USA. In memoria dell'ignobile massacro del fiume Sand Creek - Statunitensi massacratori ieri come oggi


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E’ passato oramai un secolo e mezzo dal massacro del fiume Sand Creek ed il suo ricordo, a poco a poco sempre più lontano, permane nella memoria delle generazioni che si succedono.
All’alba del 29 novembre del 1864, un contingente dell’esercito degli Stati Uniti attaccò le tribù Cheyenne ed Arapaho accampate presso un’ansa del fiume Sand Creek, dove si trovavano per svernare.
Seicento tra vecchi, donne e bambini. La quasi totalità dei loro guerrieri era altrove, lontani per cacciare bisonti.
Ad attaccare quegli indifesi,  settecento soldati dell’esercito statunitense, agli ordini di un tutt’altro che prode colonnello Chivington, un altro che non aveva mai nascosto il suo disprezzo ed il suo odio per i nativi americani.
Come risultò dall’indagine successiva, molti tra i soldati americani erano ubriachi e privi di disciplina, perché reclutati alla svelta tra gruppi di volontari che avevano scelto i territori indiani invece che combattere sul fronte della guerra civile, allora in pieno svolgimento.
Non si trattò di uno scontro tra valorosi, come altri nella Storia dei popoli ma di una carneficina in nome dell’odio insensato e dell’espansionismo privo di scrupoli.
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Ai bianchi facevano gola certi territori, certi giacimenti, certe tratte commerciali. Gli indiani erano un impedimento e furono trattati secondo un copione messo in scena ancora molte altre volte, in molte altre parti del mondo.
Perché gli indiani erano accampati proprio lì? Perché avevano ricevuto assicurazioni che non sarebbero stati in pericolo.
Perché si erano fidati? Perché i rapporti con i bianchi, malgrado alcuni alti e bassi, erano stati tutto sommato pacifici ed erano stati firmati dei trattati apparentemente sempre rispettati.
I capi indiani più vecchi probabilmente capivano che i nativi non potevano nulla contro la potenza militare dei bianchi e cercavano di salvare il salvabile, mostrandosi leali, rispettosi, amichevoli. Si sbagliavano.
All’alba del 29 novembre 1864, Cheyenne e Arapaho capirono bene quanto niente valesse la parola dell’Uomo Bianco.
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Lo capì bene per primo Antilope Bianca, capo indiano di 75 anni: corse incontro ai soldati a mani alzate ritrovandosi ammazzato, il corpo mutilato poi dai coltelli. Naso, orecchie, dita, genitali furono usati come trofei.
Lo capirono bene tutti coloro che quel giorno si ritrovarono in pericolo di vita, feriti o morti e, da morti, senza pezzi del loro corpo. Uomini o donne che fossero. Perché anche da morti, i loro corpi vennero profanati e da essi presi dei pezzi che finirono ad ornare cappelli, selle, vestiti.
Capirono bene che la parola dell’America non vale niente e che se viene rispettata è solo perché l’avversario ha trattato da una posizione di forza e può far pagare caro il tradimento.

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Storie degli ultimi papi - La commedia del bergoglio: "Poca religione, molta scena (di massa)..." Ed il mistero delle dimissioni di paparatzy


Siamo a metà febbraio 2012  - Papa Ratzinger  non aveva ancora ancora  annunciato le sue dimissioni, ma erano nell'aria, c'erano state minacce di attentati  accompagnate  da una campagna mediatica proveniente dagli USA che lo accusava di varie nefandezze.

La mia  prima ipotesi, avanzata allora,  era relativa alla minaccia, fatta dai "fratelli maggiori" di far  scoppiare uno scandalo epocale sul Vaticano a causa della pedofilia dei sacerdoti di cui il Papa ne sarebbe stato in parte complice avendo cercato di coprirla con ogni mezzo o addirittura avendo partecipato attivamente alla partita...

La seconda potesi (per  me la più credibile),  è quella economica, ovvero la lotta all'ultimo sangue per scardinare il potere finanziario vaticano condotta dagli stessi "fratelli maggiori" (quelli che controllano la finanza mondiale e tutte le banche centrali del mondo) contro l'unico potentato bancario autonomo rimasto, quello dello IOR vaticano, che gestisce buona parte di traffici illeciti ed il riciclaggio di denaro sporco. Inoltre il vaticano è il maggior detentore mondiale di ricchezze in immobili e nasconde una quantità abnorme di oro e metalli preziosi sia nei sotterranei vaticani che in tutte le chiese del mondo. Una ricchezza che secondo i "fratelli maggiori" deve cambiar padrone, utilizzando la consolidata tattica del "divide et impera"...

