Mahatma Gandhi – Luci ed ombre, alti e bassi…

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Mohandas Karamchand Gandhi (2 ottobre 1869 – 30 gennaio 1948) è stato il leader preminente del movimento indiano di indipendenza nell’India britannica.
Utilizzando la disobbedienza civile non violenta, Gandhi ha portato l’India all’indipendenza e ha ispirato movimenti per i diritti civili e la libertà in tutto il mondo. Il titolo Mahatma (sanscrito: anima alta, venerabile), applicato per lui prima nel 1914 in Sudafrica, è ora utilizzato in tutto il mondo.
Mahatma Gandhi
[...] Particolarmente – proprio in modo che sia in corretto – voglio dirti che c’erano molte cose su Mahatma Gandhi che amavo e mi piacevano, ma tutta la sua filosofia di vita era assolutamente sgradevole per me. Tante cose su di lui che avrei apprezzato rimanevano trascurate. Correggiamo quindi il discorso.
Amavo la sua veridicità. Non ha mai mentito; anche se nel mezzo di ogni sorta di menzogne, rimase radicato nella sua verità. Non posso essere d’accordo con la sua verità, ma non posso dire che non era veritiero. Qualunque cosa fosse verità per lui egli vi aderiva pienamente.
Da non credere però che la sua verità sia di valore universale, ma questo è il mio pensiero, non il suo. Non ha mai mentito. Io rispetto la sua veridicità, anche se ritengo che egli non sapesse nulla della verità – quella che io costantemente propugno.
Con Mahatma Gandhi l’India ha concluso un capitolo, e ha anche iniziato un nuovo capitolo.
Ma non era un uomo che avrebbe potuto andare d’accordo con il mio pensiero: “Salta senza prima pensarci”. No, egli era un uomo d’affari. Avrrebbe cogitato cento volte prima di fare un solo passo fuori dalla sua porta, che dire perciò di un salto? Egli non riusciva a capire la meditazione, ma non era colpa sua. Non ha mai incontrato un maestro che avrebbe potuto dirgli qualcosa sulla “non mente”, eppure esistevano quei maestri vivi al suo tempo.
Anche Meher Baba una volta scrisse una lettera a Gandhi – forse non proprio lui di persona; qualcuno deve aver scritto per lui, perché Meher non ha mai parlato, non ha mai scritto, ha appena fatto segni con le mani. Solo poche persone erano in grado di capire cosa voleva significare Meher Baba. La sua lettera fu derisa da Mahatma Gandhi e dai suoi seguaci, perché Meher Baba aveva detto: “Non perdete il tempo a cantare” Hare Krishna, Hare Rama. “Questo non ci aiuta affatto. Se vuoi veramente sapere, informatemi e ti chiamerò “.
Tutti risero; pensavano che fosse un’arroganza. È così che la gente comune pensa, e naturalmente sembra l’arroganza. Ma non lo è, è solo compassione – infatti, troppa compassione sembra arroganza. Ma Gandhi rifiutò il telegramma dicendo: “Grazie per la tua offerta, ma seguirò la mia strada” … come se ne avesse una. Non ne aveva però nessuna.
Ma ci sono alcune cose che io rispetto di Gandhi – la sua pulizia. Ora, direte: “Rispetti tali piccole cose …?” No, non sono piccole, specialmente in India, dove i santi, i cosiddetti santi, dovrebbero vivere in ogni tipo di sporcizia. Gandhi cercò di essere pulito.
Era l’uomo ignorante più pulito del mondo. Amo la sua pulizia. Amo anche il suo rispetto per tutte le religioni. Naturalmente, le mie ragioni e le sue sono diverse, ma almeno ha rispettato tutte le religioni. Naturalmente per motivazioni sbagliate, perché non sapeva quale fosse la verità, quindi come poteva giudicare ciò che era vero? – se le religioni fossero nel giusto; se tutte avessero ragione, o se solo qualcuna avesse ragione. Non c’era modo per lui di comprenderlo.
