Il senso del peccato (che conviene alle religioni)...
"Il libro degli insegnamenti di Lao Tzu" di Thomas Cleary
"Gli aforismi che seguono sono tratti da "Il libro degli insegnamenti di Lao Tzu", scritto da Thomas Cleary, secondo me fondamentale al pari di "L'arte della guerra" di Sun-Tzu. Leggendoli sono certo che scatteranno nella vostra mente un sacco di associazioni." (Nando Mascioli)
Esistono tre tipi di morte innaturale.
Se bevi e mangi smodatamente e tratti il corpo distrattamente e grossolanamente, allora la malattia ti ucciderà.
Se sei smisuratamente avido e ambizioso, allora sarai ucciso dalle preoccupazioni.
Se permetti che piccoli gruppi vìolino i diritti delle masse e che il debole sia oppresso dal forte, allora ti uccideranno le armi.
Quando le leggi sono intricate e le punizioni severe, allora il popolo diventa infido. Quando chi sta in alto ha molti interessi, chi sta in basso assume molte pose.
Quando si cerca molto, si ottiene poco. Quando le proibizioni sono molte, si combina poco.
Lasciare che gli interessi producano altri interessi,e poi utilizzare gli interessi per fermare gli interessi,è come brandire il fuoco cercando di non bruciare niente.
Lasciare che la conoscenza produca problemi, e poi usare la conoscenza per risolverli, è come agitare l'acqua sperando di chiarificarla.
Quando un paese combatte ripetute guerre e ottiene ripetute vittorie, perirà. Quando combatte ripetute guerre, il popolo si logora: quando ottiene ripetute vittorie, i capi diventano arroganti. Se capi arroganti utilizzano popoli logorati, quali paesi non periranno ?
Quando i capi si fanno gaudenti, e quando diventano gaudenti, dilapidano ricchezze.
Quando il popolo si stanca si riempie di risentimento, e quando è pieno di risentimento smarrisce il proprio equilibrio. Quando governanti e governati raggiungono simili estremi la distruzione è inevitabile.
Pertanto, la Via della Natura richiede di ritirarsi quando si è svolto il proprio compito con successo.
Soccombere al degrado sociale ed umano o prepararsi a superarlo?
Le varie nazioni del pianeta, con l'aumento di attentati terroristici e conflitti, dimostrano la loro incapacità di affrontare l’emergenza che si profila all’orizzonte, mancando completamente di “intelligenza” e di idee idonee a contrastare le violenze ed i rovesciamenti delle strutture sociali e comunitarie.
Anche l’Italia è presa da una deriva guerrafondaia, seguendo una escalation matematica che ormai sembra destinata a sfociare in una guerra aperta, i vertici politici nazionali e sovranazionali risultano inidonei ad affrontare questa “emergenza”.
Tempo fa predissi che l’Italia è destinata alla frammentazione, né più né meno come all’inizio del basso medio evo. Piccoli poteri regionali sostituiranno lo Stato. Poteri che non sempre saranno rappresentativi del popolo italiano. A macchia di leopardo si costituiranno piccoli “ducati” indipendenti come sta già avvenendo, ad esempio, per quelle regioni dominate da mafia, ndrangheta, camorra ed altre associazioni. Alcune città si circonderanno di nuove mura difensive, le basi NATO si attrezzeranno a proteggere i propri territori, etc. etc. insomma l’Italia scomparirà in quanto Paese sovrano divenendo una sorta di terra di nessuno fra l’Europa del nord, il mondo islamico e sionista, gli Stati Uniti ed i nuovi potentati di Cina e Russia.
Certo i Paesi occidentali avranno di che pentirsi della loro politica aggressiva, da un lato, nei confronti dei paesi islamici sconvolti da guerre finalizzate alla rapina, e dall’altro dalla totale impossibilità di attuare politiche “integrative” (vedasi ad esempio la drammatica situazione in Palestina e la politica razzista d'Israele).
Eppure non è detto che sia impossibile creare una “integrazione” ed una collaborazione anche fra membri di culture ed etnie diverse. Siamo tutti esseri umani e non c’è alcuna differenza fra un nero, un bianco ed un giallo, per non parlare poi delle diversità religiose che sono semplici illusioni. Il problema subentra quando una certa comunità vuole far prevalere la sua “cultura” o “religione” o “idea politica” o dominio "finanziario ed economico" e cerca di imporla in un modo o nell’altro agli altri.
Ricordo, durante i miei viaggi in Africa od in vari paesi dell’Asia, che se ci si relaziona su un piano esclusivamente umano con gli altri non c’è nessuna difficoltà a dialogare e condividere emozioni e bisogni. L’amore è possibile quando ci si apre, se ci si chiude vince l’egoismo e l’ignoranza.
