Società ecologica, agricoltura, allevamento ed alimentazione bioregionale


Spilamberto, campi coltivati a grano

Per il funzionamento di una società ecologica bioregionale   un minimo di “intensivizzazione” dell’agricoltura è necessario, non possiamo coltivarci ognuno il proprio grano e tanto meno il proprio riso e neanche i nostri fagioli. E’ necessario che ci sia una persona di buona volontà (possibilmente) che coltivi un sia pur piccolo appezzamento di terreno con i diversi cereali, legumi, frutta.

Non possiamo pensare di fare tutti gli agricoltori, ci vuole anche, per esempio, chi lavori nei trasporti, qualcuno che lavori in edilizia, qualcuno che faccia il medico, magari naturopata, qualcuno che faccia il dentista, il dentista a sua volta ha bisogno di attrezzi che qualche fabbrica li deve pur costruire, i vasi di vetro per conservare la passata di pomodoro, seppur fatta in casa e così pure quelli per le marmellate……. 

Insomma ho letto tante cose e libri in cui si parla di tornare il più possibile all’autoproduzione, ma l’autoproduzione si può attuare per certe cose, ma non per altre, mi viene in mente la cucitura dei propri vestiti, se uno è capace di farlo meglio per lui, ma costui (o costei) ha comunque bisogno di aghi e fili, almeno, e stoffe e queste cose le producono le FABBRICHE o INDUSTRIE. Il settore industriale non si occupa solo dell’allevamento e della macellazione di animali, ma di tanti altri settori.

Possiamo fare a meno dell’automobile, è vero, della lavatrice, del cellulare, potremmo fare anche a meno del computer, ma facciamo a meno dei libri? dei treni? dei vestiti? della scuola? E dato che ci saranno delle persone che lavoreranno e lavorano in questi settori di cui secondo me NON POSSIAMO PIù FARE A MENO qualcun altro si dovrà occupare di produrre il cibo anche per loro.

Mettici pure di ricorrere al baratto invece che alla moneta (e quindi eliminare anche le banche e le assicurazioni) ma i campi per essere coltivati non solo per sé hanno bisogno di essere concimati. A cosa pensate che servisse prevalentemente quel piccolo allevamento di bovini (da 2 a 12 animali) che 100 anni fa e anche fino a 10 anni fa c’era in tutti i fondi? A produrre il letame!

Sapete quanti piccoli allevatori si sono rammaricati di dover chiudere le stalle perché magari erano anziani e non ce la facevano più a stare dietro al bestiame e tenere gli animali per la produzione del latte era una rimessa dal punto di vista economico col latte a 30 centesimi al litro? Ma continuavano a coltivare la terra perché credo che chi nasce contadino difficilmente muore “non” contadino e cosa useranno quegli agricoltori per concimare i loro terreni? 

Secondo me o torniamo a vivere nella foresta  a fare i “raccoglitori” e cacciatori (ma allora dobbiamo darci al nomadismo o vivere tutti all’equatore) oppure ci rassegniamo basare la nostra alimentazione e quindi la nostra sopravvivenza (leggi: vita) sull’agricoltura che per me non può essere disgiunta dall’allevamento.


Caterina Regazzi, medico Veterinario

             Treia - Orto urbano
       

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Di questo e simili temi se ne parlerà durante la Festa dei Precursori che si tiene a Treia dal 25 al 27 aprile 2014 - Vedi: http://bioregionalismo-treia.blogspot.it/2014/03/treia-dal-25-al-27-aprile-2014.html

Superamento del concetto di moralità ed immoralità nella Spiritualità Laica



Sovente ho descritto la Spiritualità Laica come totale assenza di moralità od immoralità, questo potrebbe dar adito a dubbi ed anche a misinterpretazioni. In effetti per come è stata descritta e giudicata, soprattutto nelle religioni di matrice cristiana, l’amoralità viene spesso equiparata alla mancanza di coscienza religiosa. Ma questo pensiero è dovuto solo al fatto che si è sovrimposta una norma di comportamento, basata sull’etica e sulla morale religiosa, sullo stato naturale dell’uomo e sulla genuina espressione spirituale. La spiritualità laica non può essere un “atteggiamento” od il risultato di un conformarsi alle norme scritte da qualcuno, spiritualità laica è semplicemente essere consapevolmente quello che si è, senza vergogna e senza modelli di sorta. Perciò  la capacità di apprendere ed insegnare attraverso la vita quotidiana, in termini spirituali laici, è la capacità intrinseca di riconoscere quella “verità” in tutto ciò che noi manifestiamo o che a noi si manifesta.

Il Guru non è una persona, quindi, o perlomeno non soltanto una persona visto che comunque può manifestarsi in ogni forma, bensì l’intelligenza illuminate che ci libera dalle sovrastrutture mentali e dalle finzioni religiose o morali.

A questo proposito vorrei raccontare 3 storielle esemplificative, la prima è una mia personale esperienza, la seconda appartiene alla tradizione ebraica e la terza è riportata negli annali di un monastero zen.

Nel 1973 mi ritrovai per la prima volta in vita mia a dovermi confrontare con me stesso, aldilà del giudizio altrui ed essendo pulitamente in sintonia con la mia natura. Avvenne allorché incontrai il mio Guru Muktananda a Ganeshpuri. Con il contatto diretto con la sua limpidezza spontaneamente si risvegliò dentro di me la discriminazione e fui perciò obbligato, tramite una spinta interiore alla chiara visione, a rivedere tutti i parametri di spiritualità e religione che sino ad allora erano stati accumulati nella mia mente. Un giorno sentii che una prova grande mi attendeva, riguardava la comprensione della verità interiore. Così osservandomi mi ritrovai a camminare lungo la strada asfaltata che univa l’ashram di Muktananda al tempio/tomba di Nityananda, il famoso Guru del mio stesso maestro. Durante il percorso sentivo di dover tenere una via mediana, non considerando gli estremi ma il mezzo della vita. Con questi pensieri giunsi al tempio, molti di voi sapranno che in India si entra nei luoghi sacri senza scarpe, ed infatti presso ogni tempio c’è un custode che riceve le calzature dei viandanti e le custodisce per la durata della visita, ma dentro di me pensai “che differenza c’è fra il dentro ed il fuori del tempio? Anche le mie scarpe sono sacre visto che mi hanno portato sin qui”.

E seguendo lo stimolo interiore invece di depositare le mie ciabatte all’esterno le presi in mano e mi avvicinai devotamente all’altare di Nityananda, dove il prete di servizio riceveva le offerte rituali, ed a lui offrii le mie scarpe vecchie. Ovviamente il prete restò allibito ma forse comprese che qualcosa stava accadendo in me ed infine accettò che io depositassi lì nel sancta sanctorum le mie sporche e sgangherate espadrillas che mi avevano accompagnato lungo il viaggio. Dopo essermi inchinato e soffermato per qualche tempo in meditazione ripresi la via del ritorno, a piedi nudi…. Ed ancora prove solenni mi aspettavano… chi conosce il caldo dell’India saprà che l’asfalto in estate diventa semiliquido dal calore, i miei piedi erano bruciacchiati ma la voce interiore mi diceva che dovevo restare nella via di mezzo, perciò non potevo spostarmi ai bordi della strada ma camminare al centro.

