Osho ed i suoi pazzi pazzi discepoli - “Qualis pater talis filius”



Ricordo che nel 1973, quando visitai l’India per la prima volta,  allorché giunse il tempo del ritorno  - durante l’attesa della nave Andrea Doria, veterana della marina passeggeri che compiva il suo ultimo viaggio prima del disarmo - restai a Bombay per un paio di mesi facendo la vita dello sderenato (o sadhu, monaco itinerante o mendicante se preferite). Ero già stato toccato dallo Spirito e non potevo far altro che aspettare che “quella cosa” di cui sapevo essere l’espressione prendesse definitivamente  possesso di me. Un’attesa senza speranza si chiama, poiché se c’è speranza non è attesa è solo aspettativa.

Mi capitò un giorno di incontrare delle belle ragazze italiane che andavano vagando per ristorantini a spettegolare. Erano tre, come le tre Grazie, e le avvicinai dolcemente ma cosa strana non rimasero affatto affascinate dalla mia persona… Dovete sapere che in un modo o nell’altro le donne sempre mi amano, non con questo che esse mi trovino particolarmente attraente dal punto di vista sessuale, semplicemente mi vogliono bene e mi ascoltano con interesse… Sono un affabulatore ed anche come “cercatore spirituale” –malgrado vivessi in totale astinenza- di solito ottenevo un buon successo.

No, quelle tre avevano solo pensieri per Osho, continuavano a parlare di lui come tre innamorate del loro amante, rivelavano tutti i loro giochi amorosi ed i loro desideri nei suoi confronti. Insomma debbo dire che mi sentii un po’ geloso e quasi quasi mi venne l’idea di andare a sfidarlo in casa, quell’Osho, lì a Poona nel suo ashram che si trova a pochi chilometri da Bombay. Fortunatamente per me mi beccai, a forza di frequentare ristorantini sfiziosi, una bella epatite virale A e dovetti perciò rinunciare alle mie velleità  e restare in catalessi nell’albergaccio in cui aspettavo “l’evento” (non sapevo nemmeno io bene cosa, qualsiasi cosa o nulla).

Ebbene riuscii a scamparla, allora, tornai in Italia, e poi ancora numerose volte in India e non pensai più di andare da Osho. Ma i discepoli di Osho continuarono a perseguitarmi ed a cercarmi in tutti i modi, me li trovavo davanti ovunque, sia che andassi a Tiruvannamalai, a Jillellamudi od a Ganeshpuri, sia che restassi a Roma a fare il “santo” in via Emanuele Filiberto oppure che entrassi nel vortice alternativo di Calcata con tutte le sue tentazioni e devianze. Questi discepoli di Osho erano e sono i miei amici più simpatici ed affini, sono completamente pazzi ed inaffidabili. “Qualis pater talis filius” dice l’adagio, e mai come in questo caso è vero.

Osho stesso fu un’esagerazione in tutti i sensi. Guru Maharaji si faceva 12 Rolls Royce? Ed Osho 120… Muktananda fondava qualche Ashram in giro per il mondo? Ed Osho fondava addirittura una nuova Città-Stato (nell’Oregon). Il successore di Bhaktivedanta rinunciava al sannyasa e si sposava con  una sua devota? E la segretaria di Osho, molti dicono anche amante, scappava con tutti i soldi della cassa.

Osho quando parlava era una macchinetta infernale inarrestabile, oppure taceva per anni di fila. Prima aveva parlato bene di tutte le religioni, facendo un discorso sincretico, poi finì per dire che tutte le religioni sono finte. All’inizio si pose come Guru ed infine negò di avere qualsiasi discepolo. I suoi seguaci poveretti subirono un bel lavaggio del cervello e coloro che resistettero – probabilmente- ne uscirono fuori veramente sanati dalla malattia del divenire e dell’apparire. Non sta a me giudicare comunque la condizione di questi miei fratelli, sapendo che ognuno di noi ha il suo destino e le sue pene…

Avrei voluto qui scrivere alcuni pensieri di Osho, almeno per finire in bellezza, ma ora non ne sono più capace… (consapevole della futilità del gesto), riprendo però una storiella taoista (o sufi-zen-cristiana- maomettana-buddista, che importanza ha..?) che lui usò per significare l’indifferenza verso gli eventi ed il non lasciarsi prendere dal vortice del giudizio, delle presupposizioni e delle aspettative. La storia narra di un vecchio contadino a cui era scappato il cavallo. Quella sera i suoi vicini andarono trovarlo per consolarlo della malasorte, egli disse soltanto “..può darsi..”. Il giorno dopo il cavallo ritornò nella stalla portandosi appresso 6 bellissimi stalloni selvaggi, al che i vicini tornarono per felicitarsi della sua buona sorte, ed egli disse “.. può darsi..”. Il giorno seguente suo figlio mentre cercava di domare uno dei puledri selvaggi fu gettato a terra e si spezzò una gamba. Di nuovo i vicini tornarono per consolarlo della sua sfortuna. Ed egli disse “..può darsi..”. Il giorno appresso giunsero nel villaggio degli ufficiali dell’imperatore in cerca di giovani da arruolare nell’esercito, ma il figlio del contadino –a causa della gamba rotta- fu scartato. Quando i vicini tornarono per dirgli –dopo tutto- com’era stato fortunato, egli si limitò ancora una volta a dire ” …può darsi..”. 

La storia ovviamente continua e continuerà ancora…. Ma non ve la racconto tutta per lasciare un po’ di suspence!


Paolo D’Arpini

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