All’inizio del ‘900 la teoria evoluzionista di Darwin (N. 80) aveva conosciuto un periodo di crisi perché molti biologi ritenevano che le trasformazioni continue previste dai darwinisti fossero incompatibili con le precise leggi genetiche di Mendel (1822-1884) “riscoperte” alla fine dell’800. Queste leggi fornivano proporzioni esatte nella trasmissione dei caratteri ereditari di animali e piante(1)(2).
All’inizio del ‘900 il biologo olandese Hugo de Vries (1848-1935) elaborò la teoria che l’evoluzione fosse dovuta a mutazioni casuali tra successive generazioni negli organi addetti alla trasmissione dei caratteri ereditari. Questa teoria fu confermata dagli esperimenti sul moscerino da frutta (“Drosophila”) – particolarmente adatto perché si riproduce molto velocemente - condotti intorno al 1910 dal biologo statunitense Thomas Dewey Morgan. La comparsa del carattere ereditario si manifestava in accordo con le leggi di Mendel e dipendeva anche dal sesso. Il fatto che si manifestasse solo nei maschi indicava che le femmine erano “omozigote”, ovvero avevano due caratteri genetici (“Alleli”) uguali (definiti come X –X) che impedivano il manifestarsi delle mutazioni nella seconda generazione e successive. I maschi invece erano “eterozigoti”, avendo due “Alleli” diversi (X – Y).
Il rilancio della teoria darwinista della selezione naturale negli anni ’30 del secolo scorso fu stranamente opera di un gruppo di matematici statistici, che si dedicarono anche alla Genetica. Essi applicarono alle piccole mutazioni genetiche casuali i criteri di previsioni statistiche, dimostrando che piccole mutazioni statistiche danno un risultato evoluzionistico graduale in successive generazioni, come previsto dai darwinisti, e non a salti macroscopici.
Bisogna ricordare che la Statistica, oltre ad assumere caratteri descrittivi – come ad esempio nell’opera di Adolphe Quetelet (1796-1874) che descriveva le caratteristiche della popolazione all’inizio dell’800 (v. N. 76) – può assumere anche una funzione di previsione probabilistica di fenomeni, sia con metodi logici “a priori”, sia con metodi sperimentali “a posteriori” con uso di campioni opportunamente scelti (come nei sondaggi elettorali). In questo secondo caso si parla di “Inferenza statistica”, che è un metodo “induttivo” che parte dai risultati di prove a campione per giungere a previsioni generali.
Un esempio di previsioni probabilistiche sviluppate con metodi solo logici è lo studio sui risultati dei giochi d’azzardo sviluppato da Pascal nel ‘600 (vedi N. 44). Predecessori dei metodi sperimentali a campione sono stati invece nel ‘700 il matematico svizzero Jakob Bernoulli (N. 58) con il suo “Teorema aureo”, ed il reverendo inglese Thomas Bayes (1702-1761) autore di un famoso teorema che metteva in relazione previsioni “a priori” e prove “a posteriori”. Nell’800 importanti studi sulla probabilità – basati sia su criteri logici “a priori” che su prove a campione “a posteriori” - furono svolti da Laplace (N. 66) e dal suo allievo Denis Poisson (1781-1840: vedi N. 70) che sviluppò la famosa “Legge dei grandi Numeri”, secondo cui una serie di prove ripetute (ad esempio lanciando un dado) converge verso un numero fisso (nel caso del dado: il numero dei lanci diviso 6).
Nell’800 l’inglese Francis Galton (1822-1911) applicò i metodi statistici alla genetica in un’ottica darwinista ed eugenetica, rispolverando anche alcune idee di Lamark (N. 67) secondo cui le mutazioni dovute all’ambiente potrebbero diventare ereditarie. Su questa stessa strada procedettero tra il 1895 ed il 1915 i due rappresentanti britannici della Scuola Biometrica, Raphael Weldon (con i suoi studi sull’evoluzione dei granchi) e Karl Pearson (1857-1936). Essi svilupparono la genetica evolutiva sulla base di correlazioni statistiche tra dati sperimentali, e sempre in una discutibile ottica eugenetica, introducendo concetti come “l’errore probabile”, la “deviazione standard”, ed il metodo della “massima verosimiglianza”. L’opera di Pearson fu continuata dal suo allievo – divenuto in seguito suo acerrimo avversario - Ronald Aylmer Fisher (1890-1962), che applicò i suoi studi statistici anche al settore agrario, avendo lavorato a lungo nella Stazione Agraria di Rothamsted(2).
Fisher – servendosi anche delle indicazioni del chimico e statistico William Sealy Gosset, detto “Student” (1876-1937), contenute nell’opera del 1908 “L’errore probabile di una media” – sviluppò metodi di “Inferenza oggettiva”, o “frequenziale”, basati sul dato oggettivo della frequenza con cui si verificano degli eventi significativi nelle prove a campione (da distinguersi dai metodi di Bayes considerati troppo soggettivi). Egli distinse tra un fase esplorativa della ricerca, una fase di stima dei dati e parametri statistici con prove sperimentali di significatività, ed una di adattamento alla realtà del modello teorico ottenuto dai dati sperimentali, in modo da far coincidere i dati a campione con quelli reali (“Criterio della Verosimiglianza”).
Le opere di Fishetr “Metodi per i Ricercatori” del 1925, e “La Progettazione degli Esperimenti” del 1935 sono state fondamentali per impostare i metodi di ricerca statistici nella Ricerca Scientifica. La sua opera del 1930 “La Teoria genetica della Selezione naturale”, del 1930, unì in un’unica sintesi Teoria dell’Evoluzione, Genetica, Biometria, Anatomia, Paleontologia Embriologia, e Statistica. Divenuto professore di Eugenetica nel 1933, Fisher fu sostenuto nelle sue tesi dal noto biologo, professore di Biometria a Londra, J.B.S. Haldane nell’opera del 1932 “Le Cause dell’Evoluzione” e dall’altro biologo Sewal G. Wright, autore dell’opera “L’Evoluzione della Popolazione mendeliana” e studioso delle differenze localistiche tra popolazioni isolate ed endogamiche.
Si può affermare che l’opera di Fisher – anche se ispirata a criteri eugenetici oggi condannati dalla cultura antirazzista (collaborò con un discendente di Charles Darwin, Leonard Darwin, nella Società di Eugenetica fondata da Galton nel 1907) – sia riuscita a conciliare evoluzione e genetica, mettendo in luce la funzione degli elementi fisici portatori delle caratteristiche genetiche che possono avere statisticamente delle piccole mutazioni generazionali. Fisher ha anche rilanciato i metodi induttivi statistici di ricerca basati su dati sperimentali, applicabili ed applicati con ottimi risultati sia nel campo delle scienze umane che nel campo delle scienze esatte. L’uso di questi metodi (contestati – a torto, secondo chi scrive – dal filosofo Popper che nega la validità dei metodi sperimentali induttivi) furono contestati anche dall’altro biologo Jerzy Neyman, continuatore dell’opera di Fisher insieme al figlio di Karl, Egon Pearson. Neyman sostenne, infatti, come Popper, che i metodi induttivi non sono oggettivi, ma comportano una scelta soggettiva (indicata come “comportamento induttivo”).
Vincenzo Brandi
(1) L. Geymonat, “Storia del Pensiero Filosofico e Scientifico”, Garzanti 1970-1972
(2) RBA, “Le Grandi Idee della Scienza – Fisher”