La radice dell'identità personale



Diversamente dal creduto la nostra evoluzione profonda e di superficie, della forza e della stabilità nonché quella relativa agli apprendimenti non ha a che vedere con la comunicazione logico-razionale. Sebbene questa sia ritenuta la Vera modalità per trasmettere la Verità, è invece solo l’involucro più impiegato per confezionare la narrazione del mondo civilizzato. Nonostante l’esperienza non sia trasmissibile, essa non se avvede e con essa il suo popolo scientista. Sono liberi dal giogo razionalista il poeta e l’artista. Categorie alle quali tutti noi, più o meno occasionalmente, apparteniamo. In quelle circostanze realizziamo comunicazione attraverso i ponti emozionali che certe espressioni edificano e collegano i cuori. Tutta la comunicazione evolutiva, per distinguerla da quella tecnica che anche un meccanismo può apprendere, ha ragioni emozionali. È una modalità dei sistemi viventi per sostenere se stessi. Le emozioni sono gli occhi degli organismi che le sentono. Così loro stessi, la loro specie e la natura evolvono e proteggono il proprio sistema. Coloro che non le sentono, eventualità limitata alla categoria degli umani, sono destinati a recitare un ruolo seguendo un canovaccio scritto da altri, a credere che in quello consista la vita, a non essere mai se stessi, a non avere la forza di riconoscerlo a se stessi e al prossimo.

[...] ciascuna cosa tende, per quanto in sé, a permanere nel medesimo stato in cui è [...]”. (1)


Autopoiesi

Qualunque sistema, naturale o artificiale, ha in sé l’intelligenza per mantenersi in vita. Si tratti di un sistema sociale, di uno individuale, come l’io o quello di una macchina tanto analogica quanto elettronica, tutti rispettano il medesimo principio di sopravvivenza. Per approfondimenti si può consultare l’opera di Humberto Maturana, di Francisco Varela, di Gregory Bateson, Paul Watzlawick, Alfred North Whitehead, Edmund Husserl, Herbert von Glasersfeld, Paul Karl Feyerabend e di altri.

A titolo emblematico, prendiamo l’io individuale. Tutto ciò che può accogliere, che può fare proprio e che gli costituisce cambiamento e modifica di se stesso accettabile, è opportunamente filtrato: non si tratta cioè di elementi della realtà presi a caso che hanno trapassato la soglia di noi stessi. La selezione, diversamente da quanto comunemente si pensi, non è a carico della rete razionale. Il filtro è sempre emozionale, anche quando non sembra, anche quando sembra razionale. È un legittimo errore interpretativo che ha chiara origine. Esso, più che un retaggio, è un vero e proprio pilastro centrale dell’incastellatura culturale entro la quale viviamo. Ce ne diedero buona e recente rappresentazione Werner Herzog ne L’enigma di Kaspar Hauser, del 1974 e Jerzy Kosinski nel libro Presenze, 1973, poi film intitolato Oltre il giardino, del 1979. La babelica struttura razionalista, ispirata dal celebrato monopolio dell’intelligenza intellettuale, ha rinnegato quella estetica. Nel farlo, ha mortificato la modalità umana di sentirsi parte del cosmo, di sentire il cosmo, di essere cosmo, di essere tutto e tutti. Ovvero di conoscere, di conoscersi, di riconoscere, di distinguere la propria via anche in una tempesta di sirene. Di dialogare anche con un linguaggio sottile, adatto all’evoluzione comune, consapevole che quello logico è valido per il guscio materiale di sé, solo per la dimensione amministrativa della realtà.

La questione interessa tutti i campi di gioco, tutte le forme di equilibrio, tutte le forme sociali, tutte le macchine. Coincide con la loro stessa identità.

Torniamo all’Io, al sistema Io. Da tutte le interlocuzioni, sottili o crasse che siano, permettiamo l’accesso in noi soltanto degli elementi ammissibili dal nostro sistema interno. All’eccessivo, a ciò che non è contemplato o prossimo neghiamo l’accesso. In contesto didattico l’apprendimento non avviene, in quello morale il giudizio è negativo, per quello organico i linfociti passano all’attacco.

