Sincretismo necessario e principium individuationis


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Caro Paolo D’Arpini, leggo con interesse il tuo Giornaletto di Saul che raggiunge i suoi lettori con ammirevole puntualità. Naturalmente non leggo proprio tutto, ma in ogni numero trovo sempre scritti in consonanza con i miei interessi.
Mi trovo in sostanziale accordo con la chiave di lettura delle vicende politiche italiane ed estere; meno con la demonizzazione del Cristianesimo.  
Vedi ad esempio questo testo da te pubblicato: “Io condanno il cristianesimo, io levo contro la chiesa cristiana la più terribile accusa che mai un accusatore abbia pronunciato. Essa è per me la più grande di tutte le corruzioni pensabili, essa ha voluto l’estrema corruzione possibile. La chiesa cristiana non ha lasciato intatto niente nel suo pervertimento, ha fatto di ogni valore un non-valore, di ogni verità una menzogna, di ogni onestà un’abiezione dell’anima. Questa eterna accusa contro il cristianesimo io voglio scriverla dovunque ci siano dei muri – ho dei caratteri che faranno vedere anche i ciechi… Io dichiaro il cristianesimo l’unica grande maledizione, l’unica grande e più intima depravazione, l’unico grande istinto di vendetta per cui nessun mezzo è abbastanza velenoso, segreto, sotterraneo, meschino; lo dichiaro l’unico immortale marchio d’infamia dell’umanità.” Friedrich Nietzsche 
Secondo me, nelle religioni bisogna distinguere ciò che è di origine divina da ciò che è interpretazione umana. Secondo la visione del Sanatana-dharma, infatti, i vari fondatori di religioni – Maometto, Cristo, Buddha, ecc. – sono “avatar”, ovvero epifanie divine consapevoli, svincolate dal karma. Credo che le religioni abbiano tutte un duplice aspetto: salvifico e imprigionante. Tutt’altra cosa è “seguire” (si fa per dire) la Via della Liberazione.
Nella speranza di porgere un contributo gradito, ti invio una mia breve prosa poetica "I hate the white man"

Subramanyam


I hate the white man
Parli di inciampi il mattino mentre il pennello del sole sparge oro sulle cime delle colline. Muovi disordinatamente le braccia nel vuoto e chiami ciò progettare, fare storia, girare la ruota del progresso, in accordo con presunti “disegni” prometeici. In realtà sei un trastullo tra le dita del Fato oscuro.
No, non ti si può prendere sul serio. Nemmeno un sasso si degnerebbe di sostenerti sul sentiero, mentre cammini sforzandoti di martirizzare quel che ti circonda. Eppure scrivi libri, apri “nuove” vie di conoscenza, acceleri particelle, promuovi terrorismi, stipuli trattati di pace basati su inviolabili diritti umani che sei il primo a non rispettare, scateni guerre umanitarie, rendi invivibile ogni angolo del pianeta e getti nella fogna l’armonia.
I hate the white man, cantava il giovane Roy Harper dopo essere stato “curato” con elettroshock, psicofarmaci, psicoterapie riabilitative ed altre nefandezze simili. Lo si voleva costringere nella camicia di forza del bravo killer dei talebani di turno o del perfetto cittadino emancipato da ogni superstizione.
Sì, I hate the white man! Non centra però il colore della pelle. Che sia bianco, ebano, olivastro o giallo, non importa. Quel che lo contraddistingue è un’ansia acefala di fare, di convertire, di imporre, di dominare, di catalogare: una specie di cancro che da dentro gli si espande intorno, contagiando tutto quel che tocca. Eppure, se lo si guarda attentamente, non è più di un microbo teometrico incapacitato all’autoconoscenza: un microbo balbettante dimentico della sua natura divina, anteriore a qualsiasi mensura o cogitatio.
For I hate the white man and his plastic excuse: aborrisco il bugiardo irriducibile, l’ipocrita, lo sfruttatore depravato, e così non mi allontano dalla terra, inalo l’inebriante trasparenza dell’aria, pianto alberi, sulle orme di Elzéard Bouffier, cucino pane sul fuoco, parlo con gazze e ghiandaie, ripristino meridiane, contrastando per quanto possibile il suo barbaro dilagare.
Tutto ha un termine, tutto si capovolge, tutto si trasforma e passa. Perciò di te, uomo bianco, vedo già il rovinare tra bagliori atomici e stupide bestemmie. Altri torneranno con dita di betulle a riparare i tuoi danni; si chineranno sulle voragini, sulle acque screziate da colori tossici, raccoglieranno la disperazione per evaporarla alla luce.
Non è necessario andare lontano a cercare gli ultimi indigeni da civilizzare. Lo sprezzante occhio cibernetico del Grande Fratello s’è appannato: non sa vedere l’indigeno che redige queste note, né quelli che, in accordo con un sapere mai svanito, pregiano la bellezza e la gioia nel grido del falco.

