Era il 2 giugno 1946. La guerra si era appena spenta. Gli italiani
con un referendum, scelsero di istituire una Repubblica in
successione al monarchico Regno d’Italia che sussisteva dal 1861.
La nuova condizione era soprattutto spirituale.
Tutto il resto erano macerie e fame.
Da quei momenti gli italiani tutti
si rimboccarono le maniche sospinti dalla certezza di poter andare
oltre il conflitto nazionale e civile appena terminato, attratti
dalla luce di un futuro totalmente nelle loro braccia e nei loro
occhi.
Nel 1948 si svolsero le prime elezioni
politiche che videro il 97% di votanti. Fin da subito emerse uno
schieramento tra la fazione cattolica (Democrazia Cristiana) e quelle
socialista e comunista (Partito Socialista Italiano e Partito
Comunista Italiano) che avrebbe battagliato e caratterizzato la vita
politica del Belpaese
nei decenni a venire.
L’anno precedente, il 1947, aveva visto il
varo del Piano Marshall. Un progetto statunitense per aiutare
l’Europa a riprendersi dal disastro della guerra. (Solo molti anni
dopo, si insinuerà l’idea che quel piano fosse una strategia
americana per mantenere l’egemonia economica e militare mondiale).
Tra gli anni ‘50 e gli inizi degli anni ‘70
gli italiani seppero risorgere. Se ancora cerchiamo di valorizzare –
soprattutto a parole – il Made in
Italy, oltre a tutta la storia
artistica e alla natura della nostra penisola, lo dobbiamo a quei
decenni folgoranti. Artisti e imprenditori illuminati e una crescente
consapevolezza sociale li caratterizzarono.
Tra di noi italiani, chiamiamo quel periodo gli
anni del boom
economico. Da una diffusa e misera
condizione agreste sovrapposta ad un analfabetismo consistente,
l’Italia passò all’industrializzazione e ad un’ampia
distribuzione della ricchezza. Borghi, paesi, montagne e campagne si
svuotarono a favore di una migrazione verso i centri metropolitani,
soprattutto del Nord Italia.
Col senno di poi perfino le lotte operaie e
studentesche degli anni ‘70, nonché la loro parte sanguinante,
detta Anni di
piombo,
a carico delle loro fazioni armate (Brigate Rosse, Avanguardia
Nazionale, Falange Armata, Fronte Nazionale, Nuclei Armati
Rivoluzionari, Gruppi Armati Proletari, ecc. Wikipedia ne conta 72 di
sinistra e 20 di destra), senza escludere la Strategia
della tensione, azione di un
nostrano deep state di
esclusiva matrice parafascista, per quanto contenessero buone
intenzioni non seppero o non bastarono ad allontanare la morte dello
spirito che fino a quel momento aveva fatto l’Italia. Così, la
liberazione da ipocrisie sociali (disuguaglianze) e valoriali
(contestazione del qualunquismo borghese) da parte della sinistra e,
anticomuniste (destra), per il rischio di divenire un ulteriore
satellite sovietico e per reazione a una cultura di sinistra sempre
più dominante nella vulgata e nelle istituzioni, restarono sterili
battaglie fratricide fine a se stesse, prive di una visione olistica
dei problemi. Che non lasciarono il tempo che trovarono ma in
negativo: fecero da premessa ad un cambio di rotta che si consegnò
dritti diritti in braccio al liberismo. Pure le due italie, quella
del nord e quella del sud, nonostante le politiche assistenziali
messe in atto da tutti i governi dell’epoca, non produssero
l’unificazione che speravano.
Se per gran parte della popolazione, prima
c’era una vita di sussistenza, quegli anni famosi e celebrati,
contennero anche il virus di una successiva, lenta peregrinazione
verso la perdita dell’identità, verso una crescente
insoddisfazione. Lo spirito che aveva guidato quelle generazioni
verso la luce del futuro, non solo l’aveva raggiunta, assuefatta al
nuovo verbo dell’io voglio,
l’aveva consumata. Fu l’avvento dell’edonismo. Erano gli anni
‘90 del secolo scorso. L’egemonia dell’individualismo spezzò
le reni al senso di comunità, solidarietà, umanità. Nel boom
economico l’”Utilitaria per tutti” era stato lo slogan
essenziale e trainante per gran parte del popolo a quell’epoca
vergine, ingenuo e frugale. Ora l’assuefazione di quello stesso
popolo si muove su Suv ed è dedicato all’eccessivo e all’opulente.