Il momento difficile fu quando sopraggiunse una corriera carica di pellegrini che vedendomi in mezzo alla strada (appena sufficiente a contenere la corriera stessa per quanto era stretta) prese a strombazzare rumorosamente per avvertirmi e farmi spostare… Macché, la voce discriminante che mi stava mettendo alla prova era più forte di ogni ragionamento, restai caparbiamente in mezzo alla strada… il conducente si fermò a pochi metri da me e mi invitò in tutti i modi aiutato da alcuni passeggeri affinché mi togliessi di mezzo, ma non mi spostai di un centimetro restando in assoluto silenzio… Alla fine il conducente risalì sull’autobus e con grande fatica riuscì allargandosi lateralmente a scansarmi e procedere nel percorso.

Allora anch’io mi mossi e prosegui sempre al centro della strada con l’asfalto sempre più bollente. Ecco che di lì a poco un’altra corriera sopraggiunse a gran velocità, stavolta capii che l’autista non aveva nessuna intenzione di fermarsi, infatti l’autobus giunse quasi a toccarmi e si arrestò di botto con un sussulto dell’ultimo momento… L’autista ed alcuni passeggeri uscirono infuriati e presero ad insultarmi con foga, ma siccome non mi muovevo e guardavo mesto per terra con i piedi in fiamme, alla fine incerimoniosamente mi spinsero fuori dalla carreggiata sino alla mota che stava sui bordi….

Oh che piacere quella terra… non mi sentivo per nulla offeso… finalmente la mia via di mezzo aveva ritrovato una piacevolezza, stavo con i piedi per terra e non sull’asfalto infuocato….. Mentre i pellegrini infuriati mi abbandonavano al mio destino di folle dello spirito, mi ritrovai tutto contento a capire che la via di mezzo significa accettare sia la gloria che l’infamia, sia il successo che l’insuccesso, sia il riconoscimento che l’offesa. Pian piano con la mente serena me ne tornai all’ashram del Guru, stranamente sollevato e felice, i miei piedi rinfrescati dal fango e la mia mente rischiarata. Ad attendermi un compagno ashramita che per la prima volta da quando stavo lì mi sorrise fraternamente e mi offrì un infuso caldo di erbe, com’era buono!

Ed ora lo spirito della legge, secondo Baal Shem.

Un giorno un ebreo che stava viaggiando di venerdì, ebbe un incidente al suo carro, le ruote si staccarono, dovette di fretta riparare il danno ma malgrado tutti gli sforzi non riuscì ad arrivare in tempo alla funzione del sabato. Il suo rabbino Mickal gli inflisse una dura punizione, obbligandolo ad una lunga e severa penitenza. L’uomo non sapeva che fare, in aggiunta al suo lavoro per mantenere la famiglia ora doveva sobbarcarsi questa imposizione del rabbino ed era disperato, allorché sentì che lì dappresso stava viaggiando il famoso santo Baal Shem Tov e si recò immediatamente da lui invocando la sua misericordia per il peccato commesso.

Baal Sem fu molto dolce e gli disse “Porta un oncia di candele alla casa di preghiera” e questa fu la sola penitenza che gli inflisse. L’uomo temeva che il santo non avesse compreso la portata della sua mancanza e gliela ripeté ma Baal Sem confermò quanto detto aggiungendo: “Per favore riferisci al rabbino Mickal se gradisce di venire a trovarmi a Chvostov dove officerò il prossimo Sabbath”. E così fu fatto.

La settimana successiva il rabbino Mickal stava viaggiando verso Chvostov per raggiungere il maestro, ma il suo carro si ruppe irrimediabilmente all’asse, egli continuò la strada a piedi e malgrado andasse persino di corsa non riuscì a giungere in tempo alla cerimonia. Il suo cuore era a pezzi. Quando arrivò davanti al santo la cerimonia era iniziata e Baal Shem aveva in mano il calice dell’offerta rituale, il maestro gli sorrise e gli disse: “Benvenuto rabbino Mickal, mio puro amico, sino ad oggi non avevi potuto gustare il dolore del peccato, il tuo cuore non aveva mai tremato dalla disperazione.. non è cosi? Forse da ora in poi capirai meglio il significato e la misura delle penitenze imposte…!”

La storia amorosa della monaca Ryonen.

Un tempo in Giappone viveva una bellissima monaca di nome Ryonen, famosa per la profondità del suo intelletto e per la sua discriminante attenzione. Un monaco che stavo nello stesso monastero si innamorò perdutamente di lei ed una notte si introdusse furtivamente nella sua stanza. Ryonen non si turbò affatto ed accettò volentieri di giacere con lui. Ma l’indomani quando l’innamorato si ripresentò ella disse che in quel momento non era possibile… Il giorno seguente si svolgeva nel tempio una grande cerimonia per commemorare l’illuminazione del Buddha alla presenza di una gran folla e di parecchi monaci venuti da lontano. Ryonen entrò senza indugi nella sala colma e con totale naturalezza si pose di fronte al monaco che diceva di amarla, si denudò completamente e gli disse: “Eccomi, sono pronta, se vuoi amarmi puoi farlo qui, ora…”.

Il monaco se ne fuggì per non far più ritorno mentre Ryonen con quel gesto aveva reciso le radici di ogni illusione.

La storia di Ryonen e la sua totale adamantina aderenza alla verità continua, come pure continua la morale/non-morale di Baal Shem e pure la mia avventura prosegue nella sua crudezza, ma a chi interessano i risvolti di tutto ciò?

La spiritualità laica è un fiore che mai appassisce!


Paolo D’Arpini


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Commento ricevuto da Marco Guerrini: "Buongiorno, ciò che ho occasione di leggere in questa pagina è di grande interesse, mi offre spunti di riflessione, mi aiuta a pormi delle domande, tutto questo attiva il mio processo di disintossicazione! Definisco veleni: i dogmi comportamentali, le leggi morali, i codici preconfezionati che le religioni impongono con il ricatto! Non voglio sembrare un presuntuoso, ma credo che ognuno di noi sia il solo vero dio e che dovremmo essere i guru di noi stessi! Desiderio spiegare meglio il mio pensiero: ogni persona ha una sua coscienza un proprio io che di fatto é unico! Quindi il percorso di vita di ciascuno, é di fatto unico! Essere il guru di un nostro fratello è una grande responsabilità che nessuno dovrebbe accettare di assumersi! Per rispetto della sua divinità e della sua individualità! Credo che la cosa giusta da fare sia aprire il nostro cuore verso i nostri fratelli, un cuore scevro da superiorità senza mai sentirci coloro che danno l'esempio. Poiché la nostra intima attitudine con la quale ci poniamo verso gli altri viene da loro decifrata ed acquisita come un fatto! Dovremmo sempre vestire la nostra personalità di sincera umiltà! Il renderli partecipi delle nostre esperienze e delle emozioni che queste ci hanno provocato, ma lasciandoli liberi di fare le loro proprie riflessioni e quindi liberi di scegliere la direzione da impartire alla loro vita! Permetterà anche a coloro che sono meno consapevoli di crescere interiormente ed acquisire la loro consapevolezza divina! Ovviamente questo è solo il mio punto di vista che ho scelto di esprimere qui perché trovo questa pagina sia molto illuminata sentendola vicina al mio modo di intendere la spiritualità interiore! Magari se lo trovate opportuno potete esprimere il vostro punto di vista a favore o no della mia visione! Un dibattito in merito credo mi arricchirebbe, visto che è molto poco tempo che muovo i miei passi in questa direzione spirituale!"