Il che significa che il vaticano sotto ricatto e manovrato da un nuovo papa, "sensibile ai desiderata del nwo" si frantumerà e le sue ricchezze passeranno di mano (nella rapaci mani di chi sappiamo). Una volta effettuata la rapina e screditato il potere di convincimento delle masse della chiesa cattolica, che ancora ha un certo peso, il dominio del mondo sarà cosa fatta,  con tanto di ciliegina sulla torta,  se dovesse attuarsi la così detta "chiesa universale sincretica" con sede centrale a Gerusalemme... (non dimentichiamo la promessa di Trump di fare di Gerusalemme la capitale unica del sionismo).

Però il vecchio proverbio dice: "Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi"... Staremo a vedere.

Paolo D'Arpini
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Ratzinger “deposto” da un complotto gestito dai servizi segreti anglosassoni, con anche la collaborazione di Gianroberto Casaleggio. Obiettivo: insediare in Vaticano l’attuale pontefice “modernista”. Un piano del massimo potere, gestito da personaggi come George Soros e ora messo in pericolo dalla vittoria di Trump. Lo sostiene Federico Dezzani, che evoca “padrini occulti” dietro al pontificato di Bergoglio, di cui profetizza l’imminente declino.
Nonostante il flop del Giubileo e «il sostanziale fallimento dell’Anno Santo», Papa Francesco oggi accelera la svolta modernista: crea nuovi cardinali a lui fedeli e concede a tutti i sacerdoti la facoltà di assolvere l’aborto. «Forse Bergoglio ha fretta, perché sa che il contesto internazionale che lo ha portato sul Soglio Petrino si è dissolto con l’elezione di Donald Trump», scrive Dezzani, secondo cui furono «l’amministrazione Obama e George Soros» a introdurre il gesuita argentino, «in forte odore di massoneria», dentro le Mura Leonine. Bergoglio? Sarebbe «la versione petrina di Barack Hussein Obama», in coerenza col “cesaropapismo”, grazie al quale il potere civile estende la propria competenza al campo religioso, così da plasmare la dottrina «secondo le esigenze del poteretemporale».

Una pratica bizantina, ancora viva nell’Occidente moderno? Senz’altro: «La Chiesa di Roma subisce, dalla notte dei tempi, gli influssi del mondo esterno: re francesi, imperatori tedeschi, generali corsi e dittatori italiani hanno sempre cercato di ritagliarsi una Chiesa su misura». Dopo il 1945, il Vaticano è stato «inglobato come il resto dell’Europa Occidentale nell’impero angloamericano», subendone l’influenza politica, economica e ideologica: «Quanto avviene alla Casa Bianca, presto o tardi, si ripercuote dentro le Mura Leonine». Se poi il potere temporale si sente particolarmente forte e ha fretta di imporre la propria agenda alla Chiesa cattolica, «indebolita da decenni di secolarizzazione della società e in preda ad una profonda crisi d’identità», a quel punto – sostiene Dezzani – spinge più a fondo la “modernizzazione” dello Stato pontificio «cosicché il Papa “si dimetta”, come un amministratore delegato qualsiasi, e gli azionisti di maggioranza possano nominare un nuovo “chief executive officer” della Chiesa cattolica apostolica romana, sensibile ai loro interessi».

Ratzinger “licenziato” dalla Casa Bianca? «Durante la folle amministrazione di Barack Hussein Obama, periodo durante cui l’oligarchia euro-atlantica si è manifestata in tutte le sue forme, dal terrorismo islamico all’immigrazione selvaggia, dagli assalti finanziari alle guerre per procura alla Russia – continua Dezzani nel suo blog – abbiamo assistito a tutto: comprese le dimissioni di Benedetto XVI, le prime da oltre 600 anni (l’ultimo pontefice ad abdicare fu Gregorio XII nel 1415), e alla nascita di un ruolo, quello di “pontefix emeritus”, sinora mai attribuito ad un Vicario di Cristo vivente». L’interruzione del pontificato di Joseph Ratzinger, seguita dal conclave del marzo 2013 che elegge l’argentino Jorge Mario Bergoglio, è una vera e propria “rivoluzione”: «Ad un pontefice “conservatore” come Benedetto XVI ne succede uno “progressista” come Francesco, a un difensore dell’ortodossia cattolica succede un modernista che vuole “rinnovare” la dottrina millenaria della Chiesa». Non solo: «Ad un Papa che aveva ribadito l’inconciliabilità tra Chiesa Cattolica e massoneria ne subentra uno che è in fortissimo odore di libera muratoria».

