La via di mezzo della spiritualità laica … e Bagawan Nityananda di Ganeshpuri


 Ganeshpuri. Il Tempio dedicato al Mahasamadhi di Nityananda


Il Guru non è una persona, o perlomeno non soltanto una persona visto che può manifestarsi in ogni forma, bensì l’intelligenza illuminante che ci libera dalle sovrastrutture mentali e dalle finzioni religiose o morali.
Verso la fine di giugno del  1973, da poco giunto in India, mi ritrovai per la prima volta in vita mia a dovermi confrontare con me stesso, aldilà del giudizio altrui ed essendo pulitamente in sintonia con la mia natura. Avvenne allorché incontrai il mio Guru Muktananda a Ganeshpuri. Con il contatto diretto con la sua limpidezza spontaneamente si risvegliò dentro di me la discriminazione e fui perciò obbligato, tramite una spinta interiore alla chiara visione, a rivedere tutti i parametri di spiritualità e religione che sino ad allora erano stati accumulati nella mia mente. Un giorno sentii che una prova grande mi attendeva, riguardava la comprensione della verità interiore. Così osservandomi mi ritrovai a camminare lungo la strada asfaltata che univa l’ashram di Muktananda al tempio/tomba di Nityananda, il famoso Guru del mio stesso maestro.
Durante il percorso sentivo di dover tenere una via mediana, non considerando gli estremi ma il mezzo della vita. Con questi pensieri giunsi al tempio, molti di voi sapranno che in India si entra nei luoghi sacri senza scarpe, ed infatti presso ogni tempio c’è un custode che riceve le calzature dei viandanti e le custodisce per la durata della visita, ma dentro di me pensai “che differenza c’è fra il dentro ed il fuori del tempio? Anche le mie scarpe sono sacre visto che mi hanno portato sin qui”.
E seguendo lo stimolo interiore invece di depositare le mie ciabatte all’esterno le presi in mano e mi avvicinai devotamente all’altare di Nityananda, dove il prete di servizio riceveva le offerte rituali, ed a lui offrii le mie  vecchie espadrillas. Ovviamente il prete restò allibito ma forse comprese che qualcosa stava accadendo in me ed infine accettò che io depositassi lì nel sancta sanctorum le mie sporche e sgangherate ciabatte che mi avevano accompagnato per tutto il lungo il viaggio, prima in Africa e poi in India. Dopo essermi inchinato e soffermato per qualche tempo in meditazione ripresi la via del ritorno, a piedi nudi….
Ed ancora prove solenni mi aspettavano… chi conosce il caldo dell’India saprà che l’asfalto in estate diventa semiliquido dal calore, i miei piedi erano bruciacchiati ma la voce interiore mi diceva che dovevo restare nella via di mezzo, perciò non potevo spostarmi ai bordi della strada ma camminare al centro.
Il momento difficile fu quando sopraggiunse una corriera carica di pellegrini che vedendomi in mezzo alla strada (appena sufficiente a contenere la corriera stessa per quanto era stretta) prese a strombazzare rumorosamente per avvertirmi e farmi spostare… Macché, la voce discriminante che mi stava mettendo alla prova era più forte di ogni ragionamento, restai caparbiamente in mezzo alla strada… il conducente si fermò a pochi metri da me e mi invitò in tutti i modi corroborato da alcuni passeggeri affinché mi togliessi di mezzo, ma non mi spostai di un centimetro restando in assoluto silenzio… Alla fine il conducente risalì sull’autobus e con grande fatica riuscì allargandosi lateralmente a scansarmi e procedere nel percorso.
Allora anch’io mi mossi e prosegui sempre al centro della strada con l’asfalto sempre più bollente. Ecco che di lì a poco un’altra corriera sopraggiunse a gran velocità, stavolta capii che l’autista non aveva nessuna intenzione di fermarsi, infatti l’autobus giunse quasi a toccarmi e si arrestò di botto con un sussulto dell’ultimo momento… L’autista ed alcuni passeggeri uscirono infuriati e presero ad insultarmi con foga, ma siccome non mi muovevo e guardavo mesto per terra con i piedi in fiamme, alla fine incerimoniosamente mi spinsero fuori dalla carreggiata sino alla mota che stava sui bordi….
Oh che piacere quella terra… non mi sentivo per nulla offeso… finalmente la mia via di mezzo aveva ritrovato una piacevolezza, stavo con i piedi per terra e non sull’asfalto infuocato….. Mentre i pellegrini infuriati mi abbandonavano al mio destino di folle dello spirito, mi ritrovai tutto contento a capire che la via di mezzo significa accettare sia la gloria che l’infamia, sia il successo che l’insuccesso, sia il riconoscimento che l’offesa. Pian piano con la mente serena me ne tornai all’ashram del Guru, stranamente sollevato e felice, i miei piedi rinfrescati dal fango e la mia mente rischiarata. Ad attendermi un compagno ashramita che per la prima volta da quando stavo lì mi sorrise fraternamente e mi offrì un infuso caldo di erbe, com’era buono!
Paolo D’Arpini
Bagawan Nityananda

