Vedere attraverso le illusioni oppure vedere e basta...



Domanda: Osho, mentre penso ala domanda da farti, mi viene in mente il detto: “Quando c’è l’amore, sembra tutto bello e quando non c’è l’amore, sembra tutto brutto”.  Quindi tutte le mie domande e i miei problemi apparenti sono il risultato di non essere in contatto con il mio cuore?


Osho: La seconda parte della tua domanda è giusta. Tutte le domande, non solo le tue, ma quelle di chiunque, sorgono perché non si è in contatto con il cuore. La mente è un meccanismo che produce domande. Non riesce a trovare alcuna risposta, ma può produrre milioni di domande.

Il cuore ha la risposta.

Le domande possono essere milioni, ma la risposta è una. Quindi se sei in contatto con il tuo cuore, le domande scompaiono. Questa è la seconda parte della tua domanda.

Ma la prima parte è completamente diversa.

Dici: Quando c’è l’amore, sembra tutto bello e quando non c’è l’amore, sembra tutto brutto.  

Questa è un’allucinazione.

L’amore crea una specie di allucinazione. Sei felice, sei gioioso, sei offuscato da una nuvola di gioia e proietti su tutti la gioia e la bellezza che senti, ma è una proiezione, non è una realtà. E quando l’amore scompare dal tuo cuore, quando diventa aspro, o diventa odio, le stesse persone iniziano a sembrare brutte. Anche questa è una proiezione. Né il primo né il secondo stato ha a che fare con la realtà delle persone o delle cose intorno a te.

Se vuoi veramente conoscere la verità delle persone, devi andare oltre tutti i dualismi. Amore e odio, giorno e notte, vita e morte: ogni genere di dualismo deve essere abbandonato. E questo è possibile solo quando sei un testimone, perché diventi uno specchio. E rifletti semplicemente, non affermi nulla.

Che la persona davanti a te sia bella o brutta, lo specchio non dice nulla, riflette semplicemente la persona. Se la persona è brutta, lo specchio non dice nulla, riflette semplicemente una persona brutta. La coscienza testimoniante riflette semplicemente. Non afferma, ma comprende. Che senso ha dire a una persona: “Sei brutto”? Che senso ha dire a qualcuno: “Sei bello”? Qualunque cosa tu dica alle persone, la tua opinione, diventa un’interferenza nella loro vita.

La coscienza testimoniante è un osservatore molto silenzioso. Sa, ma non dice. Non ce n’è bisogno. A è A, B è B: che senso ha dirlo? Perché creare fastidio nella mente degli altri?

L’amore non è uno stato di risveglio: è una specie di droga, è ormonale.

Un giudice della Corte Suprema, in America, andò in pensione. Aveva un solo desiderio. Sessant’anni prima lui e sua moglie si erano sposati ed erano andati a Parigi per la luna di miele. Si chiamava Parry e aveva un solo desiderio: prima di morire voleva che tornassero a Parigi.

Quindi dopo la pensione, la prima cosa che fece fu portare la sua vecchia moglie a Parigi. Prenotarono lo stesso hotel, la stessa stanza e andarono a visitare gli stessi posti, ma mancava qualcosa. Alla fine Parry disse a sua moglie: “Parigi è cambiata così tanto: non ha più lo spirito di un tempo, non ha più quella bellezza, quel colore. Tutto sembra stantio, piatto. Pensavo che in sessant’anni Parigi sarebbe diventata ancora più bella. Che delusione”.

Sua moglie disse: “Se non ti dispiace, vorrei dire che Parigi è sempre la stessa; è Parry che è cambiato. Siamo vecchi, siamo noi che abbiamo perso lo spi­rito. Era la nostra luna di miele e questa non lo è: abbiamo già un piede nella tomba! Sessant’anni fa ciò che ve­devamo non era vero: era la proiezio­ne di una coppia in luna di miele, eravamo innamoratissimi. Ma anche questo non è vero: questa è l’illusione di una vecchia coppia che non ha più nul­la nel futuro, se non la morte e l’oscurità. Anche questa è una proiezione”.

