Gli Elementi di Euclide costituiscono una interessante sistematizzazione assiomatica della matematica, prevalentemente geometrica, conosciuta dagli studiosi della Grecia classica 2.500 anni fa (e dobbiamo ringraziare gli arabi per averli tradotti e conservati, altrimenti in Europa sarebbero andati perduti, poiché la civiltà cristiana dei primi secoli non li aveva conservati).
Il testo è organizzato a partire da concetti primitivi non definiti, assiomi o postulati, e definizioni di enti, materiale su cui sono costruite le dimostrazioni dei successivi risultati.
In particolare, sono inizialmente definiti:
1) Il punto, come "ciò che non ha parti".
2) La linea, come "ciò che ha lunghezza ma non profondità (o spessore).
3) La superficie, come "ciò che ha larghezza e lunghezza ma non altezza".
Prima facie, queste definizioni sembrano non avere senso: non conosciamo enti "privi di parti", che risulterebbero inosservabili (interessante il commento di Gheshe Ciampa Ghyatso: "se vediamo un oggetto da destra ne vediamo il lato destro, che quindi è distinguibile dal lato sinistro, distinguendo, perciò due parti; immaginando che non abbia parti, non possiamo vdere la parte destra, qualunque direzione sia ciò che abbiamo definito destra; perciò un oggetto ipoteticamente senza parti non è osservabile"). Analoga critica per la linea e il piano ideali similmente definite.
Tuttavia, l'esperienza della misura e la teoria conseguente ci mostrano che ogni osservazione è caratterizzata da un limite di imprecisione indeterminata, che indicheremo per comodità come ep = epsilon. Pertanto possiamo conoscere, ad esempio, una lunghezza come {L: L0 - ep < L < L0 + ep}, cioè come una estensione compresa tra un min ed un max, e non meglio di così specificabile. Quanto valga l'incertezza "ep" dipende dalla concreta osservazione. Ma l'esperienza (fino ad oggi sempre confermata) mostra che non è possibile annullarla, ovvero non è possibile {ep : ep--->0}.
Allora, qualunque lunghezza inferiore alla capacità di discriminazione "ep" dell'osservatore è indistinguibile da "0".
Ad esempio, l'occhio umano ha un potere di risoluzione al di sotto del quale non può andare, così come una lente di ingrandimento, e il microscopio pure.
Fissato dunque il valore "ep" di distinguibilità minima (cioè la "sensibilità" dell'osservazione), ogni ente di dimensioni minori può essere definito come "epsilon-punto". Epsilonpunto è ogni porzione spaziale contenuta in una sfera di dimensione ep. Analogamente, possiamo definire epsilon-linee ed epsislon-superfici.
Volendo procedere ulteriormente con questo genere di analisi, possiamo definire anche epsilon-verità: così come proponeva il fisico Giuliano Toraldo di Francia.
Una proposta utile, che potrebbe condurre ad impiegare la teoria di propagazione degli errori nelle deduzioni logiche, mostrandone la propagazione di incertezze assertive.
E riconducendo così sia matematica che logica alla loro correlazione originale con l'osservazione dei fenomeni.
Vincenzo Zamboni
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.