Come nacque la vita sul pianeta Terra



Negli anni '50 del secolo scorso Stanley Miller era studente, a Chicago, di Harold Urey (Nobel della chimica 1934), il quale studiava la composizione chimica dell'involucro gassoso attorno alla Terra primitiva.  I suoi studi lo portavano alle stesse conclusioni che già erano state di Aleksandr Oparin a Mosca, 25 anni prima, e successivamente dell'inglese Haldane. 

L'atmosfera primitiva non conteneva ossigeno, nè anidride carbonica nè azoto, bensì un miscuglio di idrogeno, metano, ammoniaca e vapor d'acqua. Secondo Oparin ed Haldane, il bombardamento di radiazione solare su questo miscuglio avrebbe stimolato l'origine di una grande quantità di molecole organiche, creando dunque le condizioni per la successiva formazione di esseri viventi.


Miller, giovane chimico di 25 anni, decise di provare a riprodurre artificialmente in laboratorio le condizioni descritte da Oparin e Haldane, cercando così un approccio sperimentale al problema della origine della vita attraverso la generazione spontanea di molecole organiche.


Dopo avere fatto il vuoto nel contenitore sperimentale, vi introdusse metano, ammoniaca, idrogeno e vapor acqueo, sottoponendo il miscuglio per una settimana a scariche elettriche da 60000 volt, a imitazione dei fulmini delle violente tempeste degli antichi tempi.


Dall'analisi del miscuglio rossoarancio risultante emerse la presenza di molti composti organici, tra i quali molti aminoacidi, a partire dai quali si possono costruire le proteine.


Dunque risultava evidente che i composti organici necessari alla vita si potevano formare in condizioni pre-biologiche, come quelle della Terra primitiva, e la pubblicazione dei risultati dei suoi esperimenti (1953, su Science) rese famoso Miller per avere mostrato che la formazione di tali molecole era non solo possibile, bensì anche probabile, nelle condizioni date.


Dai tempi di Oparin ad oggi, dunque, ovvero da ormai quasi un secolo, la chimica pre-biotica si occupa di studiare (anche sperimentalmente!) la formazione spontanea della vita biologica sul nostro pianeta, come fenomeno naturale che non contrasta le conoscenze scientifiche accettate.


D'altro canto, già nel XIX secolo il chimico tedesco Fiederick Wohler, nel 1928, aveva sintetizzato in laboratorio un composto organico, l'urea, , che fino ad allora si credeva potersi formare solamente all'interno degli esseri viventi, tramite l'azione di un non meglio specificato "principio vitale".

Vincenzo Zamboni


Ipnotismo o vampirismo...?



Si discute molto in Europa sull'ipnotismo ed è molto utilizzato nelle terapie mediche. Tuttavia, la conoscenza che si ha di esso è molto superficiale e questo spiega i frequenti insuccessi della terapia. Si può dire che la cura di un uomo malato avviene quando in modo del tutto casuale viene fatto ciò di cui il paziente ha bisogno. 

Generalmente parlando ci sono tre metodi di ipnotismo, ma il terzo metodo, quello del trasferimento del pensiero, è interamente sconosciuto in Europa. 

Il primo metodo potrebbe essere chiamato auto-ipnosi, e in questo caso non è richiesto nessun potere di alcuna specie da parte dell'ipnotista. Egli deve solo conoscere come interrompere la connessione tra il centro emozionale e il centro intellettuale. La complessità dei metodi dell'ipnotismo è determinata dal numero di combinazioni possibili. Ci sono connessioni tra tutti i centri. Nell'uomo nello stato di veglia, o il centro intellettuale o il centro emozionale è sempre attivo, mentre l'altro osserva, per così dire, e critica in modo da non consentire che siano commesse "stupidità". Se non c'è connessione, ossia quando non vi è niente che può criticare, l'uomo fa qualsiasi cosa, con il centro che è attivo in quel momento, che gli capita di desiderare, e ciò significa che commetterà molte "stupidità". 

Il compito dell'ipnotista consiste nell'interrompere artificialmente per un certo tempo questa connessione e dopo nel dare comandi a uno dei centri che eseguirà tutto alla lettera, finché non ci sarà critica da parte di un altro centro. Per un'illustrazione della connessione tra i centri, è utile ripetere l'analogia, data in precedenza, tra la macchina umana e il gruppo composto da carrozza, cavallo e cocchiere. La connessione tra i centri potrebbe essere paragonata con le redini e le stanghe. 