Spiritualità Laica al Festival della Laicità


Pescara. Festival della Laicità 2013 - Silvana Prosperi e Paolo D'Arpini

Il 25 ottobre  2013  partecipai come relatore all'apertura  del “Festival della Laicità” di Pescara, una tre giorni ricca di idee e stimoli. Fu una giornata intensa e piena di emozioni, parole, sguardi, amicizie vecchie e nuove, in un clima di accoglienza perfetta.
Il tema da me trattato  verteva essenzialmente sulla libertà espressiva in chiave di spiritualità laica,   basato sul contenuto del  mio libro "Riciclaggio della Memoria”.  

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L'intervento in minima parte era tratto da alcuni appunti che avevo preparato, ma come spesso accade, quando si coglie un pubblico attento, guardando negli occhi i presenti,  i discorsi sono usciti  direttamente dal cuore, idee e sensazioni che  sempre son ben  felice di condividere.
I concetti espressi sono idee non nuove, battezzate con neologismi tipo "ecospiritualità", "biospiritualità", che comunque affondano nel patrimonio  naturalistico della spiritualità naturale  (non religiosa) che -secondo me- riescono a “illuminare” e descrivere quello che tutti noi che cerchiamo un modo di vivere sincero, onesto e di presenza alla vita, sentiamo in fondo al cuore, anche se in parte l’abbiamo dimenticato, ricoperto dalle sovrastrutture imposte dalla società in cui viviamo, per comodità, per abitudine, convenzione e pigrizia,  in accondiscendenza con la situazione sociale e politica in cui ci troviamo, dove però ci sentiamo stretti, non liberi.
Alla fine  dell'intervento ci sono state diverse domande, tra cui: “Ma se leviamo alla vita le cose superflue… cosa rimane?”
E’ ovvio che la risposta almeno per me è che la vita è BELLA per quello che è in una semplicità relativa alle cose materiali, con la riscoperta e la valorizzazione di cose “sottili”… le vogliamo chiamare spirituali?, come  la condivisione, l’affetto, l’amore, la convivialità, l’arte, le arti, la conoscenza, che possono avere un gran valore senza avere un gran prezzo e senza comportare la necessità di un accumulo, ma la gioia di viverle nel momento presente.
Gioia di vivere  piena di calore e di reciproco interesse, ognuno con le sue peculiarità, in piena libertà espressiva.
Traccia degli appunti utilizzati per il mio intervento: 



La spiritualità non appartiene ad alcuna religione; essa è la vera natura dell’uomo. Lo spirito è presente in tutto ciò che esiste, non può quindi essere raggiunto attraverso uno specifico sentiero, poiché esso è già lì anche nel tentativo di perseguirlo.

La laicità è la condizione di assoluta “libertà” da ogni forma pensiero costituita, sia essa ideologica o religiosa. “Laikos”, in greco, sta a significare colui che è al di fuori di ogni contesto sociale e religioso, ovvero non appartiene ad alcun ordinamento sociale o confessionale.

Quando si parla di ricerca spirituale non si intende il perseguire un sentiero codificato, una normativa fideistica, un’appartenenza ad un credo; il cercatore spirituale è semplicemente colui che guarda sé stesso, colui che riconosce il Tutto in sé stesso e sé stesso come il Tutto.

