Elogio della natura selvaggia e della bellezza

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Ricorda, la bellezza è qualcosa che appartiene alla natura selvaggia. La bellezza non è mai addomesticata, nel momento in cui la addomestichi, diventa brutta. 
Non c’è modo di addomesticare la bellezza. La bellezza deve essere intrinsecamente selvaggia, perché fa parte della natura. 
Non è coltivata, è naturale. Ecco perché gli alberi sono così belli, gli animali sono così belli, gli uccelli sono così belli. È impossibile trovare un uccello brutto, o un cervo brutto. La natura è spontaneamente bella.
Solo l’uomo diventa brutto. E l’assurdo è che solo l’uomo cerca di essere bello. In quello sforzo per diventare bello, subentra la bruttezza. L’idea stessa di diventare bello dimostra che hai ammesso di essere brutto; l’idea stessa trae origine dalla condanna di te stesso. 
Una cosa è certa: una persona che cerca di essere bella ha ammesso la sua inferiorità, la sua bruttezza, la sua inutilità. E sta cercando di nasconderle, di coprirle, di migliorarle. 
L’uomo è l’unico animale che cerca di essere bello ed è l’unico animale brutto.
Quindi la prima cosa da ricordare nella vita è che più sei vicino alla natura – al suo aspetto selvaggio, all’oceano selvaggio, alle montagne selvagge, alla giungla selvaggia – più sei bello. Nella bellezza c’è gioia. E dalla bellezza nasce l’amore, dalla bellezza nascono l’espressione e la creatività.
Solo una persona bella può essere creativa, perché accetta se stessa. È così felice di essere se stessa, è così grata di essere se stessa, che da questa gioia, gratitudine e accettazione nasce la creatività naturale. 
Vuole fare qualcosa per dio, perché dio ha fatto così tanto per lei. Vuole dipingere un quadro, o comporre musica, o rendere questo mondo un po’ migliore, aiutare gli esseri umani a crescere. Vuole fare qualcosa, perché dio ha fatto così tanto per lei. 
Dalla gratitudine nasce la creatività: è la vera sorgente della creatività. Ma questo è possibile solo quando ti accetti, quando non cerchi di nasconderti dietro delle maschere, quando non cerchi di camuffarti, quando non generi una personalità, ma permetti alla tua essenza di dire la sua.
Gli animali non hanno una personalità. Non sto parlando degli animali domestici, che iniziano ad avere una personalità. Un cane selvatico non ha personalità, solo essenza, ma non appena il cane è addomesticato inizia a diventare politico, inizia a diventare diplomatico. Comincia a essere una persona, non è più un individuo, finge. Se lo picchi continua a scodinzolare per compiacerti: questa è personalità. Vorrebbe farti a pezzi, ma sa che tu sei il capo e conosce i suoi limiti. Sa che presto sarà l’ora di cena e sarà in difficoltà; sarà picchiato, punito. Conosce la sua impotenza, quindi crea una personalità, una maschera. Diventa falso, inizia a fingere, diventa civile, diventa educato e perde la bellezza.
La bellezza è selvaggia ed è vasta. L’oceano è selvaggio ed è vasto. Non riesci a vedere l’altra sponda. Non puoi mai vedere l’altra sponda della bellezza. Puoi sentirla, ma non puoi afferrarla. Non puoi stringerla tra le mani. Puoi viverla, puoi godertela, puoi immergerti in profondità, ma non sarai mai in grado di capirla; è insondabile, è immensurabile. La bellezza è oceanica, vasta, immensamente vasta. La bellezza ha profondità, proprio come l’oceano; e più è profondo, più è divino. Profondità significa divino. La profondità è la dimensione del divino.
Una persona civile vive in superficie: è un nuotatore, non un sub. Sa perfettamente come comportarsi sulla superficie. Conosce molto bene la superficie: i suoi modi, le sue maniere, l’etichetta e tutto il resto. Al di sotto c’è un’immensa profondità, ma la ignora.
La bellezza è profonda: più diventi pro­fondo, più sei bello. E poi la bellezza non è di questo mondo, perché la pro­fondità è la dimensione del divino. Più vai in profondità, più dal tuo nu­cleo più intimo inizia a sgorgare qual­cosa. La bellezza non è un make-up, è una sorgente. Il make-up è superficiale.
Ho letto di un uomo che disse al suo amico: “Ho scoperto il miglior contraccettivo del mondo”. L’amico chiese: “Che cos’è?” e l’uomo rispose: “Dico a mia moglie di togliersi il trucco. Quando si toglie il trucco non mi interessa più fare l’amore con lei”.
Quindi le persone fanno l’amore con il make-up? È esattamente ciò che sta accadendo: le persone fanno l’amore con la personalità, che è il trucco, che è solo un ornamento intorno a te, non sei tu. Quindi anche l’amore diventa brutto, superficiale, banale, non ha più la qualità della preghiera, dell’intimità, non ha più la qualità dell’eternità.
Quindi ricorda queste tre cose: la bellezza è selvaggia come un oceano selvaggio, la bellezza è vasta come l’oceano – non si vede l’altra sponda – e la bellezza appartiene alla profondità, mai alla superficie. Se raggiungi la bellezza, raggiungi la beatitudine, raggiungi la benedizione.
Questo è ciò che si definisce “prepararsi a dio”: diventare belli. 
Osho 
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Para-spiritualità e psico-analisi...