La moglie aveva assolutamente ragione.

Quindi può sembrare che il tuo amore dia bellezza alle cose e che il tuo odio dia loro bruttezza, ma sono solo proiezioni.

Non dipendere dalle proiezioni. Se vuoi conoscere la realtà, sii un testimone. E il testimone non è mai giovane e non è mai vecchio; è senza tempo. Quindi non si tratta di gioventù, vecchiaia, luna di miele e cimitero, perché non si trovano sul suo cammino.

Il testimone vede ciò che è.

È solo uno specchio.

 
Osho, The Path of the Mystic
   











Osho Times n. 271

La crescita infinita è pia illusione

 


I capitalisti prima degli anticapitalisti hanno compreso che il concetto della crescita infinita aveva vita limitata. Non solo, prima degli altri hanno capito come provvedere a se stessi, come non perdere il dominio del mondo, anzi delle menti.


Marx ed Engels hanno fatto del loro meglio ma non è bastato. Hanno fatto di tutto per farci presente gli aspetti del capitalismo che il belpensiero neppure concepiva. Questo, sulla cresta dell’onda del progresso, divideva il mondo in due: i ricchi e legittimati da Dio e i poveri o tutti gli altri che, giocoforza, dovevano esserci. Dentro le due classi stavano le due intelligenze, una eletta e una, semplicemente, non eletta. Non c’era altro da fare se non frustare i cavalli e guidare la doga alata verso il futuro e il giusto.


Da allora – spiritualmente animata dall’antropocentrismo giudaico-cristiano – una ristretta percentuale di uomini ha tenuto in scacco tutti gli altri. E lo ha fatto con crescente consapevolezza di sé. Per sostenere se stessi, i capitalisti, i neocapitalisti, i liberisti, i neoliberisti, la nuce non cambia, si sono inizialmente serviti di concetti intellettuali, sostanzialmente tutti in rotazione intorno al perno della redistribuzione della ricchezza. Cosa peraltro anche in qualche misura avvenuta. Una terza classe, la cosiddetta borghesia, originava dal mantenimento di quella promessa. Ma il punto messo a segno dal lento processo redistributivo che era avvenuto non sottraeva sostanza al valore della critica marxiana – sia economica che antropologica – nei confronti del capitalismo. La logica del profitto crescente all’infinito, la proprietà privata dei mezzi di produzione, le forme di alienazione del proletario (non vede l’opera finita del suo lavoro; non possiede il profitto, cioè l’opera del suo lavoro; impiegato come macchina – mercificazione del lavoro umano, plusvalore – non realizza se stesso a mezzo della propria creatività, come era stato ed è per l’artigiano) sono alcuni elementi che minano la natura del capitalismo. Un sistema economico che, a differenza dalla imposta e diffusa concezione comune non ha alcun valore universale essendo invece un sistema economico tra più.


Vista la relativamente poca presa sui cuori popolari degli slogan intellettuali e dalle promesse dei primi economisti, la consapevolezza capitalista sapeva che era necessario estrarre nuove idee dal cilindro per mantenere la presa sulla classe proletaria e la propria forza-lavoro ormai divenuta anche elemento sostanziale del mercato o forza-consumo. Così, come un mago, il capitalismo in frak infilò la mano nel lungo cappello e ne estrasse lo spauracchio del comunismo. Le menti popolari e suggestionabili si intrisero della nuova verità e solidarizzarono contro il nuovo nemico.


Lo spirito giudaico-cristiano questa volta mosse gli animi di tutte le parti occidentali in campo. Giocò con maestria però solo a favore dei padroni del vapore. Infatti, da un lato, gli ultimi e i bigotti non potevano che vedere con timore e disprezzo chi rinnegava Dio. Dall’altro, con un solo colpo il capitalismo aveva ottenuto il supporto di chi aveva spremuto e avrebbe seguitato a spremere. Insieme a questi, avrebbero combattuto l’ateo nemico. Una sorta di unità prototalebana si era così radunata intorno alla giostra imbambolatrice del nostrano miscredente.


