Collage di Vincenzo Toccaceli
...ho sentito l’esigenza di riportare qui alcune ragioni su un argomento scottante, che già in passato fu per me motivo di discussione, si tratta della “Favola di Cristo”, una ricerca storica sulla non esistenza fisica di Gesù di Nazareth. Esiste un libro così intitolato scritto alcuni anni fa dal compianto amico Luigi Cascioli, e -dopo averlo letto- compresi come fosse importante ripristinare una verità storica su fatti alquanto nebulosi, che vengono in realtà confermati dalla sola voce ecclesiastica dei papi e del vaticano. La storia si sa è solo convenzione ma quando una religione come quella cattolica pretende di essere detentrice di una verità salvifica incontrovertibile occorre una certa cautela ed un’analisi approfondita sulle origini di questo messaggio…
Personalmente sono cresciuto in seno ad uno spirito agnostico, la mia origine essendo ebraica, ma "convertitosi" i miei nonni paterni al cristianesimo (per ovvi motivi) durante il ventennio fascista, il risultato fu quello di cancellare di fatto all’interno della mia famiglia ogni credenza religiosa. Formalmente cristiano e persino ex allievo dei Salesiani pian piano portai avanti la mia ricerca sino a considerare la superiore validità di filosofie alquanto atee, come ad esempio il Buddhismo, l’Advaita Vedanta od il Taoismo. Infine smisi di interessarmi di qualsiasi religione abbracciando consapevolmente la via sincretica della Spiritualità Laica, di cui mi son fatto anche portatore.
Ciò avvenne in seguito alla diretta esperienza della veridicità e realtà del Sé interiore che supera, pur integrandolo, qualsiasi concetto di Dio o di separazione fra gli esseri. Comunque per amore di “verità” speculativa e storica non ho mai tralasciato di occuparmi di “santi” (nell’accezione laica del termine) anticamente vissuti come Gesù, Lao Tze, Buddha, o personalmente conosciuti come Swami Muktananda, Karmapa, Nisargadatta Maharaj e numerosi altri…
Non ho mai voluto cancellare l’uomo, per me la capacità dell’uomo di manifestare il “divino” e la saggezza é motivo di grande “orgoglio” per la comune appartenenza alla specie umana. Per questa ragione ho sempre cercato -o forse desiderato- l’esistenza di santi del calibro di Gesù, Maometto e Buddha… E qui ritorno al libro di Luigi Cascioli… Infatti Cascioli nega l’esistenza fisica di Gesù… o per lo meno la inquadra in un contesto ed in una manifestazione diversa da quella propugnata dal vaticano e dalle varie chiese cristiane.
Beh, non voglio negare libertà di espressione e ricerca. Pertanto qui di seguito riporto uno stralcio del libro di Luigi Cascioli seguito da uno stralcio degli Atti degli Apostoli (che ne conferma la sostanza)
Paolo D'Arpini
Comitato per la Spiritualità Laica
Via Mazzini, 27 - Treia (Mc)
bioregionalismo.treia@gmail.com
Comitato per la Spiritualità Laica
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GLI ESSENI DOPO LA GUERRA DEL 70.
In un susseguirsi di attentati, azioni sovversive e rivoluzioni esseno-zelote e relative repressioni, da parte dei Romani, si giunse alla guerra del 66-70 che con la sconfitta dell'esercito rivoluzionario e la morte di Menahem, figlio di Giuda il Galileo, ultimo discendente della stirpe degli Asmonei, pose termine all'era cristologica.
La guerra, promossa dai giudei per controversie di culto, dopo un alternarsi di vicende favorevoli e sfavorevoli ora all'una e ora all'altra parte, sembrò risolversi definitivamente a favore dell'esercito rivoluzionario.
I disordini che seguirono la morte di Nerone (+68) misero Roma in un tale stato di disordine e anarchia da costringere l'esercito, privo di direzione e di assistenza, a rifugiarsi in Siria lasciando la Palestina in mano ai rivoluzionari. Fu in questo periodo che i Giudei, nella certezza di essere pervenuti a quella vittoria finale del bene contro il male considerata nel “Rotolo della Guerra”, celebrarono le esequie di Roma, la Babilonia del peccato e della corruzione, in quel libro che uscì nel 69 sotto il nome di Apocalisse (Rivelazione).
Ma le cose andarono diversamente; Adriano, succeduto a Galba, deciso a porre fine ai disordini della Palestina, inviò una potentissima armata al comando del figlio Tito. Gerusalemme, conquistata dopo un assedio di sei mesi, fu messa a ferro e fuoco, il Tempio raso al suolo.