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Ho sempre avuto la sensazione, una specie di intuizione prelogica, che tra esperienza mistico/spirituale ed esperienza psicoterapeutica, soprattutto psicoanalitica, ci fossero delle analogie, delle omologie.
Di questa sensazione/intuizione ho avuto una piccola conferma leggendo tempo fa (su un numero de “il venerdì” de “la Repubblica”, quello uscito il 5 ottobre 2018) l’intervista rilasciata a Benedetta Craveri dal critico d’arte Jean Clair, che aveva organizzato a Parigi una mostra intitolata “Sigmund Freud. Dallo sguardo all’ascolto”.
Mostra che si proponeva di indagare il rapporto tra il padre della psicoanalisi e le immagini; e i motivi per cui questo rapporto ad un certo punto della vita di Freud si era interrotto per lasciare spazio sempre maggiore all’uso della parola.
Un passaggio dell’intervista mi aveva colpito in modo particolare. Benedetta Craveri chiede a Jean Clair: “Ma per quale motivo Freud smette di interessarsi alle immagini?
E Jean Claire risponde: “Freud prende progressivamente coscienza che la disposizione delle parole, l’uso della sintassi e del vocabolario ci dicono quanto e forse più delle immagini e rivelano la complessità della psiche”.
Ancora la Craveri: “Questa scommessa sulla forza salvifica della parola come unica fonte di verità va interpretata come un ritorno di Freud alla religiosità ebraica?
E Jean Clair: “La priorità data all’ascolto, il modo di conferire sempre dei significati a una parola ricordano in modo sorprendente quella saggezza talmudica a cui Freud ha fatto ritorno nei suoi ultimi anni di vita.
E’ ciò che avvicina non poco la psicoanalisi a un tipo di spiritualità ebraica e a un certo modo di leggere, ascoltare e interpretare le parole. La psicoanalisi comporta un passo indietro a favore del silenzio e dell’ascolto.
E, fatto su cui non si insiste abbastanza, questa presa di distanza dalla dimensione visiva è sottolineata dal fatto che l’analista non deve essere visto dall’analizzato…
Quante volte vediamo nei film la poltrona dello psicoanalista affiancata al divano?
E’ un errore madornale, perché la poltrona deve essere collocata dietro la testata del divano.
Ci è forse dato di vedere il volto di Dio?
Mosè si vela la faccia davanti al roveto ardente.
Dio ha una voce, non un volto.
In un certo qual modo la psicoanalisi ripete questo meccanismo”.
A partire anche da questa riflessione di Jean Claire, vorrei provare ad argomentare le ragioni che mi portano a vedere delle analogie, a mio avviso forti, profonde, tra l’esperienza spirituale in generale, quella mistica in particolare e la terapia psicoanalitica.
La prima analogia che mi viene in mente è che entrambe queste esperienze, quella mistica e quella psicoanalitica, costituiscono un percorso, un cammino, non esteriore e materiale ovviamente, ma interiore: spirituale, appunto.
In cosa consiste questo percorso? Nell’entrare in contatto con il proprio mondo pulsionale (come direbbero gli psicoanalisti), con le proprie passioni e i propri istinti animali (come direbbero i mistici), prenderne consapevolezza, non tanto per negarli (anche se i mistici a volte fanno anche questo, ma questi sono i cattivi mistici), quanto per trascenderli in nome del “principio di realtà” (dicono gli psicoanalisti) o dell’amore per Dio (dicono i mistici).
Famosa è la frase di Freud per identificare questo tragitto/percorso: “Laddove c’era l’Es ci sarà l’Io”.
Laddove per “Es” possiamo intendere il mondo inconscio dei desideri e degli istinti e per “Io” il mondo inconscio che è diventato (almeno in parte) conscio, ha preso atto della realtà ed ha trovato una (più o meno) equilibrata mediazione tra “il principio del piacere” (da cui è dominato l’Es) e “il principio della realtà” (istanza che caratterizza tipicamente l’Io).
La frase di Freud potrebbe essere parafrasata da un mistico in questo modo: “Laddove c’era l’Es ci sarà Dio”.