Se fosse possibile dire in cosa consista la consapevolezza, se fosse possibile svelarne il fondamento ultimo, forse si potrebbe fare riferimento alle forze o all’energia che muove e si muove entro un certo ambito. Dunque il capitalismo pareva ricco di questa forma di intelligenza tanto da permettere intolleranze ad esso stesso e permettersi di tollerarle. Poteva agire secondo lo schema dell’ameba: capace di inglobare e fare propri gli elementi ad essa inizialmente estranei. La collana dei cicli dell’avanguardia in tutte le forme dell’umano, non è mai riuscita a divenire più grande dell’ameba. Non è mai riuscita a restarne fuori, a divenire piena alternativa.


Il totale di questo processo, sostanzialmente suntzuniano, gli ha permesso di divenire il sistema mentale che ha gradualmente egemonizzato il mondo, ovvero il pensiero della maggioranza delle persone. Le sue vittorie fuori casa, in Russia e in Cina, sono state sufficientemente eloquenti per sancire definitivamente la bontà, o meglio, la forza naturale dell’idea capitalista, per sottrarre alla vista le scelte politiche che lo hanno voluto. Come ben precisato da Mark Fischer nel suo Realismo Capitalista (Nero, 2018):


Inutile dire che quello che viene considerato «realistico», quello cioè che sembra plausibile dal punto di vista sociale, è innanzitutto determinato da una serie di decisioni politiche. Qualsiasi posizione ideologica non può affermare di aver raggiunto il suo traguardo finché non viene per così dire naturalizzata, e non può dirsi naturalizzata finché non viene percepita come principio anziché come fatto compiuto. [...] Come ricordato da tanti teorici radicali – siano essi Brecht, Foucault o Badiou – ogni politica di emancipazione deve puntare a distruggere l’apparenza dell’ordine naturale, deve rivelare che ciò che viene presentato come necessario e inevitabile altro non è che una contingenza”.


Essa è riuscita a superare ostacoli e contraddizioni proprio come nella guerra, almeno quelle passate, in cui le regole d’ingaggio erano sostituite dalla banalità dirompente de la guerre c’est la guerre. Ovvero, nulla è impedito verso il nemico. In nome del progresso – internamente chiamato profitto – è riuscita ad andare oltre la morale. È, ogni volta, riuscita a ricucire gli strappi che la sua avidità aveva prodotto e a evitare le condanne ad essa relative. Il suo business is business ha convinto anche i giudici in cui l’etica positivistica aveva la sua ragione, la sua forza, la sua necessità.


Dopo molti decenni di battaglie vinte a mani basse, dopo aver superato il periodo dei movimenti operai, dopo aver pilotato e osservato il potere oppiaceo – per soddisfazione immediata, arresa psicologica, dipendenza e assuefazione – dell’opulenza, a sua volta alimentata dalla comunicazione, la prima sua arma dall’aspetto innocuo, ridente e suadente, dopo essersi procurata il necessario per estendere il proprio mercato al globo intero, ha dovuto confrontarsi con nuove dinamiche che, ancora una volta, sembrerebbe fossero state da previste dal capitalismo. L’incremento demografico, la supremazia della tecnologia, la diffusione della comunicazione individuale o il web, l’impossibilità della riduzione della disoccupazione e del debito pubblico, il malcontento dispregiativamente chiamato populismo in quanto cieco e semplicemente reattivo, sono tra i principali rotori con cui il capitalismo occidentale, a causa della sua pendenza protodemocratica si trova ad avere a che fare.


E riecco il cilindro e la marsina. Le oligarchie dopo essere riuscite a mettere mano sulle istituzioni degli Stati, hanno capito che non sarebbe bastato per proseguire secondo la loro biografia.