Ma per un ipnotista ignorante c'è un'altra difficoltà. Nell'interrompere la connessione tra i centri, egli può, nell'ignoranza, interrompere quella sbagliata e in tale caso la sua ipnosi sarà infruttuosa. Se, per esempio, nel caso di un dato paziente, egli deve isolare il centro intellettuale ed egli, accidentalmente, interrompe proprio la connessione che isola il centro intellettuale, la sua ipnosi avrà successo; ma se egli interrompe, sempre accidentalmente, qualche altra connessione e isola il centro emozionale, che non capisce le parole ma capisce, diciamo, solo immagini, allora non importa ciò che egli comanderà con le parole, in questo caso non accadrà nulla. Questa è la semplice ragione del perché i pazienti sono spesso non guariti e dicono che l'ipnotismo non funziona. 

Quando l'ipnotista interrompe la connessione, egli dice al paziente di fare questo e quello; e finché la critica di un altro centro è assente, il paziente crede e fa ciò che l'ipnotista ha detto. Anche se l'altro centro vede che qualcosa non è come dovrebbe essere, esso non può fare nulla e non può cambiare nulla, a causa della connessione interrotta, esso non può mandare nessun comando a quell'altro centro. Se si ordina qualcosa ad un uomo quando i centri sono disconnessi, in seguito, ogni volta che egli sarà in quello stato, obbedirà a quell'ordine. Anche un'azione definita, ad esempio toccarlo, potrà indurre in un uomo quest'identico stato. In questo tipo d'ipnosi, il centro motorio è sveglio. L'intera vita dell'uomo è vissuta in questo stato di auto-ipnosi e di ipnosi reciproca di un uomo sull'altro. Siamo pupazzi nelle mani della gente più forte di noi stessi. Noi possiamo diventare più forti, ad esempio, attraverso il lavoro contemporaneo di due centri, quello intellettuale e quello emozionale, mantenendoli svegli insieme per il più lungo tempo possibile. Il secondo metodo di ipnotismo è possibile solo se l'ipnotista possiede un certo definito potere. Per spiegare questo, è innanzitutto necessario dire che ogni uomo ha la sua propria atmosfera, simile all'atmosfera che circonda la terra. L'uomo è avvolto da uno strato uniforme di quest'atmosfera di una certa definita densità. Quando un uomo è molto interessato verso qualcosa, la sua atmosfera, ossia, diciamo così, i raggi di una certa specie di energia che egli emana, si muovono nella direzione del suo desiderio e la circonferenza di questa atmosfera diventa allungata da quel lato a discapito dell'altro. Se l'attrazione verso qualcosa è realmente forte, l'intera atmosfera può essere allungata da un lato e ad una tale estensione che essa potrebbe essere strappata dall'uomo senza ritornare più. Generalmente, in presenza di un forte desiderio, l'atmosfera è tirata fuori e diventa allungata nella direzione di questo desiderio. 

Quando l'ipnotista utilizza questa emanazione, ossia riversa questa energia volontariamente, deve avere necessariamente una riserva di energia e deve sapere in che modo procurarsela. Nel mettere a dormire attraverso questo secondo metodo, l'ipnotista satura il paziente con la sua energia. Più un uomo è sano, più velocemente egli diventa saturo o appesantito da questa energia e va a dormire. Più un uomo è malato, più ha mancanza di questa sostanza, più risulta difficile metterlo in stato di sonno attraverso questo metodo. Quando due persone s'incontrano, quest'energia passa da quella che ne ha di meno a quella che ne ha di più, e questo spiega il fenomeno del "vampirismo". In genere quest'energia passa da un uomo all'altro in maniera automatica e involontaria. Il terzo metodo è completamente sconosciuto in Europa. Questo è il trasferimento del pensiero, che sarebbe il trasferimento di una definita materia, poiché il pensiero è materia, una materia con una specifica densità e vibrazione. Ciò che in genere in Europa viene definito come trasferimento del pensiero o telepatia, è ciarlataneria oppure ipnosi del primo tipo.

