Sunya o Vuoto (in chiave buddhista)


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“Prima di svuotare, bisogna riempire.
Prima di rimpicciolire, bisogna ingrandire.
Prima di cadere, bisogna salire.
Per distruggere qualcosa, portatelo all’estremo.
Per conservare qualcosa, tenetelo nel mezzo”

(Deng Ming Dao)


Il concetto di Sunya o Vuoto, in senso spirituale,  non è una prerogativa del solo Buddhismo. Esiste il Vuoto della tradizione taoista  e che ha persino un significato più attinente con la metafisica. Il Vuoto taoista è in realtà un Pieno in cui non  c'è possibilità di differenziazione. Questo Vuoto-Pieno fu definito "Tao".  Ma  se  questo Tao  al nostro percepire determinista  appare  come un nulla, che per noi  corrisponde alla  assenza  del sé,  ovvero la coscienza individuale, esso contemporaneamente segna il ritorno beato  nella  matrice naturalistica, basata sul silenzio della mente, che  nel suo incessante funzionamento attira  e proietta  l’esperienza  in forme  pensiero   e poi la riassorbe nel nulla da cui proviene.  Questa kenosi del Tao procede per sua propria natura e non presuppone alcuna volontà creatrice o distruttrice. E da qui si comprende la non  valutazione taoista per un Dio personale. 

Questa matrice universale, non differenziabile tra creatore e creatura, è in verità una "idea"  condivisa da tutte le filosofie nondualistiche,  è definita Tao o  Senza Nome, nel Taoismo; Brahman o Assoluto nell’Advaita;  Sunya o Vuoto nel Buddhismo.

D'altronde anche dal punto di vista empirico possiamo considerare che la cosiddetta sostanzialità percepita attraverso i sensi non è altro che una sorta di immagine che attraversa il flusso della Coscienza.  La mente può  solo “fermare” in una sembianza rappresentativa la vera natura dell'Essere, che si manifesta da sé come una “memoria” di quell’infinito (nel finito apparente…). 

La ragione cerca di descrivere  la sostanzialità dell'immagine percepita  ma  solo l’intuito può farci “intravvedere” la sua reale natura.  

Tutto avviene nella Coscienza per mezzo della Coscienza. In tal modo qualsiasi tentativo di “spiegazione” o "descrizione" della cosiddetta realtà empirica perde di valore essendo superato dalla successiva sovra-imposizione, un’onda continuata, un flusso di sensazioni e pensieri proiettati nella mente ma di cui la vera sostanza è la  Consapevolezza. E cosa è la Pura Consapevolezza, non contaminata da alcuna forma pensiero, se non un Vuoto/Pieno …? Una capacità indescrivibile, non controllabile dalla mente ma di cui la mente è una semplice espressione?

Il Vuoto, o l’Assoluto, insomma prevale sempre, tutto contiene e tutto trascende. Il  Vuoto perciò non è vuoto. E' l'espressione  di una energia spirituale  conosciuta nelle antiche tradizioni orientali come  energia primigenia. Questa energia non solo dà forma al mondo fisico, momento per momento, ma si relaziona con la coscienza individuale di tutti gli esseri. 

La scienza contemporanea, in termini quantistici,  rivela che la distinzione tra mondo materiale e spirituale è un errore. Non c'è dualità, l'universo è la manifestazione di quell'unica  "sostanza"   e sia il mondo fisico che spirituale prendono forma da essa  che compenetra ogni cosa in quanto Coscienza.

La Coscienza non è ciò che appare nella coscienza, non è -per intenderci- sensazione, pensiero, emozione, intuizione, visione ma è quella luce che rende possibile ogni  percepire.  Ed infatti  neanche questa spiegazione fatta di parole  può qualificare o indicare la Coscienza. Questo mio è un futile tentativo di definire l'indefinibile... ogni definizione della "Coscienza" è contenuto e mai può essere contenitore.

Nello specifico torniamo ora ad analizzare il significato del "Sunya" in termini buddhisti.  Allorché nel buddhismo si parla di "estinzione" come la meta suprema della pratica   si intende l'estinzione dell'individualità, lo smascheramento della natura illusoria, non la cancellazione della Pura Consapevolezza priva di attributi e di identificazione.  Chiara fu la enunciazione di questi concetti da parte del massimo filosofo della "vacuità", Nagarjuna.  

Egli oltre l'impermanenza temporale,  indicò una ulteriore qualità nella non sostanzialità dei fenomeni: essi erano vuoti anche di una loro identità in quanto dipendevano uno dall'altro sul piano temporale.  Tutti i fenomeni  sono quindi privi di sostanzialità, poiché nessun fenomeno possiede una natura indipendente. Egli esprime la sua posizione in quella che è  un'opera capitale del buddhismo: le Madhyamakakarika, Stanze della via di mezzo. Nagarjiuna  riteneva che il linguaggio è inevitabilmente illusorio in quanto prodotto di concettualizzazioni ed è per questa ragione che egli rifiutò sempre di definirsi detentore di una qualsivoglia dottrina. Poiché l'esperienza della vacuità non è compatibile con alcuna costruzione di pensiero.  E l'idea stessa della vacuità rischia di essere pericolosa, se alla vacuità viene  attribuita una identità.
"La vacuità è una designazione metaforica - affermò il filosofo, aggiungendo - se il mondo fosse non vuoto, non si potrebbe né ottenere ciò che non si possiede già, né mettere fine al dolore, né eliminare tutte le passioni..."
E l'altro grande saggio buddista, Tilopa, disse: "Chi si aggrappa alla mente non vede la verità che sta oltre la mente. Chi si sforza di praticare il Dharma non trova la verità che è aldilà della pratica. Per conoscere ciò che è aldilà sia della mente che della pratica bisogna tagliare di netto la radice della mente e, nudi, guardare; bisogna abbandonare ogni distinzione e restare tranquilli..."

Pertanto si può affermare che il laboratorio di ricerca in senso buddista è  il proprio interno, la  Coscienza, e l’unica pratica consigliata è quella dell’introspezione.  Non vengono indicati metodi speculativi, piuttosto si cerca di portare l’intelligenza al limite della sua tendenza raziocinante, e questo conduce all'estinzione, ovvero al "Sunya" o Vuoto.

Paolo D'Arpini

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