Dove Giordano Bruno e Osho s'incontrano



A dimostrazione che un Dio onnipotente ha presente ogni via per il raggiungimento della sua opera, l'uomo è a immagine di Dio anche nella onnipotenza, ma questo è al di fuori dell'architettura del senso di colpa che ha imposto la "chiesa volendo" mediare - per forza - il rapporto diretto con La forza dell'universo, chi media usura sempre sopratutto se è un messaggio diretta allo spirito, un Dio che ha bisogno dell'uomo per parlare all'altro uomo è già un dio fallito. Non è comprensibile se non si ha la luce dell'intelletto predisposta allo spirito la mente è piena di dogane intellettuali, imposte dalla nostra cultura in cui siamo cullati. Dio non ha tempo spazio e storia.... sono gli uomini che speculano sull'utilità di Dio per soggiogare gli altri uomini... Per fortuna che qualcuno come Giordano Bruno, Krishnamurti, Gesù,  Osho e molti altri lo hanno sentito compreso e trasmesso come a loro è stato possibile..... Un Dio non può scegliere un tempo storico per rivelarsi più tosto che un'altro... farebbe una ingiustizia a chi è venuto prima o a chi è venuto dopo...... Dio usa tutta la storia, tutto il tempo, ogni modo ed ogni via per far nascere la sua onnipotenza in ogni uomo!

Come saluto (ed augurio) vi lascio con alcune considerazioni....




“Verrà un giorno che l’uomo si sveglierà dall’oblio e finalmente comprenderà chi è veramente ed a chi ha ceduto le redini della sua esistenza, ad una mente fallace, menzognera, che lo rende e lo tiene schiavo … l’uomo non ha limiti e quando un giorno se ne renderà conto, sarà libero anche qui in questo mondo”.  (Giordano BRUNO, filosofo, scrittore e frate domenicano nato a Nola [in provincia di Napoli, al centro del Regno Duosiciliano], arso con la lingua stretta da ganasce a 52 anni come eretico dall’Inquisizione cattolica, il 17 febbraio 1600, a Roma)


“In questo consiste l’intera tragedia della vita umana. Tu sei addormentato ed il mondo esterno ti domina creando una mente in base ai loro bisogni. E la mente è un burattino. Quando la tua consapevolezza sarà una fiamma ardente, brucerà tutta la schiavitù creata dalla tua mente. E non esiste beatitudine più preziosa della libertà, dell’essere padroni del proprio destino …”
(Osho RAJNEESH, mistico e maestro spirituale indù, nato a Praisen [distretto di di Madhya Pradesh, al centro della penisola Indiana], morto a Pune a soli 58 anni, il 19 gennaio 1990 per avvelenamento da tallio, di cui era imbevuto il pagliericcio nelle celle USA della Carolina del nord, durante il suo arresto per falsi motivi, 5 anni prima)

Cosa hanno in comune questi due personaggi?

Molte cose, anche se le loro vicende sono distanti nel tempo (quasi 4 secoli) e nello spazio (più di 6'000 km).

Nati al centro di una penisola, in un periodo di splendore intellettuale, predicano entrambi la stessa dottrina: l’uomo, anche se nato schiavo, può diventare libero, trovando la piena, serena, luminosa consapevolezza di sé.

Sono stati soppressi per la loro ideologia, per una visione del mondo che va contro la vulgata corrente, contro i falsi miti su cui si regge il sistema, qualcosa che fa svanire i confini, che azzera le differenze etniche, che abbatte l’aggressività, che rende inutili preti, politici, militari, che rende impossibile la prevaricazione, la violenza, la guerra.

Per i loro seguaci non sono morti ma hanno solo cambiato forma, ed il loro pensiero è ancor più vivo adesso di quando erano nel corpo fisico.

Il sistema, terrorizzato della loro importante presenza, se n’è apparentemente liberato ma li ha, in tal modo, resi immortali.