Come conseguenza della sconfitta, le persecuzioni contro gli ebrei ripresero con rinnovato accanimento non solo in Giudea ma anche in tutte le nazioni dell'Impero in una vera e propria caccia all'uomo nella quale ai romani si unirono anche le popolazioni per quell'odio che in esse si era accumulato verso tale razza ritenuta capace di produrre soltanto guerre, disordini e stragi. In questo ambiente di astio collettivo che permetteva anche ai più vili di accanirsi contro i perseguitati, le masse popolari, forse ancor più dei romani stessi, si scagliarono con tanto furore contro chiunque apparteneva alla religione ebraica, da determinare un vero genocidio. Come in Siria, dove secondo gli storici del tempo ne furono massacrati oltre centomila, così nelle altre città, quali Efeso, Alessandria, Antiochia e Damasco, le stragi si susseguirono in eccidi che spesso venivano eseguiti come pubblici spettacoli in anfiteatri o su patiboli eretti nelle piazze e nelle strade.
Tutte vittime che la Chiesa, sostituendosi agli Esseni, ha fatto passare fraudolentemente come martiri di un suo cristianesimo che, come sarà ampiamente dimostrato in seguito, ancora non esisteva.
Fu in seguito alla disfatta dell'esercito rivoluzionario che la corrente religiosa, riconfermandosi nella convinzione che le guerre e la violenza avrebbero portato soltanto lutti e dolore, lasciò definitivamente la figura del Messia guerriero davidico alla quale si era associata nella rivolta dei Maccabei, per ritornare nel suo monoteismo spirituale che prevedeva la conquista del mondo attraverso l'avvento di un Messia sacerdotale (Maestro di Giustizia).
I rivoluzionari, da parte loro, rimasti fedeli al Messia davidico, continuarono nel loro programma rivoluzionario finché, passando per la guerra del 74, organizzata anch'essa da un appartenente, sia pure in forma indiretta alla famiglia di Giuda il Galileo (Giuseppe Flavio afferma che era un parente di Menahem), di nome Eleazaro, non furono definitivamente eliminati nel 132-135 dall'imperatore Traiano in quella guerra nella quale morì Bar Kocheba, l'ultimo sedicente Messia. La distruzione di Gerusalemme fu così totale da essere paragonata dagli stessi ebrei a quella operata da Antioco IV che era stata preannunciata dal profeta Daniele con l'espressione di “abominio della desolazione”.
Gli esseni religiosi, ormai liberi dopo il 70 da ogni impegno precedentemente contratto con i rivoluzionari, ostentando un programma spirituale ancor più rigoroso di quello che avevano praticato nel passato, si fecero divulgatori di una ideologia che, libera da ogni coinvolgimento rivoluzionario, li facesse apparire come sostenitori di una religione che avrebbe posto fine all'odio, alle guerre, per dare inizio ad un'era di pace e di benessere, come risulta dai quattro capitoli dell'Apocalisse che furono da essi aggiunti nel 95 alla prima edizione del 68, quella edizione che, uscita durante la guerra del 70, esprimeva invece un programma basato essenzialmente sulle stragi e sulla vendetta: "Vidi poi un nuovo cielo (è l'autore della corrente spiritualista che scrive) e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c'era più (si riferisce al mare Mediterraneo nel quale i rivoluzionari vedevano affogarsi i romani e i loro alleati una volta buttati fuori dalla Palestina, dalla Siria e dall'Egitto). Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo... In mezzo alla piazza della città (Gerusalemme) e da una parte e dall'altra del fiume (Giordano) si trova un albero di vita che dà dodici raccolti e produce frutti ogni mese; le foglie dell'albero servono a guarire le nazioni" (Dai capp. 21 e 22 che furono aggiunti nel 95 all'Apocalisse del 68 dagli esseni spiritualisti).
(Dall'espressione sopra riportata (...) saranno poi ripresi (...) una parte di quei detti e sentenze che gli gnostici, quali Papia vescovo di Geropoli, attribuiranno ad un Gesù dichiarato esistito ma in forma del tutto spirituale).