Come la super difesa militare americana è stata sorpresa (secondo la versione governativa) e non è riuscita ad intervenire per evitare l’attacco alle Torri gemelle, così altre sue, e occidentali in generale, intelligence si sono trovate la sorpresa cinese alla porta di casa. Ma il capitalismo orientale, quello fuori dall’egemonia del dollaro, è un problema solo apparente. Il focus dei cinesi e vero punto della questione è presumibilmente contrastare e forse sostituire il dominio globale occidentale. È probabile che il Made in China riempia di beni, dall’obsolescenza ulteriormente programmata, le case del mondo del futuro. Il suo costo del lavoro vince a mani basse la partita con la concorrenza ed ora anche nei settori commerciali più raffinati. Perché non accordarsi con i musi gialli?

I mercati saturi, quelli emergenti prelazionati dai cinesi, la diffusa consapevolezza individuale sulle dinamiche globaliste, non potevano che essere spunti di riflessione per le oligarchie stesse. Ben prima che la ricetta della crescita infinita si dimostrasse intrinsecamente fallace e fosse di dominio pubblico, faceva già parte della loro consapevolezza. Dal cappello non restava che estrarre una sorpresa che superasse, che rompesse con le precedenti. Per evitare il collasso del loro strumento di dominio, per eludere rivolte sociali sempre più a rischio di accadere secondo un effetto domino, hanno optato per autodistruggerlo. Il loro scopo riguarda la popolazione mondiale e la sopravvivenza della terra, almeno secondo i loro canoni. Del passato resterà la cultura scientista e specialistica e il mito della tecnologia come salvatrice di tutti i mali. Tre elementi ormai nel Dna di tutte le culture occidentali. Tre elementi sufficienti a tenere sotto scacco il libero pensiero delle persone. Non si può chiamare stupido un sistema che è riuscito piallare le idee di gran parte del mondo. A far credere che il sostenibile, l’economia circolare e l’impatto zero cambino tutto. Il paradigma capitalista implica lo sfruttamento di uomini e materie prime per il profitto. La sola cosa che cambia è il tempo di agonia della Terra. Ogni moderato che gonfia il petto con i loro nuovi slogan non è che un collaborazionista del sistema.


I padroni del libero mercato vendevano se stessi come produttori di pace e libertà, con dosi di autoincensamento, poi moltiplicate dopo il Muro di Berlino. Tutti compravano a piene mani. I proseliti diffondevano così, come moltiplicati megafoni, gli slogan che il marketing gli aveva insegnato mentre credevano di essere nel giusto, di non fare nulla di male, ad occuparsi della carriera e della villetta.

Nel tempo, cambiano il frac per offrire l’idea del cambiamento, per mantenere lo spettacolo del loro canovaccio preferito, la democrazia come ombra del potere. Il gioco delle tre carte è sempre quello. L’illusione è credere di sapere dove sia l’asso della giustizia, della solidarietà, dell’equità, della libertà di scelta. E continui a giocare anche fino a perdere tutto, dignità, indipendenza di pensiero, equilibrio, creatività. Ma la verità è un’altra: chi controlla l’opinione pubblica detiene il potere del consenso.


Non serve altro. A breve ci saranno le prove generali dell’autosottomissione – vaccinazioni popolarmente ambite e sottoscrizioni all’autotracciabilità-punto-due – mentre proseguono quelle per la riduzione della popolazione. Ormai si va soddisfatti a sottoscrivere abbonamenti gratuiti convinti di avere la vita agevolata. Inconsapevoli dell’offensiva invasività nella nostra vita di commercianti e istituzioni, nonché del loro vero significato. Prima c’era l’oro, poi il petrolio e ora i dati. Siamo tracciati quindi prevedibili, siamo rintracciabili quindi ricattabili. Siamo comprabili una volta di più.


