Con l' "Origine della Specie" di Darwin si passa dall'autorità "divina" all'autorità della scienza

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Quando nel 1859 fu pubblicata l’opera fondamentale di Charles Darwin (1809-1882) – “L’Origine della Specie” – essa costituì una rivoluzione culturale paragonabile a quella che era stata nel ‘500 e nel ‘600 la rivoluzione copernicana, sviluppata poi magistralmente da Giordano Bruno, Galilei e Keplero.(1)(2)(5) Venivano di fatto messe in discussione da uno scienziato, di per sé prudente e moderato, e niente affatto rivoluzionario, l’autorità delle “Sacre Scritture” – molto stimate nell’Inghilterra di inizio ‘800 - , l’età della Terra e dell’Universo (considerata di poche migliaia di anni nella Bibbia), il mito della “Creazione Divina”, e la centralità della specie umana nel mondo (dovuta alla tradizione religiosa ed aristotelica).


L’opera di Darwin era stata in realtà preceduta da altre opere scientifiche e filosofiche. Senza voler risalire ai primi accenni di teoria evoluzionista presenti nella filosofia naturalista dell’antica Grecia - in Anassimandro ed Empedocle - e nella concezione di un mondo eterno in continua trasformazione – come nell’opera di Democrito, ed in quella cinquecentesca di Giordano Bruno – basterà ricordare le teorie evoluzioniste di epoca illuminista espresse da Maupertois, Buffon e Diderot e – in Inghilterra – dallo stesso nonno di Charles: il biologo Erasmus Darwin. Il più importante predecessore di Darwin era stato il francese Lamark, sostenitore della teoria della trasmissibilità ereditaria delle variazioni biologiche dovute all’ambiente e di un (presunto) processo di perfezionamento progressivo delle specie viventi. Sulle orme di Lamark, Geoffrey Saint-Hilarie aveva polemizzato con Cuvier, sostenitore – come Aristotele – della fissità delle specie, il quale per giustificare la sparizione di intere specie (ritrovate come fossili) aveva sostenuto la teoria delle catastrofi naturali.

Negli anni precedenti l’opera di Darwin, il suo amico, l’intelligente geologo Charles Lyell (1797-1871) aveva contestato in una sua opera molto nota la teoria delle catastrofi, sostenendo la progressività delle trasformazioni geologiche in un lunghissimo intervallo temporale (teoria detta “Uniformismo”). Due studiosi britannici, Patrick Matthew (1790-1865) e Robert Chambers (1802-1871) avevano sostenuto teorie evoluzioniste.

Darwin aveva studiato scienze naturali ad Edimburgo e Cambridge, ma poi – senza completare gli studi – aveva accettato di lavorare come esperto sulla nave “Beagle” nel suo viaggio di esplorazione scientifica intorno al mondo iniziato nel 1831. Ebbe così la possibilità di raccogliere un gran numero di dati sulle caratteristiche biologiche di varie specie, in particolare osservando gli uccelli nelle isole Galapagos. Al ritorno in Inghilterra, influenzato anche dalle sue osservazioni sulle specie domestiche che gli allevatori riuscivano a modificare con gli incroci sfruttando minime differenze iniziali, e dalla conoscenza delle opere di Lamark ed Alexander Humboldt , nonché dalle teorie di Malthus, già negli anni ’30 Darwin aveva messo a punto le sue ipotesi. Nel 1844 il grande biologo britannico aveva già realizzato una prima stesura della sua opera che però vide la luce solo 15 anni dopo su sollecitazione di Lyell ed altri amici, probabilmente perché Darwin si rendeva conto dell’inevitabile impatto sull’opinione pubblica ed il conseguente strascico polemico. L’accoglienza però fu favorevole in molti ambienti, anche per lo stile razionalista delle argomentazioni e la presenza di un gran numero di dati, a parte le inevitabili polemiche delle autorità ecclesiastiche. Lo stesso Marx si offrì di fare una presentazione del libro, rendendosi conto della sua importanza(3), offerta prudentemente rifiutata dal biologo.