E ad un pontefice «sicuro che solo nella Chiesa di Cristo c’è la salvezza» segue «un paladino dell’ecumenismo», talmente ardito da dichiarare ad Eugenio Scalfari nel 2013: «Non esiste un Dio cattolico, esiste Dio». Per Dezzani, il fondatore della “Repubblica”, «ben introdotto negli ambienti “illuminati” nostrani ed internazionali», in effetti «è un’ottima cartina di tornasole per afferrare il mutamento in seno alla Chiesa», strettamente sorvegliato dall’élite di potere. Si passa dall’editoriale “Da Pacelli a Ratzinger, la lunga crisi della Chiesa” del maggio 2012, dove Scalfari ragiona a distanza sul pontificato “lezioso” di Ratzinger, rinfacciandogli una scarsa apertura alla modernità, a Lutero ed all’ecumenismo, al dialogo tête-à-tête del novembre 2016, dove Scalfari discetta amabilmente con Bergoglio di “meticciato universale”, «tema tanto caro alla massoneria», interprete del sincretismo culturale che è alla base della modernità stessa, alla cui creazione proprio il network libero-muratorio contribuì, a partire dal ‘700.

Federico Dezzani si concentra su Bergoglio, che considera «la versione petrina di Barack Obama», al punto che «si potrebbe sostenere che sia stato il presidente americano ad installare il gesuita ai vertici della Chiesa»? Sarebbe un’affermazione «soltanto verosimile», precisa, visto che «sono gli stessi ambienti che hanno appoggiato Barack Obama (e che avevano investito tutto su Hillary Clinton nelle ultime elezioni) ad aver preparato il terreno su cui è germogliato il pontificato di Bergoglio». In altre parole, è il milieu «della finanza angloamericana, di George Soros e dell’establishment anglofono liberal». Se si riflette sugli ultimi tre anni di pontificato, continua Dezzani, l’azione del Papa sembra infatti ricalcata sull’amministrazione democratica. Obama si fa il paladino della lotta al surriscaldamento globale, culminata col Trattato di Parigi del dicembre 2015? Bergoglio risponde con l’enciclica ambientalista “Laudato si”. Obama «ed i suoi ascari europei, Merkel e Renzi in testa», incentivano l’immigrazione di massa? Bergoglio «ne fornisce la copertura religiosa, finendo coldedicare la maggior parte del pontificato al tema». Ancora: Obama legalizza i matrimoni omosessuali? «Bergoglio si spende al massimo affinché il Sinodo sulla famiglia del 2014 si spinga in questa direzione».

Gli “automatismi” continuano, estendendosi anche al welfare. La Casa Bianca vara una discussa riforma sanitaria che incentiva l’uso di farmaci abortivi? «Bergoglio allarga all’intera platea di sacerdoti, anziché ai soli vescovi, la facoltà di assolvere dall’aborto». Ma è possibile «insediare in Vaticano» un pontefice «in perfetta sintonia con l’amministrazione democratica di Obama» e, sopratutto, «espressione degli interessi retrostanti», che Dezzani definisce «massonici-finanziari»? E’ il tema della ricostruzione di Dezzani, che parte dalla “resa” di Ratzinger. Se si vuole attuare un “regime change”, il primo passo è «sbarazzarsi della vecchia gerarchia». Dinamica classica, «già vista in Italia con Tangentopoli, che spazzò via la vecchia classe dirigente italiana spianando la strada ai governi “europeisti” di Amato e Prodi». In Germania, la Tangentopoli tedesca «decapitò la Cdu e favorì l’emergere della semi-sconosciuta Angela Merkel». A Firenze, lo scandalo urbanistico sull’area Castello «eliminò l’assessore-sceriffo Graziano Cioni e avviò la scalata al potere di Matteo Renzi». O ancora, in Brasile, dove «lo scandalo Petrobas ha causato la caduta di Dilma Rousseff e la nomina a presidente del massone Michel Temer».

