avvicinamento alla coscienza universale. Infatti il senso di comune appartenenza porta alla condivisione del criterio di vita,  ad atteggiamenti simbiotici e ad uno  stato di coscienza comunitario. 

L’evoluzione spirituale richiede  che le persone non si riconoscano più nelle mode, negli sport, nel glamour, nel colore della pelle, nelle religioni o ideologie, etc. Separazione  è solo un concetto per giustificare  degli “indirizzi” personalistici ed egoici,   è una frattura radicale che spacca il mondo e l'essere in due. 

Il diritto di abitare nel “condominio terra”,   non può  essere codificato  dalla nascita, dall’etnia, dalla nazionalità o dalla condizione economica, etc. bensì dalla capacità di rapportarsi al luogo in cui si vive in  sintonia con l’esistente. 

L’uomo, la specie umana nella sua totalità, e l’ambiente vitale sono un’entità indivisibile. 

Perciò il passo primo da compiere, per il "Ritorno a Casa",  è l’accettazione delle differenze, viste come fatti caratteriali che al massimo (in caso di persistente negligenza morale) possono essere ‘curate’ allo stesso modo di una idiosincrasia/malattia interna. 

L’uomo ha bisogno di riconoscersi ‘unico’  nella sua individualità, che assomiglia ad un cristallo di neve nella massa di neve,  ma nella coscienza di appartenere all’unica specie umana.  Non passerà molto tempo -mi auguro- che le divisioni artificiali operate dalla mente speculativa scompariranno completamente ed al loro posto subentrerà un nuovo spirito di fratellanza, partendo dal presupposto delle reali somiglianze e della coesistenza pacifica. 

Queste somiglianze, in una società sempre più vicina, renderanno l’uomo capace di capire il suo prossimo, in piena libertà, e di amarlo come realmente merita. Tutti abitanti dello stesso pianeta, tutti a casa!

Paolo D’Arpini
Rete Bioregionale Italiana

Libertà di ricerca storica o istituzione della “verità per legge”? – Superare negazionismo e antinegazionismo…



Beh… stavolta ci siamo… quello che non è riuscito il 15 ottobre 2010 riuscirà il 15 ottobre 2013…

Allora c’era stata la sfuriata di Riccardo Pacifici, in seguito a certe scritte “antisemite” in qualche blog, il perborino del rabbino capo fu puntualmente pubblicato con grande peso su ‘La Repubblica’. Egli si rivolgeva ai presidenti di Camera e Senato, chiedendo con urgenza di accelerare la calendarizzazione per la discussione di un testo di legge sulla shoah e contro il negazionismo.

Ma allora c’era ancora Papa Ratzinger, il quale non era totalmente prono al volere dei fratelli maggiori, egli fece scrivere un intervenuto dall’Osservatore Romano (http://paolodarpini.blogspot.com/2010/10/losservatore-romano-si-dice-contrario.html) in cui tra l’altro era detto. «Negare l’Olocausto è un fatto gravissimo e vergognoso» e comunque il giornale vaticano continuava «La storia non è vera per legge. Ma punire per legge chi sostiene questa tesi, e quindi di fatto stabilire ciò che è storicamente vero attraverso una norma giuridica, non è la strada giusta. Anzi, rischia di essere controproducente: in democrazia la censura non è un mezzo corretto, e si finisce per far diventare martire chi vi incappa.»

Ma nella metà di questa ottobrata romana del 2013 la situazione generale è diversa. C’è meno sole, piove a dirotto. Dimissionato papa Ratzinger, sotto ricatto per vari suoi peccatucci, ed insediato il gesuita Bergoglio, la proposta del Pacifici ha trovato una solida sponda… E stavolta la scusa scatenante è il funerale di Priebke e le scritte murali di “neonazisti” (la madre degli stolti è sempre incinta).

Roma, 15 ottobre 2013 – La commissione Giustizia del Senato ha approvato il ddl che istituisce il reato di negazionismo. Il reato di negazionismo, spiega il presidente Francesco Nitto Palma, potrà essere introdotto nell’art. 414 del codice penale (ultimo comma), che già prevede il reato di apologia, punibile con la reclusione da uno a cinque anni.

Insomma siamo agli sgoccioli… la libertà di espressione è finita, la libertà di ricerca storica è finita, la libertà in generale è finita…?