Un qualunque argomento, per quanto ben compreso e razionalmente condiviso, non si aggiunge automaticamente a noi. Non si integra e non ci modifica. Gli aggiornamenti di noi stessi, i cambiamenti, avvengono per emozione. Quando queste si scatenano e ci trapassano, l’intero corpo ne è istantaneamente e chimicamente informato. Può accadere per un’equazione o per una donna. Un evento da noi classificato come razionale, di fatto entra a far parte della nostra identità solo se supportato dalla recondita e occulta emozione al quale è associato. Il motto di attrazione incarnato nell’emozione ne è la dimostrazione. A volte accade a distanza di tempo (lineare). Vecchi argomenti, mai presi in considerazione, tornano alla luce del presente come fossero cosa autenticamente nostra. Come se il cambiamento si mostrasse nel momento in cui il nostro io non è più perturbato o mortificato da ciò che in passato aveva scartato, in quanto esiziale al sistema-io dell’epoca.


Filtri crassi e sottili

[…] Lottiamo tutti i giorni per un istinto innato, adeguandoci a regole non scritte che si tengono in equilibrio sulla precarietà del gioco. È uno slancio necessario che spesso distrae l’uomo dal senso di vivere. E così a volte capita che qualcuno si limiti a sopravvivere senza mai porsi domande sul significato di essere”.(2)


I sistemi filtrano la realtà riconoscendo solo quanto è in loro dote poter riconoscere come amico o come nemico. Nel bene e nel male. Uno shock corrisponde all’incontro con qualcosa di non contemplato dal proprio mondo. Un desiderio allude a qualcosa che il sistema ritiene idoneo a se stesso. Dunque è male ciò che mette in crisi il nostro equilibrio, ed è bene ciò che possiamo accogliere. Accade tanto per la parte fisica, quanto per quella concettuale.

Disponiamo di molti filtri immunitari, tra cui, di tipo morale, anatomico, d’interesse personale. Per quelli morali il nostro giusto e il nostro sbagliato ci guidano nella giungla della realtà. Odori, sapori, e gli altri tre spillatori delle circostanze fisiche forniscono al nostro io i loro suggerimenti. Tuttavia, a volte, interlocutori indigesti riescono a scavalcare le nostre barriere emotive e divengono papabili. È il caso di un nostro giudizio negativo verso qualcosa o qualcuno, poi caduto per circostanze che troviamo sempre (!) plausibili e sufficienti a giustificare il nostro cambio di direzione.

Oltre ai sensi del corpo, che distinguono forme, odori, sapori, suoni e consistenza, c’è il sesto senso. È il nome che la vulgata conosce e, più o meno opportunamente, impiega. In esso vi è raccolto il mondo energetico, quello che i materialisti, positivisti e scientisti non vedono, e che, se accadesse d’improvviso, non reggerebbero. Il loro sistema ne sarebbe demolito.

Il sesto senso, come gli altri suoi cinque fratelli crassi, svolge un eccellente servizio d’informazione, comunicazione e di apprendimento solo in una precisa circostanza, ossia quando siamo in stato di quiete. Quando il nostro simbolico sistema immunitario – vibrissa sensibile a tutte le energie – non è corrotto, intossicato, né infettato da virus fisici e da forme-pensiero metafisiche. Come un cristallo o una visione irradia in noi la sua più forte energia-informazione soltanto in funzione del nostro gradiente di purezza, così il terzo occhio ci permette o meno di vedere l’azione delle invisibili energie che agiscono su noi e su tutte le relazioni. Dogmi, vizi, abitudini, sentimenti sono alcune, insieme all’inquinamento ambientale e a quello alimentare, entità che riducono temporalmente o cronicamente le capacità di riverbero e ricezione della sofisticata antenna che siamo. L’oscillazione occupa la massima ampiezza. Varia tra l’interruzione della ricezione al suo forte e chiaro.

Nel peggiore dei casi, in stato di massima perturbazione cronica, la selezione che mettiamo in atto è delegata a luoghi comuni e a ideologie d’ordine vario. Da quelle grandi, da libretto rosso, alle piccole, da idiosincrasie personali. Entrambe ci allontanano dalla salute evolutiva e ci inducono verso tossiche rigidità. Il disturbo avviene spesso senza la nostra consapevolezza. Anzi, è facilmente con la nostra complicità e il nostro sostegno che, semplicemente, si esaurisce nell’identificarsi con i falsi valori della cultura attuale. Così facendo possiamo vantare, a pieno titolo e senza vergogna, coerenza e rettitudine, logicità e senso del giusto. Se così facendo perdiamo noi stessi e tutte le più potenti potenzialità umane, pazienza! Per forza, neppure ce ne accorgiamo. È un diritto universale dell’inconsapevole.

