Il linguaggio unisce o divide? – Semantica, glottologia e biospiritualità



A volte le parole possono creare discordia fra gli uomini… L’incomprensione sorta con la diversità dei linguaggi, volendo comprendere l’altro attraverso il linguaggio, è alla base delle antipatie che gli esseri umani percepiscono gli uni verso gli altri. Prova ne sia il negro che ci parla in bantu viene visto con sospetto e timore, mettete che lo stesso negro si mette a parlare in italiano, o addirittura nel nostro dialetto familiare, ecco che improvvisamente diviene uno di noi, un fratello di colore diverso. Questa verità l’ho potuta sperimentare svariate volte a Calcata dove la comunità etnica è molto variegata però siccome parlavamo tutti allo stesso modo, al massimo con un leggero accento straniero (tra l’altro ognuno di noi aveva un leggero accento d’origine essendo tutti forestieri), ecco che diventavamo comunque tutti calcatesi, indipendentemente se siculi, romani, veneti, europei est ovest, americani nord sud, africani, etc. etc.

Il linguaggio comune unisce ed all’inizio tutti gli umani parlavano la stessa lingua, il “nostratico” viene chiamato in glottologia, poi da quella radice, nella diaspora umana planetaria, sono sorti rami e ramoscelli sempre più diversi. La mitologia della Torre di Babele è simbolica ma veritiera. Gli uomini appena salvatisi dal diluvio universale invece che andare a ri-abitare il pianeta, ridiventato fertile dopo il cataclisma, si concentrarono tutti in un luogo e cominciarono ad erigere un monumento di ringraziamento a Dio (forse però a quel tempo era la Dea), simbolicamente questa torre zigurratica saliva sempre più in altezza (per arrivare in cielo) ma l’uomo è fatto per la terra e così Dio (o la Dea) confuse i linguaggi e gli uomini che non potevano più comprendersi si allontanarono in gruppi omogenei alla conquista del mondo, chi qua chi là, finché tutto il pianeta fu abitato.

Certo questa è una favola ma fa pensare come la differenza delle lingue allontani l’uomo dall’uomo. Sarà per questo che in ogni epoca un potere emergente cerca di stabilirsi attraverso una lingua? Sicuramente è avvenuto così.. il sanscrito, il greco, il latino… ed ora l’inglese, come lingue veicolari temporali, ne sono riprova.

Ma aspetta aspetta, non intendevo fare semplicemente un discorso semantico linguistico, anzi, volevo parlare dell’unico elemento che è in grado di unire e di far riconoscere l’uomo in se stesso e agli altri come manifestazione della stessa matrice vitale. Questo elemento è la “coscienza-intelligenza”, che unisce tutti i viventi e -in latenza- anche il mondo inorganico.

Questa coscienza/intelligenza è stata definita da tempo immemorabile “spirito” (diverso da anima che sottintende una personalità individuale). Lo spirito tutti ci accomuna poiché Spirito e vita sono consequenziali ed inseparabili. Possiamo chiamarla Biospiritualità, una forza legante universale, aldilà del linguaggio, che è l’espressione, l’odore sottile, il messaggio intrinseco, che traspira dalla materia tutta.

Il sentimento di costante presenza indivisa, la consapevolezza dell’inscindibilità della vita, riconoscibile in ogni sua forma e componente, partendo dal “soggetto” percepente, questa è la pratica stabile dell’essere biospirituale. La conoscenza suprema significa sapere che tutto quel che “è” lo è in quanto tale. Perché l’esistente è uno, non può esserci “altro”…

Ed infatti l’ostacolo posto dalle religioni e dalle ideologie è proprio quello di basarsi su un linguaggio, sulla descrizione culturalmente adattata per esportare una specifica cultura. Ma allorché l’oscuramento viene rimosso dal cuore dell’uomo, improvvisamente ci troviamo a Casa, cioè torniamo alla “lingua universale” da tutti compresa. Possiamo definire questo stato “liberazione” dall’illusorio senso di separazione, poiché la biospiritualità non può ammettere separazione.

Paolo D’Arpini

Ritorno alla spontaneità naturale...



Vorrei stavolta ritornare ad un  sentimento  che trovo molto adatto a curare la malattia della distrazione, dell’indifferenza, o meglio dell’incapacità di essere presenti nel vissuto quotidiano.

La nostra società oggi più che mai è malata di virtualizzazione, non siamo in grado di percepire le esperienze se non in forma proiettiva, con la tendenza ad esagerare a magnificare senza peraltro riuscire a trovare soddisfazione nel "semplice e nel facile", in quello che, secondo i taoisti, è lo stato naturale dell’uomo…

Anche Osho si è cimentato nel tentare di riportare l’uomo alla sua spontaneità ed al godimento del momento presente, questo "invito" verso la semplicità di vita è un motivo conduttore di parecchi saggi. Egli ha saputo usare parole vicine alla mente dell’uomo moderno. Egli essendo un "cultore dell’immediato", ci ha mostrato attraverso le vicissitudini e gli alti e bassi della sua vita come riuscire a non perdere la centratura in se stessi, come essere quel che si è senza aggiustarsi indebitamente alle richieste della cultura omologata, che è in grado di prosciugare ogni "centratura nella sorgente".

