L’elemento principale dell’alimentazione romana era il pane, principalmente a base di frumento e di farro,(da cui deriva il,nome farina), che era di diverse qualità: c’era il pane bianco, principalmente utilizzato dalle classi agiate, il “panis secundarius” sempre bianco ma meno raffinato, ed il pane nero o compatto. Nei primi secoli della nascita della Repubblica il pane il pane era costituito dalla “polta” una specie di polenta a base di farro talvolta unita a fave, lenticchie e cipolle .Solo in seguito ci fu l’introduzione di prodotti da forno più raffinati, come pasticcini e focacce a base principale di farina e miele.
I prodotti della pastorizia, come latte formaggi, freschi oppure stagionati, erano ampiamente utilizzati, così come quelli della terra,legumi, ortaggi e vari cereali,tra questi in grande maggioranza il farro, alimento base dei legionari. I Romani erano anche grandi consumatori di uova utilizzate soprattutto come antipasto. Il burro era conosciuto, ed utilizzato principalmente per uso medicamentoso, perché in cucina l’unico grasso che veniva utilizzato era l’olio. I frutti erano conosciuti e coltivati come nei nostri giorni e ampiamente utilizzati, si escludevano gli agrumi ed i disperi; le pesche ed albicocche furono introdotte nel I secolo d.C.
Erano graditi tutti i tipi di carne: maiale,cotto principalmente ripieno, agnello, capretto, molto aromatizzati e speziati per il cattivo stato di conservazione della carne, mentre oche e galline erano servite poco, in quanto produttrici di uova; fortemente apprezzati erano i prodotti della caccia in particolar modo il cinghiale.
Nell’epoca dell’Impero, l’esotismo diede una svolta a questo tipo di alimentazione: dall’Africa giunsero le galline faraone, dalla Spagna i conigli, dalla Grecia i fagiani, e la selvaggina raggiunse così alti livelli; gazzelle, struzzi, gru, fenicotteri, pappagalli, il cui “cervello” rappresentava il piatto “prediletto” dell’imperatore. Cosa ne avrebbero pensato oggi i nostri animalisti?.
Una carne prelibata veniva considerata la carne di ghiro, allevato in uno speciale recipiente, il ghirarium, ed ivi nutrito per opportuno ingrassaggio, con noci, ghiande e castagne. Ma il massimo per i “vip” erano le vulve di scrofa sterile, cioè che non aveva partorito, al miele. I Romani conoscevano inoltre, quasi tutti i tipi di pesce, che oggi troviamo sulla nostra tavola, che talvolta erano allevati in pescherie annesse alle ville della costa tirrenica, spigole, dentici, triglie, orate, dai crostacei ai frutti di mare , murene, aragoste, per queste poi facevano per averle, vere e proprie follie.
Dal pesce si ricavava poi, la salsa base di tutti i piatti il “garum” un condimento universale perché lo si ritrovava dappertutto, nelle salse, nelle carni, nel pesce, nelle verdure e persino nelle composte di frutta.
Nei primi tempi il “garum” era preparato con un piccolo pesce principalmente un’acciuga o una sarda. Successivamente il “garum” ordinario” era fatto con le interiora di pesce o con scarti o avanzi di pesce preferibilmente del tipo “azzurro” macerati nel sale, mentre quello di “pregio e qualità” era fatto con piccoli pezzi di pesce di ogni tipo, abbondante sale ed un po’ di aceto, un misto di erbe aromatiche, il tutto riposto in un piccolo contenitore a riposare e macerare per circa un mese, rimescolandolo di tanto in tanto. Dopo questo periodo il liquido a cui si poteva attingere chiamato “liquamen” veniva cosparso in abbondanza sui cibi.
C’erano molte versioni e ricette, il miglior “garum” veniva preparato con gli sgombri e prodotto in Spagna da una grande azienda di Cartagine. Di vario tipo era il liquido che veniva filtrato, il primo, il più puro, di chiamava “gari flos”e tra i più importanti e venduti vi era il “garum nigrum”venduto in piccoli vasetti per la sua preziosità. Quando tutto il liquido era filtrato, il residuo, una specie di pasta di pesce che veniva consumata dagli schiavi, mentre quello migliore veniva servito negli antipasti con sale, pepe, feccia di vino e carote per stimolare l’appetito. Il migliore era fabbricato con pesce di luccio ma c’era anche di ostriche e di fegato di triglia.
Per quanto riguarda il dosaggio, questo era lasciato al cuoco, in base alla sua esperienza.
Il ruolo del “garum” derivava altresì dalla consistente preparazione di sale ed aceto, dal sterilizzare e disinfettare quelle carni, la cui igiene e conservazione è lecito stendere diremo, un velo pietoso.
Rita De Angelis