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Articolo in sintonia: http://www.spiritual.it/it/cultura/maestro-e-colui-che-ti-porta-ad-essere-il-tuo-stesso-maestro,3,107455

Un interessante caso di NDE, «esperienza di premorte»

Le sensazionali rivelazioni del fisico “Vladimir Efremov” tornato per miracolo dall’aldilà.

Nei suoi trattati scientifici Efremov ha descritto l’aldilà con termini matematici e fisici. In questo contesto, tuttavia, sarà evitato il linguaggio tecnico matematico a favore di una descrizione semplice, alla portata di tutti. Vladimir Efremov descrive quindi il mondo dell’aldilà, da lui sperimentato durante un’esperienza di morte improvvisa, in questi termini: “Ogni paragone sarà falso. I processi lì non sono lineari come qui da noi, non sono estesi nel tempo, e fluiscono contemporaneamente in tutte le direzioni. I soggetti nell’aldilà si presentano come dei concentrati di informazione, il cui contenuto determina il posto in cui essi si trovano e le qualità della loro esistenza.”

Capo ingegnere-progettista della Sezione Progetti per “Impuls”, Vladimir Efremov morì improvvisamente, soffocandosi in casa a causa di una forte tosse. I parenti all’inizio non capirono che cosa fosse successo. Pensarono che si fosse messo un attimo a riposare. Fu la sorella Natalia, la prima ad accorgersi dell’accaduto. Natalia essendo medico e sentendo che il cuore non batteva incominciò allora a praticargli la respirazione artificiale, ma il fratello non respirava. Fece quindi un tentativo di “mettere in moto” il cuore massaggiandogli il petto. Erano trascorsi già otto minuti quando le sue mani sentirono una spinta di risposta molto debole. Il cuore riprese a battere e Vladimir Efremov ricominciò a respirare da solo. Appena si riprese disse: “La morte non esiste, anche lì c’è vita. Diversa però. Migliore… “

Vladimir descrisse poi ciò che aveva vissuto in quei minuti di morte clinica in modo molto dettagliato. Le sue testimonianze sono quindi preziose. E rappresentano un primo studio scientifico sulla vita nell’aldilà, effettuato da uno scienziato che ha vissuto la morte in prima persona. Efremov ha quindi pubblicato le sue osservazioni in un giornale scientifico dell’Università di San Pietroburgo, e successivamente ha raccontato l’intera storia a un congresso scientifico, dove la sua relazione è stata molto apprezzata dagli scienziati presenti.

Il Passaggio:

La reputazione di Vladimir Efremov in ambito scientifico è impeccabile. E’ un grande specialista nel campo dell’intelligenza artificiale e per molti anni ha lavorato per “Impuls”. Ha partecipato alla preparazione del lancio di Yuri Gagarin nel cosmo, e contribuito all’elaborazione dei sistemi missilistici super moderni. Il suo staff scientifico è stato premiato quattro volte in ambito scientifico.
“Prima della morte clinica mi consideravo assolutamente ateo” – racconta Vladimir Efremov – “mi fidavo solo dei fatti”. “Tutte le riflessioni sulla vita nell’aldilà le ritenevo oppio religioso. A dire il vero, non ho mai pensato seriamente nemmeno alla morte, anche se avevo problemi di cuore e altri acciacchi. Ma avevo tanto da fare… Poi è successo il fatto: a casa di mia sorella Natalia ho avuto un attacco di tosse. Sentivo che stavo soffocando. I polmoni non mi ubbidivano, tentavo di fare un respiro ma non ci riuscivo! Il corpo era diventato di ovatta, il cuore si era fermato. Dai polmoni è uscita l’ultima aria con un rantolo. Nel mio cervello è apparso allora un pensiero fulminante… pensavo che fosse l’ultimo secondo della mia vita. Però la coscienza inspiegabilmente non si staccava e di colpo è comparsa la sensazione di una incredibile leggerezza.Non avevo più né mal di gola, né di cuore, né di stomaco. Mi ero sentito così bene solo nell’infanzia. Non sentivo il mio corpo e neanche lo vedevo. Però con me erano rimasti tutti i miei sensi e ricordi. Inoltre volavo attraverso un tunnel gigantesco. Le sensazioni di volo mi sembravano familiari perché le avevo già sperimentate nei sogni. Mentalmente cercavo di rallentare il volo o di cambiare direzione. Non c’era alcuna paura o terrore, solo beatitudine. Cercavo di analizzare l’accaduto e le conclusioni arrivarono immediatamente: il mondo in cui ero capitato esisteva veramente. Ragionavo, quindi, esistevo. Il mio ragionamento possedeva inoltre la qualità deduttiva, visto che riuscivo a cambiare la direzione e la velocità del mio volo”.

Il Tunnel:

“Tutto era fresco, limpido e interessante” – continua Vladimir Efremov – “la mia coscienza funzionava in modo assolutamente diverso rispetto a prima. Abbracciava tutto contemporaneamente, non esistevano né tempo, né distanze. Io ammiravo il mondo circostante che sembrava essere arrotolato in un tunnel. Non ho visto il sole, ma ero immerso in una luce omogenea, senza ombre. Sulle pareti del tunnel si vedevano strane strutture somiglianti a rilievi. Non si poteva distinguere il basso e l’alto. Ho tentato di ricordare il posto sopra il quale volavo. C’erano delle montagne e ricordo il paesaggio. Il volume della mia memoria era veramente abissale. Potevo spostarmi con il pensiero. Che stupore! Era un vero teletrasporto“.

Il Televisore:

Feci un pensiero pazzesco: immaginai mentalmente il vecchio televisore rotto che si trovava a casa mia e potei vederlo da tutti i lati contemporaneamente. Sapevo tutto di lui, chissà come… persino dove era stato prodotto. Sapevo dove era stato preso il minerale usato per fondere il metallo per la costruzione del televisore. Sapevo anche chi era il proprietario della fonderia d’acciaio che lo realizzava, sapevo che aveva moglie e problemi con la suocera. Vidi tutto ciò che era legato a quel televisore, ogni suo piccolo dettaglio. E soprattutto ora sapevo esattamente quale suo pezzo era guasto“. “Quando poi mi sono ripreso, ho sostituito il transistor T-350 e il televisore ha ripreso a funzionare… Avevo una sensazione di onnipotenza del pensiero. La nostra Sezione Progetti da due anni faticava dietro un certo progetto. Di colpo, vidi tutto il problema nella sua poliedricità. E l’algoritmo della soluzione comparve da sé“.

Dio:

La consapevolezza di non essere solo a questo mondo arrivò a poco a poco. La mia interazione informatica con l’ambiente circostante perdeva il suo carattere unilaterale. Ad ogni domanda che formulavo nella mia coscienza sorgeva una luce. All’inizio tali risposte le percepivo come il risultato di riflessioni. Però l’informazione che mi perveniva esulava dalle conoscenze che io possedevo in vita. Le conoscenze ricevute in quelle circostanze superavano di parecchio il mio background scientifico! Sapevo di essere guidato da Qualcuno onnipresente che non ha i limiti. Lui possiede potenzialità illimitate, è onnipotente e pieno di Amore. Questa Entità invisibile, ma percepibile da tutto il mio essere, faceva di tutto per non spaventarmi. Ho capito che mi mostrava gli eventi e i problemi con tutta la loro catena di legami di causa-effetto. Non Lo vedevo, ma lo percepivo intensamente. Sapevo che era Dio… Di colpo notai che mi impedì qualcosa. Mi sentì allora tirato fuori come una carota dalla Terra. Non volevo tornare… tutto andava così bene. Poi ho visto mia sorella. Lei era spaventata, io invece splendevo di stupore”.

