Nonostante le ultime facciate siano tenute in piedi dai mucchi di calcinacci già crollati, il sistema occidentale, esaurito nel potere e nell’economia, sta volgendo al termine. Nel crollo che tutto sta trascinando con sé, si nascondono però opportunità di rinascita.
Nella contrazione generale che tutto ha coinvolto, c’è uno spazio che si espande e respira sotto le macerie della postmodernità. È una vena sottotraccia che non ha ancora il linguaggio idoneo per uscire e pubblicarsi, ma lo troverà. Si tratta delle voci di coloro che in tutto questo degradante decorso, che alcuni non esitano a chiamare catastrofico, riconoscono la presenza arimanica del suo genitore, il materialismo tout court.
Con i suoi figli, l’agnosticismo, il positivismo, il capitalismo, lo scientismo, l’imperialismo; con i suoi nipoti, l’opulenza, l’individualismo, l’edonismo, il culto della personalità e quello del denaro; con i suoi dogmi, il progresso ad infinitum, la tecnologia, il tempo lineare, l’apparire, la prevaricazione del diritto sulla natura, esso forma una famiglia piuttosto invadente e pesante, che elegge la conoscenza logico-cognitiva quale sola idonea a realizzare sapere e verità, e che contemporaneamente oscura e mortifica l’intelligenza del cuore, la conoscenza già presente nell’essere, la bellezza e il talento di ognuno, il senso del bene comune, l’equilibrio individuale e sociale. In generale, tutto ciò che non fa profitto.
Quelle voci sottotraccia appartengono a uomini e donne mute, da molto senza rappresentanza, antesignane dell’astensionismo. Consapevoli che politica e popolo non hanno più alcuna relazione etica, ma rotte diverse e indipendenti.
Ognuna di quelle voci opera a modo suo per estendersi, per aggregarsi in una forza comune. Parlano con circospezione di spiritualità, sanno che può essere facilmente fraintesa e censurata, derisa e vessata proprio da chi si vanta in tutti i colori d’essere paladino dei deboli.
Quegli uomini e quelle donne evitano di citare che stanno solo cavalcando le vie già tracciate dai Maya, dai Toltechi, dagli Egizi, dal Buddhismo, dalla Qabbalah, dal Taoismo, dai Veda e da altre tradizioni tra cui il Cristianesimo – quello vero, non quello posticcio, bigotto e superficiale diffuso a megafono dalla vulgata della religione.
Si aspettano ritorsioni d’ordine vario, soprattutto esclusioni o – perché no – accusa di fascismo, perché sanno che quelle vie per qualcuno, siccome non si possono toccare, siccome la scienza dice che non ci sono, non esistono, non sono misurabili, siccome non sono confermate dal metodo, non vanno bene.
Sanno che i censori sono quelli che risolvono la questione metafisica accusando di ciarlatanismo, convinti, con giusta causa, che la maggioranza crederà a loro. La gestione del virus e della guerra ucraina non bastano infatti ad aprire gli occhi alla moltitudine di genuflessi ubbidienti scientisti. Sono serenamente e convintamente prostrati, hanno tutta la loro famiglia culturale a proteggerli.
Eppure, come con le diete dove, indipendentemente dai risultati, non impari nulla su te stesso e sugli uomini, anche il metodo, che ci addestra a credere solo e soltanto alle predefinite risposte che lo rispettano, impedisce di maneggiare i limiti del materialistico dominio sulla concezione del mondo e tutti i suoi particolari. Per ontologia, in esso non v’è alcuna maieutica, soltanto il necessario per ridurre la realtà a macchina e meccanismo. Inchinati al metodo razional-scientista, non c’è modo di evolvere, se non tecnicamente e tecnologicamente. Tutto il resto, la dimensione sottile ed energetica, castrata sul nascere, recede nell’oblio delle consapevolezze.