Ma cosa possiamo fare se l’opponente che manifesta quell’egoismo, che sia un banchiere ricchissimo, un industriale, un re, un papa, un mullah, od un “poveretto” che cerca di farsi largo nella società, arraffando quel che può, pur di ottenere almeno i galloni da “caporale”? Possiamo difenderci o dobbiamo semplicemente soccombere, dobbiamo porgere l’altra guancia o dobbiamo armarci ad armi pari? Sinceramente non lo so, non ho una ricetta precisa, forse dipende dalle situazioni e dalle condizioni in cui ci si trova.
Parlavo oggi con Caterina, la mia compagna, della necessità di mantenere una rete di relazioni simbiotiche con i nostri affini, con le persone con le quali condividiamo valori e intelligenza. Di fatto è esattamente quel che sta avvenendo in tutti gli ambiti della nostra comunità umana: i delinquenti e gli arroganti si uniscono per fini di potere e prevaricazione e gli umili ed i consapevoli incontrano i loro simili, al fine di non disperdersi e di mantenere una civiltà “umana e spirituale” (una civiltà della Vita in generale).
Paolo D’Arpini
La realtà che si vede è solo illusione...
Chi sei dei due? Ovvero, guarda la luna e lascia il dito.
“La credenza che la realtà che ognuno vede sia l’unica realtà è la più pericolosa di tutte le illusioni”. Paul Watzlawick, La realtà della realtà.
Crea dieci segni differenti tra loro. Ad ognuno attribuisci un suono. Combinali tra loro. Inizia a comporre parole che avranno il significato che vorrai. Vedrai comparire le cose e il mondo intero. Quel mondo sarà condiviso, e chi lo farà crederà che esso sia la realtà, vera e sola, come crederà che dire sedia sia semplicemente dire ciò che già è della sedia. Chi non lo condivide proverà a farti presente la natura autoreferenziale della tua improvvisata cosmogonia, ma non ci sarà niente da fare, continuerai a guardare il dito, a parlare di realtà oggettiva, di ciò che è vero e di quanto non lo è.
Ora dimentica tutto e riparti da capo. La sedia non c’è più, si chiama in altro modo. Quindi esci di casa per andare a comprare il xxxx (non si sa ancora cosa hai combinato con i dieci segni). Per strada incontri uno, quello per cui la sedia è una sedia. Ti chiede l’ora ma non capisci che vuole, nel tuo alfabeto di dieci segni e suoni, quello che chiede non esiste. Lui insiste e se la prende perché tu vuoi andartene e non vuoi aiutarlo, crede lui. Ti ha solo chiesto l’ora, che c’è da prendersela? Si domanda. A dire il vero è lui che se la prende, tu sei soltanto seccato, anche perché il negozio poi chiude. Te ne vai. Lo lasci lì. Lui non capisce anzi, non ammette. Nel suo mondo non è possibile che accada quanto sta accadendo. Potrebbe allora restare basito, invece – guarda un po’ –, se la prende. Infatti, mentre tu te ne vai, ti afferra una spalla come fanno i terzini con l’attaccante in fuga. Ora è troppo. Ma che fa? Ti chiedi. È pazzo? Domanda retorica. No, in realtà è sostanziale, perché non c’è altro da tirar fuori dai tuoi dieci segni.
Linguaggio: ciò che resta di tutto il pensiero per l’ineludibile necessità storica di sbrigare le sue faccende. Già averne consapevolezza basterebbe per evitare di crederlo idoneo alla gestione delle relazioni. Queste sono un territorio mobile, in cui le cose non stanno ferme come un posacenere sul comò, ma fluttuano come un universo di stelle, che non sono poche come le lettere di una tastiera o i tuoi dieci segni, ma infinite.
L’emozione corre più veloce della luce, e ti è saltata addosso. Se non l’anticipi con qualche espediente di consapevolezza, una volta che arriva ricorda Gengis Khan: sei catturato e lei farà di te qualunque cosa, anche un assassino e tutto il peggio che i dieci segni permettono di pensare e quindi di realizzare. Avviluppati da un’emozione, non c’è più niente da fare, scende il buio. Anzi, di più: tutto sparisce. Tutto quello che sapevi, che volevi, i valori in cui credevi e di cui ti vantavi. E adesso? Che fai? Non scherziamo. Non c’è proprio lo spazio fisico per queste domande. Per nessuna domanda. Nel tuo mondo occupato dall’azione, non c’è neanche un angolino per la riflessione. Sempre che i tuoi dieci segni te l’avessero a volte permessa. Nell’emozione il dubbio, puff, svanisce dal panorama.
