Sai Baba di Shirdi
Nel 1918 Shirdi Sai Baba, il santo che univa tutte le fedi e compiva mille prodigi, lasciava il corpo mortale, cinque anni dopo nel 1923 nasceva Amma Anasuya Devi.
Anasuya Devi
Padre (baba) e madre (amma). La peculiarità di questi due grandi esseri fu che sin dalla nascita manifestarono la perfezione. Sai Baba era un Nitya Siddha (eternamente perfetto) ed Amma l’incarnazione della Madre Universale. Il primo non lo incontrai mai fisicamente (per ovvi motivi) mentre la seconda ebbi la grande fortuna non solo di incontrarla ma di trascorrere assieme a lei vari anni, diluiti nel tempo, di beata ed amorosa convivenza. Accadde durante quelle permanenze a Jillellamudi che, avvolto nello spirito della Madre, potei comprendere appieno il significato del messaggio del Baba di Shirdi e di altri santi e maestri realmente e fisicamente visti.
Paolo D'Arpini con Anasuya Devi a Jillellamudi
Le lunghe giornate trascorse nella vicinanza ispiratrice di Amma mi permisero di far conoscenza, indirettamente, alcuni grandi santi del passato, come Ramakrishna Paramahansa (quante lacrime versai sul Gospel of Sri Ramakrishna by M.), e come il santo di Shirdi, di cui bevvi gli insegnamenti nel libro Sri Sai Satcharita (in esso si raccontano aneddoti e dialoghi tenuti durante la sua vita). Purtroppo sia il Gospel di Ramakrishna sia il Satcharita di Sai Baba non sono stati tradotti integralmente (e nemmeno parzialmente). Del primo esiste una rassegna accorpata per argomenti della Ubaldini Editore (che ha perso molto dello spirito narrativo dell’originale) e del secondo abbiamo solo fuggevoli referenze su un breve testo biografico scritto da Arthur Osborne (tradotto anche in italiano da Il Punto d’Incontro). Peccato! Ma almeno posso dire che la lettura di quei volumi fu per me illuminante e fonte di riflessione.
Dovete sapere che sia Amma che Sai Baba piacevano ai membri di tutte le religioni, anche ai cristiani ed ai maomettani, questo perché –a parte l’innegabile potere da essi emanato, non insegnavano in termini contradditori a quelle religioni, soprattutto in merito alla cosiddetta teoria della reincarnazione. Amma era particolarmente indifferente a tale teoria, diceva che è l’energia divina (Shakti) che da ad ognuno il proprio destino e che noi non siamo responsabili e non dobbiamo perciò sentirci in colpa.
Lei affermava che il senso di “libero arbitrio” è solo una componente che consente il compimento di quanto ci è affidato dal destino, similmente fece Shirdi Sai Baba, che era “musulmano” (non nel senso “classico” ovviamente) e visse in una moschea per tutta la vita. Per entrambi anche gli insegnamenti più sublimi contenuti nei testi sacri, erano solo una “forma di ignoranza per cancellare un’altra ignoranza”, così si espresse Sai Baba commentando un verso della Bhagavadgita. Tra l’altro ora ricordo un’altra cosa detta da Sai Baba al proposito di come si produce l’accumulo di “vasanas” le tendenze mentali che proiettate causano nuove “incarnazioni”, ovvero attraverso lo “stato d’animo” nel quale l’azione viene compiuta .
Qui voglio fare un inciso anche sulla visione buddista della “reincarnazione” che è intesa non in senso egoico –appartenente cioè allo stesso agente, il quale è in verità considerato irreale- ma come maturazione di processi mentali inespressi che cercano un compimento e procurano una forma “di continuità” manifestativa nella materia.
Ma è nella Bhagavadgita che stasera ho trovato alcune frasi molto esplicative sull’argomento, ovvero sul significato dell’agire nel mondo e della formazione del karma. Ovviamente le ho lette, come dicevano Amma e Sai Baba, nella comprensione che è un’ignoranza (mascherata da conoscenza) per cancellare altra ignoranza (che chiamiamo conoscenza empirica) “, eppure me le sono tradotte (gli originali sono in sanscrito ed in inglese) e rielaborate anche alla luce degli eventi vissuti e della mia comprensione odierna.
Sì, perché oggi, come ogni altra domenica, mi sono recato alla Stanzetta del Pastore, a compiere il mio “dovere”, ovvero ad aspettare qualche visitatore che desiderasse conoscere gli archetipi e gli elementi del sistema cinese ed indiano (da me integrato in un “unicum”) attraverso la lettura della mano (con retribuzione ad offerta volontaria). Svolgo questo mestiere in quanto è una cosa che so far bene e con perizia e per sentire che “ho fatto il possibile per guadagnarmi da vivere” (avendo espletato un compito nel mondo), ed anche perché ritengo (direi con arroganza “altruisticamente”) che questa forma di “conoscenza” possa essere utile alle persone che desiderano approfondire la visione interiore, del loro mondo psichico.
Non è entrato nessuno, solo alcuni curiosi si sono fermati davanti alla porta a leggere e commentare i foglietti attaccati ed a scattare fotografie dell’ambiente esterno della stanzetta, alquanto caratteristico e “magico” (così ha detto qualcuno). Non fa nulla, anzi meglio, così ho potuto lavorare sulla traduzione del testo che segue.
Paolo D’Arpini - (Calcata, 15 febbraio 2009)
Dalla Bhagavadgita:
Strofa 27.
Ogni azione viene compiuta dalla natura, per mezzo dei suoi modi (guna – stimoli, qualità). L’uomo illuso confuso dal suo egoismo afferma: “Sono io che agisco”.
Strofa 28.
Colui che vede nei rispettivi modi della natura (e nelle conseguenze) comprende che tali pulsioni (causate da memoria e da tendenze ataviche) agiscono attraverso gli organi interni (i sensi e la mente) verso quelli esterni (i nomi e le forme). Egli però non si identifica con quell’agire, oh Arjuna!
Strofa 29.
Ma colui che è illuso dalle pulsioni naturali rimane nell’errore di essere egli stesso a compiere l’azione (di propria libera scelta) e non serve a nulla confondergli la mente (trasmettendogli questa conoscenza).
Strofa 30.
Perciò, dedicando ogni azione al Sé (Atman – l’Io presente in tutti gli esseri) libero da intenzioni e speranze e dal senso di possesso, curata la febbre mentale, combatti oh Arjuna!
Forse dovresti aggiungere che ora, completa o parziale che sia, esiste una traduzione della satcharita, edita da Milesi di Modena.
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