Il nucleo dell’opera era la convinzione espressa che piccole differenze casuali riscontrate nelle specie viventi nelle generazioni successive avrebbero potuto offrire vantaggi o svantaggi nella spietata lotta per l’esistenza favorendo, nelle successive generazioni, individui aventi caratteristiche più adatte alla sopravvivenza, modificando così a lungo andare le specie. Tale teoria eliminava qualsiasi finalità (o “teleologia”) nella natura, sia di tipo religioso (come la presunta esistenza di piani provvidenziali), sia filosofico (come in Aristotele), e superava anche la concezione lamarkiana di trasmissibilità ereditaria diretta di caratteristiche acquisite a causa dell’ambiente. Felice Mondella, collaboratore di L. Geymonat nella stesura della nota opera(1), osserva giustamente che il meccanismo ipotizzato da Darwin (per cui da organismi unicellulari elementari si può giungere progressivamente ad organismi molto complessi) fornisce anche un principio, che se esteso anche al mondo inorganico con le dovute modifiche, potrebbe dar conto dell’affermazione degli antichi filosofi materialisti ed atomisti secondo cui oggetti complessi e mondi interi possano formarsi dall’unione casuale di atomi.

Nel 1871 Darwin pubblicò una seconda importante opera sulla “Origine dell’Uomo”, in cui attribuiva all’evoluzione anche lo sviluppo delle facoltà mentali.

Un attacco alle teorie darwiniane venne negli anni ’60 dal famoso fisico William Thomson (Lord Kelvin), di cui parleremo più diffusamente in un prossimo numero(4), che calcolò l’età della Terra in soli 20 milioni di anni (tempo troppo ristretto per permettere l’evoluzione delle specie viventi) sulla base di un calcolo del tempo di raffreddamento del pianeta. Thomson sbagliò per non aver tenuto conto del fatto che l’interno della Terra è ancora liquido e soggetto a moti convettivi che trasportano il calore, e che la radioattività (scoperta in seguito) apporta altro calore. I sostenitori di Darwin, tra cui lo stesso Lyell ed il biologo Thomas Huxley (1825-1896), grande diffusore delle teorie evoluzioniste, calcolavano giustamente tempi molto più lunghi. Oggi si sa che questo tempo è di circa 4,5 miliardi di anni.

Negli stessi anni ’60 del XIX° secolo fu pubblicata l’importante opera del monaco scienziato ceco Gregor Mendel (1819-1903), che incrociando varie specie di piselli ed altre piante aventi caratteristiche diverse, aveva constatato che nella prima generazione si manifestano dei caratteri “dominanti” che prevalgono nel 100% dei casi e dei caratteri “recessivi” che non si manifestano, mentre nelle seconde e terze generazioni i caratteri “dominanti” e “recessivi” si manifestano in proporzioni precise a seconda del tipo di incrocio effettuato. L’opera di Mendel, inizialmente ignorata, ma poi riscoperta e considerata fondamentale intorno al 1890, fu presentata come contraria alle teorie darwiniane e favorevole al principio di fissità delle specie. Gli studi di genetica sviluppati alla fine dell’800 e nel ‘900 hanno dimostrato che non vi è contraddizione tra le due teorie e che le piccole variazioni biologiche si presentano già in fase genetica.

La teoria della selezione naturale influenzò anche l’opera del filosofo inglese Herbert Spencer (1820-1903), che operò una sintesi (alquanto schematica e superficiale) tra il pensiero positivista e progressista di Comte (N. 76) e la teoria della selezione naturale, adottando un atteggiamento favorevole ad un capitalismo fortemente concorrenziale e ultraliberista in cui tutti sono in lotta tra loro per prevalere (“Darwinismo sociale”). Spencer affermò (giustamente) che tutta la realtà è in evoluzione, compreso il campo della conoscenza dove la stessa struttura della coscienza, i concetti ed i simboli sono frutto dell’evoluzione e delle condizioni storiche dell’ambiente. Aggiunse, però, che, essendo la conoscenza scientifica relativa, lascia un ampio spazio “inconoscibile” di cui solo la religione (considerata indispensabile da Spencer) può interessarsi.

Vincenzo Brandi

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L. Geymonat, “Storia del Pensiero Fil. e Sc.”, op. cit. in bibl.

C. Singer, “Breve Storia del Pensiero Sc.”, op. cit. in bibl.

F. Engels, “Dialettica della Nat.”, Ed. Riuniti, prefazione di Lombardo Radice, op. cit.

RBA, “Grandi Idee della Sc. – Kelvin”, op. cit. in bibl.

W. Adorno, “Storia della Fil.”, op. cit. in bibl.

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