Julius Evola e la sua arte...

 


Julius Evola nacque da una famiglia siciliana di nobili origini. Fu un filosofo scomodo per tutti. In breve tempo divenne il più importante pittore dadaista dei tempi ed alcune sue opere sono ancora esposte al Museo Nazionale di arte moderna a Roma. La solitudine siderale di Evola ha sfidato i secoli e ha dovuto aprirsi da solo la via.

Giulio Cesare Andrea Evola, meglio conosciuto come Julius Evola (1898-1974) fu un  filosofo, poeta, scrittore, esoterista italiano.

Interessante la presentazione svoltasi, alla Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma, in Via delle Belle Arti, di “Teoria e Pratica dell’Arte d’Avanguardia”, volume che raccoglie tutti gli scritti poetici, le foto dei dipinti e delle incisioni grafiche di Julius Evola ai più misconosciuto, il cui “Paesaggio interiore, risulta essere l’espressione pittorica più nota, assieme al poetico “la parole obscure du paysage interieur”. La raccolta, la prima del suo genere, quanto a completezza ed interdisciplinarietà, sembra voler far propria quella che, di Evola, sembra esser, un’idea fissa: quella di un’Arte “totale”. Poesia, pittura, ma anche pensiero, qui trovano una comune ragion d’essere. 

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, l’esperienza artistica di Evola, non costituisce solamente una fase o un momento alfine superato in nome del passaggio alla ricerca teoretica, bensì un qualcosa di intimamente connesso ed interrelato ad essa. 


Evola, al pari di tanti altri a lui contemporanei, è figlio di quella tanto deprecata Modernità. Quella Modernità che, tra la fine del 19° secolo e gli inizi del 20°, vede esplodere tutte le sue contraddizioni, in bilico tra Avanguardia e Tradizione. È vero, vi è molto di ermetico nelle opere di Evola; ma si tratta, pur sempre, di una ricerca-percorso all’insegna di quell’Individuo Assoluto, sulla cui fisiologia spirituale egli stesso appunta la propria riflessione, sulla falsariga di quanto venne fatto dai vari Hegel, Nietzsche e poi Gentile, in un’epoca che, della “demolizione” della vecchia ed esausta metafisica avrebbe fatto il proprio “leit motiv”. 

Ed ecco allora l’idea di una “Tradizione” che, come già abbiamo avuto modo di vedere, della Modernità è diretto prodotto ed espressione, andando a costituire la fonte da cui dovrà andare ad attingere quell’Uomo Nuovo, nel suo porsi di fronte ad un mondo, ad una realtà che, ben presto, avrebbe deviato verso la strada dell’annichilamento Tecno Economico. Ed allora ecco che, ancora una volta, le opere di Evola, nel loro connettere pittura, poesia, teoresi, in un unico assemblamento di sensazioni, colori e suoni, altro non fanno se non indicarci la via per affrontare questa degenere Modernità. 

Tradizione non sta per conservazione, inazione, stasi, chiusura mentale, ma si fa qui archetipico propellente per spingere l’Uomo Nuovo a far “detonare” la Modernità, quella sua s’intende, diametralmente opposta, eppure così vicina alla sua attuale ed alienante consorella Tecno Economica.

Francesco Mulè




Grigori Grabovoi: “La Resurrezione degli Uomini e la Vita Eterna ora sono la nostra Realtà”


La  parte fondamentale di questo testo, a mio avviso,  è scritta  a pag. 133 dell’edizione 2014:

 

“… quel mistero, chiuso de sette sigilli che era sempre esistito in merito alla morte biologica , smette finalmente, grazie al resuscitamento, di essere un grande enigma….”

 

I sette sigilli sono contemplati  pure  nei testi antichi teosofici.