Stesso schema, sempre: «Accuse di corruzione (fondate o non), illazioni infamanti, minacce, sinistre allusioni, carcerazioni preventive, battage della stampa, false testimonianze, omicidi: qualsiasi mezzo è impiegato per “scalzare” i vecchi vertici indesiderati». In Vaticano, nel mirino finirono «Ratzinger e il suo seguito di cardinali conservatori, da defenestrare a qualsiasi costo per l’avvento di un pontefice modernista». Ed ecco, puntale, lo scandalo “Vatileaks”, cioè lo smottamento – lungamente incubato – che ha condotto al ritiro di Ratzinger. L’analisi di Dezzani parte dagli Usa. Aprile 2009: Obama è insediato alla Casa Bianca da appena tre mesi «e con lui quell’oligarchia liberal decisa a sbarazzarsi di Benedetto XVI». In Italia esce “Vaticano SpA”, il libro di Gianluigi Nuzzi che “grazie all’accesso, quasi casuale, a un archivio sterminato di documenti ufficiali, spiega per la prima volta il ruolo dello Ior nella Prima e nella Seconda Repubblica”. Ovvero: «Mafia, massoneria, Vaticano e parti deviate dello Stato sono il mix di questo bestseller che apre la campagna di fango e intimidazione contro Ratzinger».

L’autore, secondo Dezzani, «è uno dei pochi giornalisti italiani ad essere in stretti rapporti con il solitamente schivo Gianroberto Casaleggio: Nuzzi ottiene nel 2013 dal guru del M5S una lunga intervista e, tre anni dopo, partecipa alle sue esequie a Milano». Nuzzi è una prestigiosa “penna” del “Giornale”, di “Libero” e del “Corriere della Sera”: è lecito supporre che «confezioni “Vaticano SpA” e il successivo bestseller “Vatileaks”, avvalendosi delle fonti passategli dagli stessi ambienti che si nascondo dietro Gianroberto Casaleggio ed il M5S»? Ipotetici, veri manovratori: «I servizi atlantici e, in particolare, quelli britannici che storicamente vivono in simbiosi con la massoneria». Il biennio 2010-2011 vede Ratzinger «assalito da ogni lato dalle inchieste sulla pedofilia, il tallone d’Achille della Chiesa cattolica su cui l’oligarchia atlantica può colpire con facilità», infliggendo ingenti danni. “Scandalo pedofilia, il 2010 è stato l’annus horribilis della Chiesa cattolica” scrive nel gennaio 2011 il “Fatto Quotidiano”.

È lo stesso periodo in cui l’argentino Luis Moreno Ocampo, primo procuratore capo della Corte Penale Internazionale ed ex-consulente della Banca Mondiale, valuta se accusare il pontefice Ratzinger di crimini contro l’umanità, imputandogli i “delitti commessi contro milioni di bambini nelle mani di preti e suore ed orchestrati dal Papa”. Poi arriva il 2012, ancora con gli americani in prima linea. Lo rivela Wikileaks, svelando l’esistenza di un documento «indispensabile per capire le trame che portano alla caduta di Ratzinger». È il febbraio 2012 quando John Podesta, futuro capo della campagna di Hillary, scrive a Sandy Newman un’email intitolata: “Opening for a Catholic Spring? just musing…” ossia: “Preparare una Primavera cattolica? Qualche riflessione…”. Già allora, Podesta era «un papavero dell’establishment liberal», capo di gabinetto della Casa Bianca ai tempi di Bill Clinton, nonché fondatore del think-tank “Center for American Progress”, «di cui uno dei principali donatori è lo speculatore George Soros». E Sandy Newman? Creatore di potenti think-tanks progressisti (“Voices for Progress”, “Project Vote!”, “Fight Crime: Invest in Kids”) in cui si fece le ossa, fresco di dottorato, il giovane Obama.

Scrive Newman: «Ci deve essere una Primavera cattolica, in cui i cattolici stessi chiedano la fine di una “dittatura dell’età media” e l’inizio di un po’ di democrazia e di rispetto per la parità di genere». E Podesta: «Abbiamo creato “Cattolici in Alleanza per il Bene Comune” per organizzare per un momento come questo, ma non ha ancora la leadership per farlo. Come la maggior parte dei movimenti di “primavera”, penso che questo dovrà avvenire dal basso verso l’alto». Lo scambio di email hacketrato ora da Wikileaks, aggiunge Dezzani, si inserisce perfettamente nel contesto degli ambienti anglosassoni liberal, «gli stessi dove si discute da anni della necessità di un Concilio Vaticano III che apra a omosessuali, aborto e contraccezione». 