Corrotti e corruttori... meglio esporli alla pubblica gogna



Dove ti giri, trovi corruzione, furti, concussione (perpetrata da pubblici ufficiali o da ministri), conflitto d'interessi,  tangenti, stipendi e pensioni pantagrueliche. È difficile sapere a quanto ammonti questo bottino: i criminali coprono le tracce – per fortuna non sempre. 


Le leggi ci sono: mancano indagini adeguate, principi etici condivisi ed equità. Sono ben noti casi di parlamentari incriminati e protetti da mancate autorizzazioni a procedere delle Camere. 

Lassismo e apatia sono stati anche favoriti da ingenue teorie. Secondo Robert Klitgaard (“Controlling Corruption”, University of California Press) la corruzione si combatte con i controlli, che costano. Più corruzione si elimina, maggiori sono i costi. Oltre un certo limite la società spende di più per i controlli di quanto risparmi in corruzione evitata: conviene tollerarne piccole dosi. Sono bizantinismi, dato che le dosi sono massicce.

Oltre a leggi più stringenti ed efficaci, ci vuole una riscossa morale. Non servono a produrla le prediche dei guru. La può esprimere il pubblico (la società civile?). E’ già accaduto. Mezzo secolo fa nessuno avrebbe creduto che gli italiani avrebbero smesso di vantarsi di non pagare le tasse, di fumare al cinema, di gettare cocci dalla finestra l’ultimo giorno dell’anno, di non superare 130 km/h in autostrada. Invece lo hanno fatto e reagiscono ai trasgressori. I corrotti e i concussori, vanno bloccati prima che si ritirino latitanti nelle ville comprate all’estero con il bottino. 

Servono deterrenti più efficaci contro la corruzione. Ad esempio, corrotti e corruttori devono essere esposti alla gogna. Non vanno legati in piazza a blocchi di legno e bersagliati con frutta marcia. Una riforma della giustizia dovrebbe istituire fustigatori che in rete e sui media descrivano i loro reati, l’odiosità dei danni che arrecano, la loro infima meschinità, il penoso cattivo gusto.

Roberto Vacca

Transevolution. L'era della Decostruzione Umana di Daniel Estulin - Recensione



Transevolution. L'era della Decostruzione Umana di Daniel Estulin 

“La razza umana è in via di estinzione? Se sì, allora in favore di
cos’altro? Chi è il nostro nemico? Sullo sfondo, uno sviluppo tecnologico
mozzafiato, la continua voglia di cambiare se stessi, di aggiornarsi e
trasformarsi in qualcosa di meglio, di superiore, di più resistente e magari
immortale. Forse l’unico nostro nemico è l’inaccettabile fragilità umana” 
Daniel Estulin

Utilizzando un rapporto del governo del Regno Unito, Tendenze strategiche
2007-2036, Daniel Estulin crea un’immagine 3D del futuro per spiegare come i
progressi scientifici e tecnologici, distruzione economica, la
sovrappopolazione, conquista dello spazio e la gara per l’immortalità si
scontrano in una lotta mortale tra i super ricchi e resto dell’umanità.

Senza dubbio, stiamo assistendo ad una esplosione senza precedenti nella
conoscenza scientifica e abbiamo imparato di più negli ultimi 50 anni che in
tutta la storia umana. Grazie alle meraviglie della scienza. Estulin in
questa nuova opera ci spiega che ora, attraverso la genetica, la robotica,
le tecnologie dell’informazione e la nanotecnologia, abbiamo i mezzi per
controllare la materia, l’energia e la vita stessa.

Non abbiamo mai visto nulla di simile prima e questo solleva profonde
domande su ciò che significa “essere umano”.

Con l’avvento della nuova scienza e della tecnologia relativa alla
rivoluzione genetica, possiamo letteralmente riscrivere il nostro patrimonio
genetico.

Nell’arco di una generazione, siamo passati da piante geneticamente
modificate ad animali geneticamente modificati.
Il passo successivo è la modifica antropologica degli esseri umani? 
Cosa ci aspetta nel futuro?

Il libro sorprendente di un autore visionario. 
Senza dubbio, quest’opera è la prima al mondo che mette insieme tutti questi
elementi per creare una visione terribilmente realistica di ciò che aspetta
la vita umana nel futuro.

Il primo libro esistente che parla dell’evoluzione del concetto di Essere
Umano.
Un libro da leggere perché ci racconta ciò che ci aspetta in futuro e il
futuro riguarda ognuno di noi.

Leggi un estratto dal libro di Daniel Estulin "Transevolution"

Introduzione - Transevolution - Libro di Daniel Estulin

L'anno è il 2015. È un'epoca di grande innovazione e progresso tecnologico
e, contemporaneamente, è anche un tempo di caos e di cospirazioni: un'era di
collasso finanziario che attraversa il mondo, di popoli spinti via in massa
dalle proprie terre di origine, nonché di ricchi che diventano sempre più
ricchi, più potenti e persino più temuti giorno dopo giorno. Nel 2015 i
grandi colossi finanziari del pianeta hanno ormai più potere degli stessi
governi nazionali. Questi conglomerati hanno messo sul lastrico i governi e
li hanno in tal modo asserviti agli interessi della loro potente élite. La
fase finale del processo di fusione che porterà alla nascita definiva della
"società per azioni del mondo unico" è già innanzi a noi.

