A proposito di una «teoria della festa» formulata da un sociologo,
abbiamo segnalato [Si veda «Etudes Traditionnelles», aprile 1940, p.
169] che tale teoria aveva, fra gli altri difetti, quello di voler
ridurre tutte le feste a un solo tipo, costituito da quelle che si
possono chiamare feste «carnevalesche», espressione che ci pare
abbastanza chiara per essere facilmente compresa da tutti, poiché il
carnevale rappresenta effettivamente ciò che ne rimane ancor oggi in
Occidente; e dicevamo allora che si pongono, a proposito di questo
genere di feste, delle questioni che meritano un esame più
approfondito. Infatti, l’impressione che se ne trae è sempre,
anzitutto, un’impressione di «disordine» nel senso più completo della
parola; come mai quindi si constata la loro esistenza, non solo in
un’epoca come la nostra, in cui si potrebbe in fondo, se non avessero
un’origine così remota, considerarle semplicemente come una delle
numerose manifestazioni dello squilibrio generale, ma anche, e persino
con uno sviluppo molto maggiore, in civiltà tradizionali con le quali
a prima vista esse sembrano incompatibili?
Non è inutile citare qui alcuni esempi precisi, e menzioneremo
anzitutto, a questo riguardo, certe feste di carattere veramente
strano che si celebravano nel Medioevo: la «festa dell’asino” in cui
quest’animale, il cui simbolismo propriamente «satanico” è assai noto
in tutte le tradizioni [Sarebbe un errore voler opporre a questo il
ruolo svolto dall'asino nella tradizione evangelica, poiché, in
realtà, il bue e l'asino, posti ai due lati opposti della mangiatoia
alla nascita di Cristo, simboleggiano rispettivamente l'insieme delle
forze benefiche e quello delle forze malefiche; si ritrovano
d'altronde nella crocifissione, sotto forma del buono e del cattivo
ladrone. Quanto poi a Cristo sulla groppa di un asino, al suo ingresso
in Gerusalemme, egli rappresenta il trionfo sulle forze malefiche,
trionfo la cui realizzazione costituisce propriamente la
«redenzione»], veniva introdotto addirittura nel coro della chiesa,
ove occupava il posto d’onore e riceveva i più straordinari segni di
venerazione; e la «festa dei folli», in cui il basso clero si
abbandonava agli atti più sconvenienti, parodiando al tempo stesso la
gerarchia ecclesiastica e la liturgia medesima [Questi «folli»
portavano d'altronde un copricapo a lunghe orecchie, manifestamente
destinato a evocare l'idea di una testa d'asino, e questo particolare
non è il meno significativo dal punto di vista in cui ci poniamo].
Com’è possibile spiegare che cose simili, il cui carattere più
evidente è incontestabilmente quello parodistico o addirittura
sacrilego [L'autore della teoria alla quale abbiamo alluso non ha
difficoltà a riconoscervi la parodia e il sacrilegio, ma, riferendoli
alla sua concezione della «festa» in generale, pretende di farne degli
elementi caratteristici del «sacro» medesimo, il che non solo è un
paradosso piuttosto esagerato, ma, bisogna dirlo chiaramente, una pura
e semplice contraddizione] abbiano potuto, in un’epoca come quella,
non solo essere tollerate, ma persino ammesse più o meno
ufficialmente?
Menzioneremo anche i saturnali degli antichi Romani, da cui il
carnevale moderno sembra d’altronde trarre origine direttamente, per
quanto non ne sia più, a dire il vero, che un ricordo assai pallido:
durante queste feste, gli schiavi comandavano ai padroni e questi li
servivano [Si riscontrano anche, in paesi diversi, casi di feste dello
stesso genere in cui si giungeva fino a conferire temporaneamente a
uno schiavo o a un criminale le insegne della regalità, con tutto il
potere che esse comportano, salvo a condannarli a morte quando la
festa era terminata]; si aveva allora l’immagine di un vero «mondo
alla rovescia», in cui tutto si faceva contrariamente all’ordine
normale [Lo stesso autore parla anche lui, a questo proposito, di
«atti alla rovescia», e persino di «ritorno al caos”, il che contiene
una parte di verità, ma, per una sbalorditiva confusione di idee,
vuole assimilare tale caos all’»età dell'oro»]. Per quanto si pretenda
comunemente che ci fosse in queste feste un richiamo dell’»età
dell’oro», tale interpretazione è manifestamente falsa, dal momento
che non si tratta affatto di una specie di «uguaglianza» che a rigore
potrebbe esser considerata una rappresentazione, nella misura in cui
lo consentono le presenti condizioni [Vogliamo dire le condizioni del
Kali Yuga o dell’»età del ferro» di cui fanno parte tanto l'epoca
romana quanto la nostra] dell’indiffereziazione iniziale delle
funzioni sociali; si tratta di un rovesciamento dei rapporti
gerarchici, il che è completamente diverso, e un tale rovesciamento
costituisce, in modo generale, uno dei caratteri più evidenti del
«satanismo». Bisogna vedervi dunque piuttosto qualcosa che si
riferisce all’aspetto «sinistro» di Saturno, aspetto che non gli
appartiene certo in quanto dio dell’»età dell’oro», ma al contrario in
quanto egli attualmente è solo il dio decaduto di un’èra trascorsa
[Che gli dèi antichi diventino in certo modo dei demòni, è un fatto
abbastanza generalmente constatato, e di cui l'atteggiamento dei
cristiani nei riguardi degli dèi del «paganesimo» è solo un caso
particolare, ma che non sembra esser mai stato spiegato a dovere; non
possiamo d’altronde insistere qui su tale punto, che ci condurrebbe
fuori tema. Resta inteso che tutto questo va riferito unicamente a
certe condizioni cicliche, e perciò non intacca né modifica in nulla
il carattere essenziale di questi stessi dèi in quanto simboli non
temporali di princìpi di ordine sopra umano, di modo che, accanto a
tale aspetto malefico accidentale, l'aspetto benefico sussiste sempre,
malgrado tutto, e anche quando è più completamente misconosciuto dalla
«gente dell'esterno»; l'interpretazione astrologica di Saturno
potrebbe fornire a questo riguardo un esempio chiarissimo].