Stiamo entrando in regime di “verità per legge”!

Stavolta non osano levarsi voci autorevoli, come nell’ottobre 2010, di storici, non certo in odore di negazionismo, che si dissero contrari ad una legge di questo genere, per la quale oggi con l’appoggio di destra sinistra e centro si va verso un veloce iter di approvazione.

Ma voglio lo stesso citare un precedente parere di David Bidussa, opinionista di “Moked”, il portale dell’ebraismo italiano, che ha scritto: «Una legge contro il negazionismo non sarebbe né una scelta intelligente, né una scelta lungimirante. Non aiuta né a farsi un’opinione, né a far maturare una coscienza civile. L’Italia ha bisogno di una pedagogia, di una didattica della storia, di un modo serio e argomentato di discutere e di riflettere sui fatti della storia. Non servono leggi che hanno il solo effetto di incrementare la categoria dei martiri».

Anch’io sento il dovere, in quanto laico, di esprimere un mio parere su questo controverso tema.

Innanzi tutto è vero che la storia e la verità storica e perciò la politica conseguente all’ultimo conflitto è stata definita dai vincitori… e non solo per la questione ebraica ma per ogni altro aspetto. Ma se si vuole riaffermare “l’umano e l’universale” che sta oltre le opinioni avverse occorre equanimità e la capacità obiettiva di considerare i semplici fatti e le situazioni in cui questi sono avvenuti. Nel “legalismo giuridico” -che non è più giustizia- vincono al contrario i “cavilli” e ciò è significativo di un percorso funzionale a “costruire” la verità (che è poi quella di comodo di una o dell’altra parte).

Ed ancora.. lasciando da parte ogni speculazione sul passato, secondo me, bisognerebbe evidenziare anche come sia stata utilizzata per fini economici ed ideologici la tragedia dell’olocausto, i soldi raccolti a nome dei deportati, le pressioni politiche per far approvare leggi liberticide in Europa, la creazione di una nuova “religione” dell’olocausto, etc. Allo stesso tempo è controproducente abbracciare la causa della libertà di pensiero partendo dalla difesa o giustificazione del negazionismo.

Mentre possiamo evidenziare come sia andata strutturandosi nel tempo una verità “basata” sul senso di colpa e sulla convenienza politico economica dei governi che hanno preferito cedere alle pressioni dell’industria dell’olocausto piuttosto che venir tacciati di collaborazionismo revanscista con i passati regimi fascisti. Questo ovviamente soprattutto in Germania e Austria (e prossimamente anche in Italia..) dove la “verità dell’olocausto” ha assunto connotati quasi religiosi e “stabiliti per legge”.

In assoluto, per la ricerca della verità storica, ritengo sia importante poter indagare sulla veridicità dei fatti, stabilendo quale fu lo svolgimento dell’olocausto, comprovandolo solidamente (se si vuole anche in senso etico), senza cavillare sulla negazione o sull’affermazione forzosa ma scoprendo “come” sia avvenuto e “perché”, evidenziando allo stesso tempo l’incongruenza di comportamenti speculativi politico-religiosi conseguenti ad esso.

Allora forse si potrà smuovere l’opinione pubblica e pian piano anche inserire altre verità sul modo in cui l’olocausto è avvenuto, soprattutto di come in quel periodo il razzismo avesse colpito in ogni campo, contro l’uomo in generale, e non solo in Germania ma anche in Russia, e anche in America dov’era stata aperta la caccia alle streghe comuniste e la persecuzioni di migliaia di cittadini colpevoli di pensarla diversamente dal potere in carica. La persecuzione è avvenuta a livello mondiale e contro l’uomo e la sua libertà espressiva in generale.

Ho qui accennato alla necessità di cambiare impostazione se si vuole superare la contrapposizione ideologica, fra fautori della “verità olocaustale” e suoi negatori, per poter “scientificamente” affrontare il problema della “verità storica” e questo processo non può essere ottenuto “per legge” che altrimenti la ricerca risulterà tarpata e viziata….