Ti giri come se fossi in diritto di fare ciò che stai per compiere. A dire il vero, non come se, ma proprio in pieno diritto, come una biglia da flipper che altro non può fare che eseguire l’ordine della leva che l’ha spinta su. Se prende il fungo e fa punti, il suo padrone-lanciatore sarà contento, diversamente, se la prenderà col mondo – delle volte fino al tilt – quando, alla fine dei suoi pazzi rimbalzi finirà in buca.
Ecco sì, con la cecità e irresponsabilità di una biglia di flipper, ti giri – o ti eri già girato? Non ricordo più chi era uno e chi era l’altro – e con una forza che non sapevi di avere, gli vomiti un urlo che Joseph Conrad (vedi sotto) è niente al confronto. Sì, perché non ragionato, architettato, organizzato. È un bolo di violenza, un misto di tutto quello che, goccia dopo goccia, eri stato capace di stivare nel tuo profondo e avevi creduto d’aver dimenticato. La legge del quieto vivere era il tuo solo comandamento, il buon senso la tua medicina. Anche se, per la verità, avvertivi qualcosa di artificioso, o peggio, di disumano, in quella prassi razionale, con cui incassavi più di Jake La Motta contro Sugar Ray, che tutti ti invidiavano per la purezza con la quale ne pennellavi la vita.
La tracimazione è un modo gentile, e perciò anche improprio, per definire l’evento e il suo cuore di tenebra che sta per irrompere sull’altro. Uno scroscio di parole lo investono da tutti i lati, anche da sopra e da sotto. Non c’è freno, l’argine golenale è scavalcato, e quello maestro non basterà. Non c’è speranza che possa salvarsi. Si divincola cercando parole che non trova. E anche se ne trova non escono dalle labbra, e le poche sgusciano fiori impiastricciate di rabbia e sono soltanto frammenti, balbettii, affanni di una reazione da flipper.
Come se i suoni e i rispettivi significati fossero proietti scoccati, si sente scosso, si trova disarmato, si accorge di essere ferito e forse morente, con soltanto il tempo per chiedersi il perché di tutto ciò, pur sapendo che la domanda era stupida in assoluto e anche in particolare. Come mille altre volte durante le loro vite se l’erano posta senza mai trovare una risposta degna, all’altezza della loro grande razionalità, così capace di osservare con logica i fatti del mondo, così adatta a risolvere tutti i problemi, a piallare i picchi e gli abissi esplorati dagli uomini. Quella, come altre volte, il loro vantato sapere non sarebbe bastato. Come altre volte, non avrebbe avuto risposta.
Di fatto, a parte il momento di un baleno, in cui quel ma perché? si era affacciato alla loro coscienza, non c’erano state le condizioni per tenerla ferma. E neppure per lasciare al moralismo l’agio di darle dignità e la forza di rinchiuderla, all’autostima di soddisfarla e al fato di prendersela, se proprio altro non si poteva.
Tutte considerazioni pertinenti e realistiche, ma sostanzialmente inefficaci. Infatti, seppur non l’avesse visto arrivare, non aveva dubbi, un pugno l’aveva colpito in pieno volto. Anche per lui si fece tutto buio. Anzi no, anche per lui sparì il mondo o meglio, si ridusse al sapore di sangue in bocca. Quell’organo acquoso, con quel fastidioso retrogusto, che dire metallico è forse ciò che più si avvicina, pure restando molto lontano.
In altre occasioni era stato capace di rinunciare a sé, e non gli era neppure costato in autostima. Mentre il sangue lo ingozzava e la sensazione che un altro colpo stesse per raggiungerlo, pensò al passato con lo straniamento di colui che non lo vede tornare indietro per lasciargli tra le mani un presente che lo ricrei diverso, senza dolore. Solo l’istante successivo, si ritrovò solo e stranito da se stesso per non essere stato capace di lasciar perdere anche quella volta. Eppure lo sapeva, ne aveva esperienza.
Questa volta arrivò dal lato opposto. Gli prese l’orecchio e secondo lui, quell’altro si fece pure male alla mano. Non voleva trovarsi lì. Per un attimo si trovò faccia a faccia ancora con l’idea della reversibilità del tempo. Che in quell’istante non gli pareva idiota.
Anzi, lei, l’idea della reversibilità del tempo, c’era e non era per niente idiota nel mondo senza peso dei quanti. Forse in quell’infinitesimo di eternità aveva dato tutto se stesso per farla esistere anche nel mondo pesante della materia. Prima o poi qualcuno ci sarebbe riuscito. L’orecchio gli doleva e l’aria pareva ovattata come dopo una granata. Tuttavia viveva in lui la speranza che si potesse verificare anche nel mondo degli oggetti. Anche se da un lato la sentiva forte e vivida, dall’altro vedeva che si impiccava da sola. Una volta materia, le leggi dell’energia sottile vengono meno. Ma allora cosa l’aveva portato dove non voleva essere?