Laddove per “Es” possiamo intendere esattamente le stesse cose che intende la psicoanalisi (cioè le passioni, gli istinti animali) e per Dio la voce della nostra coscienza, che è più intima a noi di noi stessi, che ci fa vedere non solo ciò che istintivamente siamo portati a desiderare (questo è l’Es) ma anche ciò che è/sarebbe meglio per noi e per quelli che ci circondano.
La seconda analogia che vedo è questa. Il percorso della psicoterapia psicoanalitica è in fondo null’altro che un cammino di formazione, un addestramento progressivo a prendere contatto con l’Altro da Sé, con il proprio Maestro o demone interiore.
Chi va dallo psicoanalista è afflitto da questa incapacità fondamentale: non sapersi guardare dentro, non riuscire a gestire le proprie pulsioni ed emozioni o perché queste gli prendono troppo la mano o perché egli le frustra, reprime, esageratamente, se non totalmente.
Nella terapia psicoanalitica l’Altro da Sé è, soprattutto nella fase iniziale ma anche in quella intermedia, un altro in carne ed ossa. E’, infatti, lo psicoanalista, col quale il paziente attiva una vera e propria dinamica di identificazione (il famoso transfert).
Solo nella fase finale della psicoterapia, il paziente riesce a introiettare dentro di sé l’analista e diventa analista di se stesso. A questo punto può camminare da solo, perché ha imparato a riconoscere l’Altro da Sé dentro di sé.
Il percorso mistico, a pensarci bene, non è molto diverso. Il mistico è uno che consapevolmente cerca Dio, in realtà è attratto dal mistero profondo che è rappresentato dall’esistenza umana e cerca una risposta alla domanda di senso che tutti ci poniamo.
Ricercando Dio in realtà egli cerca se stesso o, meglio, l’Altro da Sé, che è la parte più profonda e intima di ognuno di noi. Senza l’Altro nessun colloquio interiore è possibile.
Nell’esperienza mistica, all’inizio, l’Altro da Sé assume (o, meglio, può assumere; ci sono anche mistici che ne fanno subito a meno) le sembianze del Dio esterno a sé o di un Maestro di vita in carne ed ossa.
Più, però, la sua vita spirituale va avanti, più cresce e si affina, più il Dio esterno diventa interno, si interiorizza. Dio e l’Altro da Sé si fondono e alla fine resta (può restare) solo l’Altro da Sé, come guida e maestro interiore.
Ed ecco la seconda analogia che volevo mettere in evidenza: come il paziente, ad un certo punto della psicoterapia, può fare a meno dell’analista, così il mistico ad un certo punto del suo percorso spirituale può fare a meno di Dio, perché Dio abita oramai in lui, non è più fuori di lui, è stato da lui introiettato.
La terza analogia mi viene suggerita dall’intervista, di cui ho riportato integralmente il passaggio da cui ha tratto spunto questa mia meditazione.
Dio non ha un volto, ha solo una voce. E Gesù, infatti, viene presentato da Giovanni (nel prologo, versetto 1 del suo Vangelo) innanzitutto come Verbo, cioè Parola, quindi come Voce che parla, come Maestro. “In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio”.
Lo psicoanalista, anche lui, più che un volto, è una voce. Tanto è vero che (quasi) si nasconde al paziente, si fa vivo solo con la parola, quasi a sottolineare il primato della parola su quello del volto.
Anzi, a dire il vero, lo psicoanalista tende a parlare il meno possibile per cedere il più possibile la parola al paziente, perché il paziente impari a parlare sempre di più e sempre meglio con se stesso, anzi con l’Altro da Sé.
Il mistico cerca per definizione qualcuno che è invisibile. Ma, in fondo, anche il paziente in terapia cerca qualcuno che è invisibile.
Non solo (e, a dire il vero, non tanto) perché il terapeuta si nasconde dietro il divano su cui è sdraiato il paziente (come sostiene Jean Clair). Ma perché colui che cerca il paziente non è una realtà che vive fuori di lui, bensì è una persona che abita in lui, è lui stesso, il vero se stesso.
Credo e spero di aver dato qualche dimostrazione della tesi da cui sono partito: c’è una profonda e significativa analogia tra il percorso psicoterapeutico e quello spirituale-mistico.
Giovanni Lamagna

