Lo zero e la matematica che misura l'infinito.... tra fisica e metafisica


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Molto spesso in questi tempi di desacralizzazione di qualsiasi argomento culturale, soprattutto sui social, si leggono post provocatori del tipo “Alì Salam Mohammed chiede che vengano adottati in Europa i numeri arabi... Condividi se sei indignato”. Lo scopo di questi post sarebbe quello di dimostrare l'invadenza islamica che chiede sempre maggiori concessioni alle democrazie europee: il velo per le donne, la sharia, nuove moschee, l'insegnamento del Corano nelle scuole, etc. etc. 

Ovviamente il post riguardante i numeri arabi è una provocazione e pure “bufalina” poiché i cosiddetti numeri arabi sono in realtà indiani, compreso lo zero che fu una “invenzione” degli antichi matematici e filosofi dell'India antica. 

L’India infatti ha svolto un ruolo fondamentale nello sviluppo della matematica abbinata a concetti filosofici, il che è avvenuto durante il periodo vedico, che si fa risalire a qualche migliaio di anni avanti Cristo. Furono gli indiani a scoprire il sistema di numerazione posizionale, fondato sull’uso di nove simboli per scrivere tutti i numeri e dello zero (sistema decimale), essi formularono le regole per le quattro operazioni, risolsero equazioni di primo grado ed equazioni di secondo grado. Lo zero era trattato come tutti gli altri numeri e non come un numero che rappresentava “assenza di quantità”. 

L’India non è soltanto la patria dello zero e delle cifre che gli arabi molto successivamente portarono dall’India in Europa. Infatti, come ci informa la ricercatrice Martina Brocca, nei secoli antecedenti la nascita di Cristo, i matematici indiani furono i primi a sviluppare ricerche su teorie degli insiemi, di logaritmi, di equazioni di terzo grado, di equazioni di quarto grado, di estrazione di radici quadrate, di potenze finite e infinite e di algoritmi per il calcolo di numeri irrazionali, etc.

Ed i ricercatori e veggenti dell'antica India  non si limitarono ai numeri ma espansero anche lo studio e la comprensione delle forme. La particolare natura speculativa della cultura indiana fa sì che fin dai primordi le figure geometriche furono considerate un tramite con la divinità e perciò utilizzate a fini rituali. Lo stretto rapporto tra numeri e filosofia nella cultura induista ha rappresentato un motivo di sviluppo della scienza sia fisica che metafisica.

L’antica civiltà dell’Indo e del Saraswati (che si fa risalire a diverse migliaia di anni  a.C.)  per prima  sviluppò pesi e misure, in scala decimale, per pesare il grano e per fabbricare materiali edili per edificare le città. Saper fare calcoli astronomici era indispensabile per i mercanti dell’epoca vedica che guardavano al cielo per attraversare oceani e lande disabitate; per gli astronomi che crearono calendari precisi tenendo conto delle stagioni di pioggia per migliorare l’agricoltura; per i regnanti che amministravano il regno e per gli astrologi, che analizzarono l’influenza degli astri. Ma a motivare tale ricerca furono anche esigenze religiose-filosofiche: sia per il calcolo dell’area per i sacri altari del sacrificio, che come strumento per leggere l’universo e  raggiungere  l’illuminazione.  Lo spazio e il tempo erano percepiti come infiniti e nacque così un profondo interesse verso i numeri grandi.

La matematica vedica, ben prima che fosse riportata dagli arabi in occidente, fu la matrice di tutta la scienza dell'Europa antica. Ad esempio il famoso teorema di Pitagora lascia pensare che il grande filosofo greco fosse al corrente delle teorie matematiche indiane: il Sulva Sutra (VIII a.C) e il Shatapatha Brahmana (VIII-VI a.C.) le quali  provano che il teorema fosse già noto in India da secoli. 

Evidentemente le conoscenze che hanno permesso a Pitagora di elaborare le sue teorie, sono frutto dei suoi lunghi viaggi in Oriente e in India. Pitagora è considerato il padre dell’aritmetica in occidente, ai suoi studenti, che selezionava in base alla capacità di associare un messaggio ad un simbolo, soleva dire “tutto è numero”. Egli insegnò una teoria che lega la matematica alla natura e alla musica, stabilendo un’assonanza con l’intero cosmo e con le Leggi che lo governano. 

L’associazione dei numeri alla natura, afferma la studiosa Angela Braghin, inclina ed agevola una meditazione profonda e consente all’uomo di cogliere l’intima natura delle sfere celesti, creando un ponte tra il visibile e l’invisibile, poiché c’è una stretta assonanza tra numeri, forma e idee. Infatti, regolata dai numeri risulta l’alternanza delle stagioni e delle diverse coltivazioni ad esse corrispondenti.

In definitiva secondo gli antichi inventori della scienza matematica i numeri contengono, disciplinano e racchiudono il Creato e ogni creatura, e consentono all’uomo di diffondere il messaggio del quale è portatore sin dalla nascita, e inglobarlo al messaggio più profondo, collettivo e primigenio, ovvero quello divino.

Paolo D'Arpini

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