Erano finiti a terra e l’altro gli stava sopra. Sarebbe bastato, avrebbero detto in tanti. E invece no. Seguitava a colpirlo in preda al demonio. Nessuno e nessun ragionamento lo avrebbe fermato. I dieci segni della ragione sono diversi dai dieci segni dell’emozione. Ma a loro non era stato insegnato e continuando a guardare il dito non avevano mai visto la luna.
Chi sei dei due? La domanda è retorica, provocatoria e fuorviante. La risposta è che se non vediamo la luna, saremo sempre entrambi.
“Fin da quando nasciamo, gli altri ci dicono che il mondo è in un determinato modo, e naturalmente noi non abbiamo altra scelta che accettare che il mondo sia così come gli altri hanno detto che è” Carlo Castaneda, Una realtà separata, Roma, Astrolabio, 1972.
“Gli uomini erano vittoriosi o sconfitti, e a seconda di ciò diventavano persecutori o vittime. Quelle due condizioni prevalevano fin quando un uomo non arrivasse a ‘vedere’; il ‘vedere’ scacciava l’illusione della vittoria, o della sconfitta, o della sofferenza”. Carlo Castaneda, Una realtà separata, Roma, Astrolabio, 1972, p. 122.
“La mente dell’uomo è capace di qualunque cosa – perché in essa c’è qualsiasi cosa, tutto il passato come tutto il futuro. […] I principi non servono. Sono acquisizioni, abiti, stracci graziosi – stracci che volerebbero via al primo serio scrollone. […] Naturalmente, uno sciocco, tra la semplice paura e i nobili sentimenti, è sempre al sicuro”. Joseph Conrad, Cuore di tenebre, Milano, Mursia, 1978, p. 111.
“Ma prima che potessi giungere a una qualunque conclusione mi venne in mente che parlare o tacere, invero qualunque mio gesto, sarebbe stato del tutto futile. Che importava ciò che chiunque sapesse o ignorasse”. Joseph Conrad, Cuore di tenebre, Milano, Mursia, 1978, p. 117.
Lorenzo Merlo
Critica dello scientismo...
Nella ruota dell’eternità ci è toccato il genitore illuminista. Di per sé buono, nel senso che rilevava le manchevolezze della storia che l’aveva preceduto, proponeva una nuova modalità di conoscenza, rivelava come realizzarla. Ma la sua purezza d’intenti non ha avuto successo. I suoi emissari hanno fornito pessimi esempi educativi. Ne risulta che tutti noi di quella bontà illuminante ne abbiamo trattenuto un’ombra semplificata, bigotta, che non permette nemmeno più di risalire al messaggio originale.
Così, lo scientismo, ovvero la dogmatica concezione della conoscenza limitata alla scienza analitico-materialista, circola a pieno regime nelle nostre vene e nei nostri pensieri. Con questi, non abbiamo incertezze nello squalificare ciò che si muove e vive su ordini non cartesiani, in dinamiche non aristoteliche, su principi non meccanicistici. Ne è campione il femminismo, insetto nella tela del ragno, impedito a sentire la madre e il potere del femminino. Ma l’elenco oggi a disposizione, per riconoscere la tangente con la quale abbiamo definitivamente lasciato la verità della terra e della vita, è così lungo, che riguarda ogni aspetto della nostra società.
La metastasi scientista è tale che, dall’esperto al profano – categorie che lo scientista scambia per verità definitiva –, è ordinario e perfino garantito, constatare nei loro pensieri, e nelle loro azioni, una concezione dell’uomo, dell’altro, del prossimo, alla stregua di entità identiche. Cioè che reagiscono uniformemente agli stimoli, che intendono uniformemente. Da qui l’obbrobrio della legge uguale per tutti, della sacralizzazione della meritocrazia, della venerazione della farmacopea, incoronazione della tecnologia.
La logica, centro nevralgico della dialettica scientista, è quell’ottima prassi per organizzare le cose, ma disastrosa per conoscere gli uomini. Essa crea problemi che non può maneggiare perché l’uomo è infinito e la logica uno sputacchio al suo confronto. Essa impone una conoscenza cognitiva, limitata all’intelletto. Quanto ne esula, semplicemente non conta, quando non esiste del tutto. Nulla di quanto la logica non può contenere, circoscrivere e descrivere può essere riconosciuto né divenire verità. Non le bastano i suoi paradossi per riconoscere l’offesa che impone quando si erge a sola arma di conoscenza. Non le bastano i suoi dilemmi per riconsiderare il suo delirio di onnipotenza. E neppure le bastano le sue domande esistenziali che tutti si pongono e poi tralascia perché non ne viene a capo, per riconoscere che è il porre la domanda a generare il mistero. Incatenati al dogma che la logica contenga e produca il vero, si possono solo capire le cose. Essa non induce in noi l’idea della ri-creazione, che da sola basterebbe a riconoscere l’effimero del mondo e, contemporaneamente, ciò che è universale.