Paolo D’Arpini - Ricercatore spirituale laico


Grazie! ....un piccolo omaggio al professor Osvaldo Ercoli

Osvaldo Ercoli a Viterbo

Stamattina sono stato molto contento di ricevere l'encomio che segue nei confronti di Osvaldo Ercoli. Sono stato contento perché io stesso assistetti e partecipai alle numerose sue battaglie per la laicità, i diritti civili, la solidarietà fra esseri umani e tutto ciò senza alcuna finzione "religiosa". Infatti Osvaldo Ercoli si è sempre professato agnostico, se non ateo. In un momento particolare della mia vita, in cui ero troppo vecchio per poter lavorare e troppo giovane per andare in pensione (attorno ai sessanta anni) fui posto in condizioni di sopravvivere grazie al suo aiuto. Mi unisco quindi alle espressioni qui riportate. 

Grazie Osvaldo...

Paolo D'Arpini


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Osvaldo Ercoli, già professore amatissimo da generazioni di allievi, già consigliere comunale e provinciale, impegnato nel volontariato, nella difesa dell'ambiente, per la pace e i diritti di tutti, è per unanime consenso nel viterbese una delle più prestigiose autorità morali. Il suo rigore etico e la sua limpida generosità a Viterbo sono proverbiali. E' tra gli animatori del comitato che si e' opposto vittoriosamente al mega-aeroporto di Viterbo e s'impegna per la riduzione del trasporto aereo, in difesa della salute, dell'ambiente, della democrazia, dei diritti di tutti. Nel 2007 ha promosso un appello per salvare l'area archeologica, naturalistica e termale del Bulicame dalla devastazione. E' stato scritto di lui: "Il professor Osvaldo Ercoli e' stato per decenni docente di matematica e fisica a Viterbo, città in cui è da sempre un simbolo di rigore morale e civile, di impegno educativo, di sollecitudine per il pubblico bene, di sconfinata generosità. Già pubblico amministratore comunale e provinciale di adamantina virtù, sono innumerevoli le iniziative in difesa dei diritti umani e dell'ambiente di cui e' stato protagonista; tuttora impegnato nel volontariato a sostegno di chi ha più bisogno di aiuto, e' altresì impegnato in prima persona ovunque vi sia necessità di smascherare e contrastare menzogne, ingiustizie, violenze... Avendo avuto il privilegio immenso di averlo come amico, come maestro di impegno civile, come compagno di tante lotte nonviolente, vorremmo cogliere questa occasione per esprimergli ancora una volta il nostro affetto, la nostra ammirazione, la nostra gratitudine; affetto, ammirazione e gratitudine che sappiamo essere condivise da tutte le persone di Viterbo e dell'Alto Lazio, da tutte le persone che hanno avuto l'onore di conoscerlo e che hanno a cuore la dignità umana di tutti e di ognuno, la civiltà come legame comune e comune impegno dell'intero genere umano, la biosfera casa comune dell'umanità intera"

Beppe Sini - La Nonviolenza è in cammino

Accettare se stessi come qualcosa di completamente insondabile ed inconoscibile.. questa è spiritualità laica




