Da un punto di vista culturale, il problema della laicità impone un ritorno alle origini, attraverso il quale la semantica del concetto trova una sua chiarificazione al di là delle polemiche che caratterizzano i punti di vista del nostro tempo.
Mentre la laicità moderna prende posizione a favore della libertà di coscienza dei cittadini, in presenza dei pluralismi religiosi e ideologici che caratterizzano la nostra società, la laicità del mondo classico rappresenta una posizione del tutto rivoluzionaria che trasforma la funzione e il significato etico-politico della comunità civile dell’epoca. Da tale punto di vista, va tenuto presente che tanto la polis greca quanto la res pubblica romana si fondano su una garanzia religiosa del potere politico, in cui l’autorità è assicurata dal connubio tra la supremazia religiosa della classe sacerdotale e il potere amministrato dagli appositi organi istituzionali della comunità pubblica. Non è un caso che la massima autorità politica coincide con la massima autorità religiosa.
In questa prospettiva, ovviamente differenziata nelle diverse situazioni storico-sociali, il pantheon che fonde le diverse concezioni del divino rappresenta la forma più ampia di garanzia per il pluralismo ideale dei cittadini.
Di fronte a ciò, il cristianesimo delle origini, che viene definito da molti come pre-costantiniano, indica una via di laicità inaccettabile per lo stato del mondo classico, in quanto la nuova forma di monoteismo non solo si oppone alpantheon delle religioni politeiste, ma difende la separazione tra l’ambito religioso e quello politico. Si pensi alla posizione evangelica che distingue il regno di Cesare dal Regno di Dio. Questa nuova posizione coniata nell’ambito della cultura cristiana si accompagna ad una concezione già evidenziata alle origini del pensiero filosofico. Infatti, il noto passaggio dal mythos al logos, collocato nel VI sec.a.C. e interpretato da K.Jaspers attraverso la formula delperiodo assiale, permette di individuare, attraverso la genesi dell’universalità presente nel mondo mediterraneo, mediante l’avvento della filosofia, una via di superamento della religiosità politica tradizionale.
Quanto detto è abbastanza evidente nella filosofia presocratica e in Socrate, dove la funzione del filosofo esercitata nella via sapienziale propone una sacralità dell’etica, liberata dai vincoli politeisti della religiosità civile della polis.
In questo contesto, non va dimenticato che l’accusa che doveva portare Socrate alla condanna a morte era quella di empietà; accusa, per altro, già subita da altri filosofi che hanno evitato le conseguenze negative della violazione della legge civile attraverso l’esilio. Tale accusa non evidenzia l’opposizione tra la fede religiosa e la visione atea del mondo e della vita; essa comprende, piuttosto, l’opposizione tra la religione politeista degli stati tradizionali e quella che apre l’uomo al divino, attraverso lo stupore e la meraviglia per il mistero che lo circonda. Ciò si realizza nel rispetto di una libertà della coscienza interiore che non può e non deve essere violata da alcuna imposizione politica degli organi statali. E’ questa nei termini della nostra cultura una forma, per così dire, laica di una religiosità più profonda.
Possiamo comprendere meglio la posizione illustrata tenendo presente che la filosofia, nei suoi massimi esponenti dell’epoca, si pensi tra gli altri a Parmenide, ad Empedocle, a Pitagora e allo stesso Socrate, non si riduce al mondo della conoscenza, e quindi ad una anticipazione del ruolo successivo rappresentato dalla scienza, ma coincide con la promozione sapienziale di una saggezza che vuole essere conoscenza in quanto miglioramento interiore dell’esistenza umana. Il saggio, dunque, non è uno scienziato ma è un modello compiuto di ricerca della felicità.
Su tale linea, al di là delle posizioni specifiche dei diversi pensatori, la filosofia si presenta come una via meditativa di liberazione dell’uomo dalla schiavitù delle passioni, come una medicina dell’anima nella quale l’uomo stesso, cittadino del mondo, trova nella sua interiorità un microcosmo in cui realizzare la propria salvezza. Questo profondo messaggio sapienziale della filosofia è destinato a rimanere fino all’Ellenismo e riesce, nel mondo antico, a salvare il filosofo dall’oppressione politica dei tiranni fino alla decadenza dell’impero romano. E’ evidente che i termini storici della questione analizzata sono lontani e per molti aspetti incommensurabili rispetto alle situazioni che stiamo vivendo nel nostro contesto storico; tuttavia, dalle origini classiche del pensiero filosofico giungono ancora degli insegnamenti etico-educativi sempre validi nella storia millenaria dell’umanità. Tra questi, non va dimenticato che la difesa della libertà di coscienza non si può risolvere in questioni contingenti di natura esteriore, ma è la difesa del mistero dell’interiorità che, nella sua essenza, sfugge per definizione ad ogni determinazione di carattere politico.
In questa chiave interpretativa, la filosofia come meditazione e come disciplina interiore costituisce una via significativa di valorizzazione dell’interiorità umana nell’apertura alla spiritualità del cosmo e nella disponibilità di accogliere il messaggio religioso che apre l’uomo alla trascendenza.
Se a conclusione di queste pagine consideriamo il messaggio che viene dalla filosofia antica, troviamo che non è la ragione ma la parola a porsi al centro del mistero tanto del macrocosmo, rappresentato dal mondo che ci circonda, quanto del microcosmo indicato dall’interiorità umana.
In questa direzione, non è la logica del pensiero apofantico, orientato alla conoscenza che fornisce la via per la rivelazione del mistero ma è piuttosto quello semantico, col suo duplice registro della poesia e della narrazione, che permette di cogliere nella sua profondità l’interiorità indefinibile di ciascun essere umano.
Giustamente M.Heidegger vede nel poetare una forma specifica del pensiero e giustamente P.Ricoeur trova nel racconto una forma profonda del pensare; ciò in quanto il poetare dà spazio alla costruzione creativa e il narrare dà voce alla soggettività interiore che si apre agli altri raccontando e che prende coscienza di se medesima nel raccontarsi quanto è oggetto dei propri interessi e delle proprie preoccupazioni.
La filosofia attuale, dunque, dopo varie forme concepite nella pluralità dei millenni del pensiero occidentale torna alle origini per farsi consapevole che la verità si svela e si occulta in una perenne ricerca che coinvolge l’uomo in un dialogo con se stesso e con gli altri. Quanto detto si produce in un’avventura nella quale l’umanità costruisce il suo futuro nel libero spazio della sua spiritualità interiore. Il messaggio dei saggi antichi, perciò, è quello del rispetto e dell’incoraggiamento di ogni forma di liberazione interiore, attraverso la quale l’uomo costruisce se stesso dando spazio all’umanità collettiva di cui fa parte, collocata nel cosmo in cui vive in un’indissolubile forma di simbiosi.
La filosofia, quindi, nella storia mantiene costanti certi obiettivi e certi punti di riferimento, in quanto il pensiero è collocato nelle vicende umane per un compito che supera la storia stessa in una ricerca necessariamente condizionata dal tempo ma proiettata all’eterno.
Prof. Aurelio Rizzacasa
Ordinario di Filosofia della Storia dell’Università di Perugia