Lì, gli hanno insegnato, sta il progresso, il senso della vita. Le
case, da contenitori di famiglie e persone, sono divenute rimessaggi
di merci, accessori, duplicati, tecnologia scambiata per progresso.
La cultura nazionale cedette il proprio spazio,
senza proferir parola, allo tsunami globalista. La liberalizzazione
delle Tv, la diffusione del Web, la facilità di viaggiare, il
presunto diritto al tempo libero, liquefecero (Zygmunt Bauman) i
pilastri delle identità culturali locali. I solchi della storia
entro i quali si erano sviluppate, si erano riempiti di rifiuti,
scarti prodotti dal cosiddetto progresso, e di nuove attrazioni,
molto simili ai frammenti di specchio che gli spagnoli mostravano ai
nativi per imbambolarli e depredarli. La società era ormai liquida
perché nessun valore la distingueva più dalle altre. Il globalismo
aveva compiuto la sua opera spirituale.
In pochi decenni la Bella
Italia buttò a mare le sue doti:
non c’è quasi costa, valle, paesaggio che non sia stato deturpato
da un’architettura e da una politica incapace di scegliere per il
bene comune. Il turismo – fino a poco
sembrava un talento naturale italiano – per politiche clientelari
fa ora fatica a richiamare il mondo che a suo tempo aveva celebrato
la Bella Italia. In pochi decenni anche la Destra e la Sinistra
persero di vista la loro missione originaria. I cosiddetti
progressisti non rappresentano più gli strati deboli, sebbene
numericamente crescenti. Con l’abbraccio al liberismo si trova a
esprimere se stessa secondo una sintassi politica neocapiltalistica.
Idonea a prendere le distanze dai suoi ideali ordinari e capace di
dialogare e fraternizzare con i detentori dei poteri. La Destra,
anch’essa macinata dagli ingranaggi produttivistici, non esprime
più nulla della sua verve spirituale.
Così, la credibilità della politica,
sviluppatasi sotto il controllo economico-mercantile, non ha più
legame con il suo elettorato. Dagli anni ‘70 del secolo scorso, la
partecipazione alle elezioni, salvo qualche non significativa
interruzione, è sempre scivolata verso il basso.
Le ideologie hanno fatto il loro tempo, sebbene
ci sia ancora tutto un popolo che cerchi di tacere la parte restante,
tacciandola di fascismo. I grandi valori di emancipazione sociale
delle classi meno abbienti si sono trasmutati nella cura di diritti
di minoranze che, in una società spiritualmente governata, non
avrebbero alcuna necessità di essere protette, in quanto lo
sarebbero implicitamente. Il rispetto delle persone, del diverso, ha
bisogno di leggi ad hoc soltanto in un contesto culturale dove la
prevaricazione, la paura, l’esigenza di sicurezza fanno parte dei
pensieri degli individui. Invece, il politicamente corretto è
divenuto così un linguaggio, una psicologia. Non attenersi significa
offendere qualcuno e avviarsi all’emarginazione.
Nel frattempo debito pubblico e disoccupazione,
nonostante generazioni di politici ne abbiano promesso la riduzione,
è in costante incremento e, ovviamente, senza possibilità di
arresto, ne, tantomeno, di riduzione.
Ora l’Italia è agli ordini globalisti,
europei, della Nato americana, del becero mercato intorno al quale,
insieme ad altri balla la danza della pioggia di denaro. Ma va ancora
per il mondo a sventolare il gran pavese del Made
in Italy. E qualcosa riesce a fare,
ma solo da parte di qualche iniziativa imprenditoriale privata e solo
nei confronti di una clientela internazionale che cerca di sottrarsi
alla miseria della postmodernità vantando una San
Pellegrino nel proprio carnet di
conoscenze. L’incremento di psicopatologie, la diffusione smisurata
di farmaci, l’aumento di obesi sono solo tre aspetti che meglio del
Pil e delle fanfare autocelebrative rappresentano lo stato italiano e
quello occidentale più in generale.
In questi tempi segnati dal virus abbiamo
assistito a politiche sulle quali saranno scritti molti libri. In
tutti, certamente, non mancherà di essere presente quanto quelle
scelte, proclamate in nome della salute pubblica, non vi fosse invece
un definitivo segno di sudditanza al mercato, ai poteri forti, alla
svendita dell’Italia.
Altrove ho sostenuto – come altri autori ben
più qualificati di me – il valore spirituale di una crisi. La
crisi è una morte e senza di questa non c’è rinascita.
Lorenzo Merlo - www.victoryproject.net