Mi sono iscritta alla Società Teosofica nel 1980 dopo l’incontro con l’antropologo-teosofo Bernardino del Boca.   Ho inserito alcune sue ricerche nel sito “Teosofia-Bernardino de Boca”. Nella cat. “I pionieri dello Spirito”: Stanotte mi sono trovato davanti all’Hotel Kazakhstan di Alma-Ata, la capitale della Repubblica Sociale Sovietica del Kazakhstan…Vicino a me c’era un giovane sconosciuto. Non era né russo né asiatico. Mi indicava il cielo dove, diceva, doveva apparire un UFO.  I suoi occhi chiari  brillavano volti al cielo che scuriva velocemente e stava riempiendosi di stelle. E’ il giovane che potrebbe continuare la mia ricerca, il mio lavoro per il nuovo piano di coscienza. … Attorno a noi altra gente…; gente di oggi e gente di ciò che chiamiamo passato, uniti da attimi comuni di smarrimento, di caparbietà e di altre limitazioni temporali e caratteriali. Al di sopra di tutti però c’era il sogno del Grande Futuro. “  (Bernardino del Boca – “Milano 8 giugno 1978  -  “La Casa nel tramonto” ed. 1980 –  – pag. 300-301)

E’ scritto nel sottotitolo del sito medesimo:

 “ Finché non sarà fatta una sintesi fra i rami della scienza e non si sarà sottoposta questa sintesi alla luce della spiritualità, il fenomeno umano non potrà essere compreso nella sua finalità e nemmeno nella sua espressione individuale” (La Dimensione Umana 1971) http://www.teosofia-bernardino-del-boca.it/.


Mi sono interessata alle ricerche di Grabovoi perchè evidenziano questa unione di Spirito e Materia, come  scrissi qui: http://accademiadellaliberta.blogspot.com/2017/12/grigorij-grabovoij-bernardino-del-boca.html

Nel  1998 Bernardino del Boca   mi  disse che l’umanità avrebbe potuto cambiare dimensione con il proprio corpo fisico  e che  occorreva pertanto   cambiare la forma pensiero creatasi nei millenni sulla morte.

Ora  i  racconti delle persone, citate nel libro da Grabovoi,  che  sono ritornate dopo la loro morte sul piano fisico possono aiutare questa immensa espansione di coscienza da tempo auspicata.

 

 “ Grazie ai racconti di coloro che sono stati al di là della linea di confine e che sono tornati di nuovo nel nostro mondo si possono ottenere informazioni particolareggiate di prima mano  su ciò che essi hanno provato nel momento della morte biologica, su quelle che sono state le loro emozioni, su ciò che hanno provato in seguito e come percepivano il nostro mondo da laggiù”.  (pag. 133)  

 

Non ci sono parole per descrivere la rivoluzione culturale che potrebbe   creare  la  divulgazione di  queste  testimonianze perché, a differenza delle molte persone che hanno vissuto esperienze di pre-morte, viaggi al di là  dello spazio-tempo ,  incontri con persone “venute dal nulla” o dal mondo spirituale, sono testimonianze di persone viventi tra di noi   che  non avevano più il filo argenteo che li univa prima  al corpo fisico, alcune di loro anche da diversi mesi,   ed è forse la prima volta che ciò succede nel pianeta  Terra.

 

Paola   Botta  Beltramo




 

(http://www.grabovoifoundation.org/wp-content/uploads/2020/03/VIRUS-IN-EURASIA-2002-Grigori-Grabovoi.pdf - la lettera che G. Grabovoi  scrisse nel 2002 a tutti i governi mondiali per richiedere la chiusura dei laboratori di armi batteriologiche, chimiche, genetiche ecc.)

I biglietti della follia di Friedrich Nietzsche



Il 3 gennaio 1889  Nietzsche ebbe un crollo psichico e, dal 3 a 7 gennaio, scrive a parenti ed amici i biglietti della follia. Il suo modo di scrivere suscitava sempre sensazioni forti ed appariva spesso trasgressivo oltre i rigidi schemi che gli uomini si sono imposti da sempre, tanto che alcuni suoi amici, quando hanno ricevuto i cosiddetti biglietti della follia, avevano pensato al suo solito gioco del mascheramento. 

Quando la situazione appare chiara, l'amico Overbeck interviene ricoverando Nietzsche a Basilea e poi a Naumburg. Dal 1890 è affidato alle cure prima della madre e poi della sorella. Nel 1897 muore la madre e con la sorella si trasferisce a Weimer dove viene fondato l'Archivio Nietzsche. 