Le persone che avvertono la brace sotto le macerie del sistema al collasso – si veda se necessario l’opinione dell’idiota e mostro Putin, come lo definiscono i nostri maestri occidentali, del 9 maggio 2023 – sanno di essere al cospetto di un inesorabile cambiamento storico. Avvertono la storia e l’universo. Vedono la fine della monopolarismo e del modello unico in nome del quale l’Occidente produceva valori, modelli, criteri e verità al fine di esportarli nel resto del mondo e restare in sella al mondo. Sentono il cambio di frequenza energetica del cosmo, sanno che l’uomo non potrà sottrarvisi. Sanno che in tutto ciò risiedono le premesse di un atto evolutivo verso una convivialità nuova.
La latente fioritura delle consapevolezze relazionali della fisica quantistica ne è un segno, in particolare la sua idoneità a svelare la verità del mondo alogico, ovvero di tutto ciò che non sta entro la piccola scatoletta del razionale. Sebbene la sua diffusione nel sociale, la sua penetrazione nella cultura, nell’educazione e nella politica avranno bisogno di tempo per compiersi, è sulla sua presenza che si fonda l’avvento del nuovo paradigma.
All’interno di questo, la spiritualità non genera più un senso di inadeguatezza nelle persone che credono sia una suggestione senza diritto di essere. Spirituale ha un senso elementare. Significa semplicemente riconoscere che dietro ogni nostra espressione creativa, ma anche replicativa, c’è un cuore immateriale, come un’idea, come spesso si usa sintetizzare il cerchio della vita.
Ma significa anche essere nel qui ed ora. Ovvero emancipati nei confronti delle interpretazioni che proiettiamo, credendo appartengano a ciò che vediamo. Una specie di formula alchemica spesso impropriamente declamata. Essere sul pezzo, per dirla in gergo giornalistico, o concentrazione, in quello psicologico; in termini esoterici, essere quanto stiamo facendo, annullare il tempo, divenire eternità. Essere quindi creativi e forti, al meglio delle nostre potenzialità.
Il contenuto della dimensione spirituale si riconosce anche con un sinonimo adatto a questi tempi: benessere fisico e interiore. È una percezione che, come qualunque altra dote, va coltivata ed è allenabile. Come ogni percorso, ha la sua durata, le sue difficoltà, le sue ricadute. Che corrisponderanno in modo direttamente proporzionale alla motivazione di cui disponiamo. È un percorso senza culmine, non soggetto al materialistico, quantitativo positivismo. È una ricerca permanente, da compiersi senza la pretesa del successo. Arrivati in vetta, infatti, altre cime da salire ci si mostrano, altrettanto lontane e impegnative, ma tutte raggiungibili se mossi dalla propria misura, non più in preda a ideologie sotto forma di interessi personali, di orgoglio, di egocentricità.
Muovendosi attraverso se stessi, spogliati dalle autoreferenziali infrastrutture culturali, ci si trova al cospetto di un mondo che, sebbene formalmente identico, è sostanzialmente differente.
Mentre nella fisica quantistica – ma l’avevano detto le Tradizioni da migliaia di anni – dove, a seconda dell’interlocutore, il comportamento delle particelle varia ed esse possono avere carattere ondulatorio o materico, e dove il fenomeno dell’entanglement tende a dimostrare la verità di un mondo alogico libero dall’impostura del tempo-spazio lineare, da quella tridimensionale e da quella della materia quale esclusiva verità, la realtà oggettiva ha ragione d’essere solo in un campo chiuso. Ovvero dove tutto si muove come in una macchina, cioè dove tutte le parti conoscono il loro ruolo e lo eseguono pedestremente. Come in un gioco di società, in una gara sportiva, come in ambito matematico, come nel meccanismo di un orologio. Diversamente, in campo aperto, in tutte le inorganizzabili e impianificabili relazioni umane, credere nella realtà oggettiva è una vera dimostrazione dell’arroganza scientista della conoscenza cognitiva. In ambito aperto sarebbe più opportuno parlare di realtà nella relazione, quale quantistico fenomeno, in quanto dipende da noi, dal nostro sentimento e dall’emozione che ci contiene.