Il Paragone:

Vladimir Efremov continua la sua descrizione: “Abbiamo già detto che i processi nell’aldilà non sono lineari ed estesi nel tempo come sulla Terra, ma fluiscono contemporaneamente in tutte le direzioni. I soggetti nell’aldilà sono presentati come dei concentrati di informazione e tutto si trova in un’unica catena di legami di causa-effetto. Gli oggetti e le loro caratteristiche formano una struttura globale nella quale tutto funziona secondo le leggi di Dio. Solo Lui ha il potere di creare, cambiare o eliminare ogni oggetto, qualità o processo, compreso il corso del tempo“.
“Ma quanto è libero l’uomo nelle sue azioni, quanto sono liberi la sua coscienza e l’anima? L’Uomo, come fonte d’informazione, può influire sugli oggetti nella sfera a lui ammissibile. La mia volontà infatti poteva cambiare i rilievi del tunnel, e far nascere gli oggetti che volevo. Il tutto somigliava molto a quanto descritto nei film “Solaris” e “Matrix”. Ma entrambi i due mondi, il nostro e quello dell’aldilà sono reali. Interagiscono costantemente, pur essendo autonomi: essi formano un sistema intellettuale globale diretto dal soggetto-Dio. Il nostro mondo è più semplice da comprendere, ha delle costanti che mantengono l’integrità delle leggi della natura, e il tempo riveste un ruolo importante come principio legante”.
Nell’aldilà le costanti non esistono affatto, oppure ce ne sono molto poche rispetto al nostro mondo e possono variare. In quel mondo sono presenti i concentrati informativi che contengono tutto l’insieme delle caratteristiche conosciute e non conosciute degli oggetti materiali, ma con la totale assenza degli oggetti stessi.Inoltre ho capito che in quel contesto l’uomo vede esattamente ciò che vuole vedere. Per questo le descrizioni dell’aldilà spesso differiscono. Un giusto vede il paradiso, un peccatore vede l’inferno… Per me la morte è stata una gioia che non posso paragonare a nulla di esistente sulla Terra. Persino l’amore per una donna in confronto a ciò che ho vissuto non è nulla…”

Rivisto da Fisicaquantistica.it


Articolo Tradotto da: Mario Palestro

Mittente:
Cav. Dott. Claudio S. Martinotti Doria  

Sincronicità. Il legame tra fisica e psiche

 Recensione:  Sincronicità. Il legame tra fisica e psiche di Massimo Teodorani
      L’oggetto misterioso di cui tratta questo libro ha fatto molto discutere psicologi, scienziati grandi e piccoli, terapeuti ma anche casalinghe, impiegati e venditori di palloncini. Perché la sincronicità ci tocca tutti, in qualche momento della vita in cui ci affacciamo nostro malgrado sull’imprevedibile, imperscrutabile, inconoscibile; e ci rende partecipi di quel tocco di metafisico di cui in verità è costellata l’esperienza umana, nonostante la pretestuosa evidenza, agitata come orgoglioso vessillo dagli accaniti sostenitori del razionale, che “tutto è sotto controllo”.
      L’autore traccia l’interessante parabola delle modalità con cui il concetto in questione si sia affermato, e ne addebita l’origine al momento epocale in cui lo psicanalista svizzero Jung mise in connessione le stratificazioni più profonde dell’animo con quel quid che sembra permeare il sottofondo della mente, da lui definito “inconscio collettivo”. Questa nozione rappresenta l’interfaccia, a livello informativo, dell’akasha della tradizione orientale: uno sterminato archivio in cui è registrata la traccia energetica di ogni pensiero, immagine o azione, le cui impronte possono essere rilevate mediante le opportune connessioni psichiche, di cui le sincronicità (dette anche “coincidenze significative”) sono l’aspetto più eclatante e comune al contempo.
      L’indagine di Jung gli permise di collegare l’esistenza di questa entità psichica di massa con i principi degli archetipi, ossia  modelli della realtà che di volta in volta risuonano e prendono vita in noi tramite l’influsso dell’inconscio collettivo nel loro  passaggio dal generale al particolare. 
      Dall’incontro di Jung con il fisico quantistico austriaco Wolfgang Pauli, premio nobel, nacque una sintonia e una sinergia che vide i due lavorare a un comune progetto di enunciazione di un principio fisico vero e proprio che tenesse conto della sincronicità come evento oggettivamente riconoscibile nella realtà, unendo così idealmente la psiche con la fisica in un matrimonio concettuale dai vincoli apparentemente paradossali.
     Trattazione esauriente e appassionante, non scade mai nella tentazione di utilizzare un linguaggio troppo tecnico o di esibire concetti di difficile comprensione, pur mantenendo il rigore scientifico inerente all’argomento. Ammirevole dunque la capacità divulgativa e di sintesi di Teodorani, data la possibilità tutt’altro che remota di sperdersi nei dettagli e nella sostanziale indeterminatezza del soggetto trattato.  
     “Jung sapeva che l’inconscio non si situa nello spazio conosciuto, bensì in una specie di “dimensione interspaziale”con sue leggi ben differenziate da quelle di causalità note alla scienza standard. Il sincronismo tra lo stato psichico di un individuo e un evento nel mondo della materia dimostrava fin troppo bene che oltre alle leggi conosciute dalla fisica ne esistono altre che ancora non conosciamo bene”    
Simone Sutra

Considerazioni, mottetti e citazioni di uomini religiosi sincretici


Alcune considerazioni, raccolte fra gli scritti di pensatori significativi. Per spiegare le ragioni che hanno determinato l’aspetto personalistico del cosiddetto insegnamento del Cristo, personalismo che possiamo far discendere tanto dall’Epicureismo quanto dallo Stoicismo, dottrine filosofico-esistenziali di cui era pregno il mondo mediterraneo governato dalla Romanità e improntato dall’Ellenismo, vale la pena riportare quanto scritto dallo studioso Paolo Boccuccia (vedi anche il libro di don Ennio Innocenti: Gesù a Roma.)
Il Gesù dei Vangeli vive, si muove ed opera su di uno sfondo ambientale e storico irreale, tranquillo, folkloristico, pacifico, al massimo turbato da qualche dramma personale senza importanza sociale, quali infermità o alienazioni mentali (indemoniati), drammi che danno al personaggio l’occasione di mostrare i suoi poteri taumaturgici e di porsi al centro di una attenzione collettiva priva del tutto di connotazioni politiche e di prospettive rivoluzionarie 
Nota: In questo clima è possibile instaurare un insegnamento di carattere personalistico che promette la “vita eterna”, cioè un prolungamento della vita a chi si comporterà in un certo modo ( che può essere anche una modalità di esistenza del tipo di quelle che vanno per la maggiore, oggi, nelle riviste salutistiche. Da aggiungere anche che all’epoca, cioè all’epoca in cui è stato situato, arbitrariamente la predicazione di Gesù, la Palestina era letteralmente straziata da guerre civili e da ribellioni contro Roma.
Pitigrilli, nel suo libro ”La bella ed i curculionidi” scrive: "I Greci insegnavano ”se sei bello fatti più bello ancora. Oggi la gente coltiva la propria caricatura.”
E Platone: “Scopo dell’uomo è la conoscenza e questa si ottiene nella Comunità e per la Comunità ”
Nota ulteriore: I racconti evangelici, nella loro astrazione -come fossero racconti fiabeschi-  non permettono di identificare un elemento concreto. Questo il loro fascino ma anche il loro limite. Al contrario, la Fascinazione Mitica, alla quale i creatori dei Vangeli si sono sicuramente ispirati, permette una continua traslazione nella tradizione del mito: dalla Persia, alla Mesopotamia, alla Grecia, a Roma e da questa a tutta l’ area mediterranea, compresa la Pelstina, ma soprattutto Alessandria d’Egitto cuore pulsante e concentrazione di tutto il pensare ed il sentire.
Palingenesi Pitagorica - Come scrive Arturo Reghini, non significa morire e rinascere, bensì ripetere l’atto della nascita. Nascere nuovamente.
Frasi utili alla comprensione:
"Perdonami per non essere riuscito a perdonarti."
"Io sono un altro Te stesso." saluto dei nativi americani.
"In fondo al Graal c’è il TAO" Eugenio Montale.
Vasile Droj: "Risonanza nella nostra Mente delle parole che pronunciamo e che ascoltiamo. Non ha senso escludere la sonorità e l’articolazione, cioè la lingua nazionale utilizzata nel discorso, dalla comprensione dei significati.  Non c’è comprensione nella pura astrazione concettuale."
H. Laborit:  "La sola ragione d’essere di un essere  è di essere, diversamente non esisterebbero esseri"
Cartesio:  "Occorre saper sceverare il vero dal certo"