La loro forza sia con te …

Alex Focus

Chi sperimenta la realizzazione del Sé? “Nella realizzazione del Sé non c’è alcuno a definire cosa sia il Sé”



…andiamo al punto… all’esperienza sconvolgente di tutti i cercatori spirituali che hanno avuto -una sia pur fugace- Conoscenza del Sé…

Dal punto di vista dell’io che si identifica con il corpo e con la mente e riconosce come unica verità lo scorrere del tempo e l’esperienza empirica della vita, sembrerebbe che l’Esperienza del Sé sia una semplice ipotesi od al meglio una sensazione transeunte e sporadica.. Questo sicuramente dipende dalle tendenze mentali esteriorizzanti che catturano l’attenzione della coscienza.

A dire il vero l’Esperienza del Sé è totale, aldilà di ogni dubbio o considerazione sulla ipotetica durata o percorso della vita, temporalità, condizione dell’io, etc. Per cui non si può realmente parlare di “impermanenza” del Sé ma di semplice oscuramento.. e l’oscuramento non è una sostanza bensì oblio.

Per questa ragione anche nella spiritualità laica il riconoscimento della propria natura, in quanto “Io” (coscienza intelligenza) è visto come l’unico accesso al Sé trascendentale ed assoluto.

Questa “intuizione”, se tale si può definire, è chiamato nel tantra yoga “Shaktipat”, nella tradizione cristiana “discesa dello Spirito Santo”, nel sufismo “incontro con l’Amato”, nello Zen si descrive come “Satori”, etc…

Questa esperienza è indispensabile per riconoscere la verità sul Sé.. ma una volta che tale consapevolezza viene
ricoperta dalle tendenze innate oscuranti, viene percepita nella memoria come un’interpretazione della mente.. con la conseguenza di ritenere che l’esperienza sia “ottenibile”, in forma stabile, solo attraverso sforzi prolungati o alla perdita del corpo mente, ovvero alla morte fisica….

In realtà -come dimostra l’evidenza di numerosi realizzati viventi- il corpo mente non è l’ostacolo.. ma lo è la falsa identificazione dell’io con l’apparato psicosomatico… Come accade al sognatore che si identifica con un personaggio sognato… mentre tutti i personaggi indistintamente sono lo stesso sognatore…

Per farla breve il senso della discontinuità nella esperienza del Sé è la conseguenza della schermatizzazione mentale, dovuta all’ignoranza ed all’accumulo di tendenze oscuranti.

Shankaracarya, grande saggio del V secolo d.c., faceva l’esempio della paura provata da un viaggiatore per un serpente incontrato sulla via… in realtà si trattava di una
corda arrotolata.. ma la paura non scompare finchè la consapevolezza del serpente se ne va e viene sostituita dalla consapevolezza che si tratta di una corda arrotolata.

Nella mia vita ho avuto la fortuna di sperimentare la realtà del Sé ed ho conosciuto diverse anime in cui tale stato si manifestava in forma stabile, ed ognuno d’essi negava l’ipotetica impermanenza della realtà del Sé.. definendola semplice “dimenticanza”. Ho fiducia in questa visione ed ho smesso di considerare come un “problema” il sentire tale permanenza, o non sentirla, quindi non interpretando l’esperienza del Sé, come un fatto sporadico occorso in alcuni momenti nella memoria, ma vivendola ed accettandola come un dato di fatto. La mia propria natura.

E’ pur vero che la mente continua a fare i suoi giochi identificandosi di volta in volta con questo o quel pensiero ma che importanza ha il ruolo di cui si riveste? Od il personaggio della recita?


Paolo D'Arpini

Ragioni storiche, prepolitiche e psicologiche della decadenza umana e ambientale



...sulla guerra, personalmente apprezzerei delle considerazioni prepolitiche oltre alle politiche.
Queste ultime sono le più accessibili e opinabili e storicamente ineludibili.

Quelle prepolitiche non riguardano interessi di parte ma umani. Riguardano la natura dell'uomo i suoi sentimenti, le sue consapevolezze e verità.