Nel migliore dei casi, disintossicati da idee, saperi e cattivi sentimenti ridondanti, si eleva il rischio di essere in raffinata relazione con la nostra natura. Essa non richiede l’elenco dei pro e dei contro per darci il consiglio opportuno. E non ha protocolli: è creativa, è in grado di cogliere il presente, né più né meno del judoka quando mette al tappeto l’avversario. È una relazione sottile che qualcuno, rinchiuso entro corazze di filtri, per prenderla in considerazione, pretende venga dimostrata. [Risata]. Essa infatti, non solo non è comprimibile in un modulo, è viva indipendentemente dagli strumenti che non sapranno mai misurarla con le unità di misura che tutti considerano verità assoluta.


La realtà nella relazione

Se dire “sottile” richiama la ricerca esoterica – spesso arricciatrice di nasi – dire “quantico” conduce a quella scientifica. Sebbene questa sia ampiamente celebrata dalla cultura scientista, è a sua volta, e tutt’ora, inconsapevole d’essere in demolizione. La lettura della realtà attraverso la relazione e quindi, non più deterministica, né meccanicistica, capovolge l’ordine delle cose, tanto filosoficamente quanto antropologicamente. Il vecchio schema dell’oggettività, dell’oggetto osservabile in sé, separato dal suo contesto ecologico, ha fatto il suo tempo.

I successi da essa [dalla meccanica classica, nda] ottenuti han condotto all’idea generale d’una descrizione oggettiva del mondo. L’oggettività è divenuto il primo criterio di valutazione di qualsiasi risultato scientifico. [...] Ma essa parte dalla divisione del mondo in «oggetto» e resto del mondo, e dal fatto che almeno per il resto del mondo ci serviamo dei concetti classici per la nostra descrizione. È una divisione arbitraria e storicamente una diretta conseguenza del nostro metodo scientifico; l’uso dei concetti classici è infine una conseguenza del modo generale di pensare degli uomini. Ma ciò implica già un riferimento a noi stessi e quindi la nostra descrizione non è completamente obbiettiva”.(3)

Se da un lato citare genericamente l’ambito della scienza agevola l’avanzare del discorso, in quanto in esso, lo scientismo, fondato sulla meccanica classica, annusa la vera verità, dall’altro, parlare di quantico, di meccanica quantistica, spesso irrita e spiazza il popolo formato sulla vulgata della scienza-verità. “Neppure gli scienziati sono d’accordo su cosa consista la fisica quantistica”. Quante volte lo si sente affermare da coloro che non hanno visto il significato culturale che essa implica. Infatti, è vero, ma questo non cambia la filosofia che fa emergere. Non poter più determinare contemporaneamente velocità e posizione di una particella elementare se non in termini di probabilità e l’implicato concetto di entanglement, la cui natura non è nelle parti ma nella loro relazione, sono forze che agiscono su di noi, sulla nostra evoluzione. Una possibile sintesi della concezione deterministica della realtà può stare nella formula che un soggetto esamina un oggetto, non sussiste più se non in forma di superstizione.

Purtroppo per loro, gli scientisti e gli scienziati corazzati da filtri di stabilità anti-aggiornamento, la questione è sì limitata al mondo microscopico, ma solo apparentemente e anche a causa, nuovamente, dei gretti strumenti di misurazione.

Le energie sottili che partecipano a costituire il tessuto della realtà e delle relazioni, sottostanno a mio avviso, ai medesimi concetti quantici. La cui portata è rivoluzionaria come anche Heisenberg, fin da subito, riconobbe.

La fisica classica partiva dalla convinzione — o si direbbe meglio dall’illusione? — che noi potessimo descrivere il mondo, o almeno delle parti di esso, senza alcun riferimento a noi stessi”.(4)

[...]

Specialmente in fisica [classica, nda], il fatto che noi possiamo spiegare la natura per mezzo di semplici leggi matematiche ci dice che abbiamo a che fare con dei caratteri genuini della realtà, e non con qualche cosa che abbiamo – in qualsiasi significato del termine – inventato noi stessi”. (5)

[...]

[...] questa volta han cominciato a spostarsi gli stessi fondamenti della fisica; e che questo spostamento ha prodotto la sensazione che ci sarebbe stato tolto da sotto i piedi, ad opera della scienza, il terreno stesso su cui poggiavamo. Nello stesso tempo questa reazione significa che non si è ancora trovato il linguaggio idoneo per dare espressione alla nuova situazione [...]. La progredita tecnica sperimentale del nostro tempo porta nella prospettiva della scienza nuovi aspetti della natura che non possono essere descritti nei termini dei comuni concetti”. (6)

[...]