Nietzsche resta immerso per oltre 10 anni in una blanda pazzia. Gli pseudonimi con cui Nietzsche firma questi messaggi ci fanno pensare ad indizi di natura autobiografica: Dioniso - Zagreo, Il Crocifisso, Anticristo. Nella identificazione con il crocifisso è ravvisabile non tanto un accenno a Gesù, quanto il vedere se stesso come un nuovo crocifisso dei nostri tempi. 


A Cosima Wagner (moglie di Richard Wagner) 

Alla principessa Arianna, mia amata. Che io sia un uomo, è un pregiudizio. Ma io ho già vissuto spesso fra gli uomini e conosco tutto ciò che gli uomini possono provare, dalle cose più basse fino a quelle più alte. Sono stato Buddha tra gli indiani e Dioniso in Grecia, - Alessandro e Cesare sono mie incarnazioni, come pure Lord Bacon, il poeta di Shakespeare. Da ultimo, ancora, sono stato Voltaire e Napoleone, forse anche Richard Wagner... Ma questa volta vengo come Dioniso il vittorioso, che farà della terra una giornata di festa... Non avrei molto tempo... I cieli si rallegrano che io sia qui... Sono stato anche appeso alla croce... 

A Peter Gast 4 gennaio 1889: 

Cantami un nuovo inno: il mondo è trasfigurato e tutti i cieli esultano. Il Crocifisso. Peter Gast non riconobbe in questo biglietto la follia nell'amico, tanto che così gli rispose: "Grandi cose devono accadere in Lei in questo momento! Il Suo entusiasmo, la Sua salute (...) debbono scuotere anche i più infermi; Lei è una sanità contagiosa; l'epidemia che Lei un tempo ha augurato alla salute, l'epidemia della Sua salute non può più farsi attendere". (Janz, Vita di Nietzsche, vol III, tr., Laterza 1983, p. 13) Secondo Janz questo mancato riconoscimento della follia di Nietzsche fa si che:"Occorrerà tener presente questa scarsa facoltà di giudizio in occasione delle successive importanti decisioni".(Janz, op. cit., p. 13) In realtà affermazioni del genere costellano le opere di Nietzsche, da Zarathustra alla Gaia scienza, alla Genealogia della morale, ecc. Dunque Gast, che conosce profondamente l'amico, non trova così strana e folle una tale affermazione. 

A Olga Monod 

“Come ricordo del misero che non la mania di grandezza ha condotto alla malattia, bensì la malattia alla follia” (Olga Monod era figlia di Malwida vov Meysenbug). 

A Carl Fuchs 14 gennaio: 

Tra un paio d'anni governerò io il mondo; perché ho deposto il vecchio Dio. 

 A Meta von Salis 3 gennaio 1889: 

Il mondo è trasfigurato, perché Iddio è sulla terra. Non vede come tutti i cieli esultano? Ho appena preso possesso del mio regno, getterò il papa in prigione e farò fucilare Guglielmo, Bismarck e Stoecker. 

A Jacob Burckardt novembre 1888: 

Quel che è spiacevole e nuoce alla mia modestia è che io, in fondo, sia ogni nome nella storia; anche per i figli che ho messi al mondo le cose stanno in modo tale, che rifletto con una qualche diffidenza se tutti quelli che vengono nel “regno di Dio” vengano anche da Dio. Per due volte, questo autunno, mi sono trovato, vestito il meno possibile, al mio funerale, dapprima come conte Robilant (- no, questi è mio figlio, in quanto io sono Carlo Alberto, la mia natura sotto) ma Antonelli ero proprio io. Caro signor professore, lei dovrebbe vedere questo edificio; dato che sono assolutamente inesperto nelle cose che creo, a lei qualsiasi critica; io sono grato, senza poter promettere di trarre vantaggio. Noi artisti siamo incorreggibili. – Oggi mi sono vista un’operetta – genial-moresca – e anche constatato con piacere, in questa occasione, che adesso Mosca come pure Roma sono cose grandiose. Vede, anche per il paesaggio cono mi si nega del talento. – Rifletta, facciamo una bella chiacchierata, Torino non è lontana, per ora non ci sono impegni professionali molto seri, sarebbe possibile procurare un bicchiere di valtellinese. Prescritto il negligè. Con cordiale affetto, Suo Nietzsche 