Paolo Mario Buttiglieri

Confusione nella religione e chiarezza nella discriminazione



Scriveva Federico Nietzsche: “E’ col trionfo “ecumenico” cristiano (sventura dell’umanità, degli animali, del mondo) che si è realizzata una globale inversione dei valori. Tutto ciò che nel mondo pagano, tra i nostri padri contadini politeisti, era percepito in maniera retta, pulita, veritiera, si è velato e capovolto. Mai un antico avrebbe dato, per esempio, nome di “amore” all’odio o viceversa. La nera pretaglia sfruttatrice è proprio questo che impose, urbi et orbi. Così, per almeno mille anni essa torturò in nome del bene…”

Personalmente non entro nel merito del discorso sulla veridicità delle religioni. Dal punto di vista della laicità di pensiero il credere è una scelta personale, quindi: “de gustibus non est disputandum!”

Ma vorrei aprire una fessura discriminativa. Il credere è statico, l’esperimentare è dinamico. Il credere è il risultato della memoria, l’esperimentare è il risultato di una azione. 


L’unica verità incontrovertibile è quella corroborata dalla propria esperienza personale… ma a meno che non si abbia una rivelazione diretta interiore affermare di credere in una religione è un esercizio mentale di volontà ed è privo di ogni sostanzialità. Cosa diversa, come detto sopra, nel caso di esperienza diretta o “realizzazione”. Ma siccome la “realizzazione” avviene nel Sé, possiamo tranquillamente affermare che la “verità intrinseca” è l’unica reale verità.. tutto il resto essendo semplice proiezione mentale.

Paolo D'Arpini


Laicità e spiritualità, binomio inscindibile...




Torno sul binomio, secondo me inscindibile, di "laicità e spiritualità".  Se ci si basa sul significato delle parole stabilito nelle enciclopedie e nei vocabolari, o nell'uso corrente, sovente si perde il significato originario. Ogni lingua parlata si adatta ai cambiamenti, anche strumentali, apportati nei secoli dalle diverse culture e religioni. 

Per questo preciso che per me spirito significa "sintesi fra intelligenza e coscienza". E cosa sono l'intelligenza e la coscienza? Di un uomo dotato di queste virtù non si dice forse che ha "spirito"?  Lo "spirito" -quindi- è il senso di presenza cosciente.  

Che dire poi dell'altra parola "laico" che in seguito alla manipolazione cristiana addirittura ha completamente cambiato significato, da quello di "persona al di fuori di ogni contesto politico e religioso" a quello di "persona appartenente ad una religione ma non inserita nell'ordine sacerdotale". 

Strumentalizzazione dopo strumentalizzazione il significato delle parole cambia, assume la forma che gli si vuole dare per ottenere un risultato "politico".. ma la radice originaria resta e quella vorrei recuperare. Perché non c'è bisogno di creare neologismi ove esistono già termini consoni, sia pur stravolti.

In questo contesto  confermo di non essere "credente" in alcuna forma, quel che affermo è sulla base della mia diretta esperienza di esistere e di averne coscienza. Non è necessario che alcuno me ne dia conferma.

Non serve “credere” per dire “io sono”, lo sappiamo senza ombra di dubbio da noi stessi. Mentre per sentenziare l’assunzione di una fede o la mancanza di una fede non possiamo fare a meno di usare il termine “credo” oppure “non credo”.

Se ne deduce che l’essere ed esserne contemporaneamente coscienti è naturale ed inequivocabilmente vero, mentre sostenere qualcosa che ha il suo fondamento nel pensiero, cioè nella speculazione mentale, è solo un processo, un concettualizzare.

Non voglio fare il difficile ma è ovvio che nessuno dirà mai “credo di esistere e di essere consapevole” mentre per qualsiasi altra affermazione (o forma pensiero astratta o concreta) dovrà sempre usare il termine “credo nella religione o credo nell’ateismo” od in qualsiasi altra cosa a cui si presta fede…


“Io sono” è quindi la verità pura e semplice ed è qui vano spiegare le possibili ragioni di tale “essere” giacché questo procedimento esplicativo (o interpretazione)  è una ginnastica mentale, una speculazione, ed è quindi opinabile.