«L'era dorata dell'energia a basso costo è ormai storia vecchia. La
competizione per le risorse energetiche» domina la scena economica. Il
peggioramento delle condizioni ambientali, l'uso sempre più frequente delle
coltivazioni intensive e il ritmo dell'urbanizzazione hanno via via ridotto
la fertilità delle terre coltivabili. La mancanza di cibo è alla radice
degli spostamenti di massa di popolazioni su scala globale. Si registra una
grave scarsità di risorse idriche in alcune delle aree più popolate del
mondo, come India, Cina e Pakistan, il che contribuisce a scatenare delle
frizioni (da cui a loro volta vengono provocate azioni militari e
spostamenti di popolazione su larga scala) in regioni dall'equilibrio già
fragile in partenza.

L'umanità è in pericolo. Un cambiamento, a questo punto, diviene necessario.
Non siamo ancora alla fine del mondo, ma possiamo intravederla dal punto in
cui ci troviamo ora. Potete sentirla nell'aria e toccarla con la punta delle
vostre dita.

Quale futuro ci aspetta? Cosa accadrà domani? Tra un anno? Nella prossima
generazione? Diverse ricerche governative con il massimo livello di
riservatezza, tanto negli Stati Uniti quanto in Gran Bretagna, dipingono un
futuro a tinte fosche: nell'arco dei prossimi venticinque anni il mondo si
tramuterà in una distopia orwelliana, in cui ristrette élite prospereranno
alle spalle di una popolazione ridotta sempre più alla fame.

«I concetti di democrazia e libertà saranno scomparsi, rimpiazzati da una
dittatura ad alta tecnologia fondata sulla sorveglianza, il controllo e il
lavaggio del cervello da parte dei mass media, sulla repressione poliziesca
e su una rigidissima separazione tra i diversi ceti della società. La grande
maggioranza degli individui vivrà in condizioni paragonabili a quelle del
Terzo Mondo e sarà sottoposta al pericolo costante» di povertà, carestia,
malattie e sterminio fisico»

Giunti al 2015, l'oligarchia globalista vede a portata di mano la
possibilità di far precipitare l'umanità intera in una nuova "epoca oscura"
manipolando scientemente la teoria evoluzionistica a sfondo razziale
elaborata da Darwin, fondata sulla selezione naturale ("la sopravvivenza del
più forte"), che ha inoltre disinvoltamente applicato ai principi sociali
andando a creare il cosiddetto "darwinismo sociale".

Ai più ciò potrebbe apparire come un film di fantascienza hollywoodiano
ambientato in un fosco futuro, eppure vi posso assicurare che è tutto
concreto. Anzi, accade già attorno a noi.

Queste sono le conclusioni a cui è giunto un rapporto commissionato dalle
autorità britanniche. Nel dicembre del 2006, infatti, il ministero della
Difesa del Regno Unito ha redatto nel massimo riserbo un documento in cui si
delineava l'evoluzione futura del genere umano. Tale studio era a sua volta
frutto di alcuni riservatissimi scambi di vedute avvenuti in coda alla
conferenza del Bilderberg del 2005, svoltasi presso l'albergo Dornit Sofitel
Uberfahrt a Rottach-Egern (Germania). 11 gruppo di studio era stato
selezionato dal comitato direttivo del Bilderberg nel gennaio del 2005, ben
prima dello svolgimento della conferenza vera e propria (cominciata il 5
maggio e protrattasi per tre giorni e mezzo).

Il pomeriggio dell'8 maggio, appena la maggior parte dei convitati aveva
lasciato l'incontro, un ristretto e selezionato gruppo di membri del
Bilderberg si ritirò nell'esclusivo castello di Ringberg, affacciato sul
lago di Tegernsee ai piedi delle Alpi Bavaresi. Il palazzo era stato voluto
dal duca Leopoldo di Baviera, membro della casata dei Wittelsbach, che
governò la Baviera per ottocento anni.

Cinque mesi prima, nel gennaio del 2005, nell'ambito di un incontro di
preselezione del Bilderberg, ai delegati nazionali del gruppo era stato
chiesto (con un accordo di massima segretezza) di assemblare un gruppo di
ricerca e preparare dei rapporti dettagliati incentrati su densità di
popolazione, disponibilità delle risorse naturali, prevenzione del
conflitto, questioni economiche e così via. Le conclusioni di tale rapporto
sarebbero poi state ulteriormente approfondite nel corso degli incontri
riservati del 9 e 10 maggio al castello di Ringberg, unitamente a quelle
della conferenza tenutasi qualche giorno prima.

