fare... per crescere!" (Anandamayi Ma)
Tutti quelli che si incamminano sul sentiero spirituale seguendo le
istruzioni delle dottrine, le parole dei maestri, le pratiche
tramandate, sono ammoniti che il cammino è irto di pericoli e che
nessuno o solo pochissimi sono riusciti a compierlo senza l’ausilio di
supporti e di istruzioni. In tutto questo c’è una buona parte di
verità.
Però, se questo atteggiamento si fa preponderante, mettendo in ombra
il ruolo fondamentale del ricercatore e del suo impegno, il risultato
sarà quello di piegare la coscienza alla paura o alla dipendenza da
figure esterne che ne produrrà l’insuccesso, anche con le migliori
intenzioni. In realtà ciò che più di ogni altro elemento vincola la
coscienza allo stato di nescienza è la paura.
E’ questo il sentimento con cui possiamo calcolare la profondità dei
nostri attaccamenti, la potenza dei nostri fantasmi mentali, la
debolezza delle nostre intenzioni. Se la paura diventa principio
discriminante, lentamente ci troveremo in ostaggio della paura e lo
spirito di ricerca soffrirà di irrigidimento, di chiusura e di senso
di fragilità. Accanto ai continui inviti che dai testi dottrinari e
dai discorsi dei santi invitano ad accostarsi solo a persone sante e
sagge, meglio ancora a un maestro realizzato, una considerazione
enigmatica rompe il convenzionalismo e indica una verità rischiosa: si
può ottenere la realizzazione spirituale anche servendo un falso
maestro, un truffatore. Così come un detto popolare recita: non
esistono cattive madri, ci sono però cattivi figli. Queste parole
sconvolgono la mentalità convenzionale dell’occidentale, che non si
accorge di candidarsi ad una eterna dipendenza dalla “bontà” altrui.
Il solo luogo possibile della conoscenza spirituale è Dio –
quell’Assoluto, indiviso, onni-pervadente, senza secondo; non vi è
altri che Lui, che è l’Unità di tutto, Non-dualità. La coscienza di
questa Unità è inizialmente una battaglia di principio che
probabilmente è più feroce dentro la coscienza di un occidentale, che
a qualsiasi principio accetti troverà una contrapposizione, cioè
automaticamente disporrà il proprio orizzonte mentale a eleggere un
principio a ideologia e disporre il resto in conflitto.
Perciò, se è vero l’assunto con cui siamo partiti, è ancora più vero
che senza una presa di coscienza personale e trasformativa, cioè che
scardini il principio duale della nostra mente, non è possibile
parlare di alcun sostanziale conseguimento spirituale.
Se ci fosse possibile percorrere il camino senza sostegni ci
troveremmo, come cantava Ashtavakra, a vivere semplicemente ogni cosa
senza esserne scossi, a conoscerci già come puro
conoscitore-inconoscibile e guardare la vita, gli dei, il cosmo e le
istruzioni spirituali come uno spettacolo gioioso e tragico, fatto per
essere ammirato, sofferto e dimenticato subito dopo.
La coscienza del ricercatore, invece, raramente parte da questo
orizzonte, di più, solitamente è una coscienza contaminata
dall’angoscia e dalla paura; quando ad angoscia e paura non si riesce
più a dare un nome e una causa, finalmente si comincia a pensare che
l’origine risieda dentro di noi e si stabilisce di lavorare con se
stessi. Di fronte a questa radicale disfatta dell’io sul suo terreno è
naturale che si prenda la decisione di affidarsi, di scegliere
volontariamente che qualcuno ci possa manipolare e orientare.
Che cosa vince, in questo frangente, il bisogno di trovare una
soluzione efficace ai nostri problemi o la paura di abbandonarci
all’alto? Nel caso in cui la paura vinca sull’abbandono possiamo
inferire che si abbia ancora troppo da perdere, o una valutazione di
valore personale spropositata, cioè una tremenda fragilità dell’io.
Un io sano si fida. Per affrontare una istruzione nuova, un nuovo
passaggio della propria vicenda spirituale occorre un io sano. In che
senso si è sani abbastanza e di che cosa o di chi ci si fida
propriamente? Un io sano è immediatamente quello che sa prendere le
distanze da una mente malata, la propria, e che decide con freddezza e
con serenità di aggiustare ciò che si è spezzato, inquinato o fermato.
Questa presa di distanza, che è la sola con cui si può prendere una
decisione, è anche l’assicurazione di cui possiamo godere per il resto
del cammino e la pratica che facilmente possiamo sviluppare nel tempo:
la capacità di osservare le attività e le reazioni della mente con
distacco, la pratica dell’Osservatore.
A questo punto sembrerà che inizio e fine coincidano: che importanza
ha quello che mi accade se io sono già stabilizzato nella posizione
dell’osservatore? Il problema sta nel fare in modo che si passi
definitivamente e spontaneamente dall’osservatore di cose, fatti e
misfatti, all’osservatore puro: alla contemplazione di Dio o alla pura
consapevolezza di Sé. Cioè all’annullamento di qualsiasi differenza di
io e tu e di qualsiasi diffidenza o paura che ne deriva.