Di nuovo, egli era un uomo d’affari, quindi perché irritare qualcuno? Perché dargli fastidio? Secondo lui tutte le religioni dicono la medesima cosa: il Corano, il Talmud, la Bibbia, la Gita. Egli ed era abbastanza “intelligente”: notate “l’abbastanza” -non dimenticatelo – per trovare somiglianze nelle religioni, cosa non difficile per qualsiasi persona intelligente e astuta. Ecco perché dico “abbastanza intelligente”, ma non veramente intelligente. La vera intelligenza è sempre ribelle e Gandhi non voleva ribellarsi contro i tradizionalisti, indù o cristiani oi buddisti o musulmani che fossero.
Sarete sorpresi di sapere che ci fu un momento in cui Gandhi contemplò di diventare cristiano perché essi sono al servizio dei poveri più di ogni altra religione. Ma presto si rese conto che il loro servizio è solo di facciata dietro la quale nascondersi per svolgere la loro vera e attività. L’attività reale era quella di convertire nuove persone. Perché? – perché i numeri portano il potere. Quante più persone avete, più potere avete.
Se puoi convertire tutto il mondo sia cristiano, ebreo o indù, allora naturalmente, queste persone avranno più potere di chiunque abbia mai avuto. Alexanders svanirà in confronto. È una lotta di potere.
Nel momento in cui Gandhi lo comprese – e dico ancora, era abbastanza intelligente per capirlo – cambiò idea e non volle più diventare cristiano. In effetti, essendo un indù, era molto più redditizio restar tale in India piuttosto che essere un cristiano. In India, i cristiani sono solo l’un per cento, quindi quale potere politico avrebbe potuto avere da ciò?
Era bene che lui rimanesse un indù, per la sua mahatmahood….
Osho
Traduzione di uno stralcio dell’articolo apparso su: http://www.oshonews.com/2014/12/17/osho-speaks-on-mahatma-gandhi/
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Commento di Bernardino del Boca: “Il Mahatma (grande anima) ha dato al mondo un’arma nuova che ha nome: “satyagraha”. Questa parola ha il significato di “forza della verità”, ma consiste nel rifiutare obbedienza alle ingiuste leggi, pur accettando di buon grado le sanzioni previste dalle leggi stesse contro coloro che non le osservano, a costo di qualunque sacrificio o privazione anche a costo della vita. Per questo il satyagraha è l’arma del forte e non del debole; chi l’usa contro le leggi ingiuste deve obbedire alle giuste..” 
Mio commentino: "Il 2 ottobre, proclamata dall’Onu giornata della nonviolenza, ricorre l’anniversario della nascita di Gandhi, definito “l’apostolo della nonviolenza”. Il personaggio merita sicuramente la nostra attenzione, poiché egli riuscì -in modo abbastanza pacifico- a smuovere le masse ed a condurle verso l’indipendenza. Prima della colonizzazione inglese, comunque, l’India era suddivisa in vari staterelli ed in gran parte era oppressa dal dominio musulmano. La partizione voluta dagli inglesi, a cui Gandhi si oppose sino all’ultimo, portò comunque alla creazione di due stati abbastanza grandi ed omogenei, da una parte il Pakistan musulmano e dall’altra l’India perlopiù induista ma alquanto sincretica, comprendendovi cristiani, jain, buddisti, parsi, etc. e persino musulmani “moderati”. (Paolo D'Arpini)

