I
capitalisti prima degli anticapitalisti hanno compreso che il
concetto della crescita infinita aveva vita limitata. Non solo, prima
degli altri hanno capito come provvedere a se stessi, come non
perdere il dominio del mondo, anzi delle menti.
Marx ed Engels hanno fatto del loro
meglio ma non è bastato. Hanno fatto di tutto per farci presente gli
aspetti del capitalismo che il belpensiero neppure concepiva. Questo,
sulla cresta dell’onda del progresso, divideva il mondo in due: i
ricchi e legittimati da Dio e i poveri o tutti gli altri che,
giocoforza,
dovevano esserci. Dentro le due classi stavano le due intelligenze,
una eletta e una, semplicemente,
non eletta. Non c’era altro da fare se non frustare i cavalli e
guidare la doga alata verso il futuro e il giusto.
Da allora – spiritualmente
animata dall’antropocentrismo giudaico-cristiano – una ristretta
percentuale di uomini ha tenuto in scacco tutti gli altri. E lo ha
fatto con crescente consapevolezza di sé. Per sostenere se stessi, i
capitalisti, i neocapitalisti, i liberisti, i neoliberisti, la nuce
non cambia, si sono inizialmente serviti di concetti intellettuali,
sostanzialmente tutti in rotazione intorno al perno della
redistribuzione della
ricchezza. Cosa peraltro
anche in qualche misura avvenuta. Una terza classe, la cosiddetta
borghesia, originava dal mantenimento di quella promessa. Ma il punto
messo a segno dal lento processo redistributivo che era avvenuto non
sottraeva sostanza al valore della critica marxiana – sia economica
che antropologica – nei confronti del capitalismo. La logica del
profitto crescente all’infinito, la proprietà privata dei mezzi di
produzione, le forme di alienazione del proletario (non vede l’opera
finita del suo lavoro; non possiede il profitto, cioè l’opera del
suo lavoro; impiegato come macchina – mercificazione del lavoro
umano, plusvalore – non realizza se stesso a mezzo della propria
creatività, come era stato ed è per l’artigiano) sono alcuni
elementi che minano la natura del capitalismo. Un sistema economico
che, a differenza dalla imposta e diffusa concezione comune non ha
alcun valore universale essendo invece un sistema economico tra più.
Vista la relativamente poca presa
sui cuori popolari degli slogan intellettuali e dalle promesse dei
primi economisti, la consapevolezza capitalista sapeva che era
necessario estrarre nuove idee dal cilindro per mantenere la presa
sulla classe proletaria e la propria forza-lavoro ormai divenuta
anche elemento sostanziale del mercato o forza-consumo. Così, come
un mago, il capitalismo in frak infilò la mano nel lungo cappello e
ne estrasse lo spauracchio del comunismo. Le menti popolari e
suggestionabili si intrisero della nuova verità e solidarizzarono
contro il nuovo nemico.
Lo spirito giudaico-cristiano
questa volta mosse gli animi di tutte le parti occidentali in campo.
Giocò con maestria però solo a favore dei padroni del vapore.
Infatti, da un lato, gli ultimi e i bigotti non potevano che vedere
con timore e disprezzo chi rinnegava Dio. Dall’altro, con un solo
colpo il capitalismo aveva ottenuto il supporto di chi aveva spremuto
e avrebbe seguitato a spremere. Insieme a questi, avrebbero
combattuto l’ateo nemico. Una sorta di unità prototalebana si era
così radunata intorno alla giostra imbambolatrice del nostrano
miscredente.
Se fosse possibile dire in cosa
consista la consapevolezza, se fosse possibile svelarne il fondamento
ultimo, forse si potrebbe fare riferimento alle forze o all’energia
che muove e si muove entro un certo ambito. Dunque il capitalismo
pareva ricco di questa forma di intelligenza tanto da permettere
intolleranze ad esso stesso e permettersi di tollerarle. Poteva agire
secondo lo schema dell’ameba: capace di inglobare e fare propri gli
elementi ad essa inizialmente estranei. La collana dei cicli
dell’avanguardia in tutte le forme dell’umano, non è mai
riuscita a divenire più grande dell’ameba. Non è mai riuscita a
restarne fuori, a divenire piena alternativa.