Se la storia si ripete, se il progresso è solo tecnologico, se le aspirazioni di pace e benessere rimangono generazionalmente sempre identiche a se stesse a mio parere tende a significare che sussistono - nella storia così come la conosciamo - delle dinamiche o una mente, direbbe Bateson - che fa della ridondanza la sua organizzazione per il proprio sostentamento. 

Così come in natura assistiamo all'infinito nella forma - ogni foglia è differente - e all'identica ripetuta struttura nella sostanza, tanto quanto, avviene per il sostanziale Dna e per il formale aspetto cui soggiace. Così vedendo, la storia, ciò che con questo concetto intendiamo, è prodotto naturale, è natura.

Secondo questa premessa, è facile prevedere il futuro: la storia si ripeterà. E per un motivo non banale, per il proprio sostentamento. In natura non sussiste il suicidio.

I pochi sentimenti che abbiamo non appartengono a chi li porta. Essi sciamano tra le unità viventi dando loro vita. Quelle migrazioni possono essere viste come un organismo naturale delegato a tenere a registro l'equilibrio. Come spiegarsi altrimenti la costante percentuale dei sessi tra tutte le specie?

I pochi sentimenti sono, per sintesi, solo due: attrazione e repulsione, amore e odio. Finché saremo coinvolti e identificati con qualcuno delle forme della natura, ovvero, finché non potremo prendere le distanze - permanentemente - dall'identità, che i contesti nei quali viviamo ci hanno fatto credere d'essere, finché non avremo quanto basta per riconoscere che la nascita genera la storia, fino ad allora non vedo come poter emanciparsi dalle forme materiali ovvero tornare ad essere l'Uno, la sola condizione che non implica la guerra, sia tra clave che strategicamente impiegata come strumento di controllo economico-sociale da parte dei pochi poteri finanziari del mondo.

Se l'era dell'acquario dovesse alzare il rischio di condurre l'uomo oltre la propria storia materiale, ne conseguirebbe una riduzione delle guerre. Queste, peraltro trovano humus favorevole nei grandi numeri, entro i quali più facilmente politiche correnti conflittuali di sentimenti hanno le loro ragioni d'essere. Nel grande numero, più facilmente potremo assumere o svolgere il ruolo di chi compie un presunto errore e orrore come sganciare la bomba H, o sgozzare un innocente.

Se politicamente possiamo e dobbiamo prendere posizione, prepoliticamente quella stessa posizione potrebbe vacillare.

Cosa ne pensi?

Lorenzo Merlo

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Mia rispostina: 

"Ritengo che l'andamento taoista che prevede un continuo rigonfiamento e successivo sgonfiamento della forza Yin (l'oscuro) e Yang (il chiaro) sia alla radice  e indicazione degli eventi  trascorsi, correnti e futuri. In periodica e successiva alternanza. Anche nella teoria induista vengono descritte delle ere (yuga) che vanno dalla totale illuminazione o consapevolezza dell'Uno sino ad un digradante oscuramento della coscienza unitaria. 

Secondo questa teoria attualmente viviamo nell'era più tenebrosa, quella di Kali.   Inevitabilmente le forze egoistiche dell'ignoranza prendono il sopravvento in ogni aspetto dell'esistenza e persino sul piano ambientale.  

Ed il primo segnale del degrado psichico e morale lo osserviamo oggi nel cambiamento nelle relazioni fra il maschile ed il femminile può essere considerato un termometro per misurare il decorso della malattia nella specie umana. Tale malattia prese origine con l’avvento dell’era oscura (Kali Yuga), che si fa risalire a circa 5000 anni fa. L’inizio di quest’era, che corrisponde al termine della guerra descritta nel Mahabharata, diede avvio ad un lento processo di decadenza che portò la società egualitaria e sacrale, fino allora vigente in quasi tutto il mondo conosciuto, a deteriorarsi sotto l’influsso sempre più pressante del patriarcato e del senso del possesso.

