Aldo Capitini, nato a Perugia nel 1899 e morto nella stessa città nel 1968, fu pedagogista, saggista, docente universitario di pedagogia all’università di Cagliari e Perugia; infaticabile promotore di iniziative per la nonviolenza e la pace; istituisce Centri di Orientamento Sociale e Religioso, lavora per l’obiezione di coscienza, per la riforma politica e religiosa basata sui principi di Gandhi, per l’educazione popolare, per lo sviluppo della scuola pubblica; ha lottato contro il fanatismo ed i preconcetti e fu perseguitato a causa della sua posizione antifascista. I Centri di Orientamento Sociale furono organizzati da Capitini nella Perugia appena liberata il 17 luglio 1944 con lo scopo di arricchire la democrazia dal basso e di portare nella gente l’interesse per la gestione della cosa pubblica. Nel 1962 Capitini dà vita alla prima società vegetariana in Italia.
Numerosi furono i suoi scritti a carattere religioso pedagogico, quali: “Elementi di un’esperienza religiosa” (1937), “Religione aperta” (1955). Recentemente e’ stato ripubblicato il saggio “Le tecniche della nonviolenza”, e gli scritti sul Liberalsocialismo, “Nonviolenza dopo la tempesta” e la recentissima antologia degli scritti (a cura di Mario Martini) “Le ragioni della nonviolenza”.
Di Capitini si può dire sia stato il più grande pensatore ed operatore della nonviolenza in Italia. Fu sempre coerente con i suoi principi e stili di vita: caratteristiche che fanno di lui, un pensatore di grande umanità che ha pagato duramente e personalmente il suo coraggio nel difendere le proprie idee; un filosofo con un’eccezionale attenzione alla realtà socio-politica del suo tempo e del tempo a venire e un lucido lettore del contesto storico-sociale.
Il suo pensiero, in opposizione al sistema totalitario del regime fascista, non è si circoscrive nell’idealismo, né nell’esistenzialismo, cui pure si riferisce sotto alcuni punti di vista e che considera come insufficiente e che finisce, pessimisticamente, per aderire. Capitini concepisce l’uomo come soggetto reale e Dio come immanente all’umano, con la certezza che anche il male sia un fatto strumentale alla realizzazione del bene attuabile attraverso una riforma religiosa, una religione aperta, libera e liberata dai vincoli asfissianti del dogma, da una parte, e della gerarchia ecclesiastica, dall’altra, a favore di una trascendenza rivoluzionariamente orizzontale.
Un filo lega la religione alla politica: la religione intesa sentimento ed esperienza di crescita personale mentre la politica è vista come vita sociale e come insieme di relazioni interpersonali di cui si nutre una comunità che allargata i propri orizzonti a tutti, persino ai morti, che cooperano con i vivi alla comune costruzione dei valori fondamentali della vita e alla trasformazione della realtà ingiusta e violenta.
L’intento è riscoprire il senso autentico della religione come terreno di comunione tra individui a partire dalla personale esperienza di ciascuno in modo da riconsegnare la politica ad ogni persona chiamata a partecipare responsabilmente ad una realtà che tutti include.
Il filosofo perugino fa dei limiti umani una risorsa per l’uomo a disposizione di tutti che spronano alla cooperazione per attuare quella completezza di se stessi in una armonica e collettiva convivenza.
All’aspetto religioso, inteso in senso tradizionale, contrappone il suo senso universale dell’esistere come elemento di collaborazione in cui di ognuno trova la realizzazione di se stesso in sintonia con il contesto naturale dove la cosa pubblica è il terreno in cui incontrarsi per dialogare con spirito critico, con informazione libera, con possibilità di comunicare contenuti, opinioni, esperienze, vissuti. In questo tendere verso “l’altro” risiede l’aspetto più proficuo di tutta l’opera capitiniana. La nonviolenza diventa strategia e insieme scelta di vita per la quale l’individuo, mettendo da parte pericolosi pregiudizi, mediocri abitudini mentali e d’atteggiamento, va verso “l’altro” valorizzando la diversità e l’autonomia di vita e di pensiero.