Occorre perciò che la nostra pratica spirituale sia fonte di coraggio,
non di ulteriori timori. Il coraggio sublime è la fiducia, non negli
altri, non in qualcuno, non in una idea, non in un modello: la fiducia
deve provenire dalla costante meditazione dell’Unità del divino,
dell’unità tra Realtà e Dio, in cui l’unica componente estranea sono
le divisioni e le paure sovrapposte dal comune pensare. Chi ha Dio nel
cuore non cade. Ecco perchè un cattivo maestro vale come uno buono, se
la coscienza è saldamente concentrata sulla Realtà Divina, se si è
totalmente innamorati di essa.
E’ impossibile, si dice, truffare un uomo onesto. Perchè la coscienza
sia così saldamente protetta e inattaccabile dalle malvagità che
irrompono nel mondo della vita religiosa, come in ogni altra
iniziativa umana, la sola difesa certa è la purezza. Non precipitate
nella fretta di raggiungere degli obiettivi; una purezza superiore,
dove decadano anche i gradi di discriminazione tra puro e impuro verrà
a suo tempo e con i costi esistenziali relativi. Probabilmente c’è
tempo e ci sarà modo. Osservate attentamente le piccole incrinature
del vetro della mente da cui potrebbe penetrare l’inganno, ovvero
l’auto-inganno. Si identificano in due grandi gruppi: la paura di
soffrire e il desiderio di soddisfazione.
Queste sono le battaglie da vincere per raggiungere una coscienza
davvero limpida, capace di contemplare Dio in ogni frangente della
vita, persona o cosa. In questo momento storico è particolarmente
difficile combattere le istanze della paura e del desiderio, per le
sollecitazioni continue a desiderare e a temere.
Ma forse la saturazione che alcuni provano, il desiderio di vivere
diversamente, possono guidare fino ad un certo punto, almeno oltre la
paranoia e il superfluo. Poi occorre sciogliere quelle convinzioni che
ci fanno credere di essere soggetti di un diritto/dovere alla paura e
al desiderio – così che si possa cominciare a guardare la propria vita
liberamente, cioè con vero distacco dai frutti, dal bene e dal male
che ne ricaviamo.
Se c’è un pericolo nella nostra storia spirituale è costituito dalla
debolezza e dal menefreghismo con cui ci trattiamo, trattiamo noi
stessi, inettitudine che ci porta a ritrovarci “vittime” di
circostanze avverse, persone o fatti. Ci sono dei prerequisiti, ben
noti, che Shankara indicò per stabilire chi è idoneo a sostenere un
cammino spirituale, senza mettere nei guai se stessi e gli altri, e
sono: discriminazione tra reale e irreale, distacco dai frutti,
possesso delle seguenti qualità: mente calma (sama), autodominio
(dama), raccoglimento interiore (uparati), perseveranza (titksa) fede
(sraddha), stabilità mentale (samadhana), aspirazione alla
Liberazione.
Questi principi si devono considerare con la massima attenzione e
impegno. Con il possesso di questi criteri si può affrontare molto, o
tutto, restando sostanzialmente indipendenti, cioè non-dipendenti
psicologicamente e moralmente, perfino servendo nelle condizioni più
umili, anche nelle circostanze più difficili da controllare. Il
conseguimento di questi requisiti occupa una parte prevalente del
cammino spirituale.
Si cade in inganno quando si crede di potersi permettere un condono
sul proprio impegno, dove si vuole avere tutto subito a basso costo o
a costo zero. Come nella vita, qui scatta il pericolo della truffa.
Ma tutto ciò che sentiamo necessario va sperimentato con fiducia.
La strada non è razionale, non percorre i limiti del perbenismo e del dualismo.
Quando un’istanza si presenta, se ne colga l’opportunità, finché anche
questa si riesca ad integrare nella Unità del Reale, nel suo continuo
discorso, nella istruzione ininterrotta che ci rivolge e che qualcuno
ha giustamente definito Amore. Si può cogliere l’opportunità di
imparare e di liberare energie in qualsiasi circostanza – il centro e
il perno del gioco siamo noi, è la coscienza che ci anima- e perciò
diciamo che qualsiasi cosa può essere uno strumento di Dio.
Si tema solo la propria incertezza, la pigrizia mentale, il
disimpegno, questi sono i veri truffatori dello spirito. Qualsiasi
cosa ci dia l’opportunità di recuperare una parte del nostro sapere,
dell’energia spirituale che normalmente rimane assopita a macerare
nell’ombra, apprezziamo e ringraziamo questo evento, sotto qualsiasi
nome o forma si presenti.
Beatrice Polidori
(Fonte: Turya - http://blog.visionaire.org/)
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