Basterebbe, per andare oltre la logica, per vederne i limiti, chiedere in che termini un’affermazione è vera e quando diviene falsa. Ma, l’ascolto non è educazione prevista nelle aule del materialismo. Ad esso è preferito il giudizio, le categorie, la classificazione, il buon senso, la maggioranza, la democrazia. Tutte chiusure che interrompono o impediscono la conoscenza, muri tombali in cui ci rinchiudiamo a coltivare il nostro giardinetto. Fate voi.
Così ci tocca la sorte di leggere che “sarebbe opportuno evitare di confondere realtà con percezione della realtà. Altrimenti si rischia di fare come quei due che osservano lo stesso treno che transita davanti alla banchina di una stazione: il primo, che sta sul treno, è pronto a giurare che il treno è assolutamente fermo e la stazione si muove, mentre il secondo, sul marciapiede, afferma esattamente il contrario. E potrebbero convintamente litigare all’infinito”.
Ma come può esistere una realtà senza la nostra presenza, senza la nostra definizione e percezione di essa? In che termini è la realtà, che percezione non é? E di che realtà parliamo senza la percezione di essa? Cioè si vuole che la nostra descrizione sia universale? Un palo in faccia fa male a tutti? No, non è in questo la presunta universalità della realtà. È l’interpretazione del palo in faccia che crea la realtà. Chi se ne assume la responsabilità, la descriverà in un modo estraneo a quello tracciato dalla descrizione di chi la responsabilità la dà ad altro, fuori da sé. E chi cammina sulle braci, potrà dire che il fuoco brucia sempre?
Se non basta ancora a farci sentire ridicoli, possiamo sempre peggiorare il livello. Basta svegliarsi di colpo e dire ho avuto un incubo, al che, quello sul treno dice, ma non è realtà è un incubo. Ah, le vostre categorie, quelle sì scambiate per una realtà che non esiste, se non in chi la crea.
Ma c’è un livello più profondo nel quale lo scientismo ci ha fatto precipitare. Ci ha reso impossibile vedere che tutto è contiguo e relazionato. Una svista che implica l’autoreferenziale autorizzazione a spezzettare la realtà, nella convinzione di poterla conoscere, a considerarla un oggetto di fronte a noi, nel quale ci muoveremmo, a concepire e giudicare l’altro secondo la nostra morale, a credere che la conoscenza scenda in noi dai sussidiari, dai manuali, dai professori, che essa voli sulle ali della dialettica logico-razionale del linguaggio. Come se ci fosse un ordine perseguibile, e come se l’ordine – occulto a noi stessi – fosse di perseguirlo.
Viviamo letteralmente dentro un calderone culturale di miopia infernale, nel quale non sappiamo fare di meglio che seguitare ad imitare l’esempio del mostro che ci ha generati. Ovvero ad utilizzare qualunque espediente egoistico nella convinzione che ci permetta una buona vita. Eppure, se a causa della forza vitale la lotta per la sopravvivenza fisica non poteva essere elusa, quella successiva, per l’acquisizione dell’abbondanza, ci ha conquistato a mani basse, e ha esaltato in noi la dimensione più bieca. L’opulenza è un valore e guai a chi ce lo tocca. Forse dobbiamo passare da tanto degrado per riappropriarci del suo opposto, quello della frugalità.
Zuccherino dopo zuccherino, ci siamo lasciati condurre da un capitano serpeggiante, verso lidi lussureggianti in cui era facile distrarsi e dimenticare il significato dei vizi capitali. E a chi ce lo faceva presente, non potevamo che sorridere sarcasticamente, ormai ignari e così lontani dal messaggio che implicano, da ritenerci indenni dai rischi di sofferenza che essi annunciano. Roba buona per i bambini e le vecchiette.
Ecco dove ci ha portato il tappeto volante dello scientismo. Ci siamo divertiti a planare sul mondo e non abbiamo voluto vedere dove ci stava conducendo. Ma le cose sono in movimento e mutamento. Sicché, ora che anche la confusione, il nichilismo e la sfiducia circola nei nostri pensieri e nelle nostre vene al punto da pietrificarci nell’incredulità di ciò cui stiamo assistendo, del futuro in cui stiamo precipitando, del cambio di paradigma che ci stanno imponendo, a qualcuno di noi accade di avvertire e intravedere il canovaccio della grande messa in scena. Un palco dove abbiamo ballato tutti i balli e recitato tutti i ruoli scambiati per vita vera. Siamo uguali, girano in noi le parti, le maschere, le emozioni e i sentimenti. Quanto diciamo al prossimo, è quanto toccherà a noi dalla bocca di un altro. Quanto vivremo noi, è vissuto da tutti nei loro tempi e nei loro modi.
