L'idea della reincarnazione secondo Osho


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L’idea della reincarnazione, fiorita in tutte le religioni orientali, dice che il sé continua a spostarsi da un corpo all’altro, da una vita all’altra. Questa idea non esiste nelle religioni che sono nate dal giudaismo, il cristianesimo e l’islamismo. Ma oggigiorno, perfino gli psichiatri hanno scoperto che sembra essere vero: ci si può ricordare delle proprie vite passate; l’idea della reincarnazione sta diventando popolare.

Voglio però dirvi una cosa: l’idea della reincarnazione è un concetto totalmente sbagliato.

È vero che quando una persona muore il suo essere diventa parte del Tutto. Non ha importanza se è stato un peccatore oppure un santo, in ogni caso egli si porta dietro ancora qualcosa chiamata ‘mente’, ‘memoria’. In passato non esistevano conoscenze sufficienti a spiegare che la memoria non è altro che un groviglio di pensieri e onde di pensieri, ma ora è risaputo. Ed è qui che, in diversi punti, trovo Gautama il Buddha davvero all’avanguardia rispetto ai suoi tempi. È l’unico che è d’accordo con la mia spiegazione. Ha dato dei suggerimenti, ma non ha potuto portare delle prove; a quel tempo non c’erano molti mezzi a disposizione. Egli ha detto che quando una persona muore, la sua memoria si sposta in un altro grembo - non il sé. Oggi noi possiamo comprendere che, quando muori, lasci dei ricordi nell’aria, intorno a te. Se sei stato infelice, tutte le tue miserie trovano posto un po’ qui e un po’ là, entrano in qualche altro sistema di ricordi. Oppure entrano tutte in una volta in un altro grembo - ed è per questo che qualcuno può ricordarsi del proprio passato. Non è il tuo passato. È la mente di qualcun altro che tu hai ereditato. La maggior parte della gente non ricorda niente perché non ha ereditato, in un unico blocco, il patrimonio di ricordi di un unico individuo.

Queste persone portano in sé dei piccoli frammenti di questo e di quell’altro, e sono questi frammenti che creano la tua infelicità. Tutti coloro che sono morti su questa terra sono morti infelici. Pochissimi sono morti con gioia. Pochi sono morti realizzando la non-mente. Questi individui non hanno lasciato alcuna traccia dietro di sé, e non appesantiscono nessuno con la propria memoria; semplicemente si sono dissolti nell’universo. Non hanno più una mente o un sistema di memoria. Lo hanno già dissolto nella loro meditazione. Ed è per questo che un illuminato non nasce mai.

Viceversa, la persona non illuminata, ogni volta che muore, continua a espellere ogni tipo di miseria. E così come la ricchezza attira una ricchezza maggiore, la sofferenza attira più sofferenza. Se sei infelice, perfino se è lontana chilometri, la sofferenza correrà verso di te: sei il veicolo giusto. Questo è un fenomeno assolutamente invisibile, simile alle onde radio: viaggiano intorno a te, ma non le vedi; se però hai lo strumento adatto per riceverle, immediatamente le puoi percepire. Anche prima che la radio fosse inventata, ti viaggiavano intorno. Non esiste la reincarnazione, bensì l’infelicità che si reincarna. Le ferite di milioni di persone si muovono intorno a te, in cerca di qualcuno che voglia essere infelice. Naturalmente, la felicità non lascia tracce. L’uomo di consapevolezza muore come un uccello il cui volo nel cielo non lascia tracce: né una pista, né un sentiero, il cielo rimane vuoto. La beatitudine si muove senza lasciare traccia alcuna. È per questo che non erediti nulla dai Buddha, essi semplicemente scompaiono.

Viceversa gli idioti e i ritardati continuano a reincarnarsi nelle proprie memorie che ogni volta diventano ancora più spesse.