Ciò che l’uomo sente, la sua relazione col cosmo, è totalmente annichilito dai saperi cognitivi, dall’incantesimo dei dogmi del successo o della paura, la sua strada è necessariamente alienata a se stesso. Le menti sono rinchiuse entro le nuove ideologie. Non più contenuti in libroni divisi in tomi, ma nelle parole dei Dj, dei passacarte del Tg e dei tabloid pornografici nonostante la larga tiratura, nei sorrisi sinceri di genitori e bambini che vendono la loro anima innocente per uno spot pubblicitario, nel nostro giubilo nei confronti dei film hollywoodiani, nella nostra affezione alle miniserie, nel nostro culto nei confronti dei campioni del calcio. Sono contenuti nei modi e nelle parole del superiore in ufficio, in quello del migliore amico, del bocconiano e di chi ci sa fare. Nel mondo del capitale la cultura è solo un’industria come un’altra. Se non vende non serve.


L’infinito che siamo è rovinosamente caduto nella satanica trappola del materialismo e del positivismo, del determinismo. Si è così ridotto entro fatui valori tutti già ampiamente contemplati dall’elenco dei vizi capitali. Elenco di dipendenze e assuefazioni, elenco di un infinito rinchiuso in ego pieni di se stessi. Ego che hanno sacralizzato il valore che sostiene quegli stessi vizi. Ego che credono di muoversi nella realtà come visitatori di un mondo dal quale si pensano indipendenti. Ego inetti a riconoscere che quel mondo è una loro creazione.


E se prima, nelle vecchie ideologie, c’era implicato e vivido il senso di appartenenza e quindi quello della lotta, ora la disgregazione opulento-edonistica ha sottratto a noi stessi l’eros della passione e lo spirito della creatività. In cambio di un videoregistratore, di un soggiorno con Spa, di una Bmw.


Lorenzo Merlo - xex@victoryproject.net



I Ching, l'esercito ed una memoria personale

 “L’esercito sta nelle pieghe della massa popolare, come l’olio nelle olive ed il burro nel latte…” (Saul Arpino)


“Nel grembo della terra vi è l’acqua: l’immagine dell’Esercito. Così il nobile magnanimo verso il popolo accresce le sue masse” - L’immagine dell’esagramma L’Esercito (Shih n. 7) del Libro dei Mutamenti, è molto chiara nell’indicarne il significato. Infatti nell’antichità, in virtù della coscrizione obbligatoria, i soldati erano presenti nel popolo come l’acqua sotto la terra. Ed avendo cura della prosperità del popolo si ottiene un esercito valoroso.  Ed ancora nella prima linea. “Un esercito deve servire in buon ordine ed armonia. Se ciò non avviene incombe sciagura”.

…il 4 novembre in Italia ricorre il giorno dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate….

Rinnegare il passato non ha senso… l’Unità d’Italia è stata raggiunta con fatica, lotta e sacrificio… Qualcuno potrà obiettare che non serviva, che si stava meglio con il Regno delle Due Sicilie, con lo Stato del Vaticano (ma quello c’è ancora..), con la Repubblica di Venezia, il Regno di Sardegna, etc. Può anche essere vero ma pure in quei regni esistevano eserciti ed un senso nazionale… ora il senso nazionale si è ampliato all’intera Italia e forse all’intera Europa e forse un domani al mondo intero… Staremo a vedere!

Non sono d’accordo con il sistema corrente di prestare servizio  militare con forze prezzolate, con l’uso di mercenari (sia pure interni cittadini) credo che il piacere della difesa (dico “difesa”…) dell’identità nazionale della nostra terra o dei legittimi interessi dei suoi abitanti non possa essere delegata ai “volontari” di professione.

Nell’antica Cina (e pure oggi) si diceva che l’esercito riposa nelle pieghe della società civile… pronto a sorgere nel momento del bisogno.

La coscrizione obbligatoria può sembrare una sopraffazione, se serve ad una causa ingiusta, ma è  un  modo per riconoscersi tutti figli dello stesso paese. Vediamo che alla fine dell’Impero Romano, allorché i legionari erano solo  mercenari  è stato sufficiente l’arrivo di una masnada di barbari per sconfiggere l’Impero… Le famose invasioni barbariche contavano a malapena poche migliaia di individui (comprese donne e bambini ed armenti) mentre Roma aveva oltre un milione e mezzo di abitanti  ma quei pochi barbari determinati bastarono per annichilire e distruggere un sistema, forse marcio, forse indegno di essere  salvato come probabilmente succede ai giorni nostri…!