Nessuno era a conoscenza dello svolgimento di quest'evento (tenutosi,
quindi, separatamente dalla conferenza ufficiale), eccetto il comitato
direttivo del Bilderberg e un gruppo selezionato dei membri più influenti
dell'organizzazione. Quest'incontro avrebbe delineato il futuro dell'umanità
e i suoi obiettivi erano definibili addirittura come "prometeici".

Tra gli individui selezionati, figuravano i più alti papaveri dell'elite del
Bilderberg: Etienne Davignon, per lungo tempo a capo dell'organizzazione,
nonché vicepresidente di Suez-Tractebe; Francisco Finto Balsemào, ex primo
ministro portoghese e una delle figure più potenti nell'ambito delle manovre
politiche sopranazionali; David Rockefeller (uomo che non ha bisogno di
alcuna presentazione); Timothy F. Geithner, a quel tempo alla presidenza
della Federai Reserve Bank di New York e più tardi segretario al Tesoro nel
primo mandato di Obama; Richard N. Haass, presidente del potente think tank
statunitense noto come Council on Foreign Relations; Victor Halberstadt,
professore di Economia all'U­niversità di Leiden ed ex presidente del
Bilderberg; Allan B. Hubbard, assistente in Politica economica di George W.
Bush e direttore del Consi­glio economico nazionale; James L. Jones,
comandante del SHAPE (Su­preme Headquarters AUied Powers Europe, Quartier
generale supremo delle potenze alleate in Europa); Henry Kissinger; Henry R.
Kravis, socio fondatore della Kohlberg Kravis Roberts & Co., in compagnia di
sua moglie Marie-Josée Kravis, membro associato dell'Hudson Institute; la
regina Beatrice dei Paesi Bassi; Matìas Rodriguez Inciarte, vicepresidente
esecutivo del Gruppo Santander, in qualità di rappresentante degli interessi
della famiglia Botin; Peter D. Sutherland, presidente di Gold­man Sachs e
British Petroleum; Jean-Claude Trichet, governatore della Banca centrale
europea; Jacob Wallenberg, esponente della più potente famiglia di Svezia;
James D. Wolfensohn, presidente della Banca mondiale, e Paul Wolfowitz, che
era al tempo il suo successore già designato. Questo gruppo di uomini e
donne si era riunito per decidere niente di più e niente di meno che il
futuro dell'umanità. Quanto venne deliberato dietro ai cancelli chiusi del
castello di Ringberg sarebbe poi divenuto, un paio di anni più tardi, la
base fondante del rapporto più ambizioso mai stilato nella storia umana.
Strategie Trends 2007-2036 è un rapporto di 91 pagine che, usando il governo
britannico come punto di partenza poi da rimuovere o sostituire, funge da
modello per le strategie nazionali future del Regno Unito attraverso le
analisi dei fattori di rischio principali e le crisi che nel futuro andranno
a riguardare diversi settori e mercati, come quello finanziario, economico,
politico, demografico e tecnologico in tutto il mondo. Il punto più
rilevante del rapporto si concentra su un'analisi multidimensionale del
quadro futuro delle politiche di difesa nell'arco di una generazione. Lo
studio Strategie Trends rappresenta la vera e propria spina dorsale della
politica difensiva del Regno Unito. Il futuro, stando a quanto riferito nel
rapporto,

«...è connotato da un numero sconcertante di variabili correlate tra loro».

Nell'anno 2015 si stima che più del 50% della popolazione mondiale viva in
ambienti urbani, anziché rurali. II documento recita:

«Si assisterà a una crescita sostanziale delle baraccopoli e di quartieri
cittadini non studiati a tavolino e nati senza pianificazione, andando in
questa maniera a incrementare il dispendio di risorse e l'impatto
ambientale».

Degrado urbano, infrastrutture scadenti, emarginazione di ampie fasce di
popolazione visibile a occhio nudo, vari livelli di povertà e un generale
senso di sfiducia aumenteranno, con il passare del tempo, fino ad assumere
l'aspetto di questioni politiche di notevole importanza

«...fondate su istanze di giustizia morale che scavalcano i confini
nazionali, compreso un attivismo di matrice violenta di diversità e impatto
variabili».

Il rapporto sostiene esplicitamente che

«in tutte le società, a eccezione di quelle più ricche, la maggior parte
dell'umanità continuerà a sperimentare avversità... e la povertà assoluta
continuerà a essere una sfida globale»*.

E si spinge anche oltre, identificando le minacce militari potenziali del
futuro e concentrandosi in particolare sugli sviluppi in aree destinate a
modellare il più ampio contesto strategico, in cui la Difesa si troverà a
dover interagire. Un tema chiave del documento riguarda la quantità di
popolazione e le risorse disponibili sulla Terra.

Si paventa, con parole nette

«...un rischio maggiore di catastrofi umanitarie, causato da un insieme di
fattori come il cambiamento climatico, la carenza delle risorse naturali,
l'iniqua distribuzione della ricchezza, lo scoppio di epidemie e il
fallimento delle autorità nella gestione della crescita della popolazione e
del fenomeno dell'urbanizzazione».