In Europa quello stesso periodo, definito  tardo neolitico, descritto con dovizia di particolari  dalla studiosa ed archeologa Marija  Gimbutas  si concluse con   l’affermarsi del potere maschile esercitato con la violenza e con la perdita della libertà femminile (tramite l’acquisto della donna a scopo riproduttivo, guerre di razzia, perpetuazione della patrilinearità, etc.). Contemporaneamente abbiamo notizia di simili eventi accaduti anche nell’antica civiltà cinese, ove prese il sopravvento il modello imperialista e controllativo del mondo femminile. Tale momento viene anche evocato nel Libro dei Mutamenti relativamente alla descrizione dell’esagramma “Il farsi Incontro” in cui si immagina il femminile che spontaneamente va incontro al maschile e di conseguenza se ne ricava un giudizio negativo (secondo il criterio patriarcale). Allo stesso tempo, nella lettura dei commenti, si evince che questo “farsi incontro” rappresentava il modo di funzionamento antecedente nella società. Tale mutazione nello stile dei rapporti intergenerici (uomo-donna) è stato considerato l’inizio dell’era dei conflitti (traduzione corretta del significato di Kali Yuga) e chiude la precedente era dell’incertezza (Dvapara Yuga).

Ora dobbiamo esaminare come gli antichi saggi accuratamente descrissero le caratteristiche dell’era corrente evocando una serie di avvenimenti e tendenze che sono facilmente riconoscibili in questo momento storico. E qui riporto alcune affermazioni storiche certificate, vecchie  di migliaia di anni.

“Trovandosi immersi nell’ignoranza, sicuri di sé, ritenendosi saggi, gli sciocchi si aggirano urtandosi a vicenda, come ciechi guidati da un cieco” (Mundaka Upanishad)

“Ora difatti è proprio l’età del ferro, né mai gli uomini cesseranno di soffrire il giorno, per le fatiche e le miserie, e la notte di struggersi per le gravi angosce che gli dei gli daranno. Né allora il padre sarà simile ai figli, né i figli al padre, né l’ospite sarà caro all’ospite, l’amico all’amico, il fratello al fratello come nel tempo passato. Essi avranno in dispregio i genitori, appena cominceranno ad invecchiare, li insulteranno con parole villane; né essi, ai genitori invecchiati, daranno il necessario per vivere, usando il diritto del più forte; infine saccheggeranno a vicenda le città. E allora non vi sarà più gratitudine per l’uomo giusto, ma piuttosto si terrà in onore l’uomo artefice di mali, la giustizia sarà nelle sue mani; il pudore non esisterà più. Il malvagio recherà danno all’uomo dabbene, agli uomini miseri sarà compagna la gelosia, amante del male dall’odioso aspetto… e non ci sarà più scampo dal male” (Esiodo, Opere e giorni).

Nel Linga Purana, antico testo Shivaita,  vengono descritti gli uomini del Kali Yuga come tormentati dall’invidia, irritabili, settari, indifferenti alle conseguenze dei loro atti. Sono minacciati da malattie, da fame, da paura e da terribili calamità naturali. I loro desideri sono mal orientati, la loro scienza è usata per fini malefici. Sono disonesti.
In questo tempo sono in declino i nobili e gli agricoltori mentre la classe servile pretende di governare e di condividere con i letterati il sapere, i pasti, le sedie e i letti. I capi di stato sono per lo più di infima origine. Sono dittatori e tiranni.

“Si uccidono i feti e gli eroi. Gli operai vogliono avere ruoli intellettuali. I ladri diventano Re, le donne virtuose sono rare. La promiscuità si diffonde. La terra non produce quasi nulla in certi posti e molto in altri. I potenti si appropriano dei beni pubblici e cessano di proteggere il popolo. Sapienti di bassa lega sono onorati e partecipano a persone indegne i pericolosi segreti delle scienze. I maestri si degradano vendendo il sapere. Molti trovano rifugio nella vita errante.