… Io personalmente mi riconosco nella figura di Cincinnato,  forse perché ho servito nell’esercito come soldato venuto dal popolo.

…Ricordo quando ero bambino ed abitavo a Roma, mio padre mi portava il 4 novembre di ogni anno a vedere la sfilata dei soldati, con le fanfare, con cannoni, autoblindo, camion, etc. etc. Potete immaginare l’effetto che faceva su un bambino assistere a quelle processioni…. e l’effetto che mi fa adesso  raccontarvelo ma come posso cancellare il mio vissuto? D’altronde anch’io ho fatto il militare di leva, ho indossato per 15 mesi la divisa, ho imparato a sparare con il Winchester ed il Garand e la mitraglietta, ho tirato bombe a mano d’assalto e da difesa, ho sbudellato fantocci con la baionetta, sono strisciato per terra nel fango e nell’erba con il passo del leopardo, del serpente, etc. Ho marciato per chilometri e chilometri con lo zaino in spalla, ho usato radio da campo,  ho costruito radio galene ed infine sono stato dentro un centralino alla Scuola d’Applicazione d’Arma di Torino a passare telefonate agli ufficiali ed ho pure sventato un colpo di Stato… ma che ve lo racconto a fare, tanto non mi credereste!

Paolo D’Arpini
  





Filosofia e scienza. Logica e matematica

 


Nel corso dell’800 si  verificava una specie di convergenza tra la matematica, che divenne sempre più ispirata alla logica, e la logica, che assunse caratteri sempre più matematici(1). Abbiamo anche visto come in questo clima si siano sviluppate le geometrie non euclidee con Riemann, Beltrami, Klein, ecc. In questo articolo intendiamo descrivere per sommi capi alcuni sviluppi sia nel campo più specificamente logico, sia in quello della logica matematica che portò una rivoluzione nel campo dell’aritmetica che fino ad allora era stata ancella della geometria (anche se già Lagrange aveva privilegiato la matematica numerica e Klein aveva sottolineato il collegamento tra le varie forme di geometria e la teoria algebrica dei gruppi).

Mentre in Germania all’inizio del secolo continuò a svilupparsi una logica di tipo metafisico-idealistico, una svolta decisiva, nel senso di dare un carattere sempre più formale alla logica sulla scia di Leibniz e Lambert (vedi NN. 53 e 58), fu quella imposta dall’inglese George Boole (1815-1864) nel 1847 con l’opera: “L’Analisi matematica della Logica: Saggio di un Calcolo del Ragionamento deduttivo”, scritto collegato alla contemporanea deriva logicista dell’algebra britannica (v. N. 72). Ad essa seguì nel 1854 “Una Ricerca sulle Leggi del Pensiero sulle quali sono fondate le Teorie Matematiche della Logica e della Probabilità”, considerata il suo capolavoro.

Utilizzando in parte anche tematiche del precedente logico inglese August De Morgan (1806-1871), che aveva cercato di ampliare l’antica logica sillogistico-aristotelica, Boole esaminò la logica sia da un punto di vista linguistico, sia psicologico-matematico. Egli riteneva che il linguaggio fosse insufficiente ad esprimere le operazioni mentali ed intendeva creare una vera scienza del ragionamento simbolico. Per ottenere questo risultato creò un’algebra della logica, cioè un vero e proprio sistema di equazioni che avrebbero dovuto esprimere le operazioni mentali in forma simbolica, da cui sarebbero scaturite soluzioni e conclusioni corrette. Il linguaggio matematico sarebbe stato quello più adatto al pensiero logico perché non è legato a nessun oggetto particolare, e quindi è universale.