"L’uomo ha un centro, ma ne vive fuori – fuori del centro!" Affermava Osho, aggiungendo che questo atteggiamento crea una tensione interna, un tumulto costante, un’angoscia. La pazzia è la conseguenza diretta dell’uscire fuori in modo permanente dalla centratura in se stessi, ma vi sono stadi intermedi all’alienazione, ad esempio la distrazione, l’astrazione, la noia, la mancanza di empatia, etc. Certo nella mente umana esistono anche momenti di gioia estatica ma è troppo facile uscirne, succede appena cerchiamo di rincorrere quella gioia, di farla nostra appropriandocene (rendendola così estranea a noi).

Un essere umano "naturale" è solo colui che non rincorre gli stati mentali, che non si abbandona alla rabbia e non cerca la beatitudine. Egli non si allontana da una attenta presenza nel vissuto, non in meri termini fisici ovviamente. Potremmo dire che un "uomo naturale" è un uomo assente agli estremi….. Nella sua spontaneità priva di ogni opposizione il "realizzato" è completamente rilassato, nella sua consapevolezza non c’è tensione, non c’è sforzo, non c’è desiderio. In una parola non c’è "proiezione" e quindi nemmeno divenire. Ma questo non significa che l’uomo "naturale" non mangi, non beva o non soddisfi le esigenze che debbono essere soddisfatte come fa ogni altro essere vivente. Mangerà, dormirà… ma questi non sono desideri. Non mangerà domani, mangerà oggi!

In un certo senso lo stato di naturalezza è simile all’innamoramento, in cui si vive sospesi: il passato non esiste più e non si aspetta nemmeno il futuro. Ci si muove nel presente, incapaci di avere aspettative, ci si muove nel qui ed ora senza alcuna considerazione delle conseguenze. Infatti i saggi e gli innamorati sono considerati "ciechi" dagli uomini di mondo che calcolano ogni cosa... sono invece visti come veggenti da coloro che non calcolano.

Nel momento del grande amore il passato ed il futuro scompaiono.

Una volta qualcuno chiese a Gesù. "Cosa succederà nel tuo Regno di Dio?" ed egli rispose come un vero maestro Zen: "Non ci sarà più tempo!... Non ci sarà più tempo perché il "regno di Dio" è eterno, è sempre qui...".

Mirabai, una principessa indiana, si era innamorata di Krishna ma il Krishna fisico non c’era più da migliaia di anni, eppure lei cantava e danzava davanti a lui. Il marito di Mira era molto geloso di questo amore e le chiese "Sei impazzita? Chi è che ami, con chi conversi? Ed io sono qui e tu mi hai completamente dimenticato". E Mira rispose: "Krishna è qui ma tu non lo sei… Krishna è eterno, tu vivi fra due momenti di passato e futuro, che in verità non esistono, come potrei quindi credere che tu sei esistente?".

Nell’amore totale l’io non esiste, esiste solo l’amore. Mentre si accarezza l’amante o l’amata si diventa la carezza. Mentre si bacia non si è colei che viene baciata o colui che bacia, si è semplicemente il bacio. In questa assenza dell’io si manifesta la pienezza della presenza… ed è per questo che l’amore è definito la natura vera di Dio. 

Diceva Shiva alla sua adorata sposa Parvati: "Mentre vieni accarezzata, dolce principessa, penetra il carezzare come vita eterna. Chiudi le porte dei sensi quando senti il solleticamento di una formica. Allora. Quando sei sdraiata su un letto od assisa lasciati andare priva di peso, aldilà della mente..."

Paolo D’Arpini





Passing Show e Yogi Ramsurat Kumar (simpatico, santo, bizzarro e benefattore...)




"Passing show" (spettacolo passeggero) questa scritta campeggiava sul grande cartellone pubblicitario sulla via centrale di Tiruvannamalai, vi era dipinto un soggetto demodé, una specie di  Gastone il viveur, con il cilindro in testa, lo smoking ed una sciarpa al collo, gli occhi cerchiati per i troppi vizi e le notti in bianco, ed in bocca una sigaretta il cui fumo si allargava in volute nebbiose sino a coprire tutta la superficie del quadro. 

Passing Show era la marca di sigarette preferite da Yogi Ramsurat Kumar, il santo "strano" che viveva nei pressi del grande tempio di Arunachaleswara. 


Malgrado il caldo soffocante indossava vari capi di vestiario, uno sull'altro, completi di jilet, turbante e scialle. L'ingresso della sua casa era riconoscibile per via di un grosso cancello di ferro che dava su un atrio ombroso con due sedili in cemento ai lati, davanti c'era una rampa di scale che conduceva ad una porta interna in legno, quand'era aperta da essa filtrava un po' di luce (evidentemente dava su un vestibolo aperto). Chiamai forte dal cancello e dopo qualche tempo venne ad aprirmi lo Yogi in persona, era ammiccante ed aveva l'aria simpatica ed un po' bizzarra, mi fece entrare e richiuse il cancello dietro di me. Era già un buon segno infatti alcuni amici mi avevano detto di come a volte scacciasse subito chi non gli stava simpatico. Naturalmente portavo con me, in regalo, un pacchetto di Passing Show ed una scatoletta di fiammiferi. 