Il mondo ha bisogno di un nuovo Concilio Vaticano, scrive nel 2010 un membro del “Center for American Progress”, che parla apertamente di una “primavera cattolica” «che ponga fine alla dittatura medioevale della Chiesa, sulla falsariga della “primavera araba” che ha appena sconquassato il Medio Oriente».

Di lì a poche settimane, continua Dezzani, «parte infatti la manovra a tenaglia che nell’arco di una decina di mesi porterà alla clamorose dimissioni di Benedetto XVI: è il cosiddetto “Vatileaks”, una furiosa campagna mediatica che attaccando su più fronti (Ior, abusi sessuali, lotte di palazzo, la controversa gestione della Segreteria di Stato da parte del cardinale Bertone) infligge il colpo di grazia al già traballante pontificato del conservatore Ratzinger, dipinto come “troppo debole per guidare la Chiesa”». L’intero scandalo, insiste Dezzani, poggia sulla fuga di notizie, «un’attività che dalla notte dei tempi è svolta dai servizi segreti». Notizie «trafugate» sono quelle che consentono a Nuzzi di confezionare il secondo bestseller, il libro-terremoto che esce nel maggio 2012: “Sua Santità. Le carte segrete di Benedetto XVI”, poi tradotto in inglese dalla CasaleggioAssociati con l’emblematico titolo “Ratzinger was afraid: The secret documents, the money and the scandals that overwhelmed the pope”.

Chi è la fonte di Nuzzi, il cosiddetto “corvo”? «Come nel più banale dei racconti gialli, è il maggiordomo, quel Paolo Gabriele che funge da capro espiatorio per una macchinazione ben più complessa», sostiene Dezzani. Notizie “trafugate” sarebbero anche quelle che compaiono sul “Fatto Quotidiano”, utili a dimostrare che lo Ior, gestito da Ettore Gotti Tedeschi, per il giornale di Travaglio «non ha alcuna intenzione di attuare gli impegni assunti in sede europea per aderire agli standard del Comitato per la valutazione di misure contro il riciclaggio di capitali», né di «permettere alle autorità antiriciclaggio vaticane e italiane di guardare cosa è accaduto nei conti dello Ior prima dell’aprile 2011». Gotti Tedeschi, ricorda Dezzani, verrà brutalmente licenziato dallo Ior il 25 maggio, lo stesso giorno dell’arresto del maggiordomo Gabriele, «così da alimentare il sospetto che i “corvi” siano ovunque, anche ai vertici dello Ior, Gotti Tedeschi compreso».

Notizie “trafugate”, infine, sarebbero anche gli stralci pubblicati da Concita De Gregorio su “La Repubblica” e da Ignazio Ingrao su “Panorama” nel febbraio 2013, «estrapolati da un presunto dossier segreto e concernenti una fantomatica “lobby omosessuale in Vaticano”: sarebbe la gravità di questo documento, secondo le ricostruzione della stampa, ad aver convinto Ratzinger alle dimissioni». Si arriva così all’11 febbraio 2013: durante un concistoro per la canonizzazione di alcuni santi, Benedetto XVI, visibilmente affaticato, comunica in latino la clamorosa rinuncia al Soglio Pontificio. «Fu costretto alle dimissioni sotto ricatto? Era effettivamente spaventato?». Ratzinger smentisce nel modo più netto. Di recente ha ribadito che «non si è trattato di una ritirata sotto la pressione degli eventi o di una fuga per l’incapacità di farvi fronte». E ha aggiunto: «Nessuno ha cercato di ricattarmi».

L’11 febbraio 2013, Ratzinger aveva affermato di «non essere più sicuro delle sue forze nell’esercizio del ministero petrino». Lo si può capire: era «fiaccato da tre anni di attacchi mediatici, piegato dallo scandalo “Vatileaks”». Così, l’anziano teologo – 86 anni – ha scelto le dimissioni. Tutto calcolato? «Le disgrazie del “conservatore” Ratzinger ed il massiccio cannoneggiamento che ha indebolito i settori della Chiesa a lui fedeli, spianano così la strada ad un Papa modernista, che attui quella “Primavera cattolica” tanto agognata dall’establishment angloamericano», scrive Dezzani. «Il Conclave del marzo 2013 (durante cui, secondo il giornalista Antonio Socci, si verificano gravi irregolarità che avrebbero potuto e dovuto invalidarne l’esito), sceglie così come vescovo di Roma l’argentino Jorge Mario Bergoglio: primo gesuita a varcare il soglio pontificio, dai trascorsi un po’ ambigui ai tempi della dittatura argentina». Duro il giudizio di Dezzani: «La ricattabilità è un tratto saliente dei burattini atlantici, da Angela Merkel a Matteo Renzi». Inoltre, il nuovo vescovo di Roma «è salutato con gioia dalla massoneria argentina, da quella italiana e dalla potente loggia ebraica del B’nai B’rith, che presenzia al suo insediamento».