Più volte ho parlato della Spiritualità Laica come di una via in cui non possono esserci dogmi o indicazioni religiose. Questa è la via in cui non si segue nessuna via. Il percorso è completamente assente, nella spiritualità laica ciò che conta è la semplice presenza a se stessi e questo non può essere un percorso ma una semplice attenzione allo stato in cui si è. La coscienza è consapevole della coscienza. Ed è normale che sia così poiché la spiritualità laica non può essere nulla di nuovo ma solo un “modo descrittivo” di un qualcosa che c’è già, infatti se quel qualcosa non ci fosse già che senso avrebbe esserne “consapevoli”?
Perciò Spiritualità Laica e Consapevolezza sono la stessa identica cosa. Ma noi sappiamo che la pura consapevolezza di sé è purtroppo spesso macchiata da immagini sovrimposte, create dalla nostra mente, queste immagini sono ciò che noi abbiamo immaginato possa essere la spiritualità. Magari come abbiamo definito tale spiritualità nella visione religiosa nella quale siamo stati educati, oppure nel sistema morale in cui crediamo, oppure nel metodo da noi adottato per il controllo della mente, etc.. Tutte queste sovraimposizioni alla consapevolezza sono come “il credere nella realtà del serpente” dell’esempio di Shankaracharia, oppure il conformarsi alle regole dei testi sacri, alle norme etiche, all’intelligenza raziocinante, alle giustificazioni scientifiche e dir si voglia.
Per fortuna la spiritualità laica non può conformarsi a nessuna di queste cose, altrimenti non sarebbe laica. Accettare se stessi come qualcosa di completamente insondabile ed inconoscibile, non conformabile ad alcun assioma di derivazione intellettuale o religiosa, significa restare sospesi nel vuoto essendo vuoto. Impossibile poter scorgere i confini del proprio essere. 
Questa mancanza di identificazione in qualsiasi forma strutturale (di pensiero e non) è contemporaneamente anche la “forza” della laicità spirituale. Non vi sono porti sicuri di approdo, non vi è barca, non c’è un mare, nessuno e nulla da ricercare… solo la corrente della vita, della coscienza, solo il senso di essere presenti. In questa mancanza di condizioni è possibile sentire il nostro io arrendersi, la nostra mente sciogliersi, scoprendo così il centro che non è un centro perché è tutto ciò che è.
Questa, mi sembra, è anche l’esperienza descritta nella storia buddista dell’incontro di Mahakashyapa con il Buddha. Avvenne che Mahakashyapa si avvicinasse al Buddha e da questi semplicemente fu toccato, nulla di più, nessuna istruzione, nessuno sguardo, un banale tocco forse inavvertito, uno struscio leggero come può avvenire fra due persone che si incontrano. Eppure in quel momento preciso Mahakashyapa divenne consapevole di se stesso, della sua perenne presenza in se stesso, al contatto di tale meraviglia si mise semplicemente a ridere e danzare. Come farebbe un ubriaco od un matto. 
Infatti anche un matto è solo cosciente della sua realtà, ignorando quella del mondo, ma nel matto esiste ancora contingenza e speculazione, il mondo per lui è “diverso” non è come gli altri lo percepiscono ma il “suo mondo personale” come lui lo immagina continua ad esistere…. E questa è la differenza interiore fra un “matto” e Mahakashyapa. Dal punto di vista dell’osservatore esterno –però- la reazione può essere la stessa. E così apparve anche agli occhi di Ananda, il fedele discepolo del Buddha. Ananda si lamentò con il Buddha dicendogli: “Cos’è questo? Forse è un pazzo, forse ha avuto una profonda esperienza, ma è la prima volta che egli ti vede, com’è possibile che sia stato così colpito? Io son vissuto per quaranta anni assieme a te ed ho toccato i tuoi piedi con devozione innumerevoli volte, eppure nulla di tutto ciò mi è mai accaduto..”.
Il Buddha non rispose, non poteva rispondere alla domanda di Ananda perché Ananda era il suo stesso ostacolo al raggiungimento della Consapevolezza.
Il fatto è che Ananda era il fratello maggiore del Buddha e quando si presentò a lui per essere iniziato gli chiese: “Io sono tuo fratello maggiore, prima di accettare di divenire tuo discepolo ti chiedo un favore, poiché dopo non potrei più farlo, ti chiedo di poter stare sempre alla tua presenza, di poter dormire nella tua stessa stanza e di poter introdurti qualsiasi persona in qualsiasi momento senza che tu possa dire –ora non è il momento per me di parlare con questa persona- promettimi questo prima di accettarmi come seguace”. Il Buddha acconsentì e questo fu il costante impedimento di Ananda a raggiungere la Consapevolezza, evidentemente era il suo destino, ed infatti si realizzò solo dopo che il Buddha lasciò il corpo.
In verità Ananda avrebbe potuto in ogni momento rinunciare alle sue pre-condizioni, avrebbe potuto essere leggero e fuori da ogni “contesto” come lo era stato Mahakashyapa ma la cosa non fu possibile ed è giusto che sia così poiché in tal modo poté svolgere il suo destino in modo esemplare, come avviene ad ognuno di noi. A dire il vero non è necessario che ognuno di noi si uniformi ad un modello o si conformi ad un ipotetico ideale, non è questo lo scopo della spiritualità laica, bensì quello di lasciarsi andare ed essere qualsiasi cosa si è senza porre condizioni di sorta, basta essere ciò che siamo coscientemente e amorevolmente.
Ho scritto questa storia pensando ad un discorso da me fatto con un'amica al proposito del “cosa fare” per essere se stessi… Possiamo pensare di “fare” un qualcosa se fosse possibile per noi modificare in ogni caso quel che noi siamo, ma è possibile ciò? Possiamo noi cambiare noi stessi? Apparentemente possiamo modificare, attraverso il nostro accondiscendere alle naturali pulsioni interne, quelle che sono le forme esteriori del nostro manifestarci ma come possiamo cambiare la realtà intrinseca della coscienza che sempre e comunque siamo? 


