Prima di assumere questo titolo, Nichiren si presentava come il bosatsu o bodhisattva Jogyo (sans. Visistacaritra), uno dei primi discepoli di Sakyamuni. Ma verso la fine della sua vita, volle superare questa sua identificazione.
Finalmente, nel 1922, in pieno slancio militarista, il governo del Giappone gli concesse il nome postumo di Rissho Daishi, ossia «gran maestro che stabilisce quello che è retto». E interessante vedere nel cambiamento dei suoi nomi l'evoluzione della sua vita. Nichiren non si presentò mai come fondatore di una nuova scuola buddhista. Tutto il suo movimento incominciò con la ricerca della risposta da dare a due questioni fondamentali sulle quali molto meditò nel monastero di Kiyosumi, dove era entrato all'età di undici anni.
La prima questione concerneva la famiglia imperiale, che Nichiren credeva protetta dagli dèi (convinzione formatasi in lui durante l'infanzia trascorsa vicino ai santuari di Ise): perché l'imperatore, che in quel tempo era Go Toba, viveva nell'esilio, senza potere, usurpato dagli shogun della famiglia Minamoto Yoritomo ? La seconda questione veniva posta dalle tante calamità che succedevano a livello nazionale: perché gli dèi le permettevano? Si parlava anche del pericolo di una invasione dei mongoli che avrebbero distrutto il Giappone.
Negli anni di noviziato nel monastero del monte Kiyosumi, la seconda questione si fece più pressante di fronte alla visione di tante scuole buddhiste così diverse e contraddittorie nelle loro dottrine, e anche in guerra tra di loro. Si imponeva la ricerca del testo buddhista che fosse quello «vero» e, come tale, principio di unione e di pace. Nichiren si convinse che ci doveva essere un solo testo autentico e pertanto una sola setta professante la vera dottrina buddhista. In questo contesto, fece il voto di «diventare il più eminente sapiente del Giappone». Da questo momento si dedicherà, in una forma tutta speciale, agli studi.
Nel monastero nessuno sapeva rispondere alle sue domande. Il livello scientifico era basso, anche se Nichiren poteva contare su un ottimo maestro, Dozen, che lo iniziò alla pratica del nembutsu. Questa pratica suppone che il corpo, la mente e la parola dell'uomo, durante la ripetizione del nome del Buddha, si identifichi con il corpo, la mente e la parola del Buddha universale, presente in tutti gli esseri, e fa risvegliare la forza infinita della buddhità latente in ogni uomo. All'età di sedici anni Nichiren fu ordinato monaco e, con la tònsura monastica, ricevette il nome religioso che già conosciamo, Rencho.
Sotto la forza del voto, che aveva fatto, di diventare il primo «sapiente», abbandonò quel piccolo monastero e se ne andò a Kamakura, che all'epoca era il centro buddhista di studi e anche la sede del governo, tanto corrotto. A Kamakura studiò le scuole del buddhismo giapponese e i loro testi. Da Kamakura passò al monte Hiean, che . tutt'oggi costituisce un centro di ricerca; a quel tempo contava quasi duemila monasteri e quasi tutti con una impostazione universitaria.
Come frutto di tutte le sue ricerche, Nichiren arrivò ad alcune conclusioni importanti, cui accenneremo nel presentare, più avanti, i suoi libri. In filosofia accettò che tutti gli esseri senzienti e mortali partecipano alla stessa natura di Buddha. Ma soprattutto si convinse che c'è una unione fondamentale tra l'osservanza della vera Legge buddhista e la salvezza della Nazione e che, per conseguenza, i problemi e le calamità nazionali erano dovuti alla molteplicità delle false dottrine, all'ignoranza dei monaci e alla negligenza dei governanti che permettevano questo stato di cose. Nichiren era altresì convinto di vivere nell'ultima epoca, quella della degenerazione della Legge (mappo), che precede la venuta di un Buddha definitivo e la restaurazione della vera Legge. Il tema del mappo compare in quasi tutti gli scritti di Nichiren.