Per Capitini la religiosità non ha bisogno di una legge per manifestarsi, di un credo o di un culto particolare e il suo pensiero è in una posizione di equidistanza tra il laico e il religioso in cui nella religione vede l’impegno non violento mentre auspica quel rinnovamento e purificazione della religiosità da elementi dogmatici e chiusi.
Capitini denuncia e condanna ogni forma di violenza, da quella brutalmente fisica a quella psicologica, da quella sugli uomini a quella sugli animali giustificata dall’antropocentrismo cattolico, all’inganno della disinformazione che rende tutti inconsapevoli e nello stesso tempo responsabili, convinto che ogni innovazione debba sempre ri-partire dal basso.
Vi è nel pensiero di Capitini la netta opposizione a giustificare il mondo quale è e come fa comodo che rimanga. La famosa Marcia della pace è stata da lui concepita come “Marcia per la pace e la fratellanza tra i popoli” per promuovere un maturo, adulto dialogo interreligioso e interculturale che potesse superare le divisioni, i fanatismi, le chiusure della peggiore ideologia religiosa e/o politica e (pseudo) culturale.
Capitini denuncia il potere oligarchico, cioè l’enorme potere in mano a pochi che governano i popoli, per passare ad una società di tutti, cioè l’omnicrazia.
In sostanza: la salvezza degli uomini e delle donne, che sta nella presa di coscienza nel presente, non può essere rimandata o, peggio, consegnata alla rassegnazione o all’attesa passiva, che equivale alla rinuncia del cambiamento. In quest’ottica l’elemento educativo è imprescindibile ad instaurare il legame profondo tra gli uomini, i gruppi sociali, i popoli nel mondo, fino a superare gli steccati dell’individuo, della razza, della nazione… L’eredità del suo pensiero oggi approda nella globalizzazione che deve trasformarsi da rete di contatti a rete di relazioni: una apertura verso l’incontro di Occidente e Oriente in nome di una civiltà nuova, non più individualistica né totalitaria ma aperta al rispetto del sacro valore della vita, del diritto e della libertà di ogni essere vivente.
Stralci di alcuni suoi scritti: “Tanto dilagheranno violenza e materialismo, che ne verrà stanchezza e disgusto; e dalle gocce di sangue che colano dai ceppi della decapitazione salirà l’ansia appassionata di sottrarre l’anima ad ogni collaborazione con quell’errore, e di instaurare subito, a cominciare dal proprio animo (che è il primo progresso), un nuovo modo di sentire la vita: il sentimento che il mondo ci è estraneo se ci si deve stare senza amore, senza un’apertura infinita dell’uno verso l’altro, senza una unione di sopra a tante differenze e tanto soffrire. Questo è il varco attuale della storia”.
“Accade nelle altre civiltà che il mezzo si è tanto ingrandito da far perdere il fine, e l’operosità, l’arricchirsi, la vita amministrativa-politica-economica-giuridica-sociale, prevale sugli altri valori, ben più essenziali alla salvezza o alla trasformazione dell’uomo”.
“Il Dio per me sarà il Dio della liberazione di tutti, e lo ritroverò, prima della realtà liberata, in seno all’Uno-Tutti, compresenza di tutti gli esseri vivi e spezzati o scacciati come gatti sporchi ai valori, ai valori più puri, come questa alta musica che sto ora ascoltando, la quale è più che di Beethoven, e crogiuolo e, alle linee della musica, unità di tutti: lo troverò lì, nell’intimo, sofferente alla realtà-società-umanità così come sono, e liberante con mitezza in trepidissima”.
Da una poesia di Aldo Capitini: “Ci siamo levati nella notte, e il buio era già aperto; abbiamo guardato oltre le valli, le linee deste dei monti, e la devozione dell’aria non mossa ancora dagli uccelli”.
“Sono convinto che gli uomini arriveranno finalmente a non uccidersi tra di loro quando arriveranno a non uccidere più gli animali”.
Franco Libero Manco