Da questo punto di vista la ricerca spirituale può essere considerata un fatto strettamente personale, quindi il vero cercatore spirituale è assolutamente laico, allo stesso tempo riconosce ciò che è in lui come presente in ogni altra cosa. Conciliare la propria via personale con quella di chiunque altro significa saper fluire senza ostruire, apprendere e trasmettere senza pretendere, insomma si tratta di fare la pace con noi stessi e con gli altri.

Questa assoluta libertà comprende anche assoluto amore e rispetto, non essendoci assunzioni di posizioni precostituite e riferimenti assolutistici ad uno specifico sentiero.

La Spiritualità Laica è una via in cui non possono esserci dogmi o indicazioni religiose. Questa è la via in cui non si segue nessuna via. Il percorso è completamente assente, nella spiritualità laica ciò che conta è la semplice presenza a se stessi e questo non può essere un percorso ma una semplice attenzione allo stato in cui si è.

La coscienza è consapevole della coscienza.

Ed è normale che sia così poiché la spiritualità laica non può essere nulla di nuovo ma solo un “modo descrittivo” di un qualcosa che c’è già, infatti se quel qualcosa non ci fosse già che senso avrebbe esserne “consapevoli”?

Perciò Spiritualità Laica e Consapevolezza sono la stessa identica cosa. Ma noi sappiamo che la pura consapevolezza di sé è purtroppo spesso macchiata da immagini sovrimposte, create dalla nostra mente, queste immagini sono ciò che noi abbiamo immaginato possa essere la spiritualità.

Accettare se stessi come qualcosa di completamente insondabile ed in conoscibile, non riferibile ad alcun assioma di derivazione ideologica o religiosa, significa restare sospesi nel vuoto essendo vuoto. Impossibile poter scorgere i confini del proprio essere.  Questa mancanza di identificazione in qualsiasi forma strutturale (di pensiero e non) è contemporaneamente anche la “forza” della laicità spirituale.

Non vi sono porti sicuri di approdo, non vi è barca, non c’è un mare, nessuno e nulla da ricercare… solo la corrente della vita, della coscienza, solo il senso di essere presenti. In questa mancanza di condizioni è possibile sentire il nostro io arrendersi, la nostra mente sciogliersi, scoprendo così il "Centro" che in verità non è un centro perché è tutto ciò che è, senza centro né periferia.

Tutto quel che ci circonda e noi stessi siamo la stessa identica cosa, siamo immersi in noi stessi come acqua nell'acqua eppure continuiamo a comportarci come fossimo separati, disponendo di ciò che riteniamo "sia al di fuori di noi" come  fosse "altro" da noi. C'è una meraviglia più grande di questa?

Paolo D'Arpini 

Pescara. Sala Aurum

Un vero maestro non dice di esserlo


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Un maestro non dice mai di esserlo
chi veramente si sente maestro 
subito cerca di essere allievo in qualcos'altro 
perché c'è sempre da imparare;
un vero maestro non ti attrae mai al suo tempio interiore, 
ma ti fa scoprire il tuo tempio interiore, 
non ti rende dipendente da lui, 
ma indipendente dal maestro stesso.
Un vero maestro non si preoccupa 
se il discepolo lo supera o meno,
tanto meno si preoccupa il vero allievo
di superare o meno il suo maestro: ha imparato da lui.
un maestro vero soffre perché te sei piccola, 
non gode perché lui è grande, 
quindi non vede l'ora che tu non lo chiami più maestro, 
ti fa crescere senza mai farti sentire piccolo 
e senza mai lui farsi sentire grande... 
e quando sei grande te lo dice con umiltà
così tu non saprai montarti la testa.
Non chiamate mai nessun maestro. 
Nessuno è perfetto
siamo tutti perfettibili:
il perfetto è già finito, 
in natura quello non esiste è una illusione, quindi falso
il perfettibile è quello che 
attraverso i suoi difetti accettati e superati migliora sempre 
senza credersi mai arrivato, quindi è umile!