Georgius Vitalicus (alias Giorgio Vitali)

Trent'anni di Festa dei Precursori... Programma dell'edizione del 2014 che si tiene a Treia


Anche quest'anno il Circolo Vegetariano  VV.TT., con sede in Treia, vicolo Sacchette, 15/a, celebra "La Festa dei Precursori" che si terrà  dal 25 al 27 aprile 2014. 


La Festa dei Precursori  ricorre ogni anno in occasione della fondazione del Circolo. Quest'anno siamo alla trentesima edizione.  L'evento previsto dura tre giorni e comprende una escursione nel territorio per il riconoscimento di erbe commestibili ed officinali con Sonia Baldoni; una mostra d'arte di artisti locali sul tema della campagna e degli animali e del riciclaggio creativo; una performance artistica, canti corali, condivisione di cibo vegetariano bioregionale da ognuno portato,  etc. 

In particolare, come momento di maggiore aggregazione e confronto si terrà una Tavola Rotonda sul tema dell'economia agricola e alternativa e solidale  il 25 aprile pomeriggio. Tra gli altri partecipano i marchigiani prof. Alberto Meriggi ed il dr. Loris Asoli di REES Marche; dall'Abruzzo viene Michele Meomartino dell'Ass. Olis,  dal Molise il presidente di Vivere con Cura Antonio D'Andrea, dal Lazio il prof. Benito Castorina; dall'Emilia la dr.ssa Caterina Regazzi.   Altri relatori saranno ecologisti ed esperti dei temi predetti che provengono da varie parti d'Italia. 

Lo spirito della Tavola Rotonda non è quello di una conferenza bensì quello della condivisione in cui ognuno interviene al discorso. Le relazioni introduttive  daranno un input, per poi proseguire in un discorsivo con domande e risposte e piccoli spazi poetici e simili. Altro interesse prioritario  è quello dell'economia solidale  e di una moneta complementare gestita da una rete associativa, per fare fronte alla crisi e smascherare i metodi del dominio di pochi sui molti.

La manifestazione si svolge con  il patrocinio morale degli Enti locali e la partecipazione di esponenti delle amministrazioni.

Paolo D'Arpini,  Circolo Vegetariano VV.TT. - Vicolo Sacchette, 15/a - Treia (MC) - Tel. 0733/216293  -circolovegetariano@gmail.com



Vi aspettiamo a Treia....

Programma - 25 aprile 2014, Vicolo Sacchette 15/a – Treia (MC):

Ore 10.30 – Passeggiata erboristica con Sonia Baldoni alla ricerca di erbe commestibili;

Ore 13.30 – Picnic nel giardino del Circolo, ognuno porta qualcosa di vegetariano;

Ore 15.30 – Tavola Rotonda “Economia alternativa, agricoltura e società solidale”. Saluti istituzionali della Proloco e del Comune. Introduzione di Paolo D'Arpini. Relatori: Alberto Meriggi dell’Università di Macerata, Loris Asoli della Comunità REES Marche, Michele Meomartino di Olis, Antonio D’Andrea di Vivere con Cura, Benito Castorina dell’Università di Cassino. Moderatrice: Caterina Regazzi;

Ore 19.00 – Passeggiata al centro storico e sosta per una pizzata al forno a legna;

Ore 21.00 – Ritorno e canto di mantra e meditazione con Upahar Anand ed Aria di Stelle.

Alle pareti del Circolo saranno esposte foto naturalistiche di Daniela Spurio e opere di riciclaggio creativo di Riccardo Mencarelli.

Il 26 aprile 2014 - Riunione assembleare dei soci e simpatizzanti del Circolo Vegetariano VV.TT.
Il 27 aprile 2014, alle h. 17.30 – Svernissage, performance artistica in chiusura e brindisi finale.

Indicazioni per raggiungere il luogo della Festa dei Precursori: Parcheggiare sotto le mura di Treia in prossimità di Porta Mentana (o Montana), lì nei pressi c’è una fontana antica con due cannelle, salire sino alla Porta, subito a sinistra si vede un vecchio pozzo, salire per 10 metri, quella è Via Sacchette, sulla destra si vedrà un piccolo spiazzo con una porta leggermente sopraelevata su un terrazzino, numero civico 15/a.

Info. circolo.vegetariano@libero.it – Tel. 0733/216293


Educazione sessuale etero e "dal vivo" nell'antichità... e "virtuale" ed omo al giorno d'oggi

13 aprile 2014 - Non è stata ripresa molto la notizia, per forza, con i tempi che corrono, si parla solo di luxuria e svendola e della contribuzione pubblica per il cambio di sesso, ma nella Provincia profonda (quella che renzie vuole eliminare) esiste ancora una fronda etero. A Como, città che conosco bene per averci fatto il CAR da militare, una professoressa di musica di scuola media è stata sospesa perché voleva leggere in classe il kamasutra. La vicenda è avvenuta nella scuola media Parini di Como, ed è stata raccontata dal quotidiano La Provincia,  stando a quanto riferito dai genitori di alcuni studenti.  L’insegnante già nel 2005 era stata accusata per un caso analogo avvenuto nella scuola secondaria di Cantù: si era infatti spogliata davanti agli alunni e aveva mostrato il seno suscitando diverse polemiche ma cavandosela con la piena assoluzione dopo un’indagine interna. O tempora o mores... nelle scuole vengono adottati testi che inneggiano alla cultura omosex e transegender, si insegna ai bambini delle elementari a compiere atti sessuali fra “congeneri” ma una sana educazione sessuale etero "dal vivo" è proibita! - Di seguito un mio articolo sull'educazione sessuale nell'antichità.