Santi solo post mortem? In India si è santi solo in vita!



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Stazione di Gudur

Molto spesso ho notato che una volta che qualcuno è stato riconosciuto da qualcun altro  come “santo” tutti quelli che lo incontrarono, nel bene e nel male, hanno qualcosa da raccontare su di lui, magari si professano suoi “discepoli”, pur che -con il “santo” in vita- non avevano avuto particolari rapporti, forse l’avevano ignorato, chissà, o erano stati ignorati dal “santo” stesso. Insomma succede come per la gente famosa del mondo una volta decollata nelle classifiche trovano sempre qualcuno pronto a dire “Ah, io lo conoscevo bene, da tanti anni ho avuto rapporti con lui, abbiamo mangiato tante volte nello stesso piatto, eravamo culo e camicia…”. Ciò avviene ancor di più se la persona esaltata, di cui ci si vanta i favori, è defunta e non può quindi controbattere o replicare. Credo sia successa la stessa cosa con tanti saggi che magari in vita erano vilipesi e spernacchiati e dopo -giunta la fama e la morte- vengono osannati e vantati.

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Ramana Maharshi era un saggio che visse i primi anni della sua permanenza a Tiruvannamalai come un mendicante ed i suoi estimatori erano ben pochi, giusto una banda di “mendicanti” par suo… Poi l’odore della sua saggezza raggiunse i quattro quadranti della terra e tutti coloro che l’avevano conosciuto anche solo per averlo salutato per strada, si dichiararono poi suoi ferventi devoti ed estimatori. Ricordo che alcuni di questi “vecchi devoti” frequentavano anche l’ashram di Swami Muktananda, il mio Guru, ma lui –da buona Scimmia- diceva sempre che “un vecchio devoto è sinonimo di uno che puzza…”. Ed in verità cos’è la “conoscenza del Sé” se non qualcosa di perennemente fresco, eternamente nuova come esperienza? Infatti i saggi realizzati vengono definiti “Jirangivi” ovvero Eternamente Giovani, non perché “portino bene gli anni” ma semplicemente perché sono aldilà di ogni collegamento col tempo e con lo spazio…
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Non so per quale ragione ho dovuto fare questa premessa prima di raccontare l’esperienza che segue… non voglio però che quanto ho detto fuorvii l’impressione od il giudizio del lettore. Considerate queste mie parole come un inciso “generale” e godetevi il racconto di questo incontro avuto tanti anni fa con Swami Lakshmana, che credo sia ancora in vita e bazzichi tutt’oggi in  Tiruvannamalai, dove si è trasferito qualche anno fa mi riferirono degli amici comuni.
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Come si deve osservare un santo? Per capirlo vado ad incontrane uno…. anzi due: Lakshamana e Saradamma
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Ancora una volta in viaggio, stavolta con mio figlio, in una città il cui suolo è cosparso di allume, ovunque svolazzante polveroso, lucido e nero. In questo posto poco piacevole dell’Andra Pradesh, a Gudur, vado ad incontrare un diretto discepolo del grande saggio Ramana Maharshi, si chiama Lakshmana Swami. Ho avuto la dritta da alcuni amici di Tiruvannamalai, tramite David Godman che ha scritto un libro su di lui, e me ne parla Nigel Quigly che vive sulle pendici di Arunachala, la sacra montagna rossa simbolo di Shiva: “vai a trovare Lakshmana e Saradamma, due grandi anime che vivono a Gudur, poi noi ti raggiungiamo lì fra qualche giorno”.
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Anche allora viaggiavo per l’India con mio figlio Felix, noi da soli come pellegrini alla ricerca dell’amore e della conoscenza. Partimmo senza sapere cosa avremmo trovato, il viaggio in treno non era lungo, poche ore da Madras, quando arrivammo alla stazione di Gudur era notte fonda e ci fermammo sotto una veranda al primo piano della stazione per riposare. La pace fu presto rotta da una banda di scimmie per nulla benintenzionate che ci minacciava forse pensando che così avremmo dato loro qualcosa da mangiare, non avevo nulla per rabbonirle ed ero preoccupato per Felix, dopo un po’ di lotte e scacciamenti usciamo in fretta dalla stazione per ritrovarci in quel paesaggio lunare, di mica, con un primo raggio rosso di sole nascente che rendeva tutto ancor più alieno. Per fortuna un chai-shop era aperto e così potemmo rifocillarci. La prima cosa da fare quando si vuole soggiornare in un luogo è accertarsi di aver trovato una sistemazione per la notte ed appena finita la colazione salgo, sempre con il pargolo al fianco, su un riktsciò e mi faccio portare verso l’ashram del santo. Un posto in mezzo alle spine ed ai cactus, arido e veramente poco abitato, stradine polverose e contorte dove si trovano solo rade capanne, capre o vacche libere e cani randagi, tutto è piatto e cosparso di allume luccicante.