“Verso la fine dello yuga gli animali diventano violenti (perché sfruttati n.d.r.).  Gli uomini dabbene si ritirano dalla vita pubblica. Anche i sacramenti e la religione sono in vendita. I mercanti disonesti. Sempre più numerose le persone che mendicano o cercano lavoro. Quasi tutti usano un linguaggio volgare e che non tiene fede alla parola data. Individui preminenti senza moralità predicano agli altri la virtù. Regna la censura… Nelle città si formano associazioni criminali. L’acqua potabile mancherà, così pure la frutta. Gli uomini perderanno il senso dei valori. Avranno mali al ventre, ed  i capelli in disordine. Verso la fine dello yuga l’aspettativa di vita non andrà oltre l’adolescenza,. I ladri deruberanno i ladri. Molti diverranno letargici e intorpiditi, le malattie saranno contagiose. Topi, serpenti e insetti tormenteranno gli uomini. Uomini affamati e impauriti si troveranno nei pressi del fiume Kausichi. Alla fine di questa era un po’ ovunque nel mondo si diffonderanno i praticanti di riti sviati. Persone non qualificate si spacceranno da esperti. Gli uomini si uccideranno l’un l’altro e uccideranno i bambini, le donne e gli animali. I saggi saranno condannati a morte”.

Tuttavia, ancora secondo il Linga Purana, alcuni uomini potranno raggiungere in breve tempo la perfezione. In un certo senso il Kali Yuga è un periodo privilegiato. I primissimi uomini delle ere antecedenti, ancora prossimi al divino, erano saggi in una società di saggi. Ma gli ultimi uomini, questi del Kali-yuga, avvicinandosi all’annientamento, si avvicinano anche al principio in cui tutto ritorna alla sua fine. 

In mezzo alla decadenza morale, alle ingiustizie, alle guerre, ai conflitti sociali e alla persecuzione del femmineo, che caratterizzano la fine di questo yuga, il contatto con il divino, per via discendente, diviene più immediato.

In una società dove tutto è già perfetto, gli atti vengono compiuti automaticamente nel bene, mentre in una società degradata occorre discriminazione e coraggio.

Troviamo descrizioni di una tale fine di un’epoca persino in testi apocalittici giudeo-cristiani, compreso quello di S. Giovanni,  che evidentemente si ispirano alle stesse fonti antiche sopra menzionate.

In uno Shiva Purana, nel Rudra Samhita, di molto precedente l’epoca cristiana, viene detto: “La fine del mondo attuale sarà provocata da un fuoco sottomarino, nato da un’esplosione simile a quella di un vulcano, che consumerà l’acqua che i fiumi hanno riversato nell’oceano. L’acqua traboccherà dall’oceano e inonderà la terra. Il mondo intero sarà sommerso”.

Abbiamo visto che, tra i fenomeni caratteristici del Kali Yuga troviamo la comparsa di false religioni antropocentriche che allontanano l’uomo dal suo ruolo sulla Terra e servono di pretesto alle sue predazioni, ai suoi genocidi, e lo portano infine al suicidio collettivo. Le religioni della città prendono il sopravvento sulla religione della Natura, questo è l’inizio della decadenza, che   corrisponde all’affermarsi  delle religioni monoteiste. Si trattava di creare delle fedi illusorie che pervertissero la vera religione della Natura. Ad esempio la creazione di queste nuove religioni (o ideologie) è avvenuta in occidente prima come ebraismo e successivamente nelle sue trasformazioni: cristianesimo e islamismo.

Queste religioni, quali che siano stati il carattere e le intenzioni dei fondatori originari, sono diventate essenzialmente religioni “di stato”, a carattere moralistico. Hanno dato modo a un potere patriarcale centralizzato di imporre un elemento di unificazione e controllo su   popolazioni diverse. Ovunque, queste religioni, pur parlando di amore, uguaglianza, carità, giustizia, sono invero pretesto e strumento per conquiste culturali e materiali. Il massacro delle popolazioni avvenuto che tuttora avviene in varie parti del mondo in nome delle religione, è un dato storico innegabile.