Affermare che la coscienza è il risultato della scintilla divina o il percorso casuale della materia che si trasforma in vita lasciamolo dire ai sofisti. Mentre “Io sono” è l’unico fatto incontrovertibile che non abbisogna di prova o discussione alcuna. Ed è su questa base che voglio restare. Non ha senso quindi mettersi a discutere sui “modi”…..o sulle “ipotesi”. Dico ciò per tacitare ed evitare qualsiasi contrapposizione sulla realtà del fatto contingente da me espresso (e tutti a mente serena possono esserne consapevoli).

Questa è laicità dello spirito.

La spiritualità non appartiene ad alcuna religione; essa è la vera natura dell’uomo. Lo spirito è presente in tutto ciò che esiste, non può quindi essere raggiunto attraverso uno specifico sentiero, poiché esso è già lì anche nel tentativo di perseguirlo.

La laicità è la condizione di assoluta “libertà” da ogni forma pensiero costituita, sia essa ideologica o religiosa. “Laikos”, in greco, sta a significare colui che è al di fuori di ogni contesto sociale e religioso, ovvero non appartiene ad alcun ordinamento sociale o confessionale.

Quando si parla di ricerca spirituale non si intende il perseguire un sentiero codificato, una normativa fideistica, un’appartenenza ad un credo; il cercatore spirituale è semplicemente colui che guarda sé stesso, colui che riconosce il Tutto in sé stesso e sé stesso come il Tutto.

Da questo punto di vista la ricerca spirituale può essere considerata un fatto strettamente personale, quindi il vero cercatore spirituale è assolutamente laico, allo stesso tempo riconosce ciò che è in lui come presente in ogni altra cosa. Conciliare la propria via personale con quella di chiunque altro significa saper fluire senza ostruire, apprendere e trasmettere senza pretendere, insomma si tratta di fare la pace con noi stessi e con gli altri.

Questa assoluta libertà comprende anche assoluto amore e rispetto, non essendoci assunzioni di posizioni precostituite e riferimenti assolutistici ad uno specifico sentiero.

La Spiritualità Laica è una via in cui non possono esserci dogmi o indicazioni religiose. Questa è la via in cui non si segue nessuna via. Il percorso è completamente assente, nella spiritualità laica ciò che conta è la semplice presenza a se stessi e questo non può essere un percorso ma una semplice attenzione allo stato in cui si è.

La coscienza è consapevole della coscienza.

Ed è normale che sia così poiché la spiritualità laica non può essere nulla di nuovo ma solo un “modo descrittivo” di un qualcosa che c’è già, infatti se quel qualcosa non ci fosse già che senso avrebbe esserne “consapevoli”?
Perciò Spiritualità Laica e Consapevolezza sono la stessa identica cosa. Ma noi sappiamo che la pura consapevolezza di sé è purtroppo spesso macchiata da immagini sovrimposte, create dalla nostra mente, queste immagini sono ciò che noi abbiamo immaginato possa essere la spiritualità.

Accettare se stessi come qualcosa di completamente insondabile ed in conoscibile, non riferibile ad alcun assioma di derivazione ideologica o religiosa, significa restare sospesi nel vuoto essendo vuoto. Impossibile poter scorgere i confini del proprio essere.  Questa mancanza di identificazione in qualsiasi forma strutturale (di pensiero e non) è contemporaneamente anche la “forza” della laicità spirituale. Non vi sono porti sicuri di approdo, non vi è barca, non c’è un mare, nessuno e nulla da ricercare… solo la corrente della vita, della coscienza, solo il senso di essere presenti. In questa mancanza di condizioni è possibile sentire il nostro io arrendersi, la nostra mente sciogliersi, scoprendo così il "Centro" che in verità non è un centro perché è tutto ciò che è, senza centro né periferia

Il sentire della spiritualità laica è equiparabile al sentire dell'ecologia profonda. Anzi entrambi condividono la piena consapevolezza di appartenere ad un "tutto inscindibile". L'ecologia profonda prende maggiormente in esame l'aspetto esterno di questo "tutto" mentre la spiritualità laica si occupa dell'aspetto interiore. Attraverso questa integrazione esterno-interno riempiamo una falla enorme nel pensiero e nell'azione.