Nel campo della esoteriologia e della ortodossia, accettò soltanto il Sutra del Loto o Hokekyo, in concreto la traduzione cinese che ne aveva fatta Kumarajiva nel 406 sotto il titolo Myoho rengekyo fece di questo testo la base della sua dottrina. Le dottrine del Buddha anteriori al Sutra del Loto erano considerate «provvisorie» e preparatorie. Al posto del nembutsu, recitato dagli amidisti (Namu Amida Butsu) che Nichiren condanna perché si erano allontanati dal Sutra del Loto per cercare la salvezza nella ripetizione del nome di Amida propone la recita o canto del titolo del Sutra: Nam myoho renge kyo. Il Sutra del Loto, secondo Nichiren, propone la dottrina ultima e definitiva, e Nichiren vede nel suo titolo ciò che di essa è l'essenziale: Myo significa la natura essenziale della vita, o le sue manifestazioni fenomenologiche, renge è il fior di loto, e kyo diventa la parola dello stesso Buddha.
Avremo, più avanti, occasione di scorrere alcuni testi radicali che illuminano questa dottrina. Dopo dieci anni di studio e di ricerca, il 28 aprile 1253, nel tempio di Seicho, Nichiren, che da allora assume questo nome, cantando il Nam myoho renge kyo dichiara che l'autentico buddhismo è quello stabilito da lui.
Come metodologia missionaria utilizza lo shakubuku che è un modo di propagare il buddhismo consistente nel rifiutare le teorie false e nel sottomettere tutti con la forza alla vera dottrina, cioè alla conoscenza del Sutra del Loto e all'invocazione del suo titolo mistico. Nel rifiutare le altre scuole, Nichiren incominciò col denunciare quella della Terra Pura per aver cambiato i valori del buddhismo collocando Amida all'apice di essi; subito dopo attaccò lo Zen perché dimenticava le «Scritture» e tra esse il Sutra del Loto. Con questa metodologia percorse molti monasteri. E facile immaginare la reazione negativa che ovunque incontrava. È di questo periodo, 1255, il suo primo libro, molto breve, Per arrivare alla buddhità, ossia per conseguire la salvezza e ottenere la luce della vera vita; per Nichiren l'unico mezzo è cantare o recitare il Nam myoho renge kyo: in questa sentenza si trova l'essenza del Sutra del Loto, che contiene la Verità.
Dall'anno 1256 al 1258, su tutto il territorio del Giappone ci furono epidemie, terremoti (nel 1257 tre terremoti quasi distrussero la città di Kamakura e molti templi), inondazioni (come quella dell'agosto del 1258) che uccisero molte persone e devastarono i raccolti. La fame si fece sentire ovunque. E mentre il governo comandava di pregare in tutti i templi e i santuari per la cessazione di tutte queste calamità (giugno 1260), Nichiren presentò un mese dopo al reggente del paese il suo libro sul mezzo per ottenere «la pace e la tranquillità del paese», che esamineremo. Ma l'ostilità del governo e delle scuole buddhiste tradizionali contro Nichiren divenne forte, tanto che Nichiren, un anno dopo, fu esiliato nella penisola di Izu. Alcuni suoi discepoli divennero fanatici nell'attaccare le altre scuole buddhiste e persino il governo, reo, ai loro occhi, di non mettere in atto mezzi efficaci per imporre la dottrina del Maestro. Nel 1263, Nichiren fu perdonato e ritornò dall'esilio a Kamakura. Arriva intanto la prima delegazione del Gran Kan dei mongoli chiedendo la sottomissione del Giappone all'impero mongolo.
Nel 1271 arriva una nuova delegazione con le stesse richieste. Mentre i governanti del Giappone incominciano a fortificare le coste occidentali del paese, Nichiren insiste nel sostenere che non è questo il mezzo per salvare il paese, essendo l'unico mezzo quello di stabilire la sua dottrina e sopprimere tutte le altre. Sorgono violente persecuzioni e anche il governo tenta di uccidere il Maestro, ma invano. Di nuovo viene esiliato nell'ottobre del 1271, questa volta nell'isola di Sado. In questo esilio Nichiren scrive molte lettere e il lungo trattato sull'«apertura degli occhi».
Soltanto tre anni dopo viene perdonato, ma lui si ritira a Minobu, vicino al monte Fuji, dove edifica un grande tempio, che diventerà il centro del movimento da lui iniziato. Qui scrisse molti libri e molte lettere e qui morì nel 1282.
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