Albert Einstein (1879-1955) è stato il maggiore scienziato del secolo XX ed uno dei più grandi di tutta la storia dell’umanità. Nato in Germania da una famiglia ebrea, seguì il padre e lo zio Jacob nelle loro peregrinazioni in Germania e poi in Italia, nei loro tentativi, non sempre riusciti, di creare aziende nei settori del gas e dell’elettricità. Questa esperienza gli permise però di approfondire fin da ragazzo le conoscenze nel campo elettrico che furono fondamentali per i successivi sviluppi scientifici(1)(2)(3)(4)(5)(6)(7)(8).
Insofferente della disciplina burocratica delle scuole tedesche, si trasferì nel 1996 presso la scuola politecnica di Zurigo, assumendo in seguito, nel 1901, anche la nazionalità svizzera. Tra i suoi professori troviamo il fisico Heinrich Weber (1843-1912) ed il matematico lituano Hermann Minkowski (1864-1909), con i quali i rapporti non furono sempre buoni per il carattere anticonformista di Einstein. Per lo stesso motivo, terminati gli studi, Einstein non riuscì ad avere un incarico di insegnamento e dovette ripiegare su un impiego presso l’ufficio brevetti(1)(2).
L’anno della svolta fu il 1905, anno in cui lo sconosciuto Einstein presentò una serie di rivoluzionarie memorie, ognuna delle quali avrebbe meritato un premio Nobel. Nel numero dedicato a Planck (N. 101) abbiamo già visto come una di queste memorie – dedicata all’effetto fotoelettrico - chiariva il significato fisico del quanto di energia utilizzato da Planck per elaborare una legge del “corpo nero”, quanto che coincideva con un pacchetto discreto e reale di energia. Questa memoria gli fruttò il premio Nobel per la fisica nel 1921(1)(2)(8).
Un secondo articolo forniva invece una semplice spiegazione dei moti browniani, cioè quei movimenti irregolari a zig-zag tipici del polline sciolto in un fluido (acqua o aria) evidenziati nel 1827 dal botanico scozzese Robert Brown (1773-1858). Einstein attribuì il particolare tipo di moto alle spinte subite dal polline ad opera delle molecole del fluido che si agitano per l’eccitazione termica già ipotizzata da Clausius, Maxwell e Boltzmann (NN. 78 – 81 – 94). La spiegazione del grande fisico tedesco fu confermata negli anni successivi dal fisico francese Jean-Baptiste Perrin (1870-1942) con una serie di esperimenti basati sulla diffusione molecolare, sotto l’azione della gravità e dei moti browniani, che permisero anche una definitiva prova della struttura atomica e molecolare della materia ed una misura più precisa delle dimensioni atomiche e molecolari (rispettivamente 10-10 m, ovvero un Ängstrom, e 10-9 m, ovvero un nanometro). Fu fatta anche una misura più precisa del Numero di Avogadro (N. 69).
Questi studi fruttarono a Perrin il premio Nobel nel 1926. Ne risultò definitivamente sconfitta la posizione di Mach e di Ostwald, che negavano l’esistenza degli atomi, come già vedemmo nel numero dedicato a Mach (N. 95). È certamente stupefacente la circostanza che lo stesso argomento elaborato da Einstein era stato adoperato dagli antichi atomisti 2500 anni prima per provare l’esistenza degli atomi (NN. 7-8) com’è attestato da un noto passo del poema filosofico del grande poeta latino Lucrezio, “De Rerum Natura”, che espose in forma poetica le teorie atomiche(2)(3).
La memoria del 1905 considerata più importante e rivoluzionaria era certamente quella dal titolo: “Sull’elettrodinamica dei corpi in movimento”, riguardante la cosiddetta relativita’ “ristretta” o “speciale”. In essa Einstein riprendeva molte delle considerazioni fatte nelle memorie contemporanee o leggermente precedenti di Lorentz, Poincaré e Heaviside (NN. 91 - 93), in cui si apportavano correzioni alle trasformazioni galileiane per il passaggio di coordinate tra due sistemi di riferimento in moto inerziale, cioè in moto uniforme l’uno rispetto all’altro. Queste trasformazioni si erano dimostrate incompatibili con le equazioni dell’elettromagnetismo sviluppate da Maxwell. Einstein, con la sua formidabile intuizione fisica, riuniva tutta la materia in un paio di semplici postulati(4)(5)(6)(7).
-il primo affermava che i fenomeni fisici rimangono gli stessi per osservatori posti in diversi sistemi che si muovessero di moto uniforme l’uno rispetto all’altro;
-il secondo che la velocità della luce (e di tutte le radiazioni elettromagnetiche) è una costante (circa 300.000 km/sec) indipendentemente dal moto dei singoli osservatori, ovvero dal sistema di riferimento scelto, e dalla fonte delle radiazioni.
Questa formulazione rendeva conto delle conseguenze già contenute implicitamente nelle equazioni di Lorentz e Poincaré, e cioè del fatto che le dimensioni degli oggetti sono relative e diminuiscono al crescere della velocità dell’oggetto rispetto all’osservatore; del fatto che il tempo scorre più lentamente per un osservatore più veloce rispetto ad uno più lento; e soprattutto del fatto che ad un fenomeno che avvenisse in un certo istante rispetto ad un certo sistema di riferimento, non corrisponde un fenomeno contemporaneo posto in un altro sistema in moto rispetto al primo, ma che a quell’istante corrisponde nel secondo sistema un intervallo dilatato di tempo, con la perdita della simultaneità dei fenomeni.