La posizione della donna in tutte queste religioni è secondaria e perciò giustifica l’oppressione di genere. Se e quando il femmineo sacro e la spiritualità della Natura riusciranno a trovare un autonomo e sincero modo espressivo nella nostra società, l’era oscura, e dei conflitti, potrà considerarsi conclusa.

Paolo D’Arpini

Muri divisori, nella mente



Un articolo di dicembre 2008, di Padre Pietro, sui muri che sorgono qua e là nel mondo, ha stimolato un pensiero latente che voleva sbucare fuori; l’ho concretizzato in queste righe e vorrei fare partecipi i nostri lettori per mandare un altro messaggio: il macrocosmo è presente anche nel microcosmo; il dialogo mondiale è ben rappresentato nel dialogo in famiglia, ma è rappresentata anche la sua assenza o la sua interpretazione sbagliata.

Padre Pietro ci dice che la parola dialogo è ormai una sorta di spot pubblicitario, adesso si dice che è trendy; sono perfettamente d’accordo, anche perché la maggior parte delle persone che ne abusano, difficilmente si sono interessati di leggerne l’etimologia, per comprendere fino in fondo il reale significato e magari metterlo in pratica veramente.

Il dizionario ci propone la parola dialogo come composta da logos e dia, cioè discorso e tra, quindi discorso tra persone. Invece in altri significati viene proposto come pièce teatrale, dunque come qualcosa che non può essere definito discorso tra, ma discorso a. Ecco che questo significato è totalmente opposto a quello primario, perché presuppone la figura di qualcuno ascolta e di altri che parlano, senza dialogo, ovviamente.
A mio avviso è quello che succede oggi tra la gente di tutto il mondo. 

Dall’ascolto poi, elaborando le parole, si modifica il concetto, secondo la comprensione di ognuno e ci si pone verso altri per un nuovo dialogo distorto. Questo succede tra i mass-media e succede, purtroppo, anche e soprattutto in famiglia.

Spesso c’è un muro tra noi e siamo noi stessi ad erigerlo, per poi lamentarcene, un po’ come succede nel mondo.

Qualcuno di quelli che erano là, a Berlino, nel 1989, sicuramente è già tra quelli che usano cazzuola e cemento oggi, in un’altra parte del mondo. Ricordo che in quell’anno si parlava di tanti che si appropriavano dei pezzi di muro per venderli come souvenir. Guardavo le immagini alla TV e mi ripetevo: “speriamo che quei pezzi non vengano utilizzati altrove…”.

Padre Pietro ci parla di muri, della grandiosità di opere che dividono le genti; io vi vorrei parlare di altri muri, di quei piccoli muri che dividono i sentimenti.

I muri che ho in mente sono quelli che ci costruiamo tra coniugi e coi figli.

Un simpatico film, di qualche anno fa, che ironizzava su questi fatti, dal titolo: “Separati in casa”, rendeva benissimo l’immagine, concretizzando con mattoni e malta quello che talvolta succede oggi nelle nostre case. Tanti, per incomprensioni varie, vivono praticamente come separati, un po’ per questioni economiche, un po’ per ipocrisia. Ma la cosa peggiore è l’incapacità, la non volontà, la scarsa umiltà di decidere l’apertura di un dialogo. Sempre pronti ad accusare l’altro, sempre attenti a scaricare ogni responsabilità per non sentirsene gravati, i separati in casa soffrono e fanno soffrire. Di solito questi fantomatici muri nascono proprio dal non-ascolto, dall’incapacità nell’esposizione dei pensieri, dall’egoismo di qualcuno che pretende di “dirigere” la famiglia o di avere attenzione e amore senza darne agli altri. I figli vivono talvolta in stato di sudditanza, oppure diventano piccoli tiranni, lacerando quel fragile tessuto delle nostre nuove famiglie.
Pochi si mettono in discussione e pochissimi sono capaci di accettare i torti, di convincersi che ci sono anche rinunce o che, per amore, si può lasciare più spazio agli altri; questi sono i nuovi muri, quelli che mi spaventano di più. I muri nelle famiglie creano talmente tante tensioni da scatenare anche violenze incredibili e, un tempo, impensabili. I recenti fatti ne sono la più cruenta dimostrazione. Le guerre non sono più solo tra i popoli e le nazioni, ma tra genitori, figli, parenti, amici, vicini di casa, conoscenti.