5 gennaio 1889 - Vado dappertutto nel mio vestito da studente, qua e là batto sulla spalla a qualcuno e dico: siamo contenti? son dio, ho fatto questa caricatura… Domani viene il mio figlio Umberto con la graziosa Margherita, che qui, però, riceverò ugualmente in maniche di camicia. Il resto per la signora Cosima… Arianna… Di quando in quando si fanno incantesimi… Ho fatto mettere in catene Caifa; l’anno scorso sono stato crocefisso in maniera molto penosa dai medici tedeschi. Aboliti Guglielmo, Bismarck e tutti gli antisemiti. Di questa lettera lei può fare qualsiasi uso che non mi diminuisca nella considerazione dei basileesi. 

5 gennaio 1889 - Caro signor professore, alla fine sarei stato molto più volentieri professore basileese che Dio; ma non ho osato spingere così lontano il mio egoismo privato, da tralasciare, per causa sua, la creazione del mondo. Lei vede, bisogna fare sacrifici, come e dove si viva. – Tuttavia, mi sono riservata una piccola camera da studente che si trova di fronte al Palazzo Carignano (- nel quale sono nato come Vittorio Emanuele) e oltre a ciò permette di sentire, dal proprio tavolo di lavoro, la magnifica musica nella Galleria Subalpina. Pago 25 franche con servizio, preparo il mio tè e faccio tutte le spese da solo, soffro di stivali rotti e ringrazio ogni momento il cielo per il vecchio mondo, per il quale gli uomini non sono stati abbastanza semplici e silenziosi. – Poicè sono condannato a intrattenere la prossima eternità con cattive spiritosaggini, ho qui un’attività scrittoria, che invero non lascia nulla a desiderare, molto carina e nient’affatto faticosa. La posta è a cinque passi, imbuco io stesso le lettere per trasmettere il grande fogliettonista “der grende monde”. Naturalmente, sono in stretti rapporti con il Figaro, e affinchè lei abbia un’idea di quanto io possa essere innocuo, ascolti le mie prime due cattive spiritosaggini: Non prenda troppo sul serio il caso Prado. Io sono Prado, sono anche il padre di Prado, oso dire che sono anche Lesseps…. Vorrei dare ai miei parigini, che amo, una nuova idea - quella del criminale dabbene. Seconda spiritosaggine. Saluto gli immortali. Daudet appartiene ai quarante. 

Astu (così si firma Nietzsche). 

Che cosa significa “Astu”? Secondo il Bernoulli, a cui rimandano tutti i commentatori, Astu sarebbe per Aster, l’eroe che s’incontra nella satira di Daudet, apparsa nel 1888 col titolo L’Immortel e diretta contro l’Accademia di Francia. Si tratterrebbe insomma di un lapsus patologico di Nietzsche, in preda ai sogni provocati dal cloralio.. Sembra poco probabile che Nietzsche, dopo aver scritto giusto il nome di Daudet, storpi poi aster in Astu. E se fosse un nome inventato da lui? Un amico torinese appassionato cultore di Nietzsche, cioè Italo Dongiovanni, ha perfino pensato che Astu volesse dire “astuto”) 

* Nietzsche intende la regina Margherita.



Tratto da: http://www.matmatprof.it/nietzsche/_private/bigliettifollia.htm 

La radice dell'identità personale



Diversamente dal creduto la nostra evoluzione profonda e di superficie, della forza e della stabilità nonché quella relativa agli apprendimenti non ha a che vedere con la comunicazione logico-razionale. Sebbene questa sia ritenuta la Vera modalità per trasmettere la Verità, è invece solo l’involucro più impiegato per confezionare la narrazione del mondo civilizzato. Nonostante l’esperienza non sia trasmissibile, essa non se avvede e con essa il suo popolo scientista. Sono liberi dal giogo razionalista il poeta e l’artista. Categorie alle quali tutti noi, più o meno occasionalmente, apparteniamo. In quelle circostanze realizziamo comunicazione attraverso i ponti emozionali che certe espressioni edificano e collegano i cuori. Tutta la comunicazione evolutiva, per distinguerla da quella tecnica che anche un meccanismo può apprendere, ha ragioni emozionali. È una modalità dei sistemi viventi per sostenere se stessi. Le emozioni sono gli occhi degli organismi che le sentono. Così loro stessi, la loro specie e la natura evolvono e proteggono il proprio sistema. Coloro che non le sentono, eventualità limitata alla categoria degli umani, sono destinati a recitare un ruolo seguendo un canovaccio scritto da altri, a credere che in quello consista la vita, a non essere mai se stessi, a non avere la forza di riconoscerlo a se stessi e al prossimo.