Tutto quel che ci circonda e noi stessi siamo la stessa identica cosa, siamo immersi in noi stessi come acqua nell'acqua eppure continuiamo a comportarci come fossimo separati, disponendo di ciò che riteniamo "sia al di fuori di noi" come  fosse "altro" da noi. C'è una meraviglia più grande di questa?

Paolo D'Arpini


Causa ed Effetto, la legge del karma


Con i tempi che corrono, pieni di disastri, cattiverie, guerre, oppressioni, miserie... molta gente continua a chiedersi "...ci sarà mai giustizia in questo mondo? Perché i malvagi imperano ed i buoni sono sempre vittime?" e simili dubbi.  

Il fatto è che anche i cosiddetti buoni molto spesso sono oppressori, magari non di altri uomini ma nei confronti della natura, degli animali, di se stessi.  Questi atteggiamenti poi richiedono una compensazione karmica. Questo almeno è il dettame della legge di Causa ed Effetto. La cosa va avanti con slanci pendolari fra alti e bassi, fra bene e male, finché il movimento non si affievolisce e si  trova una moderazione, una via di mezzo, come la chiamano i buddisti. 

Son convinto che in questo momento storico, visto anche l'enorme aumento della popolazione umana, si sono reincarnati sul pianeta milioni e milioni di animali. Si vede anche dal basso livello di coscienza che contraddistingue la nostra epoca. E si vede soprattutto dalle sperequazioni sociali e dalla violenza interspecista e fra i sessi. Molti perseguitati del passato sono diventati persecutori. Molte azioni cercano una compensazione. In tal modo il male, ovvero la febbre del desiderio di vendetta, prevale sul perdono e sull'amore per il prossimo e per la vita. La vita stessa sembra una punizione. Insomma  il destino ci impartisce   una lezione spirituale ed etica e finché non l'abbiamo appresa siamo costretti a ripetere la prova...

Spesso, durante  la mia permanenza in India, diverse persone ponevano domande ai vari maestri presso i quali andavo a soggiornare in merito al destino dei popoli, alla crudeltà di Hitler, alla persecuzione millenaria degli ebrei,  alla distruzione delle civiltà  meso-americane, alle guerre civili e simili argomenti apocalittici. La riposta dei saggi era sempre più o meno la stessa: "Come esiste un destino individuale esiste anche un destino per le nazioni e per i popoli".

Insomma par di capire che la summa di atti e coinvolgimenti che videro diverse anime convergere in un particolare momento storico  non è altro che un riaggiustamento karmico. Questo non significa che coloro che furono perseguitati come ebrei, ad esempio, sono  nati sempre in quella religione o razza, anzi parrebbe essere proprio il contrario, e cioè che l'entrata in un particolare karma collettivo sia necessario per un riequilibrio degli opposti. Ad esempio se diversi individui furono perseguitati durante la strage degli Ugonotti pareggiano il conto perseguitando a loro volta, in  un'altra condizione gli zaristi durante la rivoluzione bolscevica. Oppure se le anime dei Maya cercano rivalsa si incarnano in Spagna e scatenano la guerra civile.  

Quindi  perseguitati e persecutori si scambiano le parti a seconda delle circostanze sino al compimento finale ed alla comprensione che son la stessa identica cosa, sono lo stesso sognatore che prende  varie forme.

Lasciando da parte questa analisi generale voglio solo soffermarmi un attimo sulla tendenza karmica che contraddistingue il popolo ebraico.
La chiave della comprensione del destino di questo popolo sta nel senso del dominio, della trasgressione e della punizione. "Occhio per occhio, dente per dente".  E quando ci si trova alle strette si preferisce la morte onorevole, come avvenne ai rivoluzionari di Masada che preferirono il suicidio collettivo piuttosto che cadere in mano ai Romani. Ma l'esempio più significativo di questa filosofia di vita collettiva è il famoso detto: "Muoia Sansone con tutti i Filistei" . Che siano tutti morti è meglio che qualcuno salvato, soprattutto se quel qualcuno è un "altro".  


Paolo D'Arpini

Crescita intellettuale, materiale e spirituale, nel tempo dovuto....