Si vede da tali esempi che vi è sempre, nelle feste di questo genere,
un elemento «sinistro» e anche «satanico», ed è da notare in modo del
tutto particolare che proprio questo elemento piace al volgo ed eccita
la sua allegria: è infatti qualcosa di molto adatto, anzi più adatto
di ogni altra cosa, a dar soddisfazione alle tendenze dell’»uomo
decaduto», in quanto queste tendenze lo spingono a sviluppare
soprattutto le possibilità meno elevate del suo essere. Ora, proprio
in ciò risiede la vera ragione delle feste in questione: si tratta
insomma di «canalizzare» in qualche maniera tali tendenze e di
renderle il più possibile inoffensive, dandogli l’occasione di
manifestarsi, ma solo per periodi brevissimi e in circostanze ben
determinate, e assegnando così a questa manifestazione degli stretti
limiti che non le è permesso oltrepassare [Ciò è in rapporto con la
questione dell’»inquadramento» simbolico, sulla quale ci proponiamo di
tornare]. Se infatti queste tendenze non potessero ricevere quel
minimo di soddisfazione richiesto dall’attuale stato dell’umanità,
rischierebbero, per così dire, di esplodere [Alla fine del Medioevo,
quando le feste grottesche di cui abbiamo parlato furono soppresse o
caddero in disuso, si produsse un'espansione della stregoneria senza
alcuna proporzione con quel che s'era visto nei secoli precedenti; fra
questi due fatti esiste un rapporto abbastanza diretto, per quanto in
genere inavvertito, il che d'altronde è tanto più sorprendente in
quanto vi sono alcune somiglianze abbastanza singolari fra tali feste
e il sabba degli stregoni, ove pure tutto si faceva «alla rovescia»],
e di estendere i loro effetti all’intera esistenza, sia dell’individuo
sia della collettività, provocando un disordine ben altrimenti grave
di quello che si produce soltanto per qualche giorno riservato
particolarmente a questo scopo.
Tale disordine è d’altra parte tanto meno temibile in quanto viene
quasi «regolarizzato», poiché, da un lato, questi giorni sono come
avulsi dal corso normale delle cose, in modo da non esercitare su di
esso alcuna influenza apprezzabile, e comunque, dall’altro lato, il
fatto che non vi sia niente di imprevisto «normalizza» in qualche modo
il disordine stesso e lo integra nell’ordine totale.
Per terminare questi brevi cenni, aggiungeremo che, se le feste di
questo genere vanno sempre più perdendo importanza e sembrano ormai
suscitare a malapena l’interesse della folla, il fatto è che, in
un’epoca come la nostra, hanno veramente perduto la loro ragione
d’essere [Ciò equivale a dire che esse propriamente non sono più che
«superstizioni», nel senso etimologico della parola]: come potrebbe,
infatti, esserci ancora il problema di «circoscrivere» il disordine e
di rinchiuderlo entro limiti rigorosamente definiti, quando esso è
diffuso dappertutto e si manifesta costantemente in tutti gli ambiti
in cui si esercita l’attività umana? Così, la scomparsa quasi completa
di queste feste, di cui, se ci si limitasse alle apparenze esteriori e
da un punto di vista semplicemente “estetico», ci si potrebbe
rallegrare per via dell’aspetto “laido” che inevitabilmente assumono,
questa scomparsa, diciamo, costituisce al contrario, se si va al fondo
delle cose, un sintomo assai poco rassicurante, poiché testimonia che
il disordine ha fatto irruzione nell’intero corso dell’esistenza e si
è a tal punto generalizzato da far sì che noi viviamo in realtà, si
potrebbe dire, in un sinistro «carnevale perpetuo».
di René Guénon
(tratto da “Simboli della scienza sacra”, cap. 21)
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