Nel tubo delle nostre certezze veniamo spinti avanti dalla nostra biografia. Come avanguardia di noi stessi lottiamo spavaldi per la verità senza avvederci dei tubi altrui. Senza dare loro la dignità che pretendiamo per la nostra.
Le nostre espressioni rispettano sempre la legge del tubo. È la prima legge del tubo.
La seconda legge ci obbliga alla parzialità. E quindi al conflitto. Questo è di due tipi: endogeno ed esogeno.
Conflitto endogeno. Ha a che fare con la coerenza, quindi con la nostra struttura morale. Questa colpirà tanto più severamente (senso di colpa) quanto più accreditiamo noi stessi alla candidatura di persona che vive nel Giusto.
Conflitto esogeno. Tende a non generarsi tra parzialità comunemente orientate e tra quelle complementari, in cui il conflitto non ha terreno per essere. In tutte le altre relazioni è ordinario.
Tanto per C e D, come in tutte le circostanze, le ragioni del conflitto vengono meno in occasione della presa di coscienza dell’io, della sua struttura tubolare, della sua forza vergante, del suo dominio avvolgente su di noi.
La terza legge dice che nel tubo constatiamo – e quindi esiste – il mondo che inconsapevolmente concepiamo come esterno a noi. La nostra virginea ma egoica concezione lo racconta a noi stessi come oggettivo, là, di fronte, pronto per essere frequentato e utilizzato.
Dentro al tubo, come espressione di un esercito, siamo in testa, sospinti in avanti dall’orda della nostra biografia. È la quarta, brutale, legge del tubo.
La quinta dice che in ogni istante la spinta ci impone scelte, ruoli e posizioni.
Nel tubo non vediamo altro che quelli, ovvero, null’altro è visto e quindi null’altro conta. Tuttavia, non abbiamo tentennamenti nel patrocinarli di libero arbitrio, razionalità, buon senso. Ovvero dei migliori titoli suggeriti dal tubo.
Scelte, ruoli e posizioni costituiscono la sensazione del presente e dei suoi obblighi; così li percepiamo e rispettiamo. Ovvero a quanto nel momento siamo in grado di coniugare tra gli elementi riconosciuti e/o disponibili nel tubo.
Detti elementi soddisfano e rinforzano l’io. E corrispondono sempre alla selezione di matrice biografica del nostro criterio di avanzamento, la cui logica è mantenere in equilibrio la struttura di noi stessi, seguitare a riconoscerne il senso e quindi la verità. [Praticamente un antidepressivo, fatto salvo che a sua volta, anche per la depressione, di tubo si tratta]. I dati sbilancianti vengono scartati, quelli complementari o di pari orientamento vengono accettati e integrati. La biografia resta così sui binari dentro il suo autoreferenziale tubo.
La sesta legge non fa sconti. Per quanto la dinamica del tubo sia gioco comune agli uomini tutti, ognuno rifiuta – dov’è finito il buon senso e la razionalità non si sa; cioè si sa: è finita nella garrota dell’interesse personale – di riconoscere le verità delle altre biografie. Proprio quelle dalle quali estrarrebbe filoni di conoscenza.
Se la sesta non fa sconti, la settima le sta davanti. Più la nostra determinazione è alta, più il tubo si fa stretto.
Il tubo può stringersi fino a permetterci di considerare un solo aspetto tra gli infiniti.
È il caso delle emozioni quali causa della perdita del controllo. Sono vortici acceleratori di definitiva affermazione di cecità e sordità. Sono anche la punta di diamante dell’ego e del suo tubo, impediscono di riconoscere il mondo in forma differente da quella che ci fanno vivere. Lo cancellano proprio. In caso di dominio dell’emozione la nostra forza distruttrice è massima. Come pure la distanza dal nostro centro creativo e di benessere.
L’ottava imprime una svolta, allude ad una liberazione. Non è come dirlo, ma resta un’evoluzione disponibile a tutti*. Vedere il tubo e la vita al suo interno, quella che ognuno di noi esprime, rappresenta ed afferma, permette di emanciparsi dal suo ristretto campo e forte vincolo. Il destino ritorna a noi. [*Si tratta di un tutti potenziale. Anche in questo caso le eccezioni confermano la regola. Si tratta di coloro che per modestia spirituale, per ideologia, nonché per timore di rivisitare se stessi, seguitano a sostenere il proprio io, fornendo risibili – non per loro – ragioni autoreferenziali].
Progressivamente le zone in ombra di noi stessi prendono luce e dichiarano come, quanto e quando agivano su di noi a nostra insaputa, imponendoci obblighi che assolvevamo, senza percepirne il diversivo che erano nei confronti della vita piena, della vita nostra.