Nell'arco di una sola generazione, tra il 2007 e il 2036, il boom della
popolazione mondiale porterà a un incremento di persone da 7 a quasi 10
miliardi; il 98% di questa crescita su scala mondiale riguarderà i Paesi
meno sviluppati. Si stima che nel 2036 i due terzi circa della popolazione
mondiale vivranno in aree con accesso limitato a fonti idriche.

La carenza di cibo, di acqua, di medicinali, di condizioni igieniche
adeguate e di beni necessari di primaria importanza potrebbe portare a una
situazione di collasso. Lo studio sostiene esplicitamente, senza mezze
parole, che

«...il divario in costante crescita tra la maggioranza della popolazione e
un ristretto numero di super-ricchi altamente esposti in pubblico
rappresenta, con ogni probabilità, un pericolo per l'ordine e la stabilità
sociale. Di fronte a queste sfide, le fasce non garantite della popolazione
mondiale potrebbero unirsi tra loro, sfruttando l'accesso alle fonti di
conoscenza e a risorse e abilità utili, per dare vita a processi
transnazionali, onde tutelare i propri interessi particolari».

Il risultato di un crescente senso di disperazione diffuso in tutto il mondo
porterà a

«...guerra civile, violenza tra diverse comunità, insorgenze di vario
genere, criminalità diffusa e disordine generalizzato».

A fronte di una spirale di caduta infernale verso il basso dei mercati
finanziari e di un collasso economico su scala globale, lo studio predice

«...uno sconvolgimento dei prezzi di grande impatto, provocato da un picco
nei prodotti energetici oppure da una serie di carestie alimentari»

da cui potrebbe

«...essere messo in moto un effetto domino tale da causare un crollo dei
mercati di primaria importanza a livello internazionale, che potrebbe
riguardare diversi settori».

Gli effetti di una simile implosione, ripercuotendosi lungo l’intera filiera
dell’economia globalizzata, potrebbero a loro volta portare al crollo del
sistema politico internazionale e alla caduta definitiva dell’economia
mondiale. Tutto ciò significa che l’intera umanità è in pericolo? Ebbene no.
Questo perché, anche in caso di «erosione delle libertà civili fondamentali»
i super-ricchi saranno protetti attraverso «nuove scoperte tecnologiche e
strette misure di sorveglianza». Unita a

«banche dati di controllo invadenti, altamente efficaci e accessibili, la
nascita di una cosiddetta “società del controllo” andrà a mettere
progressivamente in discussione le conquiste consolidate sulla riservatezza
dei dati privati dei singoli individui, con conseguenti effetti in tema di
libertà civili e diritti umani».

Con la fine degli Stati nazionali così come li conosciamo oggi, e l’emergere
di grandi blocchi economici interconnessi gli uni con gli altri dal mercato
globale, ai Paesi indipendenti «si sostituiranno le mega-città».

Il rapporto definisce una mega-città come «un vasto ambiente urbano, sorto
in una regione in via di sviluppo», che può contare su una popolazione base
di oltre 20 milioni di abitanti.

A causa di enormi migrazioni di popolazione, le città finiranno per
espandersi fino a proporzioni inimmaginabili

«...che andranno ad alimentare situazioni già presenti di sacche endemiche
di illegalità ed elevati livelli di violenza».

Le mega-città, presumibilmente, si riveleranno incapaci di gestire un simile
afflusso di popolazione e

«...falliranno prima del 2035. Gli effetti saranno equivalenti… ai
fallimenti degli Stati, che anzi quello delle città potrebbe a sua volta
favorire».

Data la lezione di alcune recenti esperienze registrate negli USA, è
plausibile che una stabilizzazione manu militari di una metropoli debba
rendere necessaria l’applicazione della legge marziale o, come il rapporto
cerca di far passare in modo ingannevole,

«...un approccio completo, che preveda la collaborazione tra diverse agenzie
di sicurezza, competenze specialistiche e un continuo impegno operativo».

L’innovazione tecnologica e lo strapotere della tecnica faranno sì che le
guerre vengano combattute non più tra gli Stati, ma sotto forma di

«...conflitto endemico in teatri urbani di tipo asimmetrico contro avversari
che possono contare su elevate capacità di sopravvivenza in un simile
ambiente e con capacità di combattimento».

Queste vengono definite turbolenze sociali.

LA TURBOLENZA SOCIALE

Eric Trist e Frederick Emery, due eminenti psicologi, hanno formulato una
teoria della turbolenza sociale per una “riduzione del danno degli effetti
delle crisi future”; sostanzialmente, in essa si afferma la possibilità di
sottomettere i popoli ricorrendo a fenomeni di massa come crisi energetiche,
collassi economici e finanziari o attacchi terroristici.