Ma i concetti scientifici esistenti [della meccanica classica, nda] abbracciano sempre solo una parte limitata della realtà, mentre l’altra parte, tuttora incompresa, è infinita”. (7)

Con il modo della relazione, le osservazioni sul comportamento delle particelle elementari della fisica quantica, divengono utili per una nuova interpretazione del mondo e di noi stessi, per riconoscere la rete sottile in cui si genera, muove e muore il cosiddetto reale. Ci inducono a cogliere quanto ci sfugge, a dare verità all’incompreso e piena concretezza al mistero, ad ascoltare ciò che ci pare assurdo e fantascientifico o cialtronesco.

Le emozioni non rispettano l’idea del tempo lineare. Esse sono in grado di ricreare in noi le condizioni che la storia sosterrebbe siano passate. Basta una canzone, un suono, un sapore e un colore per precipitare in un presente che avevamo creduto passato. È solo un esempio accessibile a chiunque della presenza di quella effimera rete che tutto include. Se ci siamo noi.

Quantico allude a quel tipo di comunicazione che scavalca con un solo salto tutto quanto abbiamo concepito e costruito sul campo d’azione bidimensionale della realtà materialistica. Un ambito in cui, giocoforza, si lotta per il vero e per il falso; in cui, nonostante la loro autoreferenzialità – autorevolmente affermata da Heisenberg, e non solo naturalmente – impieghiamo scale di valori e punteggi che consideriamo verità definitive. Una modalità del tutto dignitosa a causa delle ragioni storiche che l’anno generata, ma ormai succedanea della Scienza. Con la consapevolezza della realtà nella relazione, la realtà non è più un oggetto composto da materia ed eventi. Essa è solo il riflesso della nostra coscienza. In questo prende pieno significato la considerazione che l’universo è più simile a un pensiero che a una massa di materia. È il prodotto della nostra relazione col mondo.

Torniamo al sistema, che oltre che essere autopoieutico è immunitario. Tanto più siamo in grado di riconoscerlo, quanto più la potenza del cambio della realtà che credevamo ci stesse di fronte, nella quale pensavamo di poter girovagare come ridenti turisti in braghe corte e polaroid appesa, tende a divenire atto. Certo, se poi continuiamo a credere di essere veramente lorenzo merlo, a non vedere che siamo terminali della natura, identici a qualunque altro, a non riconoscere che le nostre doti non sono nostre ma ancora forme che il sistema natura ha in sé per il proprio equilibrio e sostentamento, allora la cosa si fa più dura. Siamo all’autoimmunità, che sopprime l’organismo che l’ha in sé.


La domanda che tutto include

C’è una domanda che ci obbliga a difenderci dal nuovo e dall’estraneo. È quella che chiede se una cosa è vera o falsa. La corazza è un suo implicito capo d’abbigliamento. E ce n’è un’altra che permette di andare oltre se stessi, almeno fino a dove saremo all’altezza, si tratti di carboni ardenti da percorrere a piedi scalzi o di spiccare il volo sull’abisso come ci racconta Castaneda o come l’esperienza della dimetiltriptamina o dell’ayahuasca pare ci rendano evidente. Essa è, ciò che è fuori dal mio sistema in che termini è vero?

L’errore sta nel dare per scontato che esista la ‘realtà oggettiva’ e che le persone sane ne siano più consapevoli dei pazzi”.(8)

6.52 – Noi sentiamo che, persino nell’ipotesi che tutte le possibili domande scientifiche abbiano avuto risposta, i nostri problemi vitali non sono ancora neppure sfiorati”.(9)

Lorenzo Merlo 


1 - Albert Einstein, Relatività: esposizione divulgativa, Boringhieri, 1967, Torino

2 - Gerardo Masuccio, in Piero Scanziani, Avventura dell’uomo, Utopia, Milano, 2020

3, 4, 5, 6, 7- Werner Heisenberg, Fisica e filosofia, Il Saggiatore, 1963, Milano

8 – Paul Watzlawick, Janet Helmick Beavin, Don D. Jackson, Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio, 1971, Roma

9 - Ludwig Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus e Quaderni 1914-1916, Einaudi, 1998, Torino

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