I sogni di un filosofo. Vale la pena di riferire Baillet: «Un altro trattato in forma di discorso, intitolato
Olympica, solo di dodici pagine, che aveva al margine, in inchiostro più recente ma sempre
della mano dell'autore, una nota che ancor oggi dà da fare ai curiosi. I termini in cui era
redatta suonavano: '11 novembre 1620: ho cominciato a intendere il fondamento della
scoperta meravigliosa'; ma né Clerselier, né gli altri cartesiani hanno saputo darcene
una spiegazione. Questa nota si trova di fronte a un testo che sembra convincerci
che questo scritto è posteriore agli altri contenuti nel registro, e che non è stato
cominciato che nel mese di novembre del 1619. Il testo dice, in latino: '10 novembre
1619, mentre ero pieno di entusiasmo e scoprivo i fondamenti di una scienza
meravigliosa ecc.'».[...]
Stando al racconto di Baillet, che sembra essere un fedele riassunto del testo
degli Olympica, Cartesio, quella notte, «aspettava un segno». Sebbene fosse la vigilia
di san Martino, in cui era costume «faire la débauche», il filosofo « aveva passato
la serata e tutto il giorno prima in una grande sobrietà»; «da tre mesi interi non
beveva vino». Di più: «il Genio che suscitava in lui l'entusiasmo che da alcuni giorni gli
scaldava il cervello, gli aveva predetto quei sogni prima che si mettesse a letto». La
scoperta della scienza meravigliosa avvenuta in uno stato di eccitazione intellettuale lo
esalta; ragionamenti e visioni sembrano intrecciarsi. Di qui l'interpretazione del terzo
sogno cominciata in sogno, e prolungata ed estesa senza iato nel risveglio.
Il primo sogno è una sorta d'incubo: alcuni fantasmi spaventano Cartesio mentre
cerca di avanzare per strada, inclinato sul fianco sinistro per una grande debolezza a
destra. Vergognoso di camminare così cerca di raddrizzarsi, quando un vento impetuoso
travolgendolo in una specie di turbine lo fa girare tre o quattro volte sul piede sinistro.
Vede un collegio; cerca di entrare nella chiesa del collegio, dove voleva andare a pregare; si
accorge di avere oltrepassato un conoscente senza salutarlo; fa per tornare indietro, ma
il vento lo respinge con violenza verso la chiesa. In mezzo al cortile qualcuno lo chiama per
nome, lo prega di andare dal Signor N. che gli deve dare qualcosa. Cartesio sa che si tratta
di un melone portato da un paese straniero. Con sorpresa vede che tutti intorno a lui
sono diritti e fermi, e lui solo è curvo e barcollante, pur essendo diminuito il vento.
Qui Cartesio si sveglia, sente un dolore sul fianco e si volta, prega Dio e rimane
pensoso per circa due ore; poi si riaddormenta. Solo dopo il terzo sogno comprenderà
che il vento che lo spingeva verso il tempio era il genio cattivo che lo voleva gettare per
forza in un luogo in cui voleva andare liberamente, mentre il melone significava «i piaceri
della solitudine, ma presentati da sollecitazioni puramente umane».
Del secondo sogno Cartesio non ricorda che un colpo come di tuono che lo
risveglia; vede la stanza piena di scintille, cosa per lui non nuova. Ne trae buon auspicio
e si riaddormenta in una grande calma. Il terzo sogno è il più complesso: sul tavolo
vede un libro, messo lì non sa da chi; lo apre; è un dizionario; se ne rallegra pensando che
gli sarà utile; ecco un altro libro, un'antologia di poeti latini; l'apre e legge: quod vitae
sectabor iter? Vede uno sconosciuto che gli vanta un'altra poesia: Est et non. Cartesio gli
risponde che la riconosce, che e un idillio di Ausonio che si trova nel corpus poetarum;
comincia a cercare. Lo sconosciuto gli chiede dove abbia preso il libro. Cartesio risponde
che non può dirglielo; cerca il dizionario, che è sparito e poi ricompare all'altro lato del
tavolo, ma non più completo. Non trovando Est et non dice all'ignoto di conoscere una
poesia più bella: Quod vitae sectabor iter?. La cerca inutilmente; sfogliando incontra diversi
piccoli ritratti incisi, che non c'erano nella edizione che era solito usare. Poi tutto
sparisce.
Senza svegliarsi comincia a interpretare i sogni: il dizionario è l'insieme delle scienze;
il corpus poetarum l'unita di filosofia e saggezza; il verso quod vitae sectabor iter? il buon
consiglio di un saggio e la teologia morale. Finalmente sveglio, Cartesio continua la sua
esegesi giungendo a identificare nel fulmine, di cui aveva udito il tuono, «il segno dello
Spirito di Verità che scendeva su di lui per possederlo».
È chiaro che così i «sogni», come particolarmente il modo in cui Cartesio li presenta
e li interpreta, presentano non piccoli problemi. Sigmund Freud [...] fece alcuni rilievi
abbastanza significativi: «I sogni del nostro filosofo – osservò – sono del genere che suol
chiamarsi 'sogni dall'alto (Träume von Oben)', ossia formazioni di idee che avrebbero potuto
essere create anche nello stato di veglia [...] e che solo in certe parti hanno tratto la
loro sostanza da stati d'animo profondi. Perciò questi sogni presentano per lo più un
contenuto di forma astratta, poetica, simbolica. L'analisi di questi sogni ci conduce
comunemente a questo: noi non possiamo comprendere il sogno, ma il sognante [ ... ] sa
tradurlo immediatamente e senza difficoltà, dato che il contenuto del sogno è molto
vicino al suo pensiero cosciente». In altri termini le immagini del sogno esprimono
simbolicamente un pensiero già predisposto, che successivamente ritraduce in concetti le
immagini. Del resto proprio questo teorizza Cartesio negli Olympica: «Le cose sensibili
sono adatte a raffigurare le celesti: il vento significa lo spirito, il moto nel tempo la vita, il
lume il pensiero, il calore l'amore, l'attività istantanea la creazione [...] . Può sembrare
strano che gravi sentenze si trovino piuttosto negli scritti dei poeti che in quelli dei
filosofi. La ragione è che i poeti hanno scritto nell'entusiasmo e con la forza
dell'immaginazione (per enthusiasmum et vim imaginationis)».
Tratto da EUGENIO GARIN, Vita e opere di Cartesio, Laterza, Roma-Bari 1984, pp. 39-40, 41-44. - A cura di Alberto ordet3000@yahoo.it