Questa tendenza fu sviluppata dal tedesco Ernst Schroeder (1841-1902), mentre idee simili furono diffuse anche negli Stati Uniti da Charles Sanders Pierce (1839-1914), pensatore sul quale torneremo quando esamineremo aspetti della filosofia nord-americana, che però rivalutò parzialmente anche il linguaggio “naturale”. Nella seconda metà del secolo un altro tedesco, Gottlob Frege (1848-1925) nell’opera “Ideografia, un Linguaggio in Formule del Pensiero puro a imitazione di quello aritmetico” auspicò una logica pura sempre più ispirata al linguaggio matematico. Egli però fu un pensatore più versatile di Boole e si interessò anche di logica matematica (cioè di logica applicata alla matematica) dando un contributo significativo alla nascita della “Teoria degli Insiemi” (cioè “classi” di oggetti aventi una stessa proprietà), ed allo stesso concetto logico di numero, che definì come “pluralità di pluralità” (1884). In effetti, il formalismo logico esasperato di Boole aveva rischiato di diventare sterile e di non risultare utile nemmeno alla stessa logica matematica che si stava sviluppando negli stessi anni, come è sottolineato anche nell’opera di Geymonat. La logica troppo astratta rischia sempre di approdare a risultati sterili ed improduttivi, come già nell’antico caso di Parmenide.

Frege considerava la matematica come un prolungamento della logica deduttiva e come un sistema logico di tipo ipotetico-deduttivo – a partire da assiomi iniziali (regole fondamentali non dimostrate) - che si interessa di entità astratte del tutto indipendenti dai fenomeni reali (con eventuali applicazioni alla fisica ma solo per i fenomeni che rispettino alcune caratteristiche, come la continuità). I suoi strali polemici si diressero soprattutto contro le concezioni empiriste di Stuart Mill e Helmholtz (NN. 75-82) che sostenevano la tesi di un’origine induttiva ed empirico-psicologica del numero. In quegli anni, intorno al 1870, si era andato formando il concetto di “numero reale” derivato da considerazioni di Cauchy (N. 72) sulle “serie convergenti” e si discuteva sui concetti di “continuità” dei numeri e “infinità”, anch’essi già affrontati da Cauchy, che – però - aveva fatto ricorso a modelli geometrici, come era stato tipico di Newton con il cosiddetto “Metodo delle Flussioni”.

Questi argomenti venivano ampiamente sviluppati dai contemporanei matematici tedeschi Richard Dedekind (1831-1916), Karl Weiestrass (1815-1897), e soprattutto Georg Cantor (1845-1918) senza ricorrere all’aiuto della geometria, con metodi solo aritmetici. Già all’inizio del secolo il logico e matematico ceco Bernard Bolzano (1781-1848) aveva affrontato da un punto di vista logico-matematico i concetti di “limite”, “serie convergente”, e “derivata”, senza ricorrere a modelli geometrici. Nella sua principale opera, la “Dottrina della Scienza” del 1837, aveva analizzato le condizioni di verità di una proposizione ed aveva preceduto Cantor nelle sue considerazioni sui concetti di “insieme” e di “infinito”.

Gli anni 1872-74 risultarono decisivi per la nascita dei nuovi fondamenti dell’aritmetica, delle teorie innovative sui “numeri naturali” (successione 0, 1, 2, 3, ecc.), “razionali” (rapporto di due grandezze commensurabili), “irrazionali” (rapporto di grandezze incommensurabili), e “reali” (che comprendono tutti i numeri), nonché sul problema dell’infinità e della continuità dei numeri. Comparvero lavori di Dedekind, e di Cantor, allievo di Weierstrass. Nei loro scritti, che continuarono ad essere pubblicati anche negli anni seguenti, l’aritmetica era vista come una branca della logica indipendente dallo spazio geometrico e dal tempo, dipendente solo dalle leggi del pensiero e frutto della creatività della mente. Venivano introdotti i concetti di “insieme” o di “classe”. A questi studi dette un contributo notevole anche la scuola italiana rappresentata dal pisano Mario Pieri (1860-1913) e soprattutto dal piemontese Giuseppe Peano (1838-1932), che – oltre ad interessarsi di equazioni differenziali - tradusse le nuove idee di logica matematica in una serie di celebri assiomi (come poi farà anche il tedesco Hilbert di cui ci occuperemo nel prossimo numero).