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Da fuori il posto del santo sembra più una casa di campagna che un ashram, ci sta all’ingresso una signora indiana che ci accoglie, forse una parente di Saradamma la discepola che affianca Lakshmana nella ministrazione religiosa. C’è anche una ragazza straniera che sta lì da un po’ di tempo e che svolge vari servizi: reception, cucina, attendenza, etc. “Lakshmana e Saradamma escono di rado ma domani verranno fuori per una cerimonia –dice- e li potrai vedere”. Mi viene data una casetta, credo l’unica oltre il cottage del santo e la portineria-foresteria dove stanno le donne. La casetta è strapiena di bottiglie, lattine cicche, un numero impressionante di mozziconi gettati un po’ ovunque e persino all’esterno, sul di dietro della cucina vi sono altre cicche e cartacce ed altri rifiuti. Non fa una bella impressione ma cerco di pensare positivo “forse è una prova per me, per tutte le volte che ho sporcato in casa d’altri”. Non mi perdo d’animo e facendomi aiutare da Felix raccolgo e sposto le immondizie il più possibile lontano e dove non diano fastidio alla vista ma, mi accorgo dopo, molto vicine al recinto che delimita la casa di Lakshmana, ormai è troppo tardi per pensare ad altri spostamenti, è notte, e lascio le cose così. L’indomani c’è l’incontro o darshan con la coppia di santi, in una specie di tempietto colonnato aperto su quattro lati.
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Lakshama siede e non parla, ci sono un po’ di canti guidati da Saradamma, qualche arati, una distribuzione di prasad, insomma niente di speciale. Penso comunque di fermarmi qualche giorno, almeno per aspettare gli amici che mi hanno mandato qui. La notte, rifletto pensieroso, sentendomi un po’ deluso, mi fumo due tre bidi, pensando “tanto non importa anche se è vietato, qui pare che hanno fumato tutti…” e mi addormento al fianco di mio figlio. Un incubo incredibile mi afferra, un’esperienza incancellabile, mi vedo scalare una montagna di vetri rotti, debbo salire in cima ma ogni passo è doloroso e sanguinoso, avanzo arrancando ed ad un certo punto preso dallo sconforto e da una rabbia irrefrenabile inizio ad ingoiare schegge e tocchi di vetro, una sorta di sfogo autolesionista per l’impotenza e la frustrazione in cui mi trovo, la mia gola è in fiamme, penso di morire soffocato, mi sveglio di soprassalto e mi ritrovo nel letto, forse ho la febbre.
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Ma la mattina dopo la “discepola” mi dice che dobbiamo lasciare la stanza perché sono attesi altri ospiti, mi sembra un po’ strano e sono veramente scocciato, mi mandano via così, ammalato, con un bambino piccolo al fianco. Prima di partire compare Saradamma con delle caramelle, dice “queste sono per il bambino, poi guardandomi aggiunge, sono solo per lui…”. Non fa nulla, mi dico, se c’è un messaggio dietro tutto ciò sono pronto a scoprirlo. Rifaccio la strada del ritorno, un bel pezzo a piedi, prima di trovare un risciò, divido le caramelle con Felix pensando “non può mangiarle tutte ed io ho mal di gola una caramella mi farà bene”. Fatto strano appena scendo dal triciclo che ci riporta a Gudur mi viene un conato di vomito e rigetto un liquido dolciastro, la caramella che avevo ingoiato. Infine trovo una stanza in un alberghetto, vicino ad un tempio dedicato ad Hanuman, il posto è pieno di scimmie che allungano le mani tra le sbarre della finestra.
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Per alcuni giorni non posso alzarmi dal letto, non posso deglutire nemmeno la saliva, dolori lancinanti alla gola che non ho mai provato prima in vita mia, non posso bere, tantomeno mangiare, posso solo respirare a fatica ed ho la febbre, un calvario che dura parecchi giorni, in compagnia delle malefiche scimmie. Poi arrivano gli amici di Tiruvannamalai, che vanno a stare comodamente nell’ashram, nella stessa casetta da me occupata per due notti ed in cui ebbi quel sogno. Io e Felix restiamo all’alberghetto, pian piano mi riprendo, finché un giorno mi dicono che ci sarà un successivo incontro con Lakshmana. L’esperienza sinora vissuta è talmente anomala che decido di andare anch’io, sempre con Felix. Stavolta il darshan è nel cottage di Lakshmana e Saradamma, ci sono solo quattro o cinque persone, ascolto in silenzio quel che vien detto, non mi importa nulla di nulla, non penso a nulla, non giudico, non trovo colpe né pregi in tutto quello che mi è successo e mi succede, resto lì un’oretta a guardare le formiche sul pavimento.
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“So di non sapere” diceva Socrate.