Egli accettò l'offerta e si accoccolò sui gradini invitandomi a sedere nell'atrio, di fronte a lui. Parlava un inglese fluente non facevo fatica a seguirlo, aveva un'aria unconcernd, nessuna affettazione, parlammo del più e del meno, tutto era informale quasi banale, mio figlio Felix -che era lì con me- si mise a salire e scendere dalle scale dov'era seduto lo Yogi, dimostrando tutta la vitalità di un bimbo di quattro anni che gioca senza remore. 

Non provavo alcun imbarazzo, e non avevo domande specifiche da fare ma egualmente il santo, come se volesse impartirmi una benedizione, mi disse "se qualche volta tu fossi in difficoltà ripeti Yogi Ramsurat Kumar e sarai soddisfatto", me lo ripeté un paio di volte sillabando il suo nome ed accertandosi che lo sapessi pronunciare correttamente, era talmente tutto semplice che quasi non mi accorsi che nel frattempo l'atrio si stava riempiendo di visitatori, stavano seduti ai lati con aria ossequiosa, poi cominciarono a parlare con lo Yogi in tamil ma a qual punto persi ogni interesse a seguire i discorsi che non capivo e restai tranquillamente ad osservare lo spettacolo. Pareva che ognuno avesse dei favori da chiedere e questo mi fu confermato poi da un "devoto" acculturato che parlava inglese il quale mi spiegò quante "grazie" lo Yogi aveva fatto a lui stesso ed altri.


Non mi interessava la lunga lista di miracoli ma ascoltavo con sussiego e dentro di me sorridevo come se quella non fosse la cosa importante ma solo uno "spettacolo passeggero"… Quasi a riprova di ciò lo Yogi si mise a fumare, sigarette e bidies in continuazione, per fortuna non c'erano incensi accesi altrimenti la stanza sarebbe stata completamente affumicata. Mi ricordai del cartellone che avevo notato all'andata e mi parve di carpire una specie di cenno sornione negli occhi del santo, ricollegavo le due scene: quella del cartellone e questa davanti a me.

Alla fine, non so nemmeno come, l'incontro terminò e mi ritrovai fuori, era già buio, ci fermammo a prendere un tiffin (spuntino) con mio figlio e poi ci avviammo tranquillamente a piedi verso il Ramana Ashramam vicino al quale avevamo una stanza. Dentro di me mi interrogavo: "Ma in fondo cosa voglio dalla vita? Cosa vuole questo Yogi Ramsurat Kumar? Qual è la differenza fra noi? Lui ed io siamo sicuramente la stessa cosa nello spirito, quindi cosa potrei chiedergli?" Così riflettendo sentii dentro di me emergere uno stato di totale soddisfazione e leggerezza, no non c'era alcuna differenza fra noi, è vero….

Paolo D'Arpini 












Post scriptum -  Dovete sapere che la montagna Arunachala (montagna rossa), che si trova in Tamil Nadu, è considerata sacra, in quanto manifestazione del potere divino di Shiva  che in un lontano passato si dice fosse apparso come colonna di fuoco senza inizio né fine, il residuo di quella colonna è il monte solitario Arunachala. Alle sue pendici vissero tanti saggi, fra cui uno molto apprezzato in India ed altrove, Ramana Maharshi, ma non solo lui… contemporaneamente a Ramana, prima e dopo di lui, altri saggi e santi vissero ad Arunachala e probabilmente continueranno a viverci (anche vista la fama che la collina ha mantenuto nei secoli). Uno di questi santi è stato lo Yogi Ramsurat Kumar, ed è esattamente lui di cui vi parlavo poc'anzi…

Articolo tratto dal libro "Incontri con i santi" 



La natura del “commercio”, secondo Kahlil Gibran



Un mercante chiese al saggio: “Parlaci del commercio”.
Ed egli rispose dicendo: “La terra vi concede il suo frutto e basterà, se voi saprete riempirvene le mani. Scambiandovi i doni della terra, vi sazierete di ricchezze rivelate.

Ma se lo scambio non avverrà in amore e in benefica giustizia, farà gli uni avidi e gli altri affamati.

Quando voi, lavoratori del mare, dei campi e delle vigne, incontrerete sulle piazze del mercato i tessitori, i vasai e gli speziali, invocate che lo Spirito supremo della terra discenda su di voi per consacrare le bilance e il calcolo sicché valore corrisponda a valore.

E se colà verranno i danzatori e i cantanti e i suonatori di flauto, comprate pure i loro doni, poiché anch’essi raccolgono incenso e frutta e recano all’anima vostra cibo e ornamento, quantunque lo facciano in sogno.

E prima di lasciare la piazza del mercato, badate che nessuno sia andato via a mani vuote.

Poiché lo Spirito supremo della terra non dormirà pacifico nel vento finché il bisogno dell’ultimo fra voi non sia saziato.

Kahlil Gibran