La realtà è dunque una o un’altra in funzione dell’interlocutore, dei sentimenti e delle emozioni. Così descritta, la distanza dalla pretesa oggettività affermata dalla cultura logico-razionalista è massima. Contemporaneamente mostra la sua natura magica. Una natura inaccessibile con gli strumenti del materialismo e, in quanto tale, relegata al ciarlatanismo dalla cultura scientista oggi dominante.
Dunque, una magia dalla quale è doveroso guardarsi, per chi è privo delle consapevolezze opportune. Ma una banalità per chi ha invece il necessario per osservarne la verità, per ricrearne le dinamiche, e dalla quale non si può più prescindere.
Quanto osservato e riferito dalla fisica quantistica non riguarda solo i laboratori dell’infinitamente piccolo. Si presta infatti anche a descrivere la realtà ordinaria. Riguarda quello che pensiamo, facciamo, sentiamo, vogliamo, crediamo.
Se prima vedevamo le cose solo separate, elementi della realtà come il comò, le pattine e il centrino lo sono di un salotto, se prima potevamo usare la forza, forse anche la semplice intelligenza dialettica per sopraffare il prossimo, ora, in modalità quantica, dalla cima di certe consapevolezze, le cose appaiono nella loro contiguità. Significa anche che gli altri sono dei noi a tutti gli effetti, che sopraffare e prevaricare il prossimo è immettere nel reale forze sconvenienti a tutto. Significa avere coscienza che siamo totalmente responsabili della realtà individuale e sociale che viviamo. Essere consapevoli che, senza il nostro autentico impegno, non potremo lasciare alle future generazioni una cultura diversa dall’attuale status quo. Cioè quella delle opposte fazioni, della negazione del rispetto, dell’impiego della forza oggi sempre meno bruta, ma sempre più sottilmente digitale. Significa dedicarsi al superamento dell’egoico dualismo, origine di tutti gli scontri, per realizzare la realtà attraverso il modo della relazione.
La concezione di una realtà attraverso il modo della relazione permette di riconoscere che quanto ci appare ovvio e vero non è che l’appiattimento del nostro genio nei confronti delle descrizioni della realtà che abbiamo appreso dai genitori, dall’ambito di nascita e infanzia, scuola, voci da noi accreditate.
Ma ora che anche la fisica, nel suo passo quantico, ha raggiunto le prospettive che necessariamente relegano la scienza classica a dato minore e autoreferenziale, ora che è divenuto evidente che averla creduta assoluta risulta quantomeno inopportuno alla conoscenza, i signori scientisti, per restare fedeli al culto della Scienza, dovrebbero avvedersi e rivedersi.
Fu impugnando la torcia dei lumi che si credette di poter ridurre la vita a sola materia. Socialmente parlando, fu facile trasferire quelle convinzioni e reificare via via ogni cosa. Tutto ruotò e ancora ruota attorno al perno dell’economia. Niente ha finora potuto godere di più attenzioni del Pil, della produttività, del denaro. E se quello era il perno, sotto al giogo a tirare la pietra della macina c’eravamo tutti noi.
C’è di mezzo un’ecologia della mente, senza la quale convinzioni e dogmi continueranno a intossicarci, a ucciderci vicendevolmente e da soli. Oggi siamo avveduti delle carte che abbiamo in mano. Non vogliamo più giocarle dietro consiglio di qualcuno o di qualcosa d’altro che non sia il nostro sentire. Non vogliamo più creare società, uomini dominati dalla paura che obbliga ad anelare sicurezza, che impedisce di volare, che castra l’atteggiamento creativo, la potenza più infinita. Né individui e società alienate, psicopatiche, per le quali è ordinario e comprensibile lo sfogo della violenza sugli altri e su di sé. Il progresso ci ha messo all’angolo di noi stessi. Ci ha comprato come con gli specchietti comprava i nativi e i colonizzati. È bastato un benefit o un mutuo per la tv al plasma. Ci ha devastato lo spirito creativo. L’uomo del nuovo paradigma potrà recuperarlo.
Lorenzo Merlo