Paolo D'Arpini

Temporaneità e limitatezza dell' "io" nel buddismo cinese

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Esiste forse qualcuno che può dire di essere venuto al mondo per sua precisa volontà? Oppure qualcuno che può decidere di non morire mai? Chi potrebbe mai rispondere affermativamente a queste domande? Ciò può farci capire come il nostro dominio sulle cose è assai limitato, almeno per quanto riguarda l’influenza sulla nostra esistenza personale. Dobbiamo per forza ammettere che la volontà del nostro ‘Io’ è soltanto temporanea ed essa, il più delle volte, deve sottostare ad una Volontà ben più alta. Questa Volontà non è, attenzione, la volontà di Qualcun altro, come potrebbero far credere i dogmi di qualche religione. Molto più realisticamente, Essa è la Volontà di un Potere più alto dell’Io che, però, risiede sempre in noi stessi ed in tutte le cose esistenti. 


Sia l’Io che la Volontà Superiore non sono affatto disgiunti perché, nella nostra persona, l’Io e l’Altro Potere non potrebbero esistere separatamente. Siccome la mente umana ha bisogno di dare un nome a tutto, allora a questo Potere sono stati dati vari nomi: Dio, Natura, Forza Vitale, Spirito Assoluto, Realtà Suprema,ecc. In realtà, quella Volontà Superiore risiede nella nostra mente, anzi "E’" la nostra vera MENTE, nella sua espressione più pura e assoluta. E’ soltanto perché non la comprendiamo, che cadiamo nell’errata convinzione che la nostra mente sia l’Io, e che l’Io possa manovrare le cose a suo piacimento. 

A causa di questa errata convinzione, l’Io si adopera freneticamente proprio per manipolare tutte le cose che lo riguardano. E’ come quel gioco di cui parlavamo l’altro giorno, in cui i bambini si assumono per burla identità fasulle, però credendoci fino alla fine del loro gioco. Grazie a questo ignoto potere, noi utilizziamo le facoltà della mente per crearci un’ identità personale ed in essa identificarci, aderendovi poi completa-mente. 

Se riuscissimo a comprendere una volta per tutte che non è stata la nostra volontà personale a farci nascere, così come non potrà impedire la nostra morte, allora finalmente potremo capire che noi siamo l’incarnazione di una Volontà che non può essere di certo l’attuale "Io".

Tutto ciò è possibile arrivare a comprenderlo per mezzo della meditazione di autoconsapevolezza, in quanto con un’adeguata pratica, potremo arrivare a conoscere la nostra mente e tutti i suoi più profondi recessi. 

La peculiarità e lo scopo della meditazione Ch’an è di far emergere dal profondo quel “Qualcosa”, che non può essere visto quando siamo inconsapevoli e offuscati dal condiziona-mento egoico. Questo “Qualcosa”, conosciuto proprio sviluppando ed applicando la Consapevolezza, altro non è che la nostra vera Identità Reale, Perenne ed Immortale. In questo momento, presente ed eterno, chi è l’Essere che risiede dentro la nostra carne ed il nostro corpo? 