Yin-Yang (Tao 道)


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Mio commentino: "Dal punto di vista della mente l'apprendimento è un esercizio costante che non ha mai fine. La simbologia del "maestro" qui riportata è relativa a questo concetto" (Paolo D'Arpini)


Ramana Maharshi: "La Verità rivelata in 40 versi"


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Invocazione:
I. Se la Realtà non esistesse, si potrebbe avere coscienza di esistere? Libera da ogni pensiero, la Realtà abita nel Cuore, la Sorgente di tutto il pensiero. Perciò si chiama Cuore. Come si può contemplarlo? Essere ciò che è nel Cuore, è la Sua contemplazione.
II. Coloro che provano intenso timore della morte cerchino rifugio presso i piedi di Dio, che non conosce nascita né morte. Morendo a sé stessi e ai loro possedimenti, come possono essere toccati ancora dal pensiero della morte? Essi sono immortali.
§§§
1. Dal punto di vista della nostra percezione del mondo deriva l'accettazione di un Principio Primo in possesso di vari poteri. Le immagini relative ai nomi  e alle forme, la persona che le vede, lo schermo su cui le vede proiettate e la luce attraverso cui le vede: egli stesso è tutte queste cose.
2. Tutte le religioni postulano tre enti fondamentali: il mondo, l'anima e Dio, ma è una sola unica Realtà che manifesta Sé stessa in questi tre. Si può dire che i tre restano tre fintanto che persiste il senso dell'ego. Perciò, nell'aderire all'Essere unitario, dove l'"io", o ego, muore, si ha lo Stato perfetto.
3. "Il mondo è reale", "no, è solo una mera apparenza", "il mondo è consapevole", "no", "il mondo è felicità", "no". A che scopo discuterne? Quello stato è condivisibile da tutti, qualora, abbandonati gli interessi estroversi, si riconosca il proprio Sé e si perdano anche le cognizioni di unità e di dualità, relativi a sé stessi e all'ego.
4. Se si dà una forma a sé stessi, il mondo e Dio appariranno a loro volta con una forma; ma se si è senza forma, chi vedrà una forma e come? Senza un occhio che la vede, come può esserci una forma? Il Sé osservatore è l'Occhio, e quell'Occhio è l'Occhio dell'Infinito.
5. Il corpo è una forma composta da cinque guaine, perciò tutte le cinque guaine sono coinvolte nella parola "corpo". Senza il corpo esiste il mondo? Qualcuno ha visto il mondo senza avere un corpo?
6. Il mondo non è altro che la forma corporea degli oggetti percepiti dai cinque organi di senso. Da che, attraverso i cinque sensi, la mente individuale percepisce il mondo, il mondo è niente altro che mente. Senza la mente, può esserci il mondo?
7. Sebbene il mondo e la coscienza si levino e tramontino, è solo per la coscienza che il mondo è apparente. Quella Perfezione per cui mondo e coscienza si levano e tramontano, ma che risplende senza mai levarsi e tramontare, è la sola Realtà.
8. Sotto qualsiasi nome e forma si venera l'Assoluta Realtà, si tratta soltanto di un mezzo per realizzare Quello senza nome e senza forma. Solo quella è la vera realizzazione, ove ci si riconosce in relazione alla Realtà, si ottiene pace e si realizza la propria identità con Quello.