[...] ciascuna cosa tende, per quanto in sé, a permanere nel medesimo stato in cui è [...]”. (1)


Autopoiesi

Qualunque sistema, naturale o artificiale, ha in sé l’intelligenza per mantenersi in vita. Si tratti di un sistema sociale, di uno individuale, come l’io o quello di una macchina tanto analogica quanto elettronica, tutti rispettano il medesimo principio di sopravvivenza. Per approfondimenti si può consultare l’opera di Humberto Maturana, di Francisco Varela, di Gregory Bateson, Paul Watzlawick, Alfred North Whitehead, Edmund Husserl, Herbert von Glasersfeld, Paul Karl Feyerabend e di altri.

A titolo emblematico, prendiamo l’io individuale. Tutto ciò che può accogliere, che può fare proprio e che gli costituisce cambiamento e modifica di se stesso accettabile, è opportunamente filtrato: non si tratta cioè di elementi della realtà presi a caso che hanno trapassato la soglia di noi stessi. La selezione, diversamente da quanto comunemente si pensi, non è a carico della rete razionale. Il filtro è sempre emozionale, anche quando non sembra, anche quando sembra razionale. È un legittimo errore interpretativo che ha chiara origine. Esso, più che un retaggio, è un vero e proprio pilastro centrale dell’incastellatura culturale entro la quale viviamo. Ce ne diedero buona e recente rappresentazione Werner Herzog ne L’enigma di Kaspar Hauser, del 1974 e Jerzy Kosinski nel libro Presenze, 1973, poi film intitolato Oltre il giardino, del 1979. La babelica struttura razionalista, ispirata dal celebrato monopolio dell’intelligenza intellettuale, ha rinnegato quella estetica. Nel farlo, ha mortificato la modalità umana di sentirsi parte del cosmo, di sentire il cosmo, di essere cosmo, di essere tutto e tutti. Ovvero di conoscere, di conoscersi, di riconoscere, di distinguere la propria via anche in una tempesta di sirene. Di dialogare anche con un linguaggio sottile, adatto all’evoluzione comune, consapevole che quello logico è valido per il guscio materiale di sé, solo per la dimensione amministrativa della realtà.

La questione interessa tutti i campi di gioco, tutte le forme di equilibrio, tutte le forme sociali, tutte le macchine. Coincide con la loro stessa identità.

Torniamo all’Io, al sistema Io. Da tutte le interlocuzioni, sottili o crasse che siano, permettiamo l’accesso in noi soltanto degli elementi ammissibili dal nostro sistema interno. All’eccessivo, a ciò che non è contemplato o prossimo neghiamo l’accesso. In contesto didattico l’apprendimento non avviene, in quello morale il giudizio è negativo, per quello organico i linfociti passano all’attacco.

Un qualunque argomento, per quanto ben compreso e razionalmente condiviso, non si aggiunge automaticamente a noi. Non si integra e non ci modifica. Gli aggiornamenti di noi stessi, i cambiamenti, avvengono per emozione. Quando queste si scatenano e ci trapassano, l’intero corpo ne è istantaneamente e chimicamente informato. Può accadere per un’equazione o per una donna. Un evento da noi classificato come razionale, di fatto entra a far parte della nostra identità solo se supportato dalla recondita e occulta emozione al quale è associato. Il motto di attrazione incarnato nell’emozione ne è la dimostrazione. A volte accade a distanza di tempo (lineare). Vecchi argomenti, mai presi in considerazione, tornano alla luce del presente come fossero cosa autenticamente nostra. Come se il cambiamento si mostrasse nel momento in cui il nostro io non è più perturbato o mortificato da ciò che in passato aveva scartato, in quanto esiziale al sistema-io dell’epoca.