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Etere, l'elemento onnipervadente



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È il più sottile dei 5 elementi, quello più impalpabile, più etereo E' l'elemento onnipresente che tutto pervade, è la dimora degli altri quattro elementi, è lo spazio che separa i differenti oggetti e ne permette la varietà. Nel corpo rappresenta gli spazi vuoti, come ad esempio nel tratto intestinale, nei vasi linfatici e sanguigni, negli spazi intercellulari, nei polmoni. La materia in realtà è vuota al suo interno; se si potesse comprimere l'uomo eliminando completamente tutti gli spazi vuoti si otterrebbe un granello di sabbia quasi invisibile, che continuerebbe però a pesare 70 kg (cit. Piero Angela). 

Dei cinque sensi, l'unico che percepisce lo spazio è l'udito, perché è nello spazio che si propaga il suono. Il suono Om (aum) è secondo i Veda il suono primordiale che ha dato origine all'universo, così come nella Bibbia l'origine è descritta attraverso il Verbo di Dio. Anche la scienza attribuisce la nascita dell'universo ad un suono: il Big Bang. Il suono, la vibrazione è una presenza molto forte nella nostra vita e nella nostra emotività; proprio perché il corpo è per la maggior parte costituito da spazio vuoto, ed è in questo spazio che si propaga la vibrazione, influenzando notevolmente tutto il nostro sistema. Possiamo dire che anche se l'orecchio è l'organo che percepisce e riconosce i suoni, la vibrazione la sentiamo in ogni parte del corpo.

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I suoni ci coinvolgono completamente influenzandoci in maniera positiva o negativa.

Pensiamo a quanto ci può irritare un suono sgradevole, o un tono di voce aggressivo, o parole scortesi; al contrario ci rilassa un suono melodico, o ci consola una voce dolce o delle parole comprensive. Cerchiamo di fare attenzione ai suoni che ci circondano spegniamo la tv quando non ci interessa, non prestiamo attenzione ai pettegolezzi, non ascoltiamo discorsi violenti ed omofobi, e allo stesso tempo stiamo attenti ai suoni che emettiamo alle parole al tono di voce che creeranno o modificheranno positivamente o negativamente l'energia attorno a noi. 

Spendiamo un po' del nostro prezioso tempo all'ascolto del silenzio, del vuoto, dello spazio; all'inizio sarà difficile, non siamo abituati, anzi cerchiamo sempre di riempire gli spazi, i silenzi, perché il vuoto ci fa paura, crea ansia. Impariamo a vivere questo elemento sottile, soffermiamoci a guardare il cielo ad ascoltare il suo silenzio e lentamente ci allontaneremo dall'attaccamento ossessivo alla materia e inizieremo a vivere un senso di leggerezza, di pace, di libertà che ci porterà ed elevare la nostra spiritualità.

Paola Turrini - turrinipaola@libero.it

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