 

Oggigiorno sembrerebbe che la libertà sessuale sia un fatto acquisito nella nostra società, ma ciò avviene solo in forma virtuale, massimamente nelle immagini e nelle prefigurazioni, il che significa che la sessualità non è più vissuta come un fatto naturale, come mangiare bere dormire evacuare respirare, bensì come uno sfogo alle frustrazioni ed un compensativo all’incapacità di provare attraverso il sesso quelle emozioni che solitamente dovrebbero accompagnarlo.Il sesso è diventato un prodotto di consumo.
Come tale si vende nei giornali, nelle televisioni, in internet, nelle strade, nelle discoteche… oppure se non si può acquistarlo lo si ruba, sotto forma di stupro e violenza o di onanismo da pornografia.
Anticamente la sessualità era “trasmessa” al momento opportuno, come una qualsiasi “conoscenza” (sia pur innata)  da comprendere nelle sue sfaccettature ed abilità, ciò avveniva in forme sacrali in modo che la sessualità venisse riconosciuta come un dono ed una bellezza della natura. Ciò potrebbe sembrare “amorale” secondo il giudizi morale della nostra società perbenista ed ipocrita, ma la morale finta porta solo alla perversione mentre l’amoralità mantiene la società umana in una condizione di naturalezza ed innocenza.
Mi sovviene del giovinetto Krishna, un’incarnazione divina, che amoreggiava con Rada, anch’essa considerata incarnazione della madre divina. Krishna avrà avuto 14 o 15 anni mentre Rada, che era pure sposata, ne aveva molti più di lui… eppure entrambi sono venerati in India come il simbolo dell’amore “puro”, della devozione reciproca e della sessualità pulita. Noi diremmo che Rada ha fatto la “nave scuola” di Krishna ma ciò è molto, molto riduttivo ed anche stupido. Io propendo a considerarla l’impartitrice del vero amore… Questa di Rada e Krishna è una storia di cinquemila anni fa ma oggi come si trasmette l’amore?
Lasciatemi però continuare nell’analisi storica. E prendo ad esempio la consegna dei misteri sessuali nelle popolazioni italiche prima dell’avvento definitivo del patriarcato (i cui fondatori in Europa furono essenzialmente i greci ed i romani). Vediamo invece cosa succedeva al tempo dei lucumoni falisci.
A scuola di sesso dal lucumone.
Era una notte buia e tempestosa…. Ecco l’inizio classico con cui Charlie Brown iniziava le sue fiabe, ricordate? Andrebbe bene per parlare di qualsiasi argomento e quindi va bene anche per parlare di costumi sessuali antichi. Ma non voglio qui illustrare le diverse propensioni ed attitudini (questo tema è trattato nell’articolo sulla pansessualità) anche se esse stesse sono parte del bagaglio istintuale dell’uomo. Quello che mi interessa toccare è la sessualità come forma di spiritualità e “religione” della vita. Nella società umana da tempo immemorabile è stata data grande rilevanza al sesso, l’atto sessuale è stato posto in cima alla scala dei valori umani (prima che subentrasse l’oscurantismo sessuofobico dei culti monoteisti).
Questo interesse per l’amore sessuale è dovuto non solo al “richiamo della carne” –uno stimolo che ha sempre condizionato i rapporti sociali- ma soprattutto alla consapevolezza che il rapporto “procreativo” ha sovente esercitato una potente attrattiva nella mente umana che ha visto in esso l’unica possibilità conosciuta di perpetuare la propria esistenza. La ricerca dell’eternità, in questo caso, passa attraverso quella “trasmissione di sé” che appunto sta alla base del rapporto sessuale, un modo insomma di perpetuare e suffragare l’io…
Gli animali, soprattutto i mammiferi, dedicano alle attività sessuali e riproduttive gran parte delle loro energie, anzi la loro vita è centrata sulla sessualità, la loro esistenza è scandita dalla pulsione sessuale e dai suoi ritmi e regole. Non si può fare a meno di osservare nell’uomo ciò che avviene nei suoi fratelli animali. Ma c’è qualcosa che contraddistingue l’uomo nell’espletamento delle funzioni riproduttive: la perdita dell’estro femminile ed anche la capacità di sublimare o trasformare il rapporto sessuale in atto rituale e di adorazione, ovvero in gesto d’amore. Non voglio ora prendere ad esempio l’estrema sublimazione, quella dell’asceta che rivolge il suo desiderio sessuale verso una divinità astratta, o verso il Sé, trasformando lo stimolo carnale in energia mistica. Vorrei piuttosto evidenziare come la relazione sessuale sia divenuta, nel corso di questa nostra civiltà umana, un modo di esprimere religiosità e sentimento. La prima religione conosciuta dall’uomo è quella della Madre Terra, la sua pratica era già evidente nelle statuine femminili che evocavano la capacità fertilizzatrice trasposta all’umano. Ciò avvenne nel cosiddetto periodo matristico. Persino l’uso di grotte o spelonche od oscure foreste come luogo di culto delle “madri” è sinonimo di una religiosità che poneva al primo posto la sessualità.
Questa visione panteistica di rispetto verso la sessualità fu importante non solo nelle cosiddette società matriarcali ma anche nei periodi successivi in cui l’uomo (il maschio) assunse una maggiore considerazione sociale con la conseguente “mascolinizzazione” delle divinità.
Per fare un esempio concreto di questi aspetti parlerò delle due civiltà che contraddistinsero il nostro Lazio. Da una parte c’erano i Falisci, la cui caratteristica fu quella di vivere in armonia con la natura. La nazione falisca era una libera confederazione di unità indipendenti e sovrane in cui i luoghi sacri erano i corsi d’acqua, le rocce, gli alberi e le caverne che venivano usate per scopi rituali (oltre che abitativi). La divinità principale dei falisci era femminile, l’incarnazione della Madre Terra in forma di Giunone, la dea dell’abbondanza e della fertilità. Diverso invece fu l’atteggiamento dei “cugini” romani (sicuramente una branchia separatasi dal contesto falisco), i quali per contraddistinguersi e manifestare il loro spirito guerriero scelsero Marte come protettore, esemplare è il loro atteggiamento verso la sessualità se poi esaminiamo la storia del ratto delle sabine…. In verità i romani furono in Italia i veri iniziatori del patriarcato. La loro società era basata sulla dominanza maschile e dalla conseguente necessità di affermazione e di conquista (una devianza che osserviamo anche nel detto mafioso “comannari è mejjo che fotteri” (comandare è meglio che far l’amore).
Fortunatamente per la specie umana, però, né i romani né gli altri dominatori successivamente intervenuti poterono cancellare il rispetto spontaneo che ha continuato a manifestarsi in tutta la penisola, vedi il mantenimento del culto della Madonna, alquanto anomalo nel contesto di una religione patriarcale come il cristianesimo. Sino ad oggi… ma oggi? Con lo sfilacciamento della solidarietà al femminile e la perdita del rispetto verso l’amore sessuale anche qui in Italia rischiamo grosso…. Infatti cancellando “l’adorazione” e la considerazione verso il femminino, perdiamo la capacità di esprimere bellezza e poesia attraverso il rapporto sessuale. Spesso ho notato che dove questo “rispetto amoroso” viene a mancare subentra la pornografia e la licenza e l’amore decade ad una semplice meccanica delle membra.
Attenzione non sto facendo un discorso “moralista” anzi se leggerete bene sino in fondo capirete che sono totalmente contrario alla morale, che la morale stessa è la madre dell’immoralità, mentre la mancanza del senso morale (amoralità) è la condizione per il mantenimento nella società umana di stimoli e sentimenti sani ed innocenti Comunque andiamo avanti nell’analisi sul passato trascorso.
I Falisci, per quanto detto sopra, non possono in ogni caso essere considerati delle mammolette, come si potrebbe sospettare dai loro atteggiamenti di venerazione verso il femminino e verso la natura. Al contrario essi rappresentano un modo giusto di agire in cui la violenza viene accettata solo in forma di autodifesa, difatti fu proverbiale la loro resistenza ai romani che infine li sconfissero solo grazie all’inganno. Radendo infine al suolo anche l’indomita Falleri, l’imprendibile rocca falisca, facendola poi ricostruire nella pianura lungo la via Amerina (l’attuale Faleri Novi a Fabbrica di Roma). La verità sui falisci è che essi valutarono come “bonum optimum” la libertà, l’eguaglianza e la loro civiltà, basata sulla spontanea propagazione, non aveva alcuna propensione alla rapina, tipica dei “cugini” romani.
Fortunatamente questo spirito nobile e di spontaneità e naturalezza comportamentale della “gens” dei Falisci non andò completamente perduto ma restò almeno nelle cerimonie dei riti fescennini (rimasti in auge anche a Roma per diversi secoli) ed in parte anche nelle norme paritarie del diritto romano.
Ritorno ora alle usanze sessuali religiose dei Falisci per far notare come oggi potrebbero tornare di utilità. I termini che spesso uso di ecologia e spiritualità naturale o laica, in cui si presuppone la piena armonia e pariteticità fra l’energia maschile e femminile, sono solo un altro nome per quella visione olistica che contraddistinse i buoni Falisci. Anche per loro ogni cosa era sacra, il mantenimento dello habitat era la loro filosofia e forma primaria di economia, l’acqua rappresentava la capacità di fertilizzare il suolo e di sostenere e purificare la vita, gli animali erano compagni di viaggio ed amici, gli alberi simboli della forza generatrice della terra, la natura nelle sue variegate manifestazioni e stagioni era vista come “mater”. Questa considerazione per la vita era evidente anche in campo sessuale, attraverso il rispetto per questa energia ed attraverso la prudenza neri rapporti. Prudenza significa “non coercizione” bensì capacità di “allettamento”. Un sano e libero rapporto sessuale che anche oggi andrebbe vissuto nella capacità di compiacersi reciprocamente e non per godimento usufruttuario o per soddisfazione di interessi di sorta. La natura ci insegna ad amarci l’un l’altra e non a sfruttare le nostre qualità in termini di prestazione… o di guadagno (anche come immagine… vedi lo sfruttamento in tal senso del corpo umano maschile e -più spesso- femminile).
Vediamo ancora qual’era il diverso significato dell’iniziazione sessuale presso i due nuclei storici di questi due popoli che parlavano entrambi la stesa lingua, il latino.
Presso i romani l’iniziazione aveva essenzialmente le caratteristiche di una emancipazione al maschile, diverso era invece il significato presso i giovanetti e giovanette dell’Agro Falisco. L’iniziazione falisca, pur non conosciuta nei particolari, aveva caratteristiche di coniugazione fra i due sessi, entrambi coinvolti nei riti ed aiutati da sacerdoti e sacerdotesse, a riconoscere la propria sessualità come forme complementari, in modo da segnare un indirizzo comportamentale. Le caverne, dicevo prima, erano spesso i luoghi d’incontro preposti a tali cerimonie… possiamo tentare d’immaginare una processione di adolescenti candidamente vestiti, con abiti nuovi, ognuna ed ognuno con una lampada nella mano, entrare in silenzio e reverenza nell’antro buio per apprendervi vicendevolmente i misteri dell’amore!
Forse, chissà, qualcosa di simile avveniva anche durante i riti dionisiaci o proto-cristiani, allorché i ragazzi –maschi e femmine assieme- si avviavano a ricevere i sacramenti. Purtroppo oggi queste funzioni sono state spogliate di ogni carattere iniziatico lasciando l’apprendimento pratico della sessualità alla pornografia o peggio ancora alla più perversa pedofilia religiosa.
Recentemente ancora ed ancora si fa un gran parlare di trasmettere l’educazione sessuale, in chiave teorico illustrativa, come fosse una materia scolastica, tipo matematica o religione… Ma non c’è nulla di peggio per cancellare ogni romanticismo e mistero verso la sessualità, non c’è niente di peggio per trasformare l’amore in mera strumentalizzazione corporale. Alla fine vince ancora una volta l’immoralità mascherata da morale. Vince la perfidia dell’allontanamento dalle sane abitudini umane, trasformando il sesso in “consumo ragionato”. In tal modo il rapporto vien vissuto in forma di assimilazione esterna a sé o di apprendimento virtuale (avulso dalla quotidianità). Così si lascia la sperimentazione all’estemporaneità o, peggio ancora, alla sopraffazione di chi magari approfitta dell’interesse morboso risvegliato nelle ingenue menti giovanili.
A questo punto sarebbe decisamente meglio rispolverare il metodo popolare alla “Grazie zia..” Oppure lasciare che la conoscenza sessuale –non più sporcata dalla proibizione moralistica o banalizzata dall’uso edonistico- diventi una parte integrante della vita di ognuno, una libertà espressiva che segue la natura, nella consapevolezza che l’energia sessuale appartiene alla vita e non c’è bisogno di “compiacere” nessuno adattandosi alle leggi di mercato per conquistarsi un “pezzetto” d’amore.
Il percorso all’inverso da compiere, dopo secoli di condizionamento che hanno portato al “matrimonio” (pagamento della madre), allo stupro ed alla perversione, è lungo e difficile ma è l’unico da intraprendere per riportare l’uomo alla sua pienezza emotiva e sessuale.
Paolo D’Arpini