Filtri crassi e sottili

[…] Lottiamo tutti i giorni per un istinto innato, adeguandoci a regole non scritte che si tengono in equilibrio sulla precarietà del gioco. È uno slancio necessario che spesso distrae l’uomo dal senso di vivere. E così a volte capita che qualcuno si limiti a sopravvivere senza mai porsi domande sul significato di essere”.(2)


I sistemi filtrano la realtà riconoscendo solo quanto è in loro dote poter riconoscere come amico o come nemico. Nel bene e nel male. Uno shock corrisponde all’incontro con qualcosa di non contemplato dal proprio mondo. Un desiderio allude a qualcosa che il sistema ritiene idoneo a se stesso. Dunque è male ciò che mette in crisi il nostro equilibrio, ed è bene ciò che possiamo accogliere. Accade tanto per la parte fisica, quanto per quella concettuale.

Disponiamo di molti filtri immunitari, tra cui, di tipo morale, anatomico, d’interesse personale. Per quelli morali il nostro giusto e il nostro sbagliato ci guidano nella giungla della realtà. Odori, sapori, e gli altri tre spillatori delle circostanze fisiche forniscono al nostro io i loro suggerimenti. Tuttavia, a volte, interlocutori indigesti riescono a scavalcare le nostre barriere emotive e divengono papabili. È il caso di un nostro giudizio negativo verso qualcosa o qualcuno, poi caduto per circostanze che troviamo sempre (!) plausibili e sufficienti a giustificare il nostro cambio di direzione.

Oltre ai sensi del corpo, che distinguono forme, odori, sapori, suoni e consistenza, c’è il sesto senso. È il nome che la vulgata conosce e, più o meno opportunamente, impiega. In esso vi è raccolto il mondo energetico, quello che i materialisti, positivisti e scientisti non vedono, e che, se accadesse d’improvviso, non reggerebbero. Il loro sistema ne sarebbe demolito.

Il sesto senso, come gli altri suoi cinque fratelli crassi, svolge un eccellente servizio d’informazione, comunicazione e di apprendimento solo in una precisa circostanza, ossia quando siamo in stato di quiete. Quando il nostro simbolico sistema immunitario – vibrissa sensibile a tutte le energie – non è corrotto, intossicato, né infettato da virus fisici e da forme-pensiero metafisiche. Come un cristallo o una visione irradia in noi la sua più forte energia-informazione soltanto in funzione del nostro gradiente di purezza, così il terzo occhio ci permette o meno di vedere l’azione delle invisibili energie che agiscono su noi e su tutte le relazioni. Dogmi, vizi, abitudini, sentimenti sono alcune, insieme all’inquinamento ambientale e a quello alimentare, entità che riducono temporalmente o cronicamente le capacità di riverbero e ricezione della sofisticata antenna che siamo. L’oscillazione occupa la massima ampiezza. Varia tra l’interruzione della ricezione al suo forte e chiaro.

Nel peggiore dei casi, in stato di massima perturbazione cronica, la selezione che mettiamo in atto è delegata a luoghi comuni e a ideologie d’ordine vario. Da quelle grandi, da libretto rosso, alle piccole, da idiosincrasie personali. Entrambe ci allontanano dalla salute evolutiva e ci inducono verso tossiche rigidità. Il disturbo avviene spesso senza la nostra consapevolezza. Anzi, è facilmente con la nostra complicità e il nostro sostegno che, semplicemente, si esaurisce nell’identificarsi con i falsi valori della cultura attuale. Così facendo possiamo vantare, a pieno titolo e senza vergogna, coerenza e rettitudine, logicità e senso del giusto. Se così facendo perdiamo noi stessi e tutte le più potenti potenzialità umane, pazienza! Per forza, neppure ce ne accorgiamo. È un diritto universale dell’inconsapevole.

Nel migliore dei casi, disintossicati da idee, saperi e cattivi sentimenti ridondanti, si eleva il rischio di essere in raffinata relazione con la nostra natura. Essa non richiede l’elenco dei pro e dei contro per darci il consiglio opportuno. E non ha protocolli: è creativa, è in grado di cogliere il presente, né più né meno del judoka quando mette al tappeto l’avversario. È una relazione sottile che qualcuno, rinchiuso entro corazze di filtri, per prenderla in considerazione, pretende venga dimostrata. [Risata]. Essa infatti, non solo non è comprimibile in un modulo, è viva indipendentemente dagli strumenti che non sapranno mai misurarla con le unità di misura che tutti considerano verità assoluta.