Fu così che gli Esseni del dopo 70, atteggiandosi a pacifisti e a santi, proseguendo nel loro programma monoteista essenzialmente religioso, incrementarono il proselitismo aprendo le porte a quanti volevano convertirsi alla loro religione. Garantendo ai proseliti oltre il vitto, l'alloggio e la vita eterna anche la possibilità di sottrarsi ad ogni rivalsa che avrebbero potuto subire per reati comuni e politici attraverso l'acquisizione di un nuovo nome che gli veniva dato in seguito al battesimo, le comunità essene, come una legione straniera, divennero veri e propri centri di reclutamento per frustrati, falliti, visionari, avventurieri e criminali. L'afflusso di queste masse di diseredati provenienti per lo più dal mondo ellenista fu così imponente da portare le comunità essene ad adottare la lingua greca lasciando l'uso dell'ebraico soltanto per la celebrazione dei riti.
"Fu in questo periodo, appunto perché nelle comunità essene del Medio Oriente e soprattutto in Alessandria d'Egitto gli ebrei erano arrivati a parlare solo in greco, che la Bibbia, detta dei 70, fu completata e tradotta in questa lingua contrariamente a quanto viene raccontato dalla Chiesa che la fa dipendere da un certo Tolomeo Filadelfo, re d'Egitto nel II secolo". (Josif Kryevelev Calendario del Popolo. Ed. Teti).
Come conseguenza dell'adozione della lingua greca, l'appellativo di Messia, venne cambiato con la corrispondente traduzione greca di Cristos (Cristo): <<Il Messia lungamente atteso, nell'atmosfera spirituale dell'ellenismo che si diffuse tra le comunità giudaiche della diaspora, assunse notevole popolarità con il nome di Cristo. La parola Cristos significa in greco antico ciò che significa in ebraico la parola Mashiah: l'unto (dal greco crio, ungere)>>. (Josif Kryvelev. Op. cit. -8).
Per cui, come conseguenza, i seguaci del Messia-Cristos, furono chiamati cristiani, ma con un significato piuttosto dispregiativo: "Il termine cristiano è nato in un ambiente non palestinese: è probabile che venisse usato in termine di ironico disprezzo (gli “unti”, gli “impomatati”) per distinguere dagli ebrei della Sinagoga i nuovi convertiti, gente strana, dalla lunga capigliatura, un po' come i nostri capelloni”. (A. Donini. Storia del Cristianesimo. Ed.Teti. pag. 29).
La conferma del disprezzo che suscitavano gli appartenenti a queste comunità esseno-cristiane, e non soltanto per una questione di trascurato abbigliamento ma anche per quella loro ideologia che, pur ostentandosi pacifica, si rifiutava di accettare l'autorità degli imperatori romani dichiarando che il vero loro padrone era soltanto Dio, ci viene dagli autori del tempo, quali Tacito e Plinio il Giovane, che li qualificano come seguaci di una religione perniciosa basata sulla superstizione.
In quel periodo di disordini, di povertà, di persecuzioni e di banditismo, coloro che si rifugiarono nelle comunità essene furono così numerosi da superare gli esseni originali: "Le comunità della nuova religione si organizzarono in diverse località del vicino Oriente e in esse ebbero un ruolo sempre meno importante gli ebrei mentre assumevano maggiore rilievo, sia per numero che per influenza, i proseliti del variegato impero romano". (Josif. Kryvelev. Analisi Storico Critica della Bibbia -9 ).
Ed è su queste conversioni di pagani alle comunità essene che la Chiesa costruirà la propria storia attribuendole all'apostolato di Pietro, Giacomo, Giovanni, Paolo e di tutti gli altri discepoli che vengono dichiarati testimoni della vita di Cristo.
Ma per quanto la fede dei convertiti si cercasse di renderla salda ed omogenea attraverso l'obbedienza più assoluta alle regole delle comunità, non tardarono a sorgere nella massa eterogenea dei loro componenti, fatta di Giudei e di ex pagani, le divergenze concettuali su quel Messia (Cristos) la cui figura, rappresentata dall'astrattismo di una visione (Daniele), dava adito alle più svariate interpretazioni. La sua morale, era strettamente Mosaica, come sostenevano i giudei, o considerava l'esonero di alcune leggi imposte dal Pentateuco, come pretendevano i convertiti pagani? E sulle discussioni che ne derivarono per stabilire se doveva considerarsi obbligatorio o no circoncidersi, mangiare carni di animali immondi, concedere il battesimo agli eunuchi, escludere dalle cariche i deformi, ogni comunità si costruì un proprio Messia che cercò di imporre alle altre comunità attraverso i suoi predicatori come risulta dagli stessi testi sacri attraverso quei pochi passi che, per gli argomenti che trattano, si possono ritenere autentici anche se riferiti a personaggi del tutto immaginari.