Paolo D’Arpini


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Pensieri di Osho  in sintonia:

"Quando qualcuno ride della vita, l'ha compresa. Perciò tutti quelli che l'hanno davvero conosciuta hanno riso. E la loro risata può essere udita anche dopo secoli. Mahakashyapa ha riso guardando il Buddha - Buddha stava tenendo un fiore in mano - e Mahakashyapa ha riso. La sua risata può essere udita anche adesso. Chi ha orecchie per udire sentirà la sua risata, proprio come un fiume che scorre incessantemente attraverso i secoli.

Nei monasteri Zen del Giappone, i discepoli continuano a chiedere ai maestri "Dicci, Maestro, perché Mahakashyapa ha riso?" E quelli che sono più svegli chiedono "Dicci, Maestro, perché Mahakashyapa sta ancora ridendo?". Quelli più svegli usano il tempo presente, non quello passato. E si dice che il maestro risponderà solo quando sente che sarai in grado di udire la risata di Mahakashyapa. Se non la puoi udire, niente può essere detto al riguardo.

Buddha ha sempre riso. Potresti non averlo udito perché le tue porte sono chiuse. Potresti aver guardato il Buddha e potresti aver percepito in lui della serietà, ma questa serietà è proiettata. È la tua stessa serietà - hai usato il Buddha come uno schermo. I Cristiani dicono che Gesù non ha mai riso. Ciò è assolutamente privo di senso. Gesù deve aver riso e deve averlo fatto così totalmente, che tutto il suo essere è diventato una risata - ma i discepoli possono non averlo udito, questo è vero. Devono essere rimasti chiusi, hanno proiettato la loro stessa serietà.


(...) I Taoisti Lao Tzu e Chuang Tzu dicono che, se riesci a ridere, se puoi avere una risata di pancia che nasce dalla profondità del tuo essere, non solo dalla superficie, non una risata di facciata - se proviene dal centro del tuo essere più profondo, se si diffonde intorno a te, se inonda l'universo - quella risata ti farà intravedere ciò che è veramente la vita. È un mistero. Per Chuang Tzu quella risata è religiosa perché ora tu accetti la vita."






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Commento ricevuto:

Scrive Marco Bracci: "Beh, a parte i complimenti per l’esposizione, posso solo dire che: quando ridivieni consapevole della tua divinità e del fatto di essere Dio in quanto Lui è in te e quindi tu sei Lui e Lui agisce tramite te, essendo Lui incorporeo e tu corporeo, raggiungi la CONSAPEVOLEZZA (di te e quindi di Lui - o viceversa ?). Perciò vedo molta similitudine fra quanto dici tu e quanto credo io. Buona vita!"


Mia rispostina: "L'esperienza che tu descrivi è aldilà di ogni descrizione... possiamo dire solo questo, se viene ragionata e discussa significa che si sta ancora nei meccanismi della mente duale.  Si dice che il Sé è inconoscibile in quanto si può solo esserLo ... ed in quello Stato la consapevolezza non è più consapevole di essere consapevole... (Nell''Unità non si vede un altro di cui essere consapevole)... Ma come ripeto queste son solo "parole". Grazie per la pazienza..."