Lo stesso Bergoglio è un libero muratore? «Più di un elemento di carattere dottrinario, dal diniego che “Dio sia cattolico” all’ossessivo accento sull’ecumenismo, fanno supporre di sì», sostiene Dezzani. «Ma è soprattutto l’amministrazione democratica di Barack Obama e quella cricca di banchieri liberal ed anglofoni che la sostengono, a rallegrarsi per il nuovo papa». Bergoglio è il pontefice che «attua nel limite del possibile quella “Primavera Cattolica” tanto agognata (matrimoni omosessuali, aborto e contraccezione)». 

E’ il Papa che «sposa la causa ambientalista», che «fornisce una base ideologica all’immigrazione indiscriminata», che «sdogana Lutero e la riforma protestante». Ancora: è il pontefice che «sostanzialmente tace sulla pulizia etnica in Medio Oriente ai danni dei cristiani per mano di quell’Isis, dietro cui si nascondono quegli stessi poteri (Usa, Gb e Israele) che lo hanno introdotto dentro le Mura Leonine». È anche il primo Papa ad avere l’onore di parlare al Congresso degli Stati Uniti durante la visita del settembre 2015, prodigandosi per «sedare i malumori nel mondo cattolico americano contro la riforma sanitaria Obamacare».

L’ultimo clamoroso intervento di Bergoglio a favore dell’establishment atlantico, continua Dezzani, risale al febbraio 2016, quando il pontefice etichettò come “non cristiana” la politica anti-immigrazione di Donald Trump. Un «incauto intervento», che per Dezzani rivela «il desiderio di sdebitarsi con quel mondo cui il pontefice argentino deve tutto», ma c’era anche «la volontà di mettere al riparo la sua opera di “modernizzazione” della Chiesa». La vittoria di Hillary Clinton, cioè della candidata di George Soros e dell’oligarchia euro-atlantica, «era infatti la conditio sine qua non perché la “Primavera Cattolica” di Bergoglio potesse continuare». Al contrario, «la sua sconfitta ha smantellato quel contesto geopolitico su cui Bergoglio ha edificato la traballante riforma progressista della Chiesa», sostiene sempre Dezzani. «Come François Hollande, come Angela Merkel e come Matteo Renzi, Jorge Mario Bergoglio, benché vescovo di Roma, oggi non è altro che il residuato di un’epoca archiviata». Dezzani lo considera «un figurante senza più copione, fermo sul palco, ammutolito ed estraniato, in attesa che cali il sipario».

«Ultimo sussulto», da parte di Bergoglio, per «blindare la sua opera», il conferimento a tutti i sacerdoti della facoltà di assolvere dal peccato dell’aborto. A ciò si aggiunge «una terza infornata di cardinali (più di un terzo del collegio cardinalizio è ora formato da prelati a lui fedeli), così da imprimere un connotato “liberal” anche al futuro della Chiesa di Roma». Ma, per Dezzani, «è ormai troppo tardi», perché «la ribellione dentro la Chiesa alla sua “Primavera Cattolica” è iniziata». Quattro cardinali hanno di recente sollevato gravi contestazioni al documento “Amoris Laetitiae”, con cui Bergoglio ha chiuso i lavori del Sinodo sulla Famiglia, «contestazioni cui il pontefice non ha ancora risposto». E soprattutto: «Alla Casa Bianca non c’è più nessuno a proteggerlo. Anzi, c’è un presidente in pectore che, forte del voto della maggioranza dei cattolici americani, ne gradirebbe forse le dimissioni sulla falsariga di Benedetto XVI».
Un’analisi buia, estrema e sconcertante. In premessa, Dezzani la definisce “verosimile”. Poi però la sottoscrive senza più incertezze: per Bergoglio, dice, «la fine si avvicina».


