Un sistema composto X è costituito da A, frazione predatoria, e B, frazione predata. I predatori, agendo secondo la logica della valorizzazione del capitale, decidono di costituirsi una rendita garantita attraverso la costruzione di un enorme meccanismo di debito, dal quale dipende tutta l'economia del sistema, fino ad impegnare in tal modo la disponibilità di ricchezza pari a numerose volte (decine) quella prodotta annualmente.
In questo modo, però, impoveriscono il settore B diminuendone continuamente la capacità di produzione, fino a che i predati non sono più in grado di fornire il valore richiesto dagli impegni debitori.
A quel punto, l'insostenibilità della crisi in cui sono state sospinte le prede raggiunge inesorabilmente anche i predatori, e l'intero sistema si avvia inevitabilmente verso il collasso.
Ciò considerato, siete liberi di riflettere sul volume bancario di prodotti finanziari derivati, sulle emissioni di prestito delle banche centrali, sulle relazioni tra paesi imperiali e coloniali, o su ogni altro aspetto della finanza tardocapitalista di questa epoca, per immaginare a cosa sono destinati gli improbabili squilibri economici di questa era storica dissennata.
In altri tempi squilibri di natura simile non regolati hanno prodotto come esito due guerre mondiali per la contesa dei mercati e delle risorse planetarie. Nonostante il freno, i limiti e gli impedimenti alle politiche di guerra dati dagli armamenti nucleari, i conflitti di interesse spingono continuamente verso lo scontro le fazioni del capitale.
La via di uscita deve includere necessariamente la rinuncia alla logica della crescita continua, altrimenti l'intero sistema si avvierà nuovamente verso soluzioni catastrofiche.
La avidità soggiacente ad ogni modalità di predazione per accumulo si conferma ancora una volta come grave forma di malattia sociale che non può essere ignorata senza incorrere in pesanti danni conseguenti.
Le logiche della distribuzione e condivisione, assieme a quelle dell'equilibrio ecologico, devono superare quelle della predazione e dell'accumulo, se vogliamo un mondo di benessere, coesistenza, cooperazione e pace.
L'intera psicologia della politica e dell'economia devono mutare radicalmente per dirigersi verso queste finalità.
I beni disponibili devono diventare fruibili in modo quanto più possibile sociale collettivo, poiché la conflittualità della divisione concorrenziale capitalista non può che generare il circolo vizioso lavoro-produzione-predazione-
L'umanità ha fortemente bisogno di cultura cooperativa, di mutua collaborazione tra gli uomini, ed ecologica, per la mutua collaborazione tra umani e ambiente naturale. L'inevitabile uscita dall'era dei combustibili fossili (la cui rapidità di consumo antropico è eccezionalmente superiore alla lentezza di ripristino naturale) è una tappa necessaria del processo di trasformazione da attraversare.
Il problema è inevitabile, ed aggirarlo condurrebbe solo a doverlo affrontare tardi e male.
Di fronte all'attuale referendum energetico bisogna ricordare che comunque l'esaurimento del petrolio avanza a passi giganti, e che la frazione superstite (da anni inferiore ormai alla metà del totale planetario) sarà consumata enormemente più in fretta che nei 150 anni precedenti (oltre a risultare più costosa, faticosa e pericolosa), il che indica che non abbiamo tempo disponibile a piacere per una nuova politica energetica a base di fonti rinnovabili a basso impatto inquinante.
Siamo appena all'inizio dell'inizio di un grande necessario lavoro.
Socializzazione della ricchezza ed ecologia dei sistemi produttivi non sono finalità che possano aspettare per sempre.
I membri delle classi politiche dominanti lottano per la contesa del potere, mentre l'interesse dell'umanità è la realizzazione dell' equilibrio sostenibile tra gli umani e con il pianeta.
La maggior parte dei leaders dei paesi industriali sembra impreparata a questo compito, mentre la popolazione deve riuscire ad imporlo. Non foss'altro per evitare di continuare a "segare il ramo su cui siamo seduti", immagine metaforica della disgraziata condizione attuale.
Ragionando a lungo termine è facile comprendere che non possiamo permetterci di continuare a sopportare i costi delle politiche di guerra e di sfruttamento antiecologico dell'ambiente.
E' sorprendente quanto queste considerazioni siano assenti dai programmi e dalle analisi governative, intrappolate entro la logica miope dell'interesse capitalistico a breve termine, situazione di ignoranza deliberata che non deve più essere permessa. Vale forse la pensa di guadagnare valore per x ore lavoro con la produzione ed esportazione di armamenti che oggi forniscono un leggero aumento di "pil" (indice econometrico scorrelato dai contenuti, ed oltretutto ampiamente manipolabile) e domani forniranno la distruzione di n volte il valore x attraverso nuove devastanti guerre (per non parlare dell'enorme karma negativo da violenza e dolore che esse producono) ?
Certamente no.
Vale la pena di guadagnare un valore y attraverso produzioni che generano un enorme costo in degenerazione da inquinamento ambientale ?
Nuovamente, no.
"Le condizioni della Grecia sono diventate molto peggiori di quanto avessimo previsto" hanno dichiarato da poco i vertici dell'Fmi, che pure è stato autore delle politiche economiche imposte a quel paese, ed è dunque responsabile della sua condizione di rovina, di fronte all'evidenza che le ricette imposte dall'ideologia capitalista hanno fallito.
Poiché il capitalismo ha fallito gravemente (e la situazione greca è solo uno dei numerosissimi esempi che ce lo mostrano), bisogna cambiare direzione. "Quando l'ultimo pesce sarò pescato e l'ultimo fiume avvelenato vi accorgerete che non si può mangiare il denaro" (profezia Hopi). Infatti.
Sarvamangalam
Commento di Giorgio Mauri: “L'assalto alla "diligenza" ha richiesto anche una guerra incivile alle democrazie più avanzate al mondo. Ma una entità nata sullo sterminio di intere civiltà e sul sacrificio di più di 200 milioni di schiavi negri non bada a certe sottigliezze. Eppure coloro che traggono benefici da questo barbaro assetto sono pochissimi, e sono sempre di meno: prima o poi salta tutto, come meritano che sia. Relativamente al debito (la "balla" con cui strangolano i popoli e le loro civiltà), Arturo Hermann fa notare che esso "non sará mai ripagato da nessun paese, ma non é questa la vera issue, il vero affare é il pagamento degli interessi !" Invita anche a riflettere sul fatto che la "quota del debito privato sul Pil è molto piú elevata nei paesi nordici che nei pigs, dove raggiunge quote del 200-300%"
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