«Se questi “shock” dovessero arrivare ravvicinati e se fossero scatenati con
una scala di intensità crescente, sarebbe possibile portare un’intera
società a uno stato di psicosi di massa»,

hanno sostenuto Trist ed Emery. Inoltre, hanno puntualizzato:

«I singoli individui potrebbero cadere in uno stato di dissociazione
mentale, nel momento in cui cercassero una via di fuga al terrore provocato
da questi avvenimenti, alla realtà dei fatti; la gente potrebbe pertanto
entrare in uno stato di rifiuto, rifugiandosi in campi come gli
intrattenimenti e i diversivi di massa, pur essendo però esposta al rischio
di esplosioni improvvise di rabbia incontrollata».

Come si rapporta, però, il documento Strategic Trends con questioni come la
turbolenza sociale, le psicosi di massa e l’asservimento dei popoli?

«Le forze militari regolari verrebbero dispiegate con sempre maggior
frequenza negli scenari in cui sono attive forze armate irregolari,
assembramenti di miliziani, bande, criminali comuni, compagnie militari
private (Private Militare Companies, PMC), terroristi e insorti, spesso nel
ruolo di avversari, ma in taluni casi neutrali o persino alleati».

Una simile tattica è etichettata come metodo per spezzare il morale
attraverso una strategia del terrore. Di fatto, con uno scenario simile
stiamo parlando di due facce della stessa medaglia. Da una parte si conduce
una sottile e coperta opera di manipolazione e controllo del pensiero e
della coscienza umana, ricorrendo al potere della televisione, in
particolare, e in generale dell’intrattenimento,

«utilizzati sia su una lista in continua crescita di coloro che vengono
additati come nemici dell’America, sia sullo stesso pubblico americano,
confuso e in perenne stato di tensione, per cui i grandi canali televisivi
di informazione configurano e spacciano una narrazione dei fatti sempre più
superficiale, facendosi concorrenza in una sorta di teatro Kabuki di
correttezza ed equilibrio».

In contemporanea, dall’altra parte,

«...si registra uno spostamento diretto e sfacciato dei paradigmi, mutando
le concezioni di base, ampliando i parametri, cambiando il campo e tutte le
regole del gioco che caratterizzano l’identità di una società in un arco
eccezionalmente corto di tempo».

Una delle figure di spicco coinvolte nel progetto della guerra psicologica
contro le popolazioni tramite la turbolenza sociale indotta è Kurt Lewin, un
pioniere degli studi sulla psicologia delle masse, che fece parte fin
dall’inizio della cosiddetta “Scuola di Francoforte” e scappò dalla Germania
con l’ascesa al potere di Hitler. Il seguente brano, tratto dal suo libro
Prospettiva temporale e morale del gruppo, mostra bene come intendeva Lewin
la guerra psicologica:

«Una delle tecniche principali per spezzare il morale attraverso una
“strategia del terrore” consiste precisamente nella seguente tattica:
mantenere l’individuo in uno stato di dubbio perenne, relativamente alla sua
posizione e semplicemente a ciò che lo potrebbe aspettare. Aggiungendo a ciò
frequenti oscillazioni tra l’introduzione di rigide misure di controllo
sociale alternate a promesse di un buon trattamento, assieme alla diffusione
di notizie contraddittorie, il “quadro cognitivo” della situazione viene
reso ulteriormente nebbioso, in modo che un individuo possa cessare di
essere cosciente persino di quando un piano conduca o meno all’obiettivo da
lui voluto. In tali condizioni, anche coloro che hanno finalità ben
definite, e sono disposti a correre dei rischi per perseguirle, saranno
ingabbiati da profondi conflitti interiori riguardo a quanto mettere in
pratica».

Nel corso degli ultimi cinquant’anni la ricerca in settori quali quello
della psicologia, della sociologia e della psichiatria ha evidenziato che
sussistono dei limiti chiaramente marcati nella quantità e nella natura dei
cambiamenti con cui la mente umana è in grado di rapportarsi. Secondo
l’Unità di ricerca sulla scienza politica (Science Policy Research Unit,
SPRU) dell’Istituto Tavistock presso l’università del Sussex, le “crisi
future” sono inneschi di «malessere fisico e psicologico, derivato dal
sovraccarico registrato dal meccanismo decisionale della mente umana». In
altre parole,

«...una catena di eventi che si succedono a una tale rapidità da rendere
impossibile alla mente umana l’assorbimento dell’informazione».

Uno scenario possibile causato da questo quadro viene definito come scenario
della superficialità. Secondo Emery e Trist, dopo essere stata sottoposta a
continui shock, la maggior parte della popolazione presa di mira scopre di
non avere più la volontà necessaria per compiere qualsiasi scelta, e riduce
pertanto il

«valore delle proprie intenzioni… Questa strategia può essere perseguita
solo attraverso la negazione scientifica delle radici più profonde
dell’umanità, che relazionano... gli individui gli uni con gli altri a un
livello personale, andando a cancellare quella che è la loro psiche
individuale».