9. La dualità di soggetto e oggetto e la trinità di vedente, veduto e visione possono esistere solo se supportate dall'Uno. Se ci si rivolge all'interno in cerca della Realtà Unica, tutte queste cose decadono. Coloro che vedono questo, vedono la saggezza. Non sono mai assaliti dal dubbio.
10. La coscienza ordinaria è sempre accompagnata da ignoranza, e l'ignoranza dalla conoscenza; l'unica vera Conoscenza è quella per cui si riconosca il Sé, attraverso l'indagine su conoscenza e ignoranza.
11. Non è invero ignoranza il conoscere qualsiasi cosa senza conoscere sé stessi, il conoscitore? Quando si conosca il Sé, che è il substrato di conoscenza e ignoranza, conoscenza e ignoranza scompaiono.
12. Solo questa è la vera Conoscenza, che non è né conoscenza né ignoranza. Quello che sappiamo non è vera Conoscenza. Solo quando il Sé risplende senza altro che debba essere conosciuto o fatto conoscere, Solo questo è Conoscenza. Non si tratta di vuoto.
13. Il Sé, che è Conoscenza, è l'unica Realtà. La molteplicità è falsa conoscenza. Questa falsa conoscenza, o ignoranza, non può esistere separatamente dal Sé, la Conoscenza Reale. I vari ornamenti d'oro sono irreali, poiché nessuno di essi esiste a prescindere dall'oro con cui è fatto.
14. Se esiste la prima persona, io, esistono di conseguenza la seconda e la terza, tu e lui. Indagando sulla natura dell'io, l'io scompare. Lo stato che ne risulta, luminoso come l'Essere Assoluto, è lo stato naturale dell'essere, il Sé.
15. Solo riferendosi al presente esistono il passato e il futuro. Ma anche essi, mentre accadono, sono il presente. Cercare di determinare la natura del passato e del futuro, ignorando il presente, è come cercare di far di conto senza usare l'unità.
16. Fuori di noi, dove sono il tempo e lo spazio? Se siamo corpi, siamo coinvolti nel tempo e nello spazio, ma siamo questo? Siamo uno, identico, adesso, dopo e prima, così sempre, qui e ovunque. Dunque siamo, senza tempo e senza spazio, solo Essere.
17. Per coloro che non hanno realizzato il Sé, come per coloro che l'hanno realizzato, la parola "io" si riferisce al corpo, ma con una differenza: per quelli che non l'hanno realizzato, l'"io" è confinato nel corpo, mentre per coloro che hanno realizzato il Sé interiore l'"io" risplende come il Sé illimitato.
18. Per coloro che non hanno realizzato il Sé, come per coloro che l'hanno realizzato, il mondo è reale. Ma per coloro che non l'hanno realizzato la Verità è adattata a misura del mondo, mentre per coloro che l'hanno realizzato la Verità risplende come Perfezione Senza Forma e Substrato del mondo. Questa è l'unica differenza fra loro.
19. Solo quelli che non conoscono la Sorgente del destino e del libero arbitrio discutono su quale dei due prevalga. Quelli che conoscono il Sé come la Sorgente del destino e del libero arbitrio sono liberi da entrambi. Come saranno ancora ingannati da essi?
20. Colui che vede Dio senza vedere il Sé, vede solo un'immagine mentale. Si dice che chi vede il Sé veda Dio. Colui che, perduto completamente l'ego, veda il Sé, trova Dio, poiché il Sé non esiste separatamente da Dio.
21. Qual è il senso delle scritture che affermano che vedendo il Sé si vede Dio? Come si può vedere il Sé? Se fintanto che si resta nell'individualità non si può vedere il Sé, come si può vedere Dio? Solo diventando la Sua preda.
22. Il Divino dà luce alla mente e risplende all'interno di essa. Non vi è altra via per conoscerlo con la mente che rivolgerla all'interno e fissarla sul Divino.

23. Il corpo non dice "io". Nessuno può discutere che nel sonno profondo l'"io" cessa di esistere. Quando l'"io" emerge, tutto il resto emerge. Con mente attenta si indaghi da dove questo "io" emerge.

24. Questo corpo inerte non dice "io". La consapevolezza della realtà non emerge da lì. In mezzo ai due [corpo - consapevolezza, ndt], e limitatamente alle misure del corpo, talvolta emerge quale "io". Questo è noto come Chit-jada-granthi (il nodo tra la consapevolezza e la materia inerte) e quale legame, anima, corpo sottile, ego, mente e così via.

