Paolo D'Arpini in pellegrinaggio sul Monte Soratte nel 2009
Durante il pellegrinaggio compiuto il 27 settembre 2009 sino alla cima del monte sacro Soratte, ove c’era il tempio di Apollo Sorano ed oggi esiste l’eremo di San Silvestro, il papa contemporaneo all’imperatore Costantino (quello che liberalizzò e rese istituzionale il cristianesimo), da una mia accompagnatrice mi fu rivolta a bruciapelo una domanda “…ma tu hai raggiunto te stesso?”.
In quel momento ho sentito che in qualsiasi modo avessi risposto sarebbe stato improprio… poiché se avessi detto di sì tale affermazione avrebbe implicato l’esistenza di un “io” che afferma di aver raggiunto se stesso (ovvero l’io inferiore che giunge all’Io superiore come intendeva la questionante). Se avessi detto di no avrei comunque negato una verità evidente… come possiamo non essere il Sé, sempre e comunque?
Chiaramente, da buon scimmiotto e da buon archeologo del Sé, me la sono “cavata”, ispirato da Apollo, negando ed affermando contemporaneamente, ed allo stesso tempo puntualizzando come ognuno di noi non può far altro che essere il Sé e che il desiderare di esserlo è solo un’ostruzione… e la cosa migliore –come diceva Ramana Maharshi- è di restare tranquilli e quieti senza cercare di raggiungere un "qualcosa", centrati nel senso dell’IO, che è la nostra vera identità e natura. Mentre le immagini di sé che appaiono nella mente, e l’identificazione con un io perfettibile, sono solo una proiezione della tendenza separativa, un’illusione….
Ho perciò accolto con grande gioia lo scritto che segue, inviatomi da Caterina Regazzi la sera stessa del discorso suddetto, tratto dal testo "Io sono Quello" di Nisargadatta Maharaj:
V.: …il ricordo di quelle esperienze meravigliose mi perseguita. Voglio riprovarle ancora.
M.: siccome le rivuoi non puoi averle. L’intensità del desiderio ti impedisce ogni esperienza più profonda. Niente di prezioso può accadere a una mente che sa esattamente ciò che vuole, perché niente di ciò che immagina e desidera ha grande valore.
V.: allora, cosa vale la pena di volere?
M.: il massimo, la felicità più elevata. L’assenza di desiderio è la beatitudine suprema.
V.: …come si va oltre la mente?
M.: i punti di partenza sono molti, ma portano tutti alla stessa meta. Puoi iniziare ad agire in maniera disinteressata, rinunciando ai frutti dell’azione, per poi abbandonare ogni pensiero o desiderio. Ecco, il fattore chiave è l’abbandono. Altrimenti puoi ignorare qualsiasi cosa tu voglia, pensi o faccia, concentrandoti sul pensiero “io sono”, tenendolo fisso in mente. Qualunque esperienza ti capiti di fare, rimani saldamente consapevole del fatto che tutto ciò che può essere percepito è transitorio e che solo l’”io sono” è permanente. Qui ed ora.
Bombay: Nisargadatta Maharaj a passeggio
Per una migliore comprensione invito i lettori a leggere l’esperienza che vissi incontrando il saggio, poco prima della sua “morte”, nel 1981:
Paolo D’Arpini
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