Contemporaneamente, al diffondersi del chiarore si rivela l’inconsistenza del tubo. È il disvelamento della sua autoreferenzialità, che fino ad allora ci aveva imposto come vera la realtà che preferiva mostrarci. Quello che ordinariamente impiegavamo come arma, spranga o bacchetta. Per delucidazioni, osservare i bacchettoni, i maestrini, gli esperti.
Bacchettoni, baroni e chi crede di essere altro dagli altri sono vividi e qualificanti esempi di cosa sia e di come si impieghi il tubo, di come si esprima, di cosa permetta, obblighi e impedisca.
La nona si allinea alla precedente. Uno degli impedimenti generati dal tubo è l’ascolto. Ma non in assoluto. Non quello di carattere e scopo egoistico, d’interesse, dettato dal valore e dall’importanza personale. Bensì quello idoneo ad andare oltre la propria parzialità, a riconoscere, legittimare, investire di pari dignità l’altrui. La liberazione dall’io, dal suo conosciuto, coincide con il momento in cui il tubo viene meno, lasciandoci al cospetto di un’altra realtà seppur di forma identica alla precedente. È il momento in cui le proiezioni di pregiudizi e preconcetti, ovvero di noi stessi, come cera al calore, si sciolgono liberando la realtà da noi stessi. Rivelandoci quanto e come la in-vestivamo di attributi scambiandole poi per doti sue proprie.
A quel punto, il poco che vedevamo entro la condotta non è più rinchiuso, costretto dalle nostre idee e dai nostri saperi. Quel poco ritorna a far parte del tutto. Liberi dal conosciuto vediamo ora la contiguità delle cosiddette parti; riconosciamo che la realtà è nella relazione; che essa, oppostamente all’idea oggettiva, dipende da noi; che senza di noi svanisce; che non la osserviamo, che non possiamo osservarla; che ne facciamo parte; che la costituiamo.
L’infinito che siamo ci riprende a sé. È la decima legge del tubo.
In assenza di egocentrismo, possiamo osservare ancora più distintamente l’azione dei tubi, degli io. Di come si muovono, pensano e parlano. È la chiaroveggenza. Ed è l’undicesima legge del tubo. La chiaroveggenza non è che la visione energetica delle forze in campo, di come agiscono, di come e da chi sono dominate, di come e chi dominano. È un registro dove leggere forze e vulnerabilità nostre e altrui, in tutti i contesti. Energie di cui osserviamo tanto la forza, anche lacerante, il transito fluido o impedito, le strozzature, l’arrovellarsi in matasse, il comprimersi in cancri, quanto, quindi, la loro ambivalente dote, patologica o santa in funzione di come ci attraversano e scorrono, di come si inceppano e stridono. Nella visione energetica si constata la partecipazione o la negazione al flusso cosmico dell’energia e con essa la conseguente condizione di vita. I cui opposti sono i gradi della pena da un lato e quelli dell’armonia dall’altro.
A tubo svanito vediamo anche come le tensioni d’energia ci portino alla sopraffazione dell’altro e di noi stessi, alla riduzione di creatività, alla lotta per vincere le gare di importanza personale. Quantomeno a non sfigurare, e a mentire pur di galleggiare; a vedere che solo entro il tubo avevamo creduto di trovare la ragione dei nostri comportamenti.
La dodicesima è un memo. Il tubo, come l’infinito, è a sua volta immortale. Nel senso che l’eventualità del suo riapparire ci accompagna sempre. La legge infatti dice che, anche se si è conosciuto il diametro infinito e il centro di noi stessi, il tubo può ripristinarsi. Circostanze opportune fanno decadere il nostro dominio sulle energie in campo, da dominanti diveniamo dominati. Dunque, le ricadute nel dominio dell’ego sono sempre un’eventualità latente. Una qualunque nostra azione di attacco o difesa dettata dall’importanza personale ne dimostra la presenza, la ricostituzione. Evidenzia il ritorno nel dominio del tubo. Non solo, il tubo si ripristina in tutte le circostanze della vita amministrativa, nella quale, effettivamente, ogni ambito esprime una verità alla quale attenersi per frequentarlo, per dialogare. La briscola, il calcio, la democrazia ne sono campioni. Se è Picche non si può prendere con Cuori; se è Picche e tutti lo rispettano, l’ordine si afferma, la libertà è massima, l’evoluzione garantita quanto la tradizione. Ma la consapevolezza della vacuità e dell’arbitrarietà del tubo fa ora la differenza. Lo potremo utilizzare come strumento, alla bisogna. Per poi posarlo. Restando così noi stessi, restando capaci di realizzare il nostro miglior destino, il nostro miglior benessere.
Tredicesima. E l’altrui. Capaci ora di gratitudine incondizionata e di atti di deliberata bellezza.
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