Il totale di questo processo,
sostanzialmente suntzuniano, gli ha permesso di divenire il sistema
mentale che ha gradualmente egemonizzato il mondo, ovvero il pensiero
della maggioranza delle persone. Le sue vittorie fuori casa, in
Russia e in Cina, sono state sufficientemente eloquenti per sancire
definitivamente la bontà, o meglio, la forza naturale dell’idea
capitalista, per sottrarre alla vista le scelte politiche che lo
hanno voluto. Come ben precisato da Mark Fischer nel suo Realismo
Capitalista (Nero,
2018):
“Inutile dire che quello che
viene considerato «realistico», quello cioè che sembra plausibile
dal punto di vista sociale, è innanzitutto determinato da una serie
di decisioni politiche. Qualsiasi posizione ideologica non può
affermare di aver raggiunto il suo traguardo finché non viene per
così dire naturalizzata, e non può dirsi naturalizzata finché non
viene percepita come principio anziché come fatto compiuto. [...]
Come ricordato da tanti teorici radicali – siano essi Brecht,
Foucault o Badiou – ogni politica di emancipazione deve puntare a
distruggere l’apparenza dell’ordine naturale, deve rivelare che
ciò che viene presentato come necessario e inevitabile altro non è
che una contingenza”.
Essa è riuscita a superare
ostacoli e contraddizioni proprio come nella guerra, almeno quelle
passate, in cui le regole
d’ingaggio erano
sostituite dalla banalità dirompente de la
guerre c’est la guerre.
Ovvero, nulla è impedito verso il nemico. In nome del progresso –
internamente chiamato profitto – è riuscita ad andare oltre la
morale. È, ogni volta, riuscita a ricucire gli strappi che la sua
avidità aveva prodotto e a evitare le condanne ad essa relative. Il
suo business is business
ha convinto anche i giudici in cui l’etica positivistica aveva la
sua ragione, la sua forza, la sua necessità.
Dopo molti decenni di battaglie
vinte a mani basse, dopo aver superato il periodo dei movimenti
operai, dopo aver pilotato e osservato il potere oppiaceo – per
soddisfazione immediata, arresa psicologica, dipendenza e
assuefazione – dell’opulenza, a sua volta alimentata dalla
comunicazione, la prima sua arma dall’aspetto innocuo, ridente e
suadente, dopo essersi procurata il necessario per estendere il
proprio mercato al globo intero, ha dovuto confrontarsi con nuove
dinamiche che, ancora una volta, sembrerebbe fossero state da
previste dal capitalismo. L’incremento demografico, la supremazia
della tecnologia, la diffusione della comunicazione individuale o il
web, l’impossibilità della riduzione della disoccupazione e del
debito pubblico, il malcontento dispregiativamente chiamato populismo
in quanto cieco e semplicemente reattivo, sono tra i principali
rotori con cui il capitalismo occidentale, a causa della sua pendenza
protodemocratica si trova ad avere a che fare.
E riecco il cilindro e la marsina.
Le oligarchie dopo essere riuscite a mettere mano sulle istituzioni
degli Stati, hanno capito che non sarebbe bastato per proseguire
secondo la loro biografia.
Come la super difesa militare
americana è stata sorpresa (secondo la versione governativa) e non è
riuscita ad intervenire per evitare l’attacco alle Torri gemelle,
così altre sue, e occidentali in generale, intelligence si sono
trovate la sorpresa cinese alla porta di casa. Ma il capitalismo
orientale, quello fuori dall’egemonia del dollaro, è un problema
solo apparente. Il focus dei cinesi e vero punto della questione è
presumibilmente contrastare e forse sostituire il dominio globale
occidentale. È probabile che il Made
in China riempia di
beni,
dall’obsolescenza ulteriormente programmata, le case del mondo del
futuro. Il suo costo del lavoro vince a mani basse la partita con la
concorrenza ed ora anche nei settori commerciali più raffinati.
Perché non accordarsi con i musi
gialli?