25. Si manifesta accompagnato da una forma, e perdura finché mantiene una forma. Avendo una forma, la nutre e la fa crescere. Ma se si indaga, questo spirito maligno, che non possiede una forma propria, abbandona la presa alla forma e prende il volo.
26. Se l'ego c'è, tutte le altre cose ci sono. Se l'ego non c'è, nessun altra cosa c'è. Dunque indagare su cosa sia questo ego è l'unica via per liberarsi da tutto.
27. La stato in cui non emerge alcun "io" è lo stato dell'essere Quello. Senza ricercare quello Stato di non-emergenza dell'"io" e ottenerlo, come si può raggiungere la propria estinzione, da cui l'"io" non ritorna? Senza questo compimento come si può restare nella propria vera natura, dove si è Quello?
28. Come ci si deve tuffare per recuperare qualcosa che è caduto nell'acqua, così occorre tuffarsi in sé stessi, con mente affilata e concentrata, controllando la parola e il respiro, per trovare il luogo ove l'"io" trae origine.
29. L'unica indagine che conduce alla realizzazione del Sé è la ricerca della Sorgente dell'"io". Meditare su "Io non sono questo; io sono Quello" può essere d'aiuto, ma non può essere l'indagine.
30. Se si investiga "Chi sono io?" nel profondo della mente, l'"io" individuale decade appena si raggiunge il Cuore e immediatamente la Realtà manifesta sé stessa spontaneamente come "io-io". Sebbene si riveli come "io", non si tratta dell'ego, ma dell'Essere Perfetto, il Sé Assoluto.
31. Per colui che è immerso nella Beatitudine del Sé, che sorge dall'estinzione dell'ego, cosa rimane da compiere? Egli non è più cosciente di niente altro che del Sé. Chi può afferrare il suo Stato?
32. Sebbene le scritture affermino "Tu sei Quello", la meditazione su "Io non sono questo, io sono Quello" è solo segno della debolezza della mente, poiché si è eternamente Quello. Quello che realmente deve essere fatto è l'investigazione su ciò che realmente si è e stabilirsi in Quello.
33. E' altresì ridicolo affermare "io non ho realizzato il Sé" o "io ho realizzato il Sé"; esistono forse due sé, per cui uno è l'oggetto di realizzazione dell'altro? E' una verità dell'esperienza di tutti che esiste un solo Sé.

34. Solo a causa dell'illusione dovuta all'ignoranza gli uomini mancano di riconoscere Quello che è sempre e in tutti la Realtà intrinseca, posta nel centro del Cuore, e di stabilirsi in Essa, mentre discutono piuttosto sulla sua esistenza o inesistenza, sul fatto che abbia o non abbia forma, o che sia duale o non duale.

35. Ricercare e stabilirsi nella Realtà, che è sempre compiuta, è l'unico conseguimento. Tutti gli altri conseguimenti (siddhi) sono come oggetti acquisiti in sogno. Possono apparire reali a chi si è risvegliato? Possono illudere coloro che si sono stabiliti nella Realtà e sono liberi da Maya?

36.Solo se ricorre il pensiero "io sono il corpo", la meditazione su "io non sono questo, io sono Quello" aiuterà a stabilizzarsi in Quello. Perché dovremmo pensare per sempre "io sono Quello"? Si rende necessario forse per un uomo pensare "io sono un uomo"? Non siamo sempre Quello?
37. L'asserzione che dice "Dualismo durante la pratica, non-dualismo alla Realizzazione" è altresì falsa. Mentre si è in ansiosa ricerca, così come quando si è realizzato il Sé, chi altro si è se non il decimo uomo?[1]

38. Finché ci si percepisce agenti, si raccolgono i frutti delle azioni, ma appena si realizza il Sé attraverso l'indagine e si comprende chi è l'agente, il proprio senso di essere agente decade e il triplo karma[2] cessa. Questo è lo stato dell'eterna Liberazione.

39. Solo fino a quando ci si pensa legati, si pensa alla Liberazione. Quando si indaga su chi sia legato si realizza il Sé, eternamente compiuto ed eternamente libero. Quando il pensiero del legame svanisce, può sopravvivere il pensiero della Liberazione?

40. Se è stato detto che la Liberazione è di tre tipi, con forma, senza forma, o con-e-senza forma, lasciate che io vi dica che l'estinzione delle tre forme di Liberazione è l'unica vera Liberazione.

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[1] - Si riferisce a una storiella tradizionale che narra di dieci sciocchi che viaggiavano assieme. Costretti ad attraversare un fiume, giunti sull'altra sponda decisero di contarsi, per verificare che tutti fossero giunti sani e salvi. Ciascuno contò a turno, ma ognuno contava soltanto i nove altri dimenticando sé stesso. Così conclusero che il decimo doveva essere annegato e iniziarono a piangerlo. Allora passò di lì un viaggiatore e chiese loro cosa fosse accaduto. Subito comprese il loro errore e per convincerli che nessuno era annegato,  li fece avanzare uno alla volta davanti a sé e, dando uno schiaffo a ciascuno, chiese di contare i colpi.
2 - Sanchita, Agami e Prarabdha.


Fonte: http://www.advaita.it/concetti/realtà.htm

Fonte secondaria: http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/vedanta/quarantaversi.htm