Biografia canonica di Nichiren Daishonin




Nichiren nacque nel 1222 nella provincia di Awa nella prefettura in cui si trova l'isola di Ise con i santuari shintoisti più antichi e venerati di tutta la Nazione. Questa vicinanza impresse un profondo senso reverenziale e allo stesso tempo nazionalistico nei primi anni della vita di Nichiren. Era figlio di un povero pescatore, come lui stesso ricorda più di una volta. Prima di proseguire, occorre ricordare i suoi «nomi». Alla nascita ricevette quello di Zanninchi maru. Finiti i primi studi in un monastero buddhista e ammesso all'«ordinazione» monastica, nell'anno 1238, prese il nome di Rencho. Dopo la scoperta della sua Via, nel 1253, lui stesso scelse il nome di Nichi ren (sole loto) come sintesi dell'ideale di vita che iniziava, vita tutta dedicata al Giappone, il «Sole», e al Sutra del Loto. Quando fu esiliato nell'isola di Sado, nel 1271, fu ancora lui ad assegnarsi il nome di Nichiren Daishonin (dai = grande; shonin = sapiente), titolo giapponese il quale designa il Buddha che verrà negli ultimi tempi per salvare il genere umano. 

Prima di assumere questo titolo, Nichiren si presentava come il bosatsu o bodhisattva Jogyo (sans. Visistacaritra), uno dei primi discepoli di Sakyamuni. Ma verso la fine della sua vita, volle superare questa sua identificazione. 

Finalmente, nel 1922, in pieno slancio militarista, il governo del Giappone gli concesse il nome postumo di Rissho Daishi, ossia «gran maestro che stabilisce quello che è retto». E interessante vedere nel cambiamento dei suoi nomi l'evoluzione della sua vita. Nichiren non si presentò mai come fondatore di una nuova scuola buddhista. Tutto il suo movimento incominciò con la ricerca della risposta da dare a due questioni fondamentali sulle quali molto meditò nel monastero di Kiyosumi, dove era entrato all'età di undici anni. 