Che cos’è questa “mente”, questo spazio vuoto che si trasforma, si compone e diventa ciò che immagina? Chi sono Io? Chi siete voi, adesso qui davanti ai miei occhi? Tutto ciò ci ricorda la frase Cristiana: -‘Dio creò l’Uomo a Sua immagine e somiglianza…’- Volendo, possiamo anche invertire la frase: - ‘L’Uomo fece Dio a Sua immagine e somiglianza’ … - Il risultato è identico, l’ambivalenza dialettica ci porta fuori ma la sintesi ci mostra l’identicità della proposizione e ci aiuta a capire. Perciò, rimaniamo saldi su questa sintesi e non sulle parole! Come ormai ben sappiamo la mente è un contenitore, ma è anche il Creatore dei suoi stessi contenuti. Basandoci su dei paragoni, nella nostra capacità intuitiva esiste la possibilità di concepire la Mente Assoluta. 

Per esempio, l’Oceano nel suo insieme è composto di miriadi di gocce d’acqua; ogni goccia è della stessa natura dell’intero Oceano; in ciascuna goccia vi è la stessa composizione chimica di tutta l’acqua che, prima o poi, arriverà all’Oceano. Le gocce sono destinate ad esistere ed a sparire; a causa del vento sono trasformate in vapore acqueo e trasportate sotto forma di nuvole fino ad essere di nuovo ricomposte in gocce di pioggia che, cadendo ed ingrossando i fiumi, tornano alla loro naturale origine: l’Oceano.

Similmente è l’esistenza individuale degli esseri viventi. La Mente Assoluta è l’Oceano, totalmente indifferente al destino delle singole gocce, menti individuali composte di Io-pensieri. Questa Mente-Oceano ha il potere di contenere tutto ciò che è, con tutte le esistenze relative. Il Potere di questa Mente Assoluta è di generare e contenere in Sé la totalità delle menti-gocce esistenti ed anche di quelle non ancora esistenti, cioè che si formeranno. Non solo, Essa contiene in Sé anche la materia chimica inerte ed insensibile che è una trasformazione grossolana dell’energia mentale. 

Ad esempio, il cibo non ha un’anima senziente però, entrando nel corpo di un individuo ne alimenta anche lo spirito e la mente.

Questo scenario che si ripete eternamente lascia la Mente Assoluta del tutto indifferente a ciò che accade nel particolare, cioè nelle miriadi di menti relative ed individuali. Questo ripetitivo ciclo di apparizioni e sparizioni delle menti individuali, persiste proprio per il Potere della Mente Assoluta che non può interrompere il meccanismo fintanto che le stesse menti relative non riconoscano la loro Identità Reale. 

In ogni caso, essendovi una mutua compenetrazione tra Assoluto e relativo, non sussiste alcun disturbo tra le due Realtà. Il relativo vive la sua vita con l’individualità misurata nel tempo e nello spazio, confrontandosi con la dualità e l’alterità. Al contrario, l’Assoluto resta totalmente imperturbato dall’attività delle microscopiche menti-Io, le quali si muovono in uno Spazio che non aumenta né perde alcun frammento della sua Totalità.

Questo sarà possibile comprenderlo intuitivamente soltanto quando, grazie alla Meditazione, la nostra mente umana saprà aprirsi alla Saggezza-Prajna che può sondare l’Assoluto. Questa Intuizione Profonda è il solo canale con cui l’Assoluto permette alla mente relativa la conoscenza di Sé, ed è la nostra sola possibilità di liquefarci nella stessa Mente Assoluta, pur restando nella relatività della vita ordinaria. Così un essere umano può aprire la sua mente alla Buddhità pur restando un normale essere pensante. Per questo si dice che non vi è nessuna differenza sostanziale tra i Buddha Illuminati e gli esseri cosiddetti ordinari. Proprio perché l’essere ordinario, quando ha ben compreso e realizzato questo, è immediatamente un Buddha mentre, se ne è ignorante o non lo comprende, allora non sa di esserlo, e ciò lo costringe all’ordinarietà della persona comune.

Aliberth  (al secolo Alberto Mengoni)

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