Il più caratteristico rappresentante di questo gruppo fu Cantor, sostenitore di una completa libertà creativa(2). Superando l’idiosincrasia di Aristotile (ma anche di Gauss) per l’infinito “in atto” (N. 13), Cantor affrontò disinvoltamente il difficile concetto di infinito considerato come un insieme che può contenere al suo interno altri insiemi infiniti, ed a cui si possono sempre aggiungere quantità finite fino a giungere ad un infinito di ordine superiore. Definì l’insieme come “una riunione in un tutto di oggetti della nostra intuizione e del nostro pensiero”. Ogni insieme è caratterizzato da unnumero cardinale” che definisce il suo ordine di grandezza (che prescinde dall’ordine e dalla natura degli oggetti costituenti) e da un numero d’ordine (“ordinale”) che indica la successione degli oggetti costituenti un insieme. Cantor stabilì che l’insieme infinito dei numeri reali era di ordine (“cardinalità”) superiore a quello dei numeri naturali, e che non vi erano infiniti di ordine intermedio tra i due (cosiddetta “Ipotesi della Continuità”, tuttora indimostrata e quindi rimasta solo come congettura). Sugli insiemi sono possibili operazioni di somma, sottrazione, ecc.

Il grande lavoro dei precedenti pensatori troverà il suo sviluppo più significativo nell’opera di David Hilbert (1862-1943), a lungo professore nella prestigiosa università di Gottinga, autore di un famoso sistema di assiomi matematici basati solo su principi logici arbitrari, indipendenti e non contraddittori, privi di ogni collegamento con la realtà(3). Questo sviluppo è considerato – anche nell’opera di Geymonat – di grande significato sia per la matematica che per la filosofia, anche se oggi molti dubitano della sua validità ed utilità. Per la sua rilevanza vi torneremo in un prossimo numero. Intanto bisognerà – però - ricordare che nel Congresso di Zurigo del 1897 furono evidenziate alcune contraddizioni nel sistema di Cantor, di cui una segnalata dal logico italiano Burali Forti (“antinomia di Burali Forti” riguardante i numeri ordinali) ed un’altra riguardante l’insieme con numero cardinale massimo (comprendente il “tutto”, che per Cantor avrebbe avuto addirittura un carattere divino dotato di regole proprie imperscrutabili, argomento in verità piuttosto discutibile). Già in precedenza il lavoro considerato troppo “creativo” di Cantor aveva sollevato le critiche di Kronecker, che lo considerava un “ciarlatano”, e le perplessità del grande Poincaré che aveva molti dubbi sull’utilità di grandi costruzioni basate sulla logica pura. Nel 1903 una comunicazione del filosofo logico gallese Bertrand Russell (1872-1940) metteva in crisi anche l’impostazione logica di Frege, riscontrando una contraddizione nei suoi scritti (“Antinomia di Russell”, riguardante le classi che non comprendono sé stesse), per cui il filosofo tedesco sospese i suoi studi. Nel 1910-1913 fu pubblicata la monumentale opera “Principia Mathematicascritta insieme dallo stesso Bertrand Russell e dall’altro filosofo logico inglese, Alfred North Whitehead (1861-1947). Con essa i due autori intendevano esporre i principi logici della matematica, liberandoli dalle possibili contraddizioni, ma questo obiettivo si dimostrò illusorio, rafforzando critiche e dubbi sull’utilità e la coerenza di tutti questi grandi sistemi logici. Torneremo sull’argomento esaminando più ampiamente nei prossimi numeri il pensiero dei due filosofi britannici e quello di altri autori.

Vincenzo Brandi



  1. L. Geymonat, “Storia del Pensiero Filosofico e Scientifico”, Garzanti 1970

  2. RBA, “le Grandi Idee della Scienza – Cantor”

  3. RBA, “Le Grandi Idee della Scienza – Hilbert”