Oggi, forse, tutto questo può essere capito e dissolto. Altrimenti l’aria diventerà così spessa di ricordi che a voi sarà impossibile vivere con gioia, ridendo. La vostra consapevolezza non ha ferite. La consapevolezza non ha traumi. La consapevolezza non conosce tristezza alcuna. La tua consapevolezza, la consapevolezza di ognuno di voi, è innocente, totalmente beata. Per riportarti in contatto con la tua consapevolezza, viene fatto ogni sforzo per distrarti dalla mente. La mente è sovraccarica delle tue miserie, delle tue ferite. E continua a creare ferite per cui, a meno che tu non sia consapevole, non riuscirai nemmeno a scoprire come fa a crearle. Proprio oggi, Anando mi parlava di Zareen, e mi diceva quanto era felice un tempo, quando da casa sua veniva in visita alla comune. Vedendo la bellezza e la libertà e la gioia in cui la comune era immersa, alla fine ha fatto un passo rivoluzionario nella sua vita, decidendo di lasciare la sua casa e di diventare parte della comune, ma da allora non è più stata altrettanto felice. Ho detto: “Anando, spiega a Zareen con parole chiare quello che è successo: se è consapevole, lo capirà senza ombra di dubbio”. Un tempo veniva qui da una casa che era buia e tetra e infelice. Era una gioia ritrovarsi in un cielo aperto. Ma da quando si è trasferita nella comune... dentro di lei, in profondità, la mente ha fatto della comune la sua casa. E tutta la sofferenza che provava nella sua casa di un tempo ha cominciato ad affiorare e ora, non avendo più nessun altro posto in cui riversarsi... una volta compreso questo fenomeno, e cioè che l’infelicità di Zareen è frutto di un concetto che lei si è sempre portata dietro e, sebbene l’ambiente sia cambiato, quel concetto non è affatto mutato... ogni tanto di certo pensa: “È meglio che ritorni a casa”. Ma non cambierà nulla. Innanzitutto la casa di un tempo sarà ancora più buia, più misera, e il marito le sembrerà più che mai un estraneo. Ma le farebbe bene per una cosa: a quel punto ritornerà nella comune e sarà felice. Perché, invece, non cercare di capire la situazione, ed essere felice ovunque tu sia? Anche perché ritornare a quella casa non dipende solo da te. Per quanto ne so, tuo marito non ti riprenderà. Lo ha detto a un sannyasin. Non lasciare che il passato ti tormenti. Sei arrivata qui, in uno spazio aperto, ora impara la strada della libertà, dell’amore e dell’amicizia. E voi tutti avete la capacità di farlo. Non c’è ragione di essere infelici. Non esistono ragioni valide che giustifichino la vostra infelicità. In effetti dobbiamo sempre cercarci un motivo valido per essere infelici, altrimenti la gente chiederebbe: “Sei matto? Ti senti infelice senza motivo?” Per cui, in qualche modo, si continuano a inventare delle buone ragioni. Ma ricorda, quelli sono solo motivi inventati. Nessuno quando sei felice ti chiede: “Perché sei felice?” Non c’è motivo per essere felice. La felicità è la nostra natura. La felicità non ha bisogno di ragioni né di cause per esistere. Questa comune deve essere una comune di comprensione, di consapevolezza, di gente che guarda i propri modelli mentali ricordandosi che non sono suoi. Tu sei un semplice testimone e il testimone è al di fuori della mente. Io ti insegno l’essere testimone. L’unico modo per uscire dai tuoi modelli di infelicità, vecchi o nuovi, è essere testimone. Dico che è l’unico modo, perché nessuno è scappato dalla mente senza diventare prima un testimone. Sii un semplice testimone, e improvvisamente ti metterai a ridere delle tue sofferenze.

Tutte le nostre sofferenze sono così superficiali... e soprattutto sono tutte prese in prestito.

Tutti si trasmettono a vicenda la propria infelicità. La gente parla in continuazione delle proprie sofferenze, dei propri guai, dei propri conflitti. Hai mai sentito qualcuno parlare dei suoi momenti di gioia? Delle sue canzoni e delle sue danze? Dei suoi momenti di silenzio e di beatitudine? No, nessuno parla di queste cose.

La gente continua a condividere ferite, e ogni volta che parli della tua infelicità con qualcuno, senza saperlo stai trasmettendo un modello di miseria. L’altra persona forse pensa che ti stia solo ascoltando, ma di fatto sta anche prendendo delle vibrazioni di infelicità, delle ferite.

Quando ho detto che portate dentro di voi ferite altrui, volevo dire che la vostra consapevolezza non ha ferite. Se tutti diventassero meditativi, svegli, al mondo non ci sarebbero ferite. Scomparirebbero semplicemente. Non troverebbero un casa, un rifugio. È una cosa possibile. Se è possibile per me, è possibile per chiunque. Nella tua domanda chiedi anche perché possiamo “accettare così facilmente le ferite altrui,” e perché è “così difficile accettare la propria buddhità”. Puoi accettare le ferite altrui perché anche tu hai delle ferite. Tu capisci il linguaggio dell’infelicità, delle ferite, della sofferenza. E chiedi perché non riusciamo ad accettare l’idea di essere un Buddha. Per prima cosa, raramente incontri un Buddha. Molto raramente un Buddha esiste sulla terra, per cui anche se lo incontrassi non capiresti il suo linguaggio. Molto probabilmente lo fraintenderesti. Tu conosci la sofferenza, e lui parla di beatitudine. Tu conosci le ferite, e lui parla della salute eterna. Tu conosci solo la morte e lui parla di eternità. In primo luogo, è difficile trovare un Buddha. In secondo luogo, è difficile capire il suo linguaggio perché non è il tuo stesso linguaggio. Altrimenti questa sarebbe la cosa più semplice al mondo: capire la propria buddhità. È così ovvia. Il tuo vero essere è già un Buddha, sei tu che hai dimenticato la strada verso il tuo essere interiore. Hai viaggiato a lungo per tante strade, ma tutte conducono verso l’esterno. E, pian piano, hai dimenticato che esiste un piccolo posto dentro di te che non hai esplorato. La meditazione non è altro che esplorazione dello spazio interiore che hai sempre ignorato. Quel piccolo spazio ti farà improvvisamente ricordare che tu sei un Buddha. 


Ma se per te non diventerà una verità cosciente il fatto che sei un Buddha... Non si tratta di un concetto, nessuno ti può convincere che sei un Buddha... non puoi essere altro! Se vai semplicemente dentro di te, l’esperienza dello spazio interiore esploderà come un riconoscimento e come un ricordo della tua buddhità. Non è una filosofia, è un’esperienza esistenziale.

Osho


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Fonte: http://www.osho.com