Risultati immagini per vangeli canonici
Mettere dei punti fermi in un mondo cangiante, ma sopratutto cangiante per quel che ci appare, è una illusione che ci conforta e rassicura. La tecnologia, sovrastruttura necessaria all’evoluzione umana, passa sempre per immagini, archetipi e linguaggio anche questi in continua evoluzione. La battaglia  dei "conservatori" nel tentativo di bloccare il tempo e mettere rocce nel fiume che scorre sempre più impetuoso è una lotta impari, allo stesso modo i "progressisti"    si affannano di precorrere il tempo.
Fermare il mondo al conosciuto, o proiettarlo nel futuro? Ma mentre si svogle questa “democratica” dialettica qualcuno conoscendo la debolezza umana gestisce comunque le sorti materiali del mondo. Figli di uno “spirito intelligente”, ci allontanammo dalla “coscienza collettiva” per dare sfogo al materialismo che fu anche storico, uccidendo l’altra parte della nostra natura, che invece ci avrebbe esaltato, poiché l’unica che avrebbe potuto fare i conti con il potere del “tempo” in quanto di “natura superiore”.
Ciò che concepisce il concetto di infinto, non può finire, cosi come il nulla avendo di già comunque una definizione non può essere niente in quanto la definizione stessa è di già qualcosa, se il principio di contraddizione non si contraddice. Un viaggio che dall’infinito universale si manifesta in uno scorcio di spazio temporale che ci è concesso vivere con il nostro valore dell’esserci, per poi rifuggine e scappare via alla nostra flebile attenzione nell’infinitesimale sconosciuto. Tanto grande ed incomprensibile cosi come tanto piccolo ed incomprensibile, ma solo nella totalità ed il dettaglio, cosi come nel caos e nella complessità, che attraverso la nostra percezione tutto esiste altrimenti niente assumerebbe valore, tra lo sforzo di leggere tutto atraverso leggi fisiche che di volta in volta vengono smentite. Il particolare assume forza nell’insieme, cosi come l’insieme nulla può senza il singolo potere dell’essere.
Il concetto di valore, in forza alla vita solo nel tempo che trascorre, e solo perché la natura umana, per non ricominciare il suo percorso di conoscenza sempre dall’inizio, come virtù che lo distingue dall’animale, offe il forziere della memoria e conoscenza; la “mente” unico strumento di dominio dello spazio, ma non del tempo a cui invece è deputato lo spirito che lo trasale, ma questo secondo ahimè non è conosciuto ai più, e sopratutto non è utilizzato per le sue funzioni trascendentali. Lo sviluppo della natura dell’uomo, può avvenire solo se insieme allo “sviluppo concettuale” di ordine materiale, vi è anche una “innovazione spirituale”, che completano la conoscenza naturale, e questa potrà essere tale solo se tutti possono accedere e partecipare alla intelligenza collettiva. Se mai vi possono essere delle pietre da mettere in mezzo al fiume per fermare l’inutile distruzione che avanza, non può che orientarsi alla “sovranità umana” che si realizza solo nella “sovranità collettiva” che detiene la conoscenza e la consapevolezza della sovranità del proprio valore.
Chi, compreso questo potere, lo eserciterà sulle masse diventando “discendenza superiore” e nessuna democrazia potrà nulla se non solo nelle definizioni che rimangono sulla carta.
Giuseppe Turrisi

Giudei - Fra ebraismo ed etnia non c'è distinzione


In alcuni numeri  della rivista "Non Credo", alla quale collaboro, erano stati pubblicati alcuni miei articoli sul problema ebraico, esaminato con un approccio laico. Dico "laico" in senso totale, poiché spesso ho notato che molti critici del cristianesimo o dell'islamismo si definiscono "laici", mentre alla fine si scopre -per loro stessa ammissione- che  appartengono alla comunità ebraica. Quindi la loro critica delle altre religioni è un po' pelosa. D'altro canto  ho conosciuto diversi ebrei, con i quali ho stretto amicizia, che dimostrano una grande apertura mentale e spesso non esitano a definirsi "atei" o perlomeno "agnostici", quindi dal punto di vista intellettuale si potrebbero definire "laici". Il fatto è che la religione degli ebrei, cioè l'ebraismo, non è una religione filosofico-elettiva, nel senso del pensiero,  e quindi aperta a tutti. L'ebraismo è sostanzialmente una religione etnica, che viene tramandata fra gli appartenenti del popolo  ebraico, cioè i nati da famiglia o da donna ebrea.  Il popolo ebreo e l'ebraismo sono perciò un tutt'uno inscindibile. 