Rapporto uomo animali e nota critica sulla caccia



Il rapporto fra uomo ed animali è andato nel corso di questo ultimo secolo deteriorando sino al punto che  essi, un tempo simboli di vita,  totem, archetipi e divinità, sono relegati nelle riserve o negli zoo ed utilizzati come cavie o produttori di carne da macello, come fossero “oggetti” e non esseri viventi dotati di intelligenza, sensibilità e coscienza di sé.  
Anche se etologi famosi, come ad esempio K. Lorenz e tanti altri, hanno raccontato le similitudini comportamentali e le affinità elettive che uniscono l’uomo agli animali, il metodo utilitaristico, che per altro si applica anche nella società umana verso i più deboli ed i reietti, ha preso il sopravvento.   
Pare… ma non è detto che al momento opportuno si risvegli nella coscienza umana la consapevolezza della comune appartenenza alla vita. Ma oggi vorrei solo toccare alcuni aspetti dell’incongruenza nel rapporto umano con gli animali. 
Da una parte vi sono quelli cosiddetti “da compagnia” -e cioè i cani e gatti- che godono di una relativa protezione ed anzi contribuiscono assieme all’uomo allo sfruttamento delle altre specie  -in chiave alimentare,  sotto forma di allevamenti intensivi da carne- e poi vi sono gli “ultimi selvatici”  quelli che apparentemente vivono in libertà ma è solo una finzione costruita per favorire i cacciatori.  
Infatti la verità è che  parecchi "selvatici"  sono  “immessi” sul territorio ai soli fini della caccia, e non per abbellimento della natura o per il loro stesso bene. 
Conosco per esperienza  i danni all’ambiente che può causare l’eccesso di questi animali, basti pensare ai deserti del medio oriente causati dal continuativo allevamento di capre ed altri armenti.   Il fatto è che bisogna stare molto attenti al numero di ungulati  che  pascolano in un territorio, questo non solo nel caso di greggi allevate dall’uomo, ma anche per gli pseudo selvatici -cervidi vari- che vi vengono immessi, queste bestie ai giorni nostri  non sono  soggette alla falcidiatura naturale causata dai predatori. 
Qui in Italia il lupo è praticamente estinto e nei boschi i caprioli ed i cervi  non hanno  nemici naturali che limitino la loro prolificazione. 
Insomma bisogna capire le “ragioni” di queste immissioni…. che certo non avvengono per amore delle bestie anzi… vi è la certezza che siano  operazioni di ripopolamento legate all’esercizio della caccia.  
La stessa cosa è infatti avvenuta con i grossi cinghiali dell’est europeo che,  come sappiamo, sono stati liberati sul territorio del centro Italia proprio per la loro prolificità e stazza, con il risultato che hanno soppiantato i cinghialetti italici a solo vantaggio dei cacciatori (in quanto gli agricoltori non son per nulla felici delle loro disastrose incursioni che  procurano anche un danno all’erario per via dei rimborsi dovuti ai contadini).  
Lo stesso avviene ogni anno con lepri e  fagiani e simili, che massimamente vengono importati da allevamenti della Slovenia e viciniori a prezzi stratosferici. Questi animali “liberati”  servono solo alla categoria dei cacciatori  -tra l’altro- anch’essi ben salassati da imposte e tasse varie.  Quindi la caccia è tutto un bussines basato sulla morte e sulla speculazione ed è anche causa -per inciso- di  altre speculazioni da parte di associazioni che fanno da contro-canto  ponendosi contro la caccia e ricevendo anch’esse prebende e fondi pubblici. Potete allora vedere  che questo gioco delle parti danneggia tutti i cittadini  e la natura stessa che è continuamente manipolata pro e contro questo e quello. Insomma un pretesto affaristico in una società che on considera  l’animale diversamente da un plusvalore qualsiasi.

Io personalmente sono vegetariano ma sono pure ecologista e quindi per quanto mi riguarda non sono affatto favorevole all’immissione di nuove specie in natura, soprattutto trattandosi di specie che possono danneggiarla  ed è per questo che ritengo che la caccia andrebbe completamente vietata in Italia  per il semplice fatto  che  è un esercizio “vizioso”  inutile e dannoso in assoluto. 
Giacché  la caccia non è   un’attività libera e naturale ma una specie di gioco di ripopolamento ed uccisione, un divertimento  sadico e crudele. “Non so qual’è il confine fra l’uomo e gli animali, quali sono i loro reciproci diritti e doveri, qual’è il punto d’incontro della sopravvivenza reciproca, senza causare sconvolgimenti ecologici, non so nulla di questo, mi limito io stesso a sopravvivere, a volte combatto a volte recedo, non mi pongo modelli, sono anch’io un animale che ha bisogno della natura, sono una espressione della natura”. 

Paolo D’Arpini