Quindi, chi si avvede che avevamo circoscritto il mondo al palco di un inconsapevole teatrino, esauriti in recite farsesche, mossi dai fili di valori falsi, in quanto autoreferenziali, inizia anche a riconoscere che in nome della cosiddetta scienza e della – sua – conoscenza, ci siamo così tanto allontanati dalla nostra origine, da crederci indipendenti e autonomi. Da farci pensare che eravamo i possessori di noi stessi e che i nostri figli, fossero davvero nostri. Da farci credere che non ci serviva altro oltre a noi stessi. Da negarci la consapevolezza che siamo espressioni di una sola fioritura.
Così stiamo qui. Il sogno resta sogno. La serenità, la bellezza, la gratitudine, la miglior salute restano ai margini, optional occasionali, nonostante sia nel nostro potere creativo fargli prendere il posto del conflitto e della sofferenza.
Lorenzo Merlo
Gira e rigira il Centro è sempre lo stesso...
Nel paradiso indù c’è un albero chiamato Kalpataru. Significa: “l’albero che esaudisce i desideri”. Per caso passò di lì un viaggiatore ed era così stanco che si sedette sotto l’albero. Aveva fame, quindi pensò: “Se ci fosse qualcuno, chiederei qualcosa da mangiare...”
Nel momento in cui l’idea apparve nella sua mente, all’improvviso apparve anche del cibo e l’uomo era così affamato che non si prese la briga di pensarci. Lo mangiò. Poi cominciò ad avere sonno e pensò: “Se ci fosse un letto...”. E il letto apparve.
Ma mentre era sdraiato sul letto sorse in lui il pensiero: “Cosa sta succedendo? Non vedo nessuno qui, eppure è arrivato del cibo, è arrivato un letto... Forse ci sono dei fantasmi che mi fanno degli scherzi!”. E all’improvviso apparvero i fantasmi! L’uomo ebbe paura e pensò: “Ora mi uccideranno!”. E così fu!
Due leggi
Nella vita vige la stessa legge: se pensi ai fantasmi, non possono che apparire. Pensa e vedrai! Se pensi ai nemici, li creerai; se pensi agli amici, appariranno. Se ami, l’amore appare ovunque intorno a te; se odi, appare l’odio. Qualunque cosa tu stia pensando viene materializzata da una certa legge. Se non pensi a nulla, non ti succede nulla.
Ci sono due leggi. Una legge è della mente. Con la legge della mente continui a creare l’inferno intorno a te; gli amici diventano nemici, gli amanti si rivelano nemici, i fiori diventano spine. La vita diventa un peso e si patisce semplicemente. Con la legge della mente, vivi all’inferno ovunque tu sia. Se scivoli fuori dalla mente, scivoli fuori da quella legge e all’improvviso vivi in un mondo completamente diverso. Quel mondo diverso è il nirvana. Quel mondo diverso è Dio. Poi, senza fare nulla, tutto comincia ad accadere.
Quindi lasciamelo dire in questo modo: se vuoi fare, vivrai nell’ego e sarai costantemente nei guai. Se abbandoni l’ego, se abbandoni l’idea di essere un agente, se semplicemente ti rilassi nella vita e ti lasci andare, sei di nuovo nel mondo di dio, nel Giardino dell’Eden. Adamo torna a casa. Poi le cose accadono.
La storia dice che non c’era bisogno che Adamo facesse nulla nel Giardino dell’Eden. Tutto era a sua disposizione. Ma poi cadde in disgrazia e fu scacciato. Diventò istruito, un egoico e da allora l’umanità soffre.
Tutti devono tornare nel Giardino dell’Eden. Le porte non sono chiuse: “Bussate e vi sarà aperto. Chiedete e vi sarà dato”. Ma bisogna tornare indietro. Il cammino è dal fare all’accadere, dall’ego al non-ego, dalla mente alla non-mente. La non-mente è ciò di cui si occupa la meditazione. Quel mondo diverso è il nirvana. Quel mondo diverso è Dio...
Osho
Brano tratto da: L'antico canto dei pini, Ed. Psiche
“La Luce della Notte” di Pietro Citati - Recensione
Archeologia e antropologia - I misteri della Valle del Treja...
Particelle elementari e il “Modello Standard”...
Tutte le particelle note sperimentalmente (fotoni, elettroni, quark, neutrini, ecc.), comprendendo anche quelle rilevate nei raggi cosmici da P. Brackett, G. Occhialini e C. F. Powell, come Positroni, Muoni, Pioni e Kaoni, sono state riunificate in un unico sistema: il “Modello Standard”. Questo modello comprende sia le particelle di tipo “fermionico” (che seguono la statistica di Fermi-Dirac) sia quelle di tipo “bosonico” (che seguono la statistica di Bose-Einstein).