Sono questi i primi muri da abbattere. E’ questo il vero dialogo di cui abbiamo bisogno.

Dovremmo cominciare a modificare il nostro pensiero e immaginare le nostre famiglie come le cellule viventi di un grande organismo; poiché le cellule di ogni creatura vivente funzionano bene quando al loro interno tutto è sano e limpido e c’è passaggio di informazioni. Perché, dunque, non si può pensare che anche le nostre famiglie siano un po’ come le cellule di un corpo ben più grande che è la Terra tutta intera? Non dobbiamo più stupirci se tanta gente si ammala e muore di cancro, che altri non è che la degenerazione delle cellule del corpo per un dialogo interrotto; il cancro lo abbiamo anche fuori di noi, intorno a noi, in questa società che va alla deriva e ancora non ha capito che è solo “l’amore che move il sol e l’altre stelle”.

Franca Oberti


Illuminazione e la funzione del Maestro



Scrive Yolanda: "Ora capisco il passo dell'Apocalisse a proposito dei molti maestri del nostro tempo. Non si tratta d'altro che dell'estenuante balzello della pretesa umana di superarsi: creare una pseudo sicurezza effimera,quando l'unica sola,vera realtà è che siamo gettati allo sbaraglio e cerchiamo annaspando, un orientamento.Tentare di sistematizzare informazioni,amministrare la realtà è un vecchio tema illuminista.Dopo i nuovi umanisti siamo noi a doverlo fare,con la ricerca che si sposta ai piani "alti", verso la pretesa di riconoscere il piano coscienziale. E così, partendo dalle acquisizioni dei grandi , veri maestri del passato, rincorriamo l'illuminazione o vendiamo l'illusione di una conoscenza che di per se stessa è sempre limitata, ma anche confortante in qualche modo, rispetto al vuoto o a quella costruzione tenace che chiamiamo Verità di fede. Un vero maestro di vita è colui che insegna che non esiste una sola realtà ma tante quante noi siamo e tante quanti siano i piani coscienza.. Incontrollabili per una mente non allenata con la meditazione.. non esistono maestri, ma solo compagni di cammino o semmai insegnanti di tecniche."

Io guru, tu guri, egli gura...

Mia rispostina: "... E' vero che ognuno per se stesso deve compiere il ritorno allo stato originario ma se non subentra il "risveglio" attraverso il contatto diretto simpatico con un maestro realizzato non potrà mai compiersi l'alchimia. Tale contatto non significa "insegnamento" ma solo diretta "rivelazione" della propria natura. Quando lo stoppino è asciutto spontaneamente si accende al contatto con un'altra lampada già accesa. E non parlo qui dei maestri del passato. No,parlo di maestri del presente, maestri del momento presente che appaiono spontaneamente senza cercarli solo quando il discepolo è maturo... è un fatto automatico. Un vero Maestro non ha bisogno di dichiararsi tale, non è lui che si fa maestro... Il Maestro è il Sé e se appare in una forma viene riconosciuto in quella forma da chi è maturo abbastanza da poterlo riconoscere, in quanto Sé, non in quanto un "maestro" separato... allo stesso tempo ci si rivolge a lui chiamandolo Maestro, ma è implicita la comune appartenenza allo stesso Essere"

Paolo D'Arpini

Il mistero delle piramidi d'Egitto


Malgrado gli oltre duecento anni di studi e di scavi archeologici condotti in Egitto, non è ancora stata fornita una spiegazione razionale al mistero della costruzione delle piramidi. Sono infatti state avanzate svariate ipotesi, che però sono mai riuscite a svelare questo mistero.