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Per i libri del diavolo… grande successo editoriale


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Dietro ogni successo editoriale di livello planetario, come succede da qualche anno a questa parte soprattutto per un certo filone pseudo-spirituale e pseudo-esoterico, c’è sempre un’altrettanta mastodontica mistificazione.
Se ci si chiede infatti perché e come certi libri di un settore tutto sommato minoritario possano vendere tanto (si parla addirittura di cento milioni di copie per il Codice da Vinci o giù di lì) il primo indizio va certamente ricercato nella sindrome del pecorone, da cui è tristemente afflitto il genere umano. Ma la cosa va più in profondità, e il qualunquismo generalizzato di oggi da solo non basta a rendere ragione di certe cifre di vendita. Ci sono altri due (o forse tre, a ben pensarci) motivi ben in evidenza, secondo me: il primo è che oggi la gente, nella banalità di una vita inscatolata e confezionata a livello industriale come quella di oggi del mondo almeno occidentale ha bisogno di qualche valvola di sfogo che la riavvicini in qualche modo a un senso del trascendente, del magico, del soprannaturale con cui l’umanità – o almeno una buona parte di essa -aveva una certa familiarità fino all’illuminismo, quando è stato buttato via il bambino con l’acqua sporca del bagnetto. La cosiddetta “scienza” (cioè in realtà ignoranza dei piani non identificabili sensorialmente: dunque ottusità) ha sepolto in questo modo una parte molto importante – anzi fondamentale – dell’uomo, quella che lo faceva stare in contatto con le sue vere radici e il “vero” senso dell’esistenza, che non si trova certo sul piano esclusivamente terreno.
Dunque questa produzione pseudo-letteraria (ma pseudo-tutto, in realtà,poiché non è che carta straccia) risponde appunto a questa esigenza:ma in modalità di “toccata e fuga” superficialmente, in modo talmente epidermico da potersi paragonare all’inoculazione di un vaccino che reca con sè una minima parte della patologia, di modo che poi se ne sia immuni. Così facendo (e certamente tutto ciò non avviene a caso ma è pianificato, se non intenzionalmente almeno a livello di inconscio collettivo) la gente si illude di avere la sua parte di Soprannaturale mentre non glie ne viene dato che un misero surrogato, un succedaneo fasullo e, appunto ,illusorio: ma al tempo stesso letale perché, dall’altro lato,gli impedisce di entrare in contatto con quelli che sono i veri principi della spiritualità. Intanto tutti si sentono spirituali,e tanto basta.Ma a qualcuno conviene che rimangano così come sono: illusi di aver toccato chissà quale livello di elevazione ,ma fondamentalmente sempre uguali a se stessi,specchio malato della società bacata di oggi.
Un altro motivo è che la massa, secondo un detto latino: “vulgut vult decipit: ergo decipiatur” (cioè “il volgo-la massa- vuole essere ingannato:dunque lo sia”) predilige quelli che potremmo definire “falsi profeti”,perchè essi propongono ingannevolmente un percorso che esime dal duro e impegnativo lavoro interiore; un cammino facile e comodo,in cui adagiarsi con tutto agio, cosa che non può che essere un grosso richiamo all’uomo di oggi, cullato fra elettrodomestici e new age, fra talk show che esibiscono la peggio deficienza dell’universo e corsi di auto-miglioramento (a pagamento, naturalmente), fra Sanremo e meditazione fai-da-te. La favola un po’ fraudolenta di Harry Potter perlomeno aveva argutamente coniato il giusto termine per costoro: “babbani” ,misto fra babbei e villani.
E veniamo allo specifico della “lista nera”, con i nomi più insospettabili, aldilà dell’ormai ampiamente smascherato Dan Brown che si è inventato tutta un’altra “ultima cena” di Leonardo, un priorato di Sion inesistente, una fantomatica Maddalena incinta- nientemeno – che di Gesù (siamo al romanzo rosa) che dà vita alla stirpe dei regnanti di Francia…il tutto preso quasi di peso da un saggio, uscito molti anni prima, di una terna di autori di cui il nostro riprende,poco astutamente,i nomi riassumendoli nel cattivaccio di turno (cosa che gli è costata una causa legale per plagio) . Un minestrone di falsità storiche, artistiche e mitologiche.