Come avviene ad esempio nel bramanesimo induista, in cui i bramini dal punto di vista dottrinale possono appartenere a varie sette del Sanatana Dharma, possono essere  vishnuiti, shivaiti, shakta e persino nichilisti atei  ma continuano in realtà a mantenere la tradizione genetica braminica (sposandosi e  riproducendosi solo tra bramini).   

Ed allora quando smette  un ebreo di appartenere all'ebraismo od un bramino  alla sua casta, oltre alla rinuncia intellettuale elettiva? 

La risposta è semplice: il momento in cui abbandona anche la tradizione genetica del matrimonio e della riproduzione all'interno della sua "etnia" o casta.  Non essendoci  più ascendenza-discendenza  le caratteristiche genetiche vengono rimescolate e pian piano le tracce disperse assieme a quelle culturali. 

Certo alcune caratteristiche  dominanti restano. Ma scompare il senso di appartenenza  al gruppo etnico. In un certo senso questa rinuncia alla "gens" è quanto fecero i romani antichi, che essendo originariamente etruschi, sabini, falisci e latini, etc. rinunciarono alla loro "famiglia genetica" per riconoscersi nella nuova cittadinanza romana. 

Però l'esempio dei romani non è da considerarsi "universale"  e definitivo poiché essi rifiutarono  le precedenti  origini tribali ma non si fusero con "l'umanità" in senso lato. Cambiarono soltanto il senso di appartenenza. Quindi va de a sé che una vera "laicità" deve avvenire nel ricongiungersi totalmente nell' "Umano" lasciando da parte ogni altra identificazione con religioni, etnie, razze o dir si voglia. 

Questo è esattamente il mio caso. Infatti i miei nonni paterni erano entrambi  di origine ebraica, quella  "pura", non quella ashkenazi, che è composta da  turcomanni convertiti nell'anno 1000  e che a rigor di logica non è di origine semita, essi però durante il fascismo rinunciarono alla loro identità, forse per salvare la pelle o per simili ragioni. I loro figli, compreso mio padre, sposarono donne gentili, rompendo  la continuità genetica, ed io a mia volta ho continuato in questa strada di allontanamento.  Dal che si può affermare che la mia ascendenza-discendenza ebraica è  nulla. Resta -come detto sopra- solo qualche caratteristica genetica: il naso grosso ed un po' appuntito, l'intelligenza speculativa ed altre cosucce che non sto a menzionare.

Beh, perché vi sto raccontando tutto questo?  Qui ritorno alla rivista Non Credo N. 35 in cui erano presenti addirittura tre lettere di lettori evidentemente di famiglia ebraica, in particolare mi riferisco alla lettrice Sarah Ancona, che scrive al direttore Paolo Bancale: "Negli ultimi due fascicoli di NonCredo ed anche in fascicoli precedenti, si parla di ebrei, ma non di ebraismo in quanto religione, il che sarebbe nella normale tematica della rivista, ma piuttosto come popolo. Per inquadrare questi interventi nella loro categoria vorrei chiederle quale è la sua opinione sulla spinosa vicenda di quel popolo?" 

Il direttore risponde esaurientemente e vi consiglio di leggere la sua risposta consultando appunto il numero sopra riferito della rivista.  Ma "indirettamente" ho voluto anch'io rispondere alla signora Sarah Ancona. Una riposta che vuole anche essere un invito allo scioglimento nell'Umanità a cui tutti noi indistintamente apparteniamo. Aldilà di ogni componente etnica. Riconoscendoci quindi nella comune matrice della specie  e cancellando ogni vestigia di "razza", che tra l'altro anche dal punto di vista scientifico antropologico  non ha alcuna consistenza. Infatti la scienza oggi ha stabilito che esiste una sola specie umana e le cosiddette "razze" non esistono,   non essendo altro che il risultato di  un adattamento  di popolazioni umane  che si sono evolute in determinati ambienti e clima.

Paolo D'Arpini