Le sconcertanti piramidi di Giza

Sull’altopiano di Giza, a pochi chilometri dalla capitale egiziana (Il Cairo), si ergono le vestigia del Mondo Antico, tra cui le tre piramidi di:
-    Cheope
-    Chefren
-    Micerino

La più grande, Cheope, è nota come una delle sette meraviglie del mondo, ma anche come la straordinaria testimonianza dell’ingegnosità dei costruttori dell’antichità, che non ha nulla da invidiare al genio dei moderni ingegneri.

Gli egittologi, infatti, si interrogano ancora oggi sul mistero della costruzione di questi monumenti, che sono probabilmente tra i più famosi al mondo.

La piramide di Cheope in particolar modo, anche chiamata la Grande Piramide, è forse una delle costruzioni più impressionanti esistenti sulla faccia della Terra, assieme alla Grande Muraglia Cinese. La piramide misura 230 metri in larghezza  e 137 metri in altezza, sebbene originariamente fossero 146. I 9 metri mancanti sono infatti scomparsi a causa dell’erosione. Probabilmente venne eretta tra il 2590 e il 2565 a.C.

Come sono state costruite le piramidi egizie?

In origine l’intera piramide era ricoperta di uno strato calcareo di colore bianco brillante, proveniente dalle colline di Tura, che la faceva risplendere nel raggio di decine di chilometri.

Della piramide esistono dati noti o presunti, che tuttavia non forniscono la chiave dell’enigma. Si sa, ad esempio, che servirono dai 20 ai 25 anni per costruire la piramide di Cheope.

Contrariamente a quanto è stato detto, sembra che alla costruzione abbiano preso parte operai volontari anziché schiavi. Gli operai lavorarono in periodo di piena. Le loro motivazioni rimangono ancora vaghe, ma sembrerebbe che lo facessero volontariamente per rendere omaggio al loro sovrano e quindi ingraziarselo oppure, più prosaicamente, per guadagnarsi da vivere durante la stagione morta.


Venne impiegato un ascensore nella costruzione delle piramidi?

Per quanto riguarda le tecniche costruttive, molti sono gli interrogativi ancora rimasti senza risposta. Ci si interroga, ad esempio, sul modo in cui gli operai issarono sulla cima della piramide i grandi blocchi di pietra del peso di varie tonnellate.

Utilizzarono forse una rampa che si innalzava via via che la piramide veniva costruita? Questa teoria, che rimane ancora la più diffusa, contrasta con il fatto che per posizionare la rampa, si sarebbe dovuto impiegare un volume di materiale più imponente di quello utilizzato per la costruzione della piramide stessa.

Uno dei fondatori della storia moderna, il greco Erodoto, fece visita alle piramidi verso il 450 a.C. e formulò l’ipotesi che fossero stati impiegati apparecchi di sollevamento. Tuttavia, quelli esistenti all’epoca non sarebbero stati in grado di sollevare blocchi di oltre 10 tonnellate, che sono comunque tra i meno pesanti impiegati per la piramide di Cheope.

Secondo altri studiosi, gli antichi Egizi avrebbero forse utilizzato un ascensore obliquo per fare salire blocchi di oltre 40 tonnellate fino alla cima della piramide, servendosi della grande galleria centrale a mo’ di slitta e di blocchi di pietra come contrappesi, ma questa rimane soltanto un’ipotesi.

Il mistero resta dunque ancora irrisolto, visto che non si comprende in che modo gli Egizi dell’epoca avrebbero potuto costruire un tale congegno.

Se sembra ormai appurato che le piramidi fossero tombe o cenotafi (ossia monumenti commemorativi di personalità sepolte altrove), ci si interroga ancora sulla simbologia e sull’esatta funzione della forma piramidale triangolare a quattro facce coincidenti con i quattro punti cardinali, una particolarità pressoché unica al mondo.
 
Tara.