La teoria spiegava anche i risultai delle esperienze di Fizeau, Michelson e Morley, che avevano fatto scervellare i fisici. Il matematico Minkowski, sulla scorta della teoria dell’ex-allievo Einstein, elaborò il concetto di spazio-tempo a 4 dimensioni (tre spaziali ed una temporale), poi universalmente accettato. Da parte sua Einstein presentò dopo pochi mesi una nuova memoria in cui esprimeva il concetto che anche la massa è relativa e cresce al crescere della velocità dell’oggetto, essendo una misura della sua energia. Vi è un’equivalenza tra massa ed energia che possono trasformarsi l’una nell’altra. Questo concetto è espresso dalla famosa equazione E = mc2, dove E è l’energia, “m” la massa, e “c” la velocità costante della luce. In tempi più recenti questa fondamentale equazione ha avuto anche una piena verifica sperimentale.
Solo dopo che il grande Planck ebbe notato gli articoli di Einstein (passati inizialmente inosservati) facendo alcune osservazioni critiche, finalmente il grande fisico ottenne la fama meritata e nel 1913 una cattedra all’Università di Berlino su raccomandazione dello stesso Planck e del premio Nobel per la Chimica Walter Nernst.
Ma Einstein non aveva intenzione di dormire sugli allori e negli anni seguenti si dedicò a considerare i sistemi di riferimento accelerati l’uno rispetto all’altro. Il risultato di queste ricerche fu la Teoria della Relatività generale che mette in relazione l’accelerazione delle masse dovuta alla forza di gravità con la “curvatura” dello spazio considerato come un mezzo malleabile che è deformato dalle stesse masse in esso contenute che lo “incurvano”, come nelle geometrie non-euclidee (in particolare di Riemann). Le masse in movimento percorrono delle “geodetiche”, cioè il percorso più breve tra due punti, che non è necessariamente una retta, data la curvatura dello spazio.
Con l’aiuto dell’amico matematico Marcel Grossman (1878-1936) - che lo introdusse alle geometrie non-euclidee e la matematica di Gauss, Riemann, Levi-Civita, Gregorio Ricci - Einstein riassunse questi concetti in un’equazione in cui al primo membro (a sinistra) compaiono grandezze “invarianti” al variare dei sistemi di riferimento, che esprimono la deformazione dello spazio dovuta alla gravità, ed a destra la costante gravitazionale “G” moltiplicata ad un’espressione matematica, indicata dalla lettera “T” e detta “tensore energia-impulso”, che è un indice della quantità di materia che provoca la deformazione.
L’equazione fu presentata a Berlino il 26 novembre del 1915 cinque giorni dopo che il grande matematico Hilbert aveva presentato a Gottinga una sua più ambiziosa equazione, che avrebbe dovuto riassumere insieme fenomeni gravitazionali ed elettromagnetici.
Infatti negli anni precedenti Minkowski e poi Hilbert si erano posti in concorrenza con Einstein affermando che “la fisica era una faccenda troppo seria per essere lasciata ai fisici (Minkowski) e che “qualsiasi ragazzino di strada di Gottinga ne capisce più di Einstein sullo spazio quadridimensionale” (Hilbert). Ma nei mesi seguenti Hilbert dovette riconoscere che il genio fisico di Einstein aveva prodotto risultati ben più validi delle sue troppo ambiziose ma lacunose equazioni. Anche il tentativo di Hilbert di compiere l’assiomatizzazione matematica della fisica si era dimostrato infruttuoso. L’allievo di Hilbert, Hermannn Weyl, riconobbe che l’intuizione fisico-sperimentale di Einstein si era dimostrata superiore.
Il trionfo di Einstein fu definitivamente confermato dalle osservazioni sperimentali fatte nel 1919 dall’astronomo inglese Arthur Eddington (1882-1944), che verificò come i raggi luminosi fossero effettivamente deviati dalla massa del Sole, come previsto nella Teoria della relatività generale(8). Altre verifiche sperimentali furono il previsto spostamento verso il rosso delle radiazioni provenienti dallo spazio profondo, e la prevista anomalia dell’orbita di Mercurio. Nei prossimi numeri completeremo il discorso sull’opera di Einstein mostrando come le sue teorie siano alla base dei successivi sviluppi della Cosmologia, la Scienza dell’Universo.
(Tratto dal libro “Conoscenza, scienza e filosofia” di Vincenzo Brandi)
(1) L. Geymonat, “Storia del Pensiero Filosofico e Scientifico”, Garzanti 1970 e seg.
(2) RBA, “Le grandi Idee della Scienza – Einstein”
(3) RBA, “Le grandi idee della Scienza - Dalton”
(4) R. Feynman, “Sei Pezzi facili”, Adelphi 2017, originale 1963-1995
(5) R. Feynman, “Sei Pezzi meno facili”, Adelphi 2017, originale 1963-1997
(6) C. Rovelli, “Sette brevi Lezioni di Fisica”, Adelphi, 2014
(7) C. Rovelli, “La Realtà non è come appare”, R. Cortina, 2014
(8) RBA, “Le grandi Idee della Scienza – Planck”