La prima questione concerneva la famiglia imperiale, che Nichiren credeva protetta dagli dèi (convinzione formatasi in lui durante l'infanzia trascorsa vicino ai santuari di Ise): perché l'imperatore, che in quel tempo era Go Toba, viveva nell'esilio, senza potere, usurpato dagli shogun della famiglia Minamoto Yoritomo ? La seconda questione veniva posta dalle tante calamità che succedevano a livello nazionale: perché gli dèi le permettevano? Si parlava anche del pericolo di una invasione dei mongoli che avrebbero distrutto il Giappone. 

Negli anni di noviziato nel monastero del monte Kiyosumi, la seconda questione si fece più pressante di fronte alla visione di tante scuole buddhiste così diverse e contraddittorie nelle loro dottrine, e anche in guerra tra di loro. Si imponeva la ricerca del testo buddhista che fosse quello «vero» e, come tale, principio di unione e di pace. Nichiren si convinse che ci doveva essere un solo testo autentico e pertanto una sola setta professante la vera dottrina buddhista. In questo contesto, fece il voto di «diventare il più eminente sapiente del Giappone». Da questo momento si dedicherà, in una forma tutta speciale, agli studi. 

Nel monastero nessuno sapeva rispondere alle sue domande. Il livello scientifico era basso, anche se Nichiren poteva contare su un ottimo maestro, Dozen, che lo iniziò alla pratica del nembutsu. Questa pratica suppone che il corpo, la mente e la parola dell'uomo, durante la ripetizione del nome del Buddha, si identifichi con il corpo, la mente e la parola del Buddha universale, presente in tutti gli esseri, e fa risvegliare la forza infinita della buddhità latente in ogni uomo. All'età di sedici anni Nichiren fu ordinato monaco e, con la tònsura monastica, ricevette il nome religioso che già conosciamo, Rencho. 

Sotto la forza del voto, che aveva fatto, di diventare il primo «sapiente», abbandonò quel piccolo monastero e se ne andò a Kamakura, che all'epoca era il centro buddhista di studi e anche la sede del governo, tanto corrotto. A Kamakura studiò le scuole del buddhismo giapponese e i loro testi. Da Kamakura passò al monte Hiean, che . tutt'oggi costituisce un centro di ricerca; a quel tempo contava quasi duemila monasteri e quasi tutti con una impostazione universitaria. 

Come frutto di tutte le sue ricerche, Nichiren arrivò ad alcune conclusioni importanti, cui accenneremo nel presentare, più avanti, i suoi libri. In filosofia accettò che tutti gli esseri senzienti e mortali partecipano alla stessa natura di Buddha. Ma soprattutto si convinse che c'è una unione fondamentale tra l'osservanza della vera Legge buddhista e la salvezza della Nazione e che, per conseguenza, i problemi e le calamità nazionali erano dovuti alla molteplicità delle false dottrine, all'ignoranza dei monaci e alla negligenza dei governanti che permettevano questo stato di cose. Nichiren era altresì convinto di vivere nell'ultima epoca, quella della degenerazione della Legge (mappo), che precede la venuta di un Buddha definitivo e la restaurazione della vera Legge. Il tema del mappo compare in quasi tutti gli scritti di Nichiren. 

Nel campo della esoteriologia e della ortodossia, accettò soltanto il Sutra del Loto o Hokekyo, in concreto la traduzione cinese che ne aveva fatta Kumarajiva nel 406 sotto il titolo Myoho rengekyo fece di questo testo la base della sua dottrina. Le dottrine del Buddha anteriori al Sutra del Loto erano considerate «provvisorie» e preparatorie. Al posto del nembutsu, recitato dagli amidisti (Namu Amida Butsu) che Nichiren condanna perché si erano allontanati dal Sutra del Loto per cercare la salvezza nella ripetizione del nome di Amida propone la recita o canto del titolo del Sutra: Nam myoho renge kyo. Il Sutra del Loto, secondo Nichiren, propone la dottrina ultima e definitiva, e Nichiren vede nel suo titolo ciò che di essa è l'essenziale: Myo significa la natura essenziale della vita, o le sue manifestazioni fenomenologiche, renge è il fior di loto, e kyo diventa la parola dello stesso Buddha. 

Avremo, più avanti, occasione di scorrere alcuni testi radicali che illuminano questa dottrina. Dopo dieci anni di studio e di ricerca, il 28 aprile 1253, nel tempio di Seicho, Nichiren, che da allora assume questo nome, cantando il Nam myoho renge kyo dichiara che l'autentico buddhismo è quello stabilito da lui. 

Come metodologia missionaria utilizza lo shakubuku che è un modo di propagare il buddhismo consistente nel rifiutare le teorie false e nel sottomettere tutti con la forza alla vera dottrina, cioè alla conoscenza del Sutra del Loto e all'invocazione del suo titolo mistico. Nel rifiutare le altre scuole, Nichiren incominciò col denunciare quella della Terra Pura per aver cambiato i valori del buddhismo collocando Amida all'apice di essi; subito dopo attaccò lo Zen perché dimenticava le «Scritture» e tra esse il Sutra del Loto. Con questa metodologia percorse molti monasteri. E facile immaginare la reazione negativa che ovunque incontrava. È di questo periodo, 1255, il suo primo libro, molto breve, Per arrivare alla buddhità, ossia per conseguire la salvezza e ottenere la luce della vera vita; per Nichiren l'unico mezzo è cantare o recitare il Nam myoho renge kyo: in questa sentenza si trova l'essenza del Sutra del Loto, che contiene la Verità. 

Dall'anno 1256 al 1258, su tutto il territorio del Giappone ci furono epidemie, terremoti (nel 1257 tre terremoti quasi distrussero la città di Kamakura e molti templi), inondazioni (come quella dell'agosto del 1258) che uccisero molte persone e devastarono i raccolti. La fame si fece sentire ovunque. E mentre il governo comandava di pregare in tutti i templi e i santuari per la cessazione di tutte queste calamità (giugno 1260), Nichiren presentò un mese dopo al reggente del paese il suo libro sul mezzo per ottenere «la pace e la tranquillità del paese», che esamineremo. Ma l'ostilità del governo e delle scuole buddhiste tradizionali contro Nichiren divenne forte, tanto che Nichiren, un anno dopo, fu esiliato nella penisola di Izu. Alcuni suoi discepoli divennero fanatici nell'attaccare le altre scuole buddhiste e persino il governo, reo, ai loro occhi, di non mettere in atto mezzi efficaci per imporre la dottrina del Maestro. Nel 1263, Nichiren fu perdonato e ritornò dall'esilio a Kamakura. Arriva intanto la prima delegazione del Gran Kan dei mongoli chiedendo la sottomissione del Giappone all'impero mongolo. 

Nel 1271 arriva una nuova delegazione con le stesse richieste. Mentre i governanti del Giappone incominciano a fortificare le coste occidentali del paese, Nichiren insiste nel sostenere che non è questo il mezzo per salvare il paese, essendo l'unico mezzo quello di stabilire la sua dottrina e sopprimere tutte le altre. Sorgono violente persecuzioni e anche il governo tenta di uccidere il Maestro, ma invano. Di nuovo viene esiliato nell'ottobre del 1271, questa volta nell'isola di Sado. In questo esilio Nichiren scrive molte lettere e il lungo trattato sull'«apertura degli occhi». 

Soltanto tre anni dopo viene perdonato, ma lui si ritira a Minobu, vicino al monte Fuji, dove edifica un grande tempio, che diventerà il centro del movimento da lui iniziato. Qui scrisse molti libri e molte lettere e qui morì nel 1282.