Ci fu il Cristo di Paolo, di Apollo, di Pietro (I Cr.1,12), ci furono i Cristi di Balaam, della Sinagoga di Satana, della sacerdotessa Jezabele e del filosofo Nicola (Ap.II), e tanti altri Cristi: ogni predicatore dichiarava falsi quelli altrui per sostenere che soltanto il suo era quello vero (I Cor-1,12; II Cor. 11,14), come l'autore dell'Apocalisse che, in questa lizza generale, così ci presenta il suo: "Simile a figlio di uomo, con un abito lungo fino ai piedi e cinto d'oro, con gli occhi fiammeggianti come fuoco, i piedi di bronzo e la voce simile al fragore di grandi acque" (Ap. 1,12).
Come si vede, considerando che questo passo è tratto dall'Apocalisse del 95, per tutto il primo secolo si è ancora nel pieno di immaginazioni e di visioni che escludono il Messia da ogni forma di incarnazione.
Il comportamento di questi esseni spirituali che si erano ritirati in preghiera nelle loro comunità, non poteva essere in realtà, quali seguaci di un monoteismo, che un'ipocrita ostentazione di pacifismo avente come unico scopo quello di accattivarsi la simpatia delle autorità e la fiducia delle masse. Come sepolcri imbiancati fuori ma con dentro nidi di serpenti, essi continuavano ad alimentare l'odio e la vendetta contro i loro nemici trasferendo in una dannazione eterna, basata su laghi di stagno fuso e di zolfo, come viene continuamente ripetuto nella loro Apocalisse del 95, quelle stragi che non potevano più realizzare con le armi. Il leone di Giuda, travestito d'agnello, conservava intatto tutto l'odio contro coloro che si opponevano al suo imperialismo, quell'imperialismo monoteista che nel suo concetto di dominio universale prevede di mettere tutti i suoi nemici a sgabello dei propri piedi.
Un esempio esplicativo di come essi conservassero la ferocia atavica che gli veniva dagli insegnamenti della Bibbia, il libro della vendetta e dell'odio, lo troviamo in quel passo degli Atti degli Apostoli nel quale Pietro detto Cefa, capo della comunità essena di Gerusalemme, uccide i due coniugi Anania e Saffira perché non avevano rispettato la regola che imponeva ai seguaci di versare alla comunità tutti gli averi di cui disponevano. (At. 5).
Un'altra testimonianza della ferocia che si nascondeva sotto il pacifismo ostentato dalle comunità spiritualiste essene ci viene da Ippolito Romano, scrittore cristiano del III seolo: "Gli Esseni sono i divisi e non seguono le pratiche nella stessa maniera essendo ripartiti in quattro categorie. Alcuni spingono le regole fino all'estremo: si rifiutano di prendere in mano una moneta asserendo che non è lecito portare, guardare e fabbricare alcuna effigie; nessuno di costoro osa perciò entrare in città temendo di attraversare una porta sormontata da statue, essendo sacrilego passare sotto le statue. Altri, udendo discorrere qualcuno di Dio e delle sue leggi, si accertano se è incirconciso, attendono che sia solo e poi lo minacciano di morte se non si fa circoncidere; qualora non lo consenta essi non lo risparmiano, lo assassinano: è appunto per questo che hanno preso il nome di zeloti, e da altri quello di sicari. Altri si rifiutano di dare il nome di padrone a qualsiasi persona, eccetto che a Dio solo, anche se fossero minacciati di maltrattamenti e di morte".
Ma per quanto si adoprassero ad alimentare il fervore attraverso canti e preghiere tendenti a sollecitare la discesa dal cielo del loro Salvatore, un po' per quella fede che cominciò a vacillare verso un avvento che veniva sempre rinviato (cosa per altro già accaduta nel III terzo secolo a.C., secondo quanto viene esposto dal libro di Giobbe che fu scritto appunto per esortare alla pazienza gli ebrei stanchi di attendere un Messia che non arrivava mai), e un po' perché si erano resi conto che non avrebbero mai potuto imporre la loro religione, con un Messia il cui avvento era basato sull'astrattismo di una promessa, alle religioni pagane che proponevano Soteres che avevano già compiuto la loro missione salvatrice, decisero di costruirsene anch'essi uno già realizzato.