In un simile scenario prende costantemente piede un senso generale di
apatia, spesso preceduto da esplosioni insensate di violenza, ben
rappresentate da quanto avvenuto negli anni Sessanta e Ottanta a Los Angeles
con il fenomeno delle bande di strada, in quella che Emery e Trist
ribattezzano come risposta sociale organizzata alla dissociazione; per
intenderci, qualcosa di simile a quanto raccontato nelle pagine del romanzo
Arancia meccanica di Anthony Burgess, con una società in preda a una rabbia
simile a quella dei cuccioli di animale.

«Un gruppo sociale di questo tipo diventa facile da controllare ed eseguirà
docilmente qualsiasi ordine gli venga impartito senza ribellarsi, il che è
il vero obiettivo ultimo del processo»,

aggiungono Trist ed Emery. Va detto, inoltre, che gli elementi adulti
dissociati non sono in grado di esercitare alcuna autorità morale sui propri
bambini, dal momento che sono essi stessi troppo coinvolti dai deliri
infantili inculcati loro dal televisore. Se state per caso dubitando di
quanto si sta sostenendo, notate come la generazione più avanzata di oggi
abbia accettato passivamente la decadenza etica della generazione nichilista
dei suoi figli e badate a come gli adulti siano giunti ad accettare, senza
resistenza alcuna, uno standard morale così basso rispetto al passato.

Proprio come avviene nella società distopica dipinta da Il mondo nuovo di
Huxley, in tale contesto non è contemplata la possibilità di giungere ad
alcuna decisione netta, nel campo dell’etica e della sfera privata; un
perfetto esempio di tale deriva possono essere i “figli dei fiori” e la
ribellione, all'epoca della guerra del Vietnam, con il suo smodato uso di
droghe.

Le “frequenti oscillazioni” cui si accennava in precedenza, che portano al
disorientamento dell’individuo, possono passare attraverso diversi stadi:

«Una fase di stabilità, in cui gli individui hanno più o meno la possibilità
di adattarsi a quanto accade loro, oppure di turbolenza, in cui i singoli
che vi si trovano coinvolti hanno di fronte la possibilità di intraprendere
azioni per alleviare la tensione o di accettare il nuovo ambiente sociale
caratterizzato dall'insicurezza. Nel caso in cui la turbolenza non cessi, ma
addirittura si intensifichi, si giunge a un punto di rottura in cui divine
impossibile, per gli individui, trovare una via di adattamento positiva.
Sempre secondo Trist ed Emery, è in questo frangente che la capacità di
adattamento volge al negativo, dal momento che le persone, in risposta al
costante stato di insicurezza in cui vivono, optano per una reazione che
porta a un peggioramento oggettivo della qualità delle loro vite: cominciano
a rifiutare la realtà, a negarne l’esistenza e a costruirsi vie di fuga
irreali sempre più infantili per far fronte a un simile quadro generale.
Sottoposta a condizionamenti di aumentata turbolenza sociale, la gente
diventa più malleabile nel cambiare la propria scala di valori, accettando
standard etici nuovi e più bassi, allontanandosi dall'umanità e regredendo
sempre più a uno stato quasi animale».

Il secondo scenario cui si accennava consiste nella

«...segmentazione della società in parti più piccole. In questo quadro, ogni
gruppo (di natura etnica, razziale e sessuale) finisce per scagliarsi contro
l’altro. Le nazioni subiscono processi di balcanizzazione su scala regionale
e, a loro volta, le nuove realtà saranno interessate da spinte centrifughe
di natura etnica, spezzettandosi ulteriormente».

Trist ed Emery si riferiscono a questo fenomeno come a un

«...rafforzamento dei pregiudizi all'interno di un gruppo sociale e verso
l’esterno, man mano che gli individui cercano di semplificare la propria
sfera decisionale. Emergono, pertanto, le linee naturali delle divisioni
sociali, che diventano vere e proprie barricate».

Lo studio Strategic Trends ha – nemmeno a dirlo – una risposta pronta anche
per questo scenario. Gli attori non statali saranno sempre più

«...sfruttati da un più ampio spettro di individui e di agenzie di
socializzazione, persino da criminali, terroristi e gruppi sovversivi, come
strumenti di appoggio per le loro attività di natura più coercitiva e
violenta. I raggruppamenti sociali derivati risulteranno altamente
instabili, dissolvendosi di volta in volta o appena gli interessi per cui
erano nati saranno stati soddisfatti, oppure qualora si presentassero
opportunità più favorevoli rispetto a quelle presenti; l’uso del soft power
per vincere il consenso sarà con ogni probabilità appannaggio degli attori
meno vincolati alla responsabilità legale o a considerazioni di tipo
morale».

La risposta della società a questo processo di disintegrazione psicologica e
politica risiede in uno stato autoritario orwelliano, modellato cioè su
quello delineato da George Orwell nel libro 1984. In quest’opera, le vite e
i conflitti tra gli individui che compongono la società sono sottoposti alla
volontà del “Grande Fratello”; un conflitto senza via di uscita

«...è diretto da ciascuna élite di ogni gruppo sociale contro i suoi stessi
membri; l’obiettivo della guerra non è promuovere o impedire la conquista di
territori, ma tenere intatta la struttura della società».