- 1) RBA, “Le Grandi Idee della Scienza – Hawking”
- 2) Hossenfelder, “Sedotti dalla Matematica”, R. Cortina 2019
- 3) Greene, “L’Universo elegante”, Einaudi, 2000
- 4) Rovelli, “La Realtà non è come ci appare”, R. Cortina 2014
L’assolutismo del razionalismo...
L’inferno è anche l’assolutismo del razionalismo. Esso lo crea. Essa non sa spiegarlo. Sa solo far finta non esista.
La suggestione
L’assolutismo del razionalismo costringe il pensiero entro dinamiche meccanicistiche. Cioè, costringe a concepire l’uomo alla stregua di una macchina che veste la scienza con l’illuministica camicia di forza che la vincola a stringere la conoscenza entro le sue regolette autoreferenziali. Le impone di riconoscere la verità attraverso la scomposizione del tutto; riduce alla sola logica tutta la realtà, assumendosi il diritto di escludere da essa quanto non è in grado di descrivere.
Con questo peso addosso che chiamiamo cultura e civiltà, ogni aspetto dell’esistenza pare muoversi su uno sfondo positivista che avanza secondo una progressione temporale e lineare, che da origine alla suggestione del prima e del dopo. Nonché a quella secondo cui tutto è soggetto alla regola del causa-effetto.
A queste condizioni capestro, imposte da un mazziere poco di buono, per quanto si chiami Storia, viene costretto tutto. Tra cui, la medicina allopatica, indiscusso asso nella manica del castello di carta del meccanicismo. Un altro ne è la – mai vista – democrazia. E un altro ancora sta nella comunicazione creduta implicita nel comunicato. L’idea che ognuno di noi abiti il suo esclusivo mondo, non esiste se non in contesto psicoterapeutico e in alcuni contesti didattici. Perciò, anche l’apprendimento e/o la conoscenza, ridotta a messe e massa di dati, buoni per girare un bullone, ma tragicamente inutili per l’evoluzione dell’uomo.
Ricchi di questo potere accecante – leggi arrogante –, i probiviri della bandiera scientista non si avvedono dell’infinito che la loro idolatrata dottrina esclude dal mondo. Sono impediti dal riconoscere che la comprensione cognitiva è, tra tutte le forme di conoscenza, la più superficiale. Credono infatti che basti parlare per trasmettere consapevolezze a suon di dialettica logica. Accecati dall’arroganza razionalista non vedono che è un’ottusità. Un evento che potrebbero constatare quasi ad ogni istante della vita. Tant’è che se glielo fai presente ti deridono dalla loro carrozza della verità, con la quale scorrazzano per i sussidiari e i breviari di tutti i loro adepti.
E se le loro erudite affermazioni non producono i risultati pretesi, non hanno incertezze nel giudicare, escludere, condannare il reo non allineato e allineabile. Non sospettano la potenziale forza del firmamento di consapevolezze che ognuno di noi ha nel proprio cielo, le cui stelle, costellazioni e galassie, non si illuminano a causa di una logica spiegazione, ma per un’emozione, che un professore non ci farà mai vivere e che una cameriera è invece sempre capace.
Non essere consapevoli che le illuminazioni che chiariscono a noi stessi chi siamo e dove sia la nostra strada avvengono per emozioni, comporta misconoscere gli uomini e la loro realtà, comporta il diritto di mannaia e censura delle voci avverse, da parte dell’ordine costituito, sui cui scranni sono seduti gli ignoranti dediti alla venerazione della quintuplice unità del dogma materialista, meccanicista, positivista, razionalista, scientista. Così, Nietzsche, Maturana, Bateson, Prigogine, Morin, Panikkar, Illich, Goethe, Jung, Heisenberg, Eraclito, Platone, Buddha, Cristo e le Tradizioni sapienziali sono stati ridotti a dati da studiare e accumulare per il 18 e andare avanti lungo i binari della loro verità di superficie.
La loro, è una corsa senza ostacoli, né rivali. Senza saperlo (?), puntano tutto – e vincono – sulla quantità. Chi tace e si adegua avanza, chi non capisce e critica è estromesso: eccola qui la democrazia applicata. In cabina di regia della cultura ci sono loro, che chiedono il computer alle elementari, che osannano l’intelligenza artificiale, che stravedono per i progressi della tecnologia, che promulgano leggi degne dei peggior stati totalitaristici; politiche sfacciatamente destinate a decimare gli inutili e a controllare i più; a generare un sistema sociale a punteggio. Serve altro per riconoscere il maglio meccanicista? Altro per avvedersi di quello spiritualmente mortificante? Per prendere coscienza che crescere uomini convinti di essere limitati a se stessi, cioè definitivamente recisi dalla loro origine unica, non ne farà che esseri destinati all’inferno? Siamo in un gorgo dove nuotare per uscirne non serve più. La corrente sovrasta tutto. Bisognerà arrivare in fondo prima di vedere una rinascita.