Ma dove trovare gli argomenti giustificativi per rendere credibile un evento che, oltre a non essere da nessuno conosciuto, era stato da loro stessi smentito attraverso quell'attesa che fino ad allora avevano sostenuto? Ancora una volta, ricorrendo alla cabala e alle predizioni dei profeti, imposero la loro verità invocando quella profezia nella quale Isaia, sette secoli prima, aveva previsto che il Messia sarebbe passato tra gli uomini senza essere riconosciuto: "Egli (il Messia), dopo essere passato tra gli uomini in maniera così umile e modesta nelle parvenze da non essere rimarcato da alcuno, seguirà i suoi carnefici silenzioso e docile come un agnello che viene condotto al mattatoio" (... ). Anche se potrà sembrare incredibile, purtroppo è proprio così: sarà su questa profezia, sull'imposizione che ci viene da essa di accettare come compiuto un fatto che in realtà non è mai accaduto, che sarà costruita (...) tutta la storia di un Salvatore gnostico che fornirà le basi per costruire la figura di un Gesù incarnato.
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"ATTI DEGLI APOSTOLI - 5, 1-11 – La frode di Anania e Saffira
51Un uomo di nome Anania con la moglie Saffira vendette un suo podere 2e, tenuta per sé una parte dell’importo d’accordo con la moglie, consegnò l’altra parte deponendola ai piedi degli apostoli. 3Ma Pietro gli disse: 'Anania, perché mai satana si è così impossessato del tuo cuore che tu hai mentito allo Spirito Santo e ti sei trattenuto parte del prezzo del terreno? 4Prima di venderlo, non era forse tua proprietà e, anche venduto, il ricavato non era sempre a tua disposizione? Perché hai pensato in cuor tuo a quest’azione? Tu non hai mentito agli uomini, ma a Dio'. 5All’udire queste parole, Anania cadde a terra e spirò. E un timore grande prese tutti quelli che ascoltavano. 6Si alzarono allora i più giovani e, avvoltolo in un lenzuolo, lo portarono fuori e lo seppellirono. 7Avvenne poi che, circa tre ore più tardi, entrò anche sua moglie, ignara dell’accaduto. 8Pietro le chiese: 'Dimmi: avete venduto il campo a tal prezzo?'. Ed essa: 'Sì, a tanto'. 9Allora Pietro le disse: 'Perché vi siete accordati per tentare lo Spirito del Signore? Ecco qui alla porta i passi di coloro che hanno seppellito tuo marito e porteranno via anche te'.10D’improvviso cadde ai piedi di Pietro e spirò. Quando i giovani entrarono, la trovarono morta e, portatala fuori, la seppellirono accanto a suo marito. 11E un grande timore si diffuse in tutta la Chiesa e in quanti venivano a sapere queste cose." (http://sunfinder. serveftp.org/parrocchia/index. php?option=com_content&view= article&id=35:15-atti-degli- apostoli-5-1-11-la-frode-di- anania-e-saffira&catid=17& Itemid=122&lang=it)
Aggiunge la seguente "Riflessione", spudoratamente e infinitamente cattoipocrita, l'anonimo "pastore" della "Parrocchia di San Giovanni Battista" di "San Giovanni di Casarsa": "Il racconto di Anania e Saffira è molto duro. L’autore narra che essi vendettero un terreno e portarono alla comunità solo una parte dell’importo, trattenendone il resto. Ma il problema non era in questa azione, bensì nell’aver mentito a Pietro, affermando che avevano consegnato l’intera somma. Sia Anania che Saffira morirono all’istante, prima l’uno poi l’altra. In verità, Anania e Saffira, con la loro menzogna, si separavano dal comune sentire della comunità, facendo cosi morire in loro la vita spirituale che avevano ricevuto in dono. Non si trattava perciò di una semplice inadempienza, bensì della separazione dallo spirito della comunità, che porta sempre a distruggere se stessi.La morte di Anania e Saffira non va intesa come una punizione inviata da Dio, ma come la conseguenza della loro insincerità e dell’aver fatto prevalere i propri interessi su quelli degli altri. Scrivono gli Atti che la gente, vedendo questi fatti, fu presa da timore. Non si vuol suggerire che iniziò da allora un clima di paura nella comunità. È noto infatti che il frutto della comunione è la pace, la gioia, l’amore, come più volte Luca ribadisce.Quel che gli Atti sottolineano è che tutti debbono essere ben attenti a custodire la comunione che il Signore ha donato. La fraternità va infatti custodita con grande cura perché è facile ferirla con i propri comportamenti egocentrici." (ibid.)