I mercati saturi, quelli emergenti
prelazionati dai cinesi, la diffusa consapevolezza individuale sulle
dinamiche globaliste, non potevano che essere spunti di riflessione
per le oligarchie stesse. Ben prima che la ricetta della crescita
infinita si dimostrasse intrinsecamente fallace e fosse di dominio
pubblico, faceva già parte della loro consapevolezza. Dal cappello
non restava che estrarre una sorpresa che superasse, che rompesse con
le precedenti. Per evitare il collasso del loro strumento di dominio,
per eludere rivolte sociali sempre più a rischio di accadere secondo
un effetto domino, hanno optato per autodistruggerlo. Il loro scopo
riguarda la popolazione mondiale e la sopravvivenza della terra,
almeno secondo i loro canoni. Del passato resterà la cultura
scientista e specialistica e il mito della tecnologia come salvatrice
di tutti i mali. Tre elementi ormai nel Dna di tutte le culture
occidentali. Tre elementi sufficienti a tenere sotto scacco il libero
pensiero delle persone. Non si può chiamare stupido un sistema che è
riuscito piallare le idee di gran parte del mondo. A far credere che
il sostenibile, l’economia circolare e l’impatto zero cambino
tutto. Il paradigma capitalista implica lo sfruttamento di uomini e
materie prime per il profitto. La sola cosa che cambia è il tempo di
agonia della Terra. Ogni moderato che gonfia il petto con i loro
nuovi slogan non è che un collaborazionista del sistema.
I padroni del libero mercato
vendevano se stessi come produttori di pace e libertà, con dosi di
autoincensamento, poi moltiplicate dopo il Muro di Berlino. Tutti
compravano a piene mani. I proseliti diffondevano così, come
moltiplicati megafoni, gli slogan che il marketing gli aveva
insegnato mentre credevano di essere nel giusto, di non fare nulla di
male, ad occuparsi della carriera e della villetta.
Nel tempo,
cambiano il frac per offrire l’idea del cambiamento, per mantenere
lo spettacolo del loro canovaccio preferito, la democrazia come ombra
del potere. Il
gioco delle tre carte è sempre quello. L’illusione è credere di
sapere dove sia l’asso della giustizia, della solidarietà,
dell’equità, della libertà di scelta. E continui a giocare anche
fino a perdere tutto, dignità, indipendenza di pensiero, equilibrio,
creatività. Ma la verità è un’altra: chi controlla l’opinione
pubblica detiene il potere del consenso.
Non serve altro. A breve ci saranno
le prove generali dell’autosottomissione – vaccinazioni
popolarmente ambite e sottoscrizioni all’autotracciabilità-punto-due
– mentre proseguono quelle per la riduzione della popolazione.
Ormai si va soddisfatti a sottoscrivere abbonamenti gratuiti convinti
di avere la vita agevolata. Inconsapevoli dell’offensiva invasività
nella nostra vita di commercianti e istituzioni, nonché del loro
vero significato. Prima c’era l’oro, poi il petrolio e ora i
dati. Siamo tracciati quindi prevedibili, siamo rintracciabili quindi
ricattabili. Siamo comprabili una volta di più.
Ciò
che l’uomo sente,
la
sua relazione col cosmo,
è totalmente annichilito dai saperi cognitivi, dall’incantesimo
dei dogmi del successo o della paura, la sua strada è
necessariamente alienata a se stesso. Le
menti sono rinchiuse entro le nuove ideologie. Non più contenuti in
libroni divisi in tomi, ma nelle parole dei Dj, dei passacarte del Tg
e dei tabloid pornografici nonostante la larga tiratura, nei sorrisi
sinceri di genitori e bambini che vendono la loro anima innocente per
uno spot pubblicitario, nel nostro giubilo nei confronti dei film
hollywoodiani, nella nostra affezione alle miniserie, nel nostro
culto nei confronti dei campioni del calcio. Sono contenuti nei modi
e nelle parole del superiore in ufficio, in quello del migliore
amico, del bocconiano e di chi ci sa fare. Nel mondo del capitale la
cultura è solo un’industria come un’altra. Se non vende non
serve.
L’infinito
che siamo è rovinosamente caduto nella satanica trappola del
materialismo e del positivismo, del determinismo. Si è così ridotto
entro fatui valori tutti già ampiamente contemplati dall’elenco
dei vizi capitali. Elenco di dipendenze e assuefazioni, elenco di un
infinito rinchiuso in ego pieni di se stessi. Ego che hanno
sacralizzato il valore che sostiene quegli stessi vizi. Ego che
credono di muoversi nella realtà come visitatori di un mondo dal
quale si pensano indipendenti. Ego inetti a riconoscere che quel
mondo è una loro creazione.
E se prima, nelle vecchie
ideologie, c’era implicato e vivido il senso di appartenenza e
quindi quello della lotta, ora la disgregazione opulento-edonistica
ha sottratto a noi stessi l’eros della passione e lo spirito della
creatività. In cambio di un videoregistratore, di un soggiorno con
Spa, di una Bmw.
Lorenzo Merlo - xex@victoryproject.net