Gli idolatri del mondo logico-razionale sono ovunque. È la somma dei loro piccoli entusiasmi che genera il vortice. Sono anche tra le pieghe degli alternativi. Recentemente mi sono visto cassare un articolo di carattere evolutivo-esistenziale in quanto non si concludeva con dei consigli utili. Sono inorridito. Non per l’articolo cassato, ma per l’abiura che gran parte di noi ha compiuto a favore del pensiero unico cioè, nei confronti della crescita esistenziale, quella che nella serenità ha la sua destinazione.
“In nessuna circostanza il saggio deve turbare le menti delle persone ignoranti attaccate alle azioni. Al contrario, impegnandosi continuamente in attività, l’Essere Illuminato deve creare nell’ignorante il desiderio per le buone azioni”. (Bhagavad Gita cap. III, v. 26)
Capire e ricreare
Capire non conta nulla. Capire riguarda la superficie. Su essa tutto e il suo contrario si riflettono e mutano, convincendoci istante per istante che ognuno contenga la verità.
Ricreare è necessario. Ricreare riguarda il corpo che la superficie nasconde. Ricreare fa nostro, come è nostro il dito, l’occhio e il ginocchio. E questi esprimeremo, in tutti i modi della nostra presenza. E questi non dimenticheremo. Come non dimenticheremo che ugualmente così sarà per gli altri, universi diversi dal nostro.
Capire riguarda la dimensione cognitiva, la più superficiale tra quelle disponibili agli uomini. La sua natura è intellettuale, quindi cangiante e impermanente. Ricreare coinvolge integralmente, il suo corpo e la dimensione emozionale, quindi costituente e permanente.
Come – oltre alla cameriera – qualunque cosa può scatenare in noi l’emozione necessaria per fare luce su quanto ci era oscuro, così la modalità serendipidica di esplorazione e apprendimento, permette di mantenere autonomia di pensiero. Ovvero, di quel terreno da cui scaturisce la realtà. Ci permette cioè di riconoscere le ideologie o idolatrie, di starne alla larga, e anche di avvedersi quando invece ci siamo caduti dentro. Una coscienza di sé che tende a produrre una politica e quindi una società non più mortifera come l’attuale.
Disegnando un albero, lo riconosciamo come nostro. Un’identificazione che non avviene nei confronti dell’albero uscito da mani altrui. La descrizione razionale e la comprensione cognitiva di cosa sia e di come debba essere un albero non conterà nulla, non costituirà nulla di noi, non sarà mai un nostro dito, e sarà invece sempre un indottrinamento, cioè una via senza cuore (Castaneda), ma verso l’inferno.
Tutto ciò con cui entriamo in relazione ha il potenziale di essere un messaggio nella bottiglia, con la mappa del tesoro che è in noi. Quel messaggio, quella bottiglia, quel momento esprimono la verità del Tao. In cui è la contemporaneità che conta, che esprime il significato. In che altro modo si potrebbe cogliere il potere illuminante di un’emozione scaturibile in ogni istante a mezzo di qualunque forma? Diversamente, come pretendeva quel sito web che voleva il consiglio positivo a fine articolo, tipo la bella vita in 10 lezioni, quale requisito per pubblicare il mio pezzo, si resta fermi al prima e al dopo, al causa-effetto, alla concezione lineare e alla convinzione che l’esperienza sia trasmissibile, e perciò a dare consigli, a cercare proseliti. Quindi, a perpetuare questa cultura e civiltà dell’ignoranza. Nel qui ed ora del Tao è presente il Tutto. Nel presente in cui si esprime, nulla manca, neppure l’eternità.
“Esse [le vane ambizioni umane, nda] indurrebbero ad aumentare conoscenze e ricchezze, ma in questa crescita si smarrirebbe l’essenziale [...]”.
Attilio Andreini, Maurizio Scarpare, Il daoismo, Bologna, Il Mulino, 2024, p., 27.
Il mistero, di cui la logica tenta di sbarazzarsi, in quanto inetta a muoversi e dominare sui terreni non misurabili e oltre le tre dimensioni della materia, contemporaneamente lo crea attraverso le sue domande e le sue ricerche analitiche. Le stesse modalità che generano la peggior condizione esistenziale, quella che i cattolici chiamano infernale, in cui viviamo prede dell’ingorgo dell’effimero eletto a valore e verità da questa cultura.
Lorenzo Merlo