E che dire di Paulo Coelho, che nel romanzo che gli ha dato la notorietà, “l’Alchimista”, ha messo in scena come fulcro centrale della vicenda stessa che dà vita al libro, una storia tradizionale ebraica (ma presente anche nel misticismo islamico sufi), quella del poveretto che sogna di trovare un tesoro nascosto lontano lontano; parte e attraverso mille vicissitudini scopre che doveva tornare a casa per scoprirlo sotterrato sotto il suo pavimento. La storia in sé è molto significativa e profonda (ciò che cerchiamo al di fuori di noi lo possiamo trovare solo dentro di noi),ma non è farina del suo sacco. Sacco multimilionario che si è rimpinguato proponendo, se mai avete letto l’amico, personaggi stereotipati e praticamente tutti uguali che parlano come libri stampati, ma tutti con lo stesso, discreto, tono di voce e quasi con le stesse parole, esprimendo ridicole banalità con tono di grande importanza e serietà. Leggere uno dei suoi libri vuol dire leggerli tutti, poiché sono frutto di un insopportabile e al tempo stesso irrealistico clichè.
Passiamo all’”insospettabile” per eccellenza, il “grande” Osho, osannato dai più spericolati aspiranti spirituali da post-it e considerato il non plus ultra delle frontiere dello spirito.Questo furbacchione, che molto probabilmente non scriveva (è morto da parecchi anni) nemmeno da sè i suoi libri ma secondo me li commissionava ad altri (questo però non è provato: è solo una mia congettura, per via della piattezza dello stile,opaco e neutro), era un sorta di tuttologo “spirituale” che sentenziava su tutto ed ogni cosa, con argomenti che rappresentano un pot-pourri di varie tradizioni spirituali (autentiche) mescolando una sottile psicologia con lo yoga, una benevola meditazione con un’esortazione alla “normalità” pressappoco in questi termini: “tutte queste storie dell’esoterismo sono balle: mangiate la vostra colazione, fate la vostra vita…..ecc.” E poi? Una frase del genere è un inno al qualunquismo, anche se può essere scambiata per un’esortazione a godersi la vita.Cosa che naturalmente va benissimo- anzi bisogna- ma che , ahimè, non si può fare se non si mettono i giusti valori al primo posto.
E poi l’altrettanto famigerato Sitchin, il fantasioso per eccellenza, che vantando conoscenze accademiche che non possedeva (la sua presunta conoscenza della lingua sumera, rivelatasi deficitaria) si è inventato le traduzioni del linguaggio cuneiforme più consone alla propagazione del suo impianto “culturale”: cioè che c’è un decimo pianeta da cui provengono i nostri “creatori” (tralasciando le esilaranti motivazioni che li avrebbero spinti fin quaggiù a lavorare di pala e piccone in miniera pur possedendo una tecnologia che gli consentiva di attraversare il sistema solare da un capo all’altro). Dunque noi da essere alienati siamo passati ad essere alieni: non c’è male come salto di qualità.
L’ultimo da prendere in considerazione è Carlos Castaneda, che si salva parzialmente perché almeno nei suoi primi tre-quattro libri ha delineato magistralmente la figura e l’insegnamento davvero rivoluzionario di uno sciamano sui generis ma prototipo dell’uomo realizzato; c’è chi lo accusa di essersi inventato tutto,ma questo non sminuisce il valore dei principi presentati, di assoluta rilevanza e di grande incidenza. Le noti dolenti si presentano quando, alla presunta “scomparsa” del suo maestro Don Juan, Castaneda per poter aver la scusa per continuare a vendere ( e anche lui come gli altri della serie ha venduto milioni e milioni di libri) si è inventato di sana pianta una fantomatica “tradizione tolteca” che nessuno ha mai sentito nominare (non si sa quasi nulla dei toltechi, non ci sono documenti storici a loro riguardo) sfornando un libro dopo l’altro innestandovi anche una tecnica il cui nome è stato copiato da un noto architetto. Non contento negli ultimi anni della sua vita si è dato anche ai corsi a pagamento (profumatissimo) – forse voleva comprarsi un’altra portaerei.
Tutti questi millantatori hanno riempito il mondo di milioni di libri venduti, spargendo frottole e fanfaluche nelle menti dei milioni che amano farsi prendere in giro.
Niente di meglio che concludere con un saggio ammonimento del passato:
“larga è la via che mena alla perdizione e molti sono quelli che vanno per essa, ma stretta è la porta che conduce alla vita eterna; e pochi sono quelli che l’imboccano”.
“Chi sa non parla, chi parla (tanto) non sa”,
La moltitudine è sempre dalla parte sbagliata; se un prodotto letterario di genere ha tanto successo, perciò, qualcosa puzza.
Simon Smeraldo

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