La realtà nella relazione

Se dire “sottile” richiama la ricerca esoterica – spesso arricciatrice di nasi – dire “quantico” conduce a quella scientifica. Sebbene questa sia ampiamente celebrata dalla cultura scientista, è a sua volta, e tutt’ora, inconsapevole d’essere in demolizione. La lettura della realtà attraverso la relazione e quindi, non più deterministica, né meccanicistica, capovolge l’ordine delle cose, tanto filosoficamente quanto antropologicamente. Il vecchio schema dell’oggettività, dell’oggetto osservabile in sé, separato dal suo contesto ecologico, ha fatto il suo tempo.

I successi da essa [dalla meccanica classica, nda] ottenuti han condotto all’idea generale d’una descrizione oggettiva del mondo. L’oggettività è divenuto il primo criterio di valutazione di qualsiasi risultato scientifico. [...] Ma essa parte dalla divisione del mondo in «oggetto» e resto del mondo, e dal fatto che almeno per il resto del mondo ci serviamo dei concetti classici per la nostra descrizione. È una divisione arbitraria e storicamente una diretta conseguenza del nostro metodo scientifico; l’uso dei concetti classici è infine una conseguenza del modo generale di pensare degli uomini. Ma ciò implica già un riferimento a noi stessi e quindi la nostra descrizione non è completamente obbiettiva”.(3)

Se da un lato citare genericamente l’ambito della scienza agevola l’avanzare del discorso, in quanto in esso, lo scientismo, fondato sulla meccanica classica, annusa la vera verità, dall’altro, parlare di quantico, di meccanica quantistica, spesso irrita e spiazza il popolo formato sulla vulgata della scienza-verità. “Neppure gli scienziati sono d’accordo su cosa consista la fisica quantistica”. Quante volte lo si sente affermare da coloro che non hanno visto il significato culturale che essa implica. Infatti, è vero, ma questo non cambia la filosofia che fa emergere. Non poter più determinare contemporaneamente velocità e posizione di una particella elementare se non in termini di probabilità e l’implicato concetto di entanglement, la cui natura non è nelle parti ma nella loro relazione, sono forze che agiscono su di noi, sulla nostra evoluzione. Una possibile sintesi della concezione deterministica della realtà può stare nella formula che un soggetto esamina un oggetto, non sussiste più se non in forma di superstizione.

Purtroppo per loro, gli scientisti e gli scienziati corazzati da filtri di stabilità anti-aggiornamento, la questione è sì limitata al mondo microscopico, ma solo apparentemente e anche a causa, nuovamente, dei gretti strumenti di misurazione.

Le energie sottili che partecipano a costituire il tessuto della realtà e delle relazioni, sottostanno a mio avviso, ai medesimi concetti quantici. La cui portata è rivoluzionaria come anche Heisenberg, fin da subito, riconobbe.

La fisica classica partiva dalla convinzione — o si direbbe meglio dall’illusione? — che noi potessimo descrivere il mondo, o almeno delle parti di esso, senza alcun riferimento a noi stessi”.(4)

[...]

Specialmente in fisica [classica, nda], il fatto che noi possiamo spiegare la natura per mezzo di semplici leggi matematiche ci dice che abbiamo a che fare con dei caratteri genuini della realtà, e non con qualche cosa che abbiamo – in qualsiasi significato del termine – inventato noi stessi”. (5)

[...]

[...] questa volta han cominciato a spostarsi gli stessi fondamenti della fisica; e che questo spostamento ha prodotto la sensazione che ci sarebbe stato tolto da sotto i piedi, ad opera della scienza, il terreno stesso su cui poggiavamo. Nello stesso tempo questa reazione significa che non si è ancora trovato il linguaggio idoneo per dare espressione alla nuova situazione [...]. La progredita tecnica sperimentale del nostro tempo porta nella prospettiva della scienza nuovi aspetti della natura che non possono essere descritti nei termini dei comuni concetti”. (6)

[...]