Lo stesso tipo di conflitto senza soluzione di continuità viene predetto
anche dal rapporto Strategic Trends. È prevedibile che

«La tecnologia delle comunicazioni informatiche (Information Communications
Technology, ICT) divenga talmente invasiva da arrivare al punto che gli
individui siano connessi permanentemente a una rete online o a un flusso
binario di scambio di dati, con conseguenti implicazioni in ambito di
libertà civili; anzi, il non essere connessi potrebbe essere considerato
motivo di sospetto».

L’onnipresenza in costante aumento dell’ICT renderà possibile la rapida
formazione di comunità di singoli accomunati dai medesimi interessi, così
come la mobilitazione veloce e coordinata di significative masse di
individui.

«Una simile mobilitazione rapida – ben rappresentata dal fenomeno dei flash
mob – potrebbe, in linea teorica, essere impiegata pure da Stati, da
organizzazioni terroristiche e criminali, oltre a coinvolgere gruppi di
persone che vadano anche oltre i confini nazionali, costituendo in tal modo
una vera e propria sfida per le agenzie di sicurezza, che dovranno
confrontarsi con questo potenziale di agibilità e fluidità».

Un requisito fondamentale consiste nel fatto che

«...un simile livello di sofisticatezza avrà bisogno di un’applicazione
concertata e completa di tutti gli strumenti e delle agenzie a disposizione
del potere statale, assieme a una cooperazione tra tutte le autorità e gli
organismi competenti che abbiano un ruolo nella risoluzione di una crisi o
nel porre fine a un conflitto».

Che cosa significa quanto descritto, per sintetizzare? Molto semplice: legge
marziale.

Una volta piegate le residue forme di resistenza, si assiste al terzo
possibile scenario degli “shock futuri”, il più drammatico, che vede un
ripiegamento e una ritirata esistenziale

«...nella sfera privata, accompagnata a un ripudio di quei legami sociali
che potrebbero comportare il coinvolgimento nelle questioni che riguardano
altri individui».

Trist ed Emery sono portati a ritenere che gli individui saranno sempre più
docili nell'accettare «la perversa disumanità dell’essere umano che ha
caratterizzato le società autoritarie». Per intenderci: i due non parlano
tanto di un ritorno alla struttura statale di una dittatura quanto piuttosto
del quadro morale che lo caratterizza.

Per sopravvivere in un simile contesto, gli uomini non avranno altre scelte
all'infuori di sottomettersi allo Stato o entrare in clandestinità. Sempre
per citare il documento Strategic Trends,

«se mirano ad aggirare il controllo, le intercettazioni e le capacità
invasive delle forze di sicurezza (dotate di tecnologia avanzata), con
particolare menzione per i reparti provvisti di piattaforme e sistemi
satellitari, tutti i potenziali oppositori non potranno che riconoscere i
vantaggi della clandestinità. Nel futuro gli Stati mirano a sistemare in
clandestinità la maggior parte delle loro strutture strategiche, nonché del
loro potenziale di deterrenza strategica. Allo stesso modo, gli elementi
irregolari dell’opposizione si troveranno a organizzarsi in reti clandestine
per finalità sia offensive che difensive, soprattutto in intricati ambienti
urbani».

Le tattiche per spezzare le forze di resistenza: il ricorso illimitato a
tutti gli strumenti e alle agenzie in mano al potere statale, la
mobilitazione rapida, i flash mob, la sempre più invasiva “tecnologia delle
comunicazioni informatiche”, la frammentazione della struttura sociale,
l’illegalità endemica ed elevati livelli di violenza diffusa, le banche dati
di controllo invadenti, altamente efficaci e accessibili, l’emergere di una
“società della sorveglianza”, l’erosione delle libertà civili, le catastrofi
umanitarie

Ecco come appare il futuro prossimo. Istintivamente siamo portati a non
credere a simili conclusioni, anche se esistono solide prove di tutto questo
in un rapporto preparato su committenza del Bilderberg e di un governo
nazionale.

«In ogni caso, dobbiamo avere il coraggio di lasciare che le prove parlino
da sé, dal momento che, come il lettore avrà modo di constatare, la posta in
gioco non è semplicemente la nostra idea di cosa sia o meno veritiero. Al di
là del fatto che la nostra visione del mondo possa essere messa in crisi o
mandata in mille pezzi dalle rivelazioni contenute nel materiale preso in
esame, il nocciolo della questione non cambia: ovvero che una cospirazione
sia assolutamente concreta, che sia tuttora in atto e che l’11 settembre
2001 sia stato solamente l’antipasto di quanto era stato preparato per
noi»32.

Siamo, è veramente il caso di dirlo, alla soglia di svolte apocalittiche e
il bivio che ci troviamo ad affrontare proprio in questi tempi stabilirà se
vivremo il XXI secolo da uomini liberi in nazioni libere oppure se
diventeremo un branco di schiavi asserviti, selezionati come bestie e
privati della nostra umanità.