Ma i concetti scientifici esistenti [della meccanica classica, nda] abbracciano sempre solo una parte limitata della realtà, mentre l’altra parte, tuttora incompresa, è infinita”. (7)

Con il modo della relazione, le osservazioni sul comportamento delle particelle elementari della fisica quantica, divengono utili per una nuova interpretazione del mondo e di noi stessi, per riconoscere la rete sottile in cui si genera, muove e muore il cosiddetto reale. Ci inducono a cogliere quanto ci sfugge, a dare verità all’incompreso e piena concretezza al mistero, ad ascoltare ciò che ci pare assurdo e fantascientifico o cialtronesco.

Le emozioni non rispettano l’idea del tempo lineare. Esse sono in grado di ricreare in noi le condizioni che la storia sosterrebbe siano passate. Basta una canzone, un suono, un sapore e un colore per precipitare in un presente che avevamo creduto passato. È solo un esempio accessibile a chiunque della presenza di quella effimera rete che tutto include. Se ci siamo noi.

Quantico allude a quel tipo di comunicazione che scavalca con un solo salto tutto quanto abbiamo concepito e costruito sul campo d’azione bidimensionale della realtà materialistica. Un ambito in cui, giocoforza, si lotta per il vero e per il falso; in cui, nonostante la loro autoreferenzialità – autorevolmente affermata da Heisenberg, e non solo naturalmente – impieghiamo scale di valori e punteggi che consideriamo verità definitive. Una modalità del tutto dignitosa a causa delle ragioni storiche che l’anno generata, ma ormai succedanea della Scienza. Con la consapevolezza della realtà nella relazione, la realtà non è più un oggetto composto da materia ed eventi. Essa è solo il riflesso della nostra coscienza. In questo prende pieno significato la considerazione che l’universo è più simile a un pensiero che a una massa di materia. È il prodotto della nostra relazione col mondo.

Torniamo al sistema, che oltre che essere autopoieutico è immunitario. Tanto più siamo in grado di riconoscerlo, quanto più la potenza del cambio della realtà che credevamo ci stesse di fronte, nella quale pensavamo di poter girovagare come ridenti turisti in braghe corte e polaroid appesa, tende a divenire atto. Certo, se poi continuiamo a credere di essere veramente lorenzo merlo, a non vedere che siamo terminali della natura, identici a qualunque altro, a non riconoscere che le nostre doti non sono nostre ma ancora forme che il sistema natura ha in sé per il proprio equilibrio e sostentamento, allora la cosa si fa più dura. Siamo all’autoimmunità, che sopprime l’organismo che l’ha in sé.


La domanda che tutto include

C’è una domanda che ci obbliga a difenderci dal nuovo e dall’estraneo. È quella che chiede se una cosa è vera o falsa. La corazza è un suo implicito capo d’abbigliamento. E ce n’è un’altra che permette di andare oltre se stessi, almeno fino a dove saremo all’altezza, si tratti di carboni ardenti da percorrere a piedi scalzi o di spiccare il volo sull’abisso come ci racconta Castaneda o come l’esperienza della dimetiltriptamina o dell’ayahuasca pare ci rendano evidente. Essa è, ciò che è fuori dal mio sistema in che termini è vero?

L’errore sta nel dare per scontato che esista la ‘realtà oggettiva’ e che le persone sane ne siano più consapevoli dei pazzi”.(8)

6.52 – Noi sentiamo che, persino nell’ipotesi che tutte le possibili domande scientifiche abbiano avuto risposta, i nostri problemi vitali non sono ancora neppure sfiorati”.(9)

Lorenzo Merlo 


1 - Albert Einstein, Relatività: esposizione divulgativa, Boringhieri, 1967, Torino

2 - Gerardo Masuccio, in Piero Scanziani, Avventura dell’uomo, Utopia, Milano, 2020

3, 4, 5, 6, 7- Werner Heisenberg, Fisica e filosofia, Il Saggiatore, 1963, Milano

8 – Paul Watzlawick, Janet Helmick Beavin, Don D. Jackson, Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio, 1971, Roma

9 - Ludwig Